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Autore: Xebfwalrk    22/02/2015    0 recensioni
In questo racconto dalle sfumature Horror viene raccontata la fuga di Antonio dalla casa degli orrori, ma come ogni storia chi sarà il sopravvissuto?
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«iuto!»
Stavo gridando, credo; sentivo a malapena il suono della mia voce.
La stoffa che avevo nella bocca era imbevuta di saliva, sentivo un rivolo che mi colava sulla gola scoperta.
Ero legato, le gambe piegate sulla schiena, i piedi e le mani legati insieme, sentivo la suola delle mie scarpe con i polpastrelli.
Mi sorreggevo con lo sterno, cominciava a dolermi tutto ma insistevo a chiedere aiuto, non riuscivo a distendermi. La sciarpa, doveva essere la mia sciarpa: la consistenza era soffice non quella di una corda; mi teneva la testa sollevata, la gola completamente esposta, deglutivo a fatica, quasi sentivo il pomo d’Adamo che si muoveva frenetico.
Sentii un tonfo alla mia destra.
«Aiuto!» gracchiai ancora.
Un ombra mi passò davanti, gli occhi bianchi e luminosi. Brividi mi percorsero da capo a piedi. Chiusi gli occhi con forza dicendomi che era un brutto sogno. Mi sentii toccare.
Cominciai a gridare come un matto, lentamente misi a fuoco.
Un uomo, il volto in ombra, spalle larghe, un braccio coperto da stoffa fino al gomito, poi ricoperto di peli folti e scuri. Brandiva un coltello. Lo stava avvicinando alla sciarpa nuova, gridai più forte di prima. Quello si ritrasse, sentii la sua mano ruvida sulla mia guancia. Delicatamente spostò la sciarpa  dalla bocca.
Passai veloce la lingua sulle labbra, umettandole.
«Cosa fai con quel coltello! È cashmere!» strillai isterico «Qualche stronzo mi ha legato mani e piedi con la mia sciarpa. Per piacere, cerca di scioglierla senza rovinarla, l’ho pagata molto» lo supplicai irritato.
Sentii che cominciò a smuovere il tessuto prima delicatamente, poi in maniera più rude. Mi sfiorò un paio di volte il sedere ma non vi detti peso, sicuramente non lo fece di proposito.
«Grazie.» Gli dissi dopo poco «Mi chiamo Antonio Marell» Gli dissi sedendomi.
«Endzo Mavouie.» Si strofinò le mani «Sai dove siamo?» La sua voce era roca e profonda, non sembrava molto tranquillo ma nemmeno terrorizzato, come del resto ero io.
«Non ne ho idea. Ero ad una festa in paese, poi  è scoppiato il finimondo» Mi interruppi ricordando «…E qualcuno mi ha tirato un colpo in testa, ed eccomi qui» al ricordo mi tastai la tempia, fu doloroso ma necessario per rendere reale il ricordo ancora una volta.
Lo vidi imitarmi toccandosi la faccia e esprimere il suo dolore.
A quanto pare anche lui non era qui di  sua volontà.
Cadde un silenzio improvviso,  un’atmosfera di inquietudine si fece largo nella stanza.
«Cosa è stato» squittii preso dal ricordo degli occhi bianchi lucenti.
Al piano superiore si sentirono passi concitati e pesanti seguiti da una cascata di polvere, un freddo improvviso si fece largo nelle mie ossa.
Mentre eravamo presi a guardare la polvere cadere la finestra alle nostre spalle vibrò e si aprì di schianto, un brivido mi corse rapido lungo la schiena.
Un vento gelido mosse le tende mangiate dal sole, sbatterono violentemente;  la povere vorticò e prese sembianze di una persona per qualche istante. Poi tutto cessò: il vento si acquietò subito, la polvere parve immobile.
Un altro tonfo sopra di noi. La strana sensazione di essere osservato mi prese allo stomaco, mi feci forza, irrigiditi i muscoli del torace.
«Mio Dio! Dobbiamo andarcene subito di qua!» Sussurrai senza fiato, per lo sforzo di non gridare.
«Fuggiamo dalla finestra» Propose Endzo, una luce di ottimismo lampeggiava nei suoi occhi.
Mi prese per un braccio, stringendo il polso al limite della violenza e mi trascinò con lui fino alla finestra.
Eravamo lì:  davanti alla finestra, in procinto di uscire. Endzo allungò la mano verso il telaio quando una figura scura ci saltò davanti. Si sentirono grida disumane e occhi gialli luminosi ci fissarono.
Urlai a pieni polmoni, mi sembrava i vibrare come un telefono, tanto che i peli del mio corpo si muovevano. Scappai a sinistra, l’altro a destra.
Scattai tanto in fretta che mi scontrati contro la porta, rapido l'aprii e entrai, massaggiandomi il naso.
Finii in una sala ampia, il pavimento  con grandi mattonelle quadrate tutte opache dalla sporcizia.
Dopo qualche passo notai che  la stanza era piena di finestre chiuse, le tende si muovevano lentamente, una paura improvvisa mi artigliò la bocca dello stomaco.
Cercai di soffocare i brividi, era solo una stanza sporca.
Mi spostai al centro della stanza, suoni ovattati raggiunsero le mie orecchie.
Guardai in tutte le direzioni sono i miei passi pensai.
Feci per voltarmi e sentii passi strascicati: a tempo di musica, lenti e costati, gli angoli si fecero più bui, un freddo gelido calò nella stanza.
Gridai senza sapere neppure il perché e fuggii da dove ero entrato.
Un lampo improvviso e mi trovai alle spalle di un uomo.
Una camicia a quadi squallida che nascondeva larghe spalle possenti. Mi avvicinai con circospezione, incerto sulla sua identità.
Gli toccai una spalla; sentii il suo brivido sui polpastrelli. Qualcosa gli cadde dalla mani con un tonfo soffocato.
«Diavolo! Ma cosa fai?» sbraitò, una volta che mi mise a fuoco; un coltello puntato al mio petto.
«Hai visto l’ombra anche te?» domandai, ignorando l'arma e alludendo alla finestra di poco prima.
«È suggestione, calmiamoci» vidi Endzo che si chinò per raccogliere l’oggetto che gli era caduto.
Rimase chinato a lungo, osservavo come l'indumento aderiva forzatamente al suo corpo qualcuno deve mettersi a dieta  pensai nell'attesa. Guardò davanti a se. Sugli scalini della sala erano sedute due bambole di porcellana, due maschi, una assomigliava terribilmente al mio amico, l'atra aveva capelli lunghi fino alle spalle, camicia e pantalone scuro e per completare una sciarpa bianca, rabbrividii.
«Andiamocene» Disse Endzo, la voce spezzata.
Indietreggiammo cautamente, alle nostre spalle la porta d'ingresso suggeriva una via di fuga. Non persi di vista un secondo le bambole.
Continuai a indietreggiare finché non sentii con il sedere il duro del legno, mi raddrizzai.
Quasi contemporaneamente ci voltammo e provammo ad aprire la porta. Quella non si mosse, pareva chiusa a chiave.
Uno scricchiolio dalla scala, ci voltammo: le bambole si erano spostate, erano vicine e in piedi, avevano fatto un paio di passi nella nostra direzione.
«Antonio? Le bambole…»
«Si muovono? Sarà uno stupido scherzo» risposi incrociando le braccia sul petto «Esci, ti abbiamo scoperto!» sbraitai, gesticolando.
La porta vibrò, sembrava dovesse esplodere. Preso alla sprovvista sobbalzai, saltai le bambole e salii i primi gradini.
Osservai per qualche secondo la situazione, vidi lo sguardo di Endzo: gli occhi di fuori dalle orbite, poi il suo urlo agghiacciante e la fuga, rapido come un velociraptor. Non attesi altro e salii la scala due gradini alla volta.
In cima alla scala mi trovai un corridoio. Lungo e stretto, tante porte chiuse si affacciavano inquietanti.
Sentii un tonfo dietro di me.
Rabbrividii all’istante e cominciai a camminare.
Dopo pochi passi si fece tutto più buio. Un lampo improvviso.
Vidi un ragazzo spaventato in smoking e sciarpa bianca. Urlai per il mio riflesso nello specchio, non mi ero accorto di essermi girato verso il muro. Un altro flash di luce e alle mie spalle vidi una figura grigia e agonizzante.
La bocca dello stomaco si fece fredda, mi venne la nausea, mi voltai, non riuscivo a gridare o a emettere qualunque suono. Paralizzato mi aspettai di morire, ancora.
Una luce flebile illuminò ancora la stanza, davanti a me una porta socchiusa, ma niente mostri. Dentro si sentiva come un carillon che suonava una melodia inquietante, saltando di quando in quando, qualche nota. Stava rallentando, la carica doveva essere quasi esaurita. Entrai esitante.
Sentii come uno strascichio alle mise spalle. Mi voltai convinto che ci fosse qualcuno.
«Chi è là?» Strillai, i nervi a fior di pelle.
Nessuna risposta. Abbassai gli occhi, la bambola era seduta sullo stipite della porta.
«Stupida bambola, ma cosa vuoi da me?» domandai al giocattolo «Chi è il simpatico che mi porta a presso questo ammasso di porcellana?» domandai scocciato, alla casa.
Uno scricchiolio alle mie spalle mi fece ruotare come un gatto. Poi sentii un suono che mi fece gelare il sangue nelle vene:
«Io sono qui per te! Non temere sarà breve.»
Avevo la bocca aperta, tremavo come se la temperatura fosse sotto zero e fossi nudo. Guardai bambola.
«Basta! Basta! Basta!» Presi la bambola.
Dopo pochi istanti sentii le mani bruciare. Poi venne un dolore insopportabile.
Caddi a terra, la bambola incollata alle mie mani, poi mentre la guardavo, ruotò la testa.
La pittura sul suo volto mutò da uno sguardo annoiato ad un sorriso esaltato. Ero sempre più stanco, il dolore si stava affievolendo, il fuoco era passato al gelo, non sentivo più le mani.
La bambola cominciò a diventare più grande, una fessura si disegnò lungo la linea del sorriso. Denti bianchi splendenti si fecero strada nella luce tenue.
La porcellana si faceva sempre meno dura, i capelli sempre più reali.
Alzai lo sguardo, la figura grigia fu ancora sulla soglia della porta, non riuscii a far altro che a guardarla, tornò la nausea, la bambola ruotò la testa di centottanta gradi e strillò forte.
Le pareti tremarono e la bambola si liberò dalla mia presa.
La presenza grigia se ne andò.
La bambolo adesso camminava verso di me. Ero in preda a convulsioni, non sentivo più le mani.
Osservai per la prima volta la stanza in cui mi trovavo, era una stanza per i giochi per bambini, una culla mi restituiva lo sguardo da un angolo, l’afferrai e con una forza sconosciuta la usai per imprigionare quell’orrore. Mi sedetti sopra la sua prigione a cercare di prendere fiato.
Avevo la vista offuscata, la porta della stanza era chiusa. La bambola sotto di me cercava di uscire.
Un tonfo alla porta la fece aprire, una mannaia era conficcata nel legno. Una scritta scura e luccicante recitava:
“USAMI”
Confuso mi alzai, nell’istante in cui il mio peso abbandonò la gabbia di fortuna la bambola, ormai alta settanta centimetri, si liberò. Afferrai la mannaia e provai a estrarla, non veniva.
«Non lo fare, io ti voglio bene» La bambola parlò muovendo la bocca in maniera errata. Allungò la mano verso di me e cominciò a camminare lentamente.
Afferrai la mannaia con maggiore presa e con una serie di strattoni la tirai fuori dalla porta. Presi un secondo la mira e la calai sul cranio della bambola. Contemporaneamente quella mi afferrò per il busto. Gli fui davanti, in ginocchio. I suoi occhi mi guardavano increduli. Una crepa si aprì dalla sua fronte fino al mento.
Qualche secondo di stallo, nulla accadeva, ci guardavamo negli occhi, poi esplose.
Urlai e mi tenni la testa tra le ginocchia. Vomitai violentemente. Mi rannicchiai in un angolo e smisi di pensare. Sentii le mie convinzioni sgretolarsi.
 
 
 
 
Questa storia partecipa al concorso a turni Escape From The House indetto da Raleeshahn e Gnrlove
 
Questa è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio.
Qualunque somiglianza con luoghi, fatti o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.
 
   
 
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