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Autore: Blu_Polaris    22/02/2015    1 recensioni
Tito è un topolino con il sogno di volare e l' incubo di essere braccato dal Gufo. Tutto cambia quando, dopo una disavventura, incontra Diana, una meravigliosa gazza ladra che non sa volare ...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~~~~Capitolo 7- come un uccellino

 


Tito era veramente felice, a parte che non rivolgeva neanche una parola ad Ella da quando era stato salvato da Diana (Infatti la topolina era all’ oscuro che la gazza volava).
Il topo mangiava una di quelle bacche grosse grosse e di un rosso vivo.
«Wow! Quella bacca è gigantesca!» esclamò Saltabuche stretta stretta alle altre rane. In quei giorni il cielo era sereno ma il freddo non era diminuito, al contrario, sembrava gradire la luce e il bel tempo.
Il topino era seduto sul muretto di pietra che circondava il casolare diroccato e immergeva il musino nella sua bellissima bacca. Purtroppo il roditore non era a conoscenza di cosa aveva imparato Diana da quando volava.
Faceva incredibili giri della morte, schivava veloce i rami e giocava a fare lo slalom tra i tronchi fitti del bosco. Si divertiva a provare tutte le maniere e tutte le posizioni delle ali per perdere quota e riprenderla repentinamente, adorava anche toccare l’acqua con le zampe o la coda e poi, volando in alto, creare nastri cristallini nel cielo.
Diana stava sorvolando il casolare ma si annoiava terribilmente, volare era bello ma lo era ancor di più se con lei c’era Tito! Così decise di andare a recuperarlo.
Portò le ali a metà della loro lunghezza, si piegò in avanti, portò la coda in alto, come un fulmine, scese di quota repentinamente. La coda, che fungeva da timore, si piegò verso destra solo quando Diana localizzò il suo amico.

«Sì, questa bacca è enorme! Ed è tutta MIA!» stava dicendo il topino all’ amica rana.
Tito stava per aprire la bocca e dare il primo morso al suo amato pasto quando, come un tornado piumato, Diana non lo afferrò per la collottola.
La gazza salì velocemente di quota mentre Tito vedeva il suo pranzo cadere giù e Saltabuche che lo ingurgitava con un sol morso.
«DIANA! Il mio pranzo!».
«Su, dai vedrai che ti divertirai!»

Dal volo lungo e tranquillo Diana poté vedere il mondo che la circondava e mostrarlo a Tito. Passarono un piccolo campo pieno di piantine rachitiche e sorvolarono un grosso recinto con dei cavalli.
Diana scese di quota e volò in mezzo al branco al galoppo, Tito ne vide la forza e le fasce muscolari che si muovevano sotto la pelle per quanto si trovassero vicini. Infine virò dolcemente verso le colline, oltrepassò un alto muro sormontato dal filo spinato, con un albero enorme al suo esterno.  Il muro, inoltre, era affiancato da una stradina tutta curve e, ancora più oltre, con sorpresa, videro delle casette dai piccoli tetti spioventi e rossi.
«Oh! Sono molto simili al casolare diroccato!»
«Più o meno, queste sono abitate da umani!» Diana, sapendo che Tito non aveva mai visto gli uomini, atterrò su un tetto piccolo e dalle tegole di un bel bordeaux scuro. Il topino scese, incuriosito dai mille volti e piedi che oltrepassavano le grandi strade acciottolate.
«Sono quelli?» chiese e Diana annuì «Ma sono … proprio brutti!». Ogni tanto apparivano persone a cavallo, con cagnolini piccoli e bizzarri o con carrozze e carri.
«Quello è un carro! Vedi, Tito?» e il piccolo fece di sì, scrutando incuriosito.
Il suo sguardo si spostò sull’ orizzonte dorato dove ciminiere scure sputavano nastri di fumo nero.
«Cosa sono quegli alberi scuri?» chiese Tito ma Diana non gli diede alcuna risposta, anzi, afferrò il topino e prese il volo.
«Diana! CHE SUCCEDE?» il topino rivide in breve il muro e i meravigliosi cavalli (un puledrino gli corse persino incontro), il prato di piccole piante rachitiche e il casolare.
Atterrarono ma non molto delicatamente.
«Diana? Tutto bene?» l’orizzonte da dorato era diventato viola e infine un bel manto blu trapuntato di stelle meravigliosamente brillanti. Quella notte probabilmente non avrebbe piovuto.
«Quelle sono ciminiere. Entrare in quel fumo nero … è uguale alla morte …»
«La tua famiglia?» Diana non gli mostrò la risposta, neanche un secondo e prese il volo, superando nuovamente il casolare diroccato.
Ella uscì dalla piccola fessura della porta e raggiunse l’amico. Rimase a bocca aperta vedendo il volo veloce e agile di Diana.
«Lei vola!».
«Sì, come un uccellino …». Il topino osservò Ella, solo allora si ricordò che era arrabbiato con lei.
«Come al solito te la sei filata, eh? Grazie!» squittì con sarcasmo.
«HO AVUTO PAURA!»
«… E volevi salvarti la pelle!».  Ella divenne più bianca di quanto già non fosse.
Nervosamente la topolina si girò e andò via; poco prima di varcare la soglia urlò:
«ADESSO CHE IL TUO PICCIONE BICROMATO SA VOLARE PUOI ANCHE ANDARTENE!».

Il tempo passò, le settimane trascorrevano veloci ed ormai febbraio era alle porte.
 Erano passati mesi da quando Tito era stato portato via dal gufo e, ormai, aveva perso ogni speranza di rivedere Ezio e l’intera colonia. Diana, non osava farsi vedere e il piccolo topolino si chiese cosa avesse sbagliato. Ella era diventata schiva, rispondeva solo con monosillabi.
Tito rimaneva tutto il giorno, tutti i giorni, sul muretto che circondava il casolare diroccato e aspettava che una certa gazza sorvolasse il luogo.
Il freddo era leggermente diminuito e le piogge, seppur abbondanti, adesso si erano placate.
Saltafosso, Gransalto e Pablo saltarono sul muretto e osservarono il piccolo, povero e infreddolito topino.
«Todo bien?» chiese Pablo.
«Sì, più o meno …» Pablo stava per rispondere ma Gransalto lo precedette.
«Più o meno non è mai un’ottima risposta. Adesso dimmi, cosa c’è che non va?» chiese. 
«Ella e Diana mi odiano, una è arrabbiata perché dico la verità e l’altra è arrabbiata perché… oh! Non lo so neanche perché!». Saltafosso sorrise a Gransalto mentre Pablo ascoltava con molto interesse.
«Oh, non tutto va sempre come si vuole. Devi solo aspettare e provare …e tutto si aggiusterà. Sei giovane, è normale!».
Tito annuì anche se non capiva completamente le parole della rana poi, guardandosi intorno, vide che Saltabuche non era nel gruppo.
«Che fine ha fatto Saltabuche?» chiese, le rane si guardarono negl’ occhi e poi, rammaricate, guardarono il terreno.
«Che succede?».
«L’ha presa il gufo … è riuscita a liberarsi ma … ecco, diciamo che …» Tito si allarmò molto, osservò la rana che gli parlava.
«Il Gufo non caccia mai da queste parti…Dov’è adesso Saltabuche?». Pablo indicò il casolare e Tito, dopo giorni e giorni che non si muoveva dalla sua piccola postazione d’ osservazione, corse all’ interno.
Ella era raggomitolata in un piccolo cantuccio, con poca sterpaglia intorno, gli dava le spalle, la valigia-nido era vuota e solo qualche piuma o penna faceva intuire che Diana era stata lì.
«Di qua …» disse Saltafosso precedendo il topino.
Tito vide il vecchio cappello rovesciato, sul suo fondo, nascosta tra paglia e foglie secche, c’era Saltabuche. Non era più di quel bel verde smeraldo ma di un colore quasi smorto; i suoi occhi si alzarono leggermente e gracidò un “ciao” lieve lieve.
Sporgendosi ancora un po’ Tito vide che la zampa anteriore sinistra non c’era più, al suo posto giaceva un moncherino e ciò che restava di quel po’ di carne.
L’altra zampa, quella anteriore destra aveva un dito in meno e, sulla pancia (e sulla schiena) aveva il segno di un morso ancora non del tutto cicatrizzato.
«Tutto bene?» chiese il topino timidamente.
«Avresti dovuto farmi un’altra domanda mio piccolo amico roditore …».
«Non so che dire … io … io stavo facendo gli affari miei invece di pensare ai miei amici … mi dispiace Saltabuche …» il topino si sentì triste come poche volte era stato nella sua vita.
«Non preoccuparti!» esclamò la rana «non è stata colpa tua … senti piccolo; saresti così gentile da dire ad Ella di portarmi di nuovo quei moscerini?» chiese gentilmente, Tito osservò che, all’ interno del cappello c’erano grossi pezzi di stoffa e cotone; tutti appartenenti a Ella.
«Sì, vado».
Così la topina tutta bianca si alzò, spostò una piccola pietra e, con una zampetta, afferrò qualche moscerino morente e stecchito dal freddo. Al suo ritorno nel cantuccio la topina si scavò una conca e si raggomitolò. Tito arrossì un poco ma poi, dolcemente, si accoccolò accanto a lei.
«Mi dispiace …» sussurrò
«No, scusami tu …».
Fuori dalla finestra, di nuovo, imperversava il maltempo.

I temporali di quel periodo furono tremendi, la pioggia sembrava essere fatta di aghi di ghiaccio, il vento era così forte da far sradicare le piante più esili e il freddo aveva iniziato a insinuarsi nelle ossa.
Tutto ciò non preoccupò Tito che, ogni mattina, saliva con un balzo sul muretto e attendeva il ritorno di Diana. Il topolino si stringeva in un po’ di lanetta se il freddo era insopportabile.
 I giorni passavano e della gazza non vi era l’ombra. Sotto una pioggia ghiacciata, quasi grandine, Ella si avvicinò con un quadrifoglio come ombrello.
«Tito, vieni dentro … tra poco nevicherà!» esclamò la topina bianca, leggiadramente la neve iniziò a scendere sul terreno. «Sai Tito, tu hai una mamma e un fratello. Io e Diana non credo siamo così fortunate. Darle tempo, vedrai che tornerà…» disse e si avviò verso il casolare diroccato.
«ASPETTA ELLA!» squittì Tito «Ti andrebbe di aspettare con me?» e il piccolo roditore bianco si avvicinò, si strinse a Tito e si riparò sotto la sua foglia.
«Hai sempre quel ciuffo in disordine!» ed Ella glielo sistemò.
«Mi racconterai mai cosa ti è successo?» chiese Tito ma lei, con un sorrisino, abbassò gli occhi.
Mentre la pioggia batteva a terra e sulla foglia con forza e senza ritmo, le loro piccole code si strinsero a vicenda con dolcezza.
Il cuore di Tito prese il volo proprio come un uccellino.   

 

 

 

 

 

 


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Per eventuali errori che avete visto nel testo e piccoli consigli sono tutta orecchi.
Vi prego di aspettare un po’, il prossimo capitolo uscirà a breve!
CURIOSITA’: il gioco di parole nei nomi delle rane è liberamente ispirato a Dragon trainer e ai nomi dei personaggi. Pablo invece l’ho inventato vedendo Toy story 3 proprio perché Buzz inizia a parlare spagnolo.
Sì, sono una disadattata!

   
 
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