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Autore: Sassanders    23/02/2015    2 recensioni
Dal capitolo I:
Mentre sto per tirare la maniglia, la porta si apre e un uomo di cui non riesco a vedere il viso mi urta, facendomi strillare e versare il liquido sulla camicia bianca, ritirata ieri dalla tintoria.
Urlo come impazzita, imprecando e alzando lo sguardo. Davanti a me ho un ragazzo di venticinque anni circa, con i capelli corvini sparati in aria, due occhi castani, delle labbra sottili e un piercing alla narice sinistra.
-Sei un fottuto idiota!- esclamo, infuriata.
-Sei stata tu a finirmi addosso! Guarda dove cammini!- mi risponde, alzando un sopracciglio. Devo trattenermi dal prenderlo a pugni.
-Sei tu che non guardi dove vai!-
-Senti, dolcezza, scusa per la camicia, ma non ho tempo da perdere.- replica, sorridendo beffardo.
A quelle parole perdo letteralmente le staffe. Mi ha urtato, mi ha fatto macchiare la camicia pulita da poco, e fa anche lo strafottente?
-Sai che ti dico, tesoro?- dico, sottolineando il nomignolo. -Vaffanculo!- esclamo, con un sorrisetto e mollandogli un pugno abbastanza forte sul naso.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  EVERY BREAKING WAVE.

                               Capitolo 12

Vengo svegliata da un rumore che probabilmente proviene da fuori la finestra, forse perché il sonno non era così profondo. Ho un mal di testa allucinante e prima ancora di aprire gli occhi, percepisco solo due braccia enormi e tatuate che mi cingono e un petto a cui sono appoggiata. Sorrido spontaneamente e mi muovo leggermente, cercando di non fare rumore, in modo da non svegliare Brian. Mi volto verso di lui e alzo lo sguardo, soffermandomi ad osservare il suo viso e i suoi lineamenti. Sfioro la mascella un po’ squadrata e marcata, gli zigomi fortemente pronunciati, le labbra sottili ed il naso all’insù con tanto di piercing. Accarezzo piano la sua guancia, un po’ ruvida a causa della poca barba incolta e lo sento sorridere. Mi avvicino e gli lascio un bacio sulle labbra che stranamente non approfondisce. Mi stacco, incrociando finalmente i suoi magnifici occhi color cioccolato e gli sorrido mentre lui alza solo un angolo della bocca, evidentemente a causa del sonno.
-Buongiorno, Haner.- mormoro.
-Turner.- biascica in risposta, stropicciandosi gli occhi e stiracchiandosi successivamente.
Mi lascio sfuggire una risata quando, il chitarrista si stende a pancia in giù e affonda la testa nel cuscino, mugolando. Passo ad accarezzargli i capelli corvini in un gesto che sembra rilassarlo ancora di più e chiude gli occhi. Dopo poco, una fitta alla testa mi fa sprofondare nel cuscino morbido e mi poggio un braccio sugli occhi, per evitare la luce che filtra dalle persiane.
-Porca puttana che mal di testa.- dico solamente, tirando la coperta fin sopra la testa. Lo sento rimanere in silenzio, e lo imito per i successivi dieci minuti.
Decido di alzarmi, non prendendo nemmeno più le stampelle, visto che i dolori all’addome sono diminuiti notevolmente. Scendo a piedi nudi giù per le scale e arrivo in cucina, dove rimango allibita. Sul tavolino adiacente al divano ci sono sei bottiglie di birra, e mozziconi di sigarette sparsi ovunque. Sbuffo infastidita, visto che stamattina mi toccherà fare la casalinga e mettere in ordine questa casa, che al momento, somiglia più ad un porcile.
Sento dei passi dietro di me e noto Brian che rimane un attimo fermo ad osservare la mia espressione scocciata.
-Abbiamo bevuto un tantino troppo ieri sera, non credi?- chiedo, con una punta di ironia.
-Hai bevuto un tantino troppo ieri sera.- dice, marcando il verbo. -Ed ora non ricordi nulla di nulla, dico bene?- mi domanda a sua volta, con tono acido.
Aggrotto le sopracciglia e rimango perplessa. Sta facendo riferimento in particolare a qualcosa che ho combinato e che ora non ricordo? La paura di poter aver detto qualche cazzata, si impossessa di me.
Faccio spallucce, e fingo di rimanere calma, mentre preparo un caffè.
-Vuoi il caffè?-
Lui annuisce semplicemente, sedendosi su una sedia a caso e passandosi una mano sul viso e tra i capelli. Non ho idea di cosa gli sia preso e, sinceramente, sto cominciando a preoccuparmi. Avrò combinato una qualche cazzata delle mie? Mentre questi pensieri mi mandano in confusione, sento il rumore della macchinetta, che mi segnala che il caffè è finalmente pronto. Afferro due tazze, verso il liquido bollente al loro interno, e le poggio sul tavolo, poi, prendo una scatola di merendine e la metto al centro del tavolo.
Comincio a sorseggiare il caffè e fisso un punto indefinito della stanza, sforzandomi di ricordare cosa è successo ieri sera, senza risultati. Con la coda dell’occhio vedo che anche lui è immerso nei suoi pensieri e contrae la mascella: sembra nervoso. Ho paura di chiedergli cosa ho combinato, perché potrei aver fatto qualcosa di sbagliato. Magari non è così grave e gli passerà. Mi faccio forza e dopo aver finito la colazione poggio le tazze nel lavabo. Probabilmente ha bisogno di stare un po’ da solo e schiarirsi le idee, così decido di andare per prima in bagno. Osservo il riflesso nello specchio: tutto sommato i lividi sono spariti, ce n’è solo uno sullo zigomo che è ancora gonfio e qualcuno qua e là per il collo. Dannazione, solo guardare quegli ematomi mi riconduce al dolore di quella sera e agli occhi azzurri di Logan che mi scrutano con rabbia. Una lacrima scivola dall’occhio destro, ma prontamente la asciugo con le dita. Apro la fontana della vasca e comincio a riempirla con del bagnoschiuma e vari oli, con acqua calda. Quando è piena, mi svesto ed entro nella vasca, immergendo la testa in acqua, tra le bolle.   Mi aiuta a rilassarmi e a pensare, e forse mi aiuterà anche questa volta, per cercare di ricordare ciò che è avvenuto ieri. Ricordo fin quando abbiamo preso delle birre, io ho scolato tutta la prima e metà della seconda, abbiamo parlato del più e del meno e poi niente. Buio totale, non ricordo più nulla. Sospiro, sforzandomi ancora di più, mentre il mal di testa torna a martellare le mie tempie. Ci provo ancora una, due, tre volte ma niente. Niente di niente. Solo fino allo stesso punto di prima. Esausta e affranta, esco dalla vasca, avvolgendo il mio corpo nell’accappatoio e i capelli nell’asciugamano, formando una specie di turbante. Esco dal bagno e torno nel corridoio che porta al salotto, asciugando i capelli con l’asciugamano azzurro. Li smuovo un po’ ed entro in cucina, notando Brian ancora fermo al suo posto, mentre si guarda intorno. Mi avvicino silenziosamente e lo avvolgo le mie braccia intorno al suo collo, da dietro. Mi sporgo e gli poso un bacio sulla guancia, guardandolo mentre, con espressione pensierosa, mi accarezza le braccia. Rimaniamo qualche minuto in quella posizione, poi gli scocco un altro bacio sulla guancia e mi allontano per andare a vestirmi e ad asciugarmi i capelli umidi.
Quando sono pronta, scendo in cucina, canticchiando una canzone a caso, a labbra serrate. Ho scelto di indossare solo una maglia nera che scopre una spalla con un disegno viola, dei leggins e delle scarpe da tennis. Compongo il numero di Julie con il mio iphone, mentre vedo il chitarrista giocherellare con le sue dita, con lo sguardo perso su di esse e pensieroso.
-Julie, finalmente!- esclamo, quando sento la sua voce dall’altra parte del telefono.
-Tesoro, ciao! Come va?-
-Bene, i lividi vanno molto meglio. Tu piuttosto?-
-Io sto alla grande.-
-E, di preciso, a cosa è dovuta tutta questa gioia?-
-Magari dopo passo da casa tua e ci facciamo una bella chiacchierata, che ne dici?-
-Perfetto.-
-Bene, ciao tesoro.-
-Ciao!-
Chiudo la chiamata e vedo Brian che mi osserva. Mi siedo accanto a lui e gli carezzo una mano e le sue dita affusolate.
-Tutto bene?- gli chiedo.
Sospira profondamente e ora, inizio seriamente a preoccuparmi.
-Sì, ma… Volevo chiederti una cosa.- dice, scrutandomi.
-Dimmi pure.-
Prende un altro respiro profondo.
-Che fine ha fatto quel…Logan o come si chiama lui?-
A quelle parole mi irrigidisco e sbarro gli occhi. Tremo dalla paura e abbasso lo sguardo, torturandomi le dita.
-S-sì, non si è fatto più sentire da quel giorno in sede…- mento, fissandolo negli occhi per cercare una possibilità in più per essere creduta.
Scoppia in una risata fragorosa, oltre che amara e sarcastica. Aggrotto le sopracciglia e mi si mozza il fiato, mentre cerco di non piangere.
-Non si è fatto più sentire eh? E allora com’è che ieri sera mi hai casualmente confessato che è stato lui a ridurti in questo stato?- domanda e mi irrigidisco. Porto le gambe al petto e comincio a tremare come una foglia.
-Ero sicuramente ubriaca e-e poi n-non mi ricordo ciò che è successo quella sera, te l’avevo già detto.- sbotto, mentre delle lacrime solcano il mio viso, ma le scaccio prontamente con il dorso della mano.
-Perché cazzo ti ostini a mentirmi, Sophie?- urla e trasalgo, in preda al panico. Le lacrime scendono di nuovo copiose, mentre lui afferra il mio viso tra le sue mani, ma io mi allontano di scatto, appiattendomi contro il divano.
-Cosa avrei dovuto fare? Dirti che quella sera mi aveva picchiato solo perché pensava che io e te stessimo insieme mentre lui se la faceva già con quella lì? Devo dirti che l’ho fatto solo per noi? Quelle volte che è successo, vederti ridotto in uno stato pietoso a causa mia, mi ha provocato un dolore che nemmeno immagini. Non voglio che combini qualche cazzata per colpa mia, lo capisci? Riesci a comprendere le mie ragioni?- Urlo in risposta, mentre lui mi guarda allibito.
-Avremmo potuto discuterne come delle persone adulte e cercare di risolvere la situazione insieme!-
-Cercare di risolvere la situazione insieme?- dico, ridendo istericamente. -Dopo quello che avevo passato, dopo ogni notte passata a fare incubi su di lui che tornava e mi faceva del male, sarei dovuta venire lì e parlartene? Scusami ancora se stavo cercando di dimenticare, visto che ogni volta che chiudo gli occhi, la scena di lui che mi riempie di botte mi si presenta davanti.-
Si zittisce per i successivi dieci minuti, mentre io mi rannicchio sul divano, singhiozzando debolmente.
-Mi dispiace, ma me ne avresti potuto parlare.- dice semplicemente, alzandosi e prendendo la giacca dall’appendiabiti.
-Dove vai?- gli chiedo, con la voce tremante.
-Non lo so. Devo riflettere.-
-Riflettere? Ma ti senti quando parli? Le situazioni si risolvono insieme, non è così? Ti confesso un’ultima cosa, prima che tu te ne vada.- inizio, tirando su con il naso.      -Non te l’ho detto perché ci tengo a te, e perché mi ha fatto stare più male di tutto ciò che avevo subito in precedenza, vederti lì a soffrire per colpa mia.- continuo, e lo vedo titubante. Afferra la maniglia, e mi lancia un ultimo sguardo pieno di tristezza, il tutto accompagnato da una lacrima che gli riga la guancia destra.
-Tornerai?- gli chiedo soltanto. Non risponde, abbassa solamente lo sguardo per qualche attimo. Poi, lo rialza e apre la porta, uscendo e chiudendola alle sue spalle. Appena sento il rumore della porta, scoppio in un pianto isterico, ma anche liberatorio. Non ho idea di quanto tempo passo con la testa sul cuscino a singhiozzare convulsamente, ma mi addormento. Ciò che mi sveglia è il trillo del campanello, che mi fa alzare di scatto dal divano e trovando sull’uscio di casa una Julie tutta pimpante e sorridente. Appena mi vede, il sorriso le scompare dal viso e comincia a preoccuparsi.
-Sophie, che diamine hai fatto?-
Io la abbraccio semplicemente, piangendo sulla sua spalla, mentre con la mano mi accarezza i capelli e cerca di tranquillizzarmi. Dopo poco, mi ricompongo, per quanto sia possibile, e la lascio entrare nell’appartamento. Si siede accanto a me sul divano e mi sfiora una guancia.
-Allora, mi spieghi cos’è successo?-
-Succede che sono un’emerita deficiente. Succede che io ho mentito a tutti, e che ricordo perfettamente quella sera, ricordo che Logan mi ha picchiata e mi ha ridotto in queste condizioni. Mi ero ripromesso di non dirgli niente, e così è stato, fin quando ieri mi sono ubriacata e gli ho rivelato tutto. Non ero sobria e stamattina era strano. Abbiamo litigato e se n’è andato: il problema è che non sa se tornerà o meno.- riassumo, fermandomi ogni tanto per asciugarmi il volto. Julie cambia improvvisamente stato d’animo, abbracciandomi forte.
-Oh, cazzo, mi dispiace, Soph. Davvero, non lo dico tanto per, mi dispiace un casino.-
-Lo so.-
-Tutto andrà per il meglio, sta’ tranquilla. Tra qualche giorno sarà di nuovo qui a romperci le scatole e a fare le sue solite battutine del cazzo. Non c’è da preoccuparsi.- mi risponde.
Annuisco e sospiro, sperando che sia così.
-Scusami.- mormoro. Mi guarda stranita, non comprendendo il motivo delle mie scuse.
-Scusa se ti riempio sempre con i miei problemi e le mie stronzate.- aggiungo.
-Non devi scusarti, sono qui apposta, rossa.-
Le faccio un mezzo sorriso, ricordandomi poi che lei doveva dirmi qualcosa.
-Hey,ma tu non dovevi dirmi qualcosa?- le domando.
Sembra leggermente imbarazzata e a disagio.
-Cristo, allora.- si blocca un attimo, passandosi le mani tra la chioma nera.
-Io e Jimmy siamo stati a letto insieme e ora ci frequentiamo.- continua, sorridendo. Rimango stupita.
-Jimmy…Jimmy?- chiedo.
-Jimmy Sullivan.-
-Quel Jimmy Sullivan?- chiedo, spalancando gli occhi.
-Andiamo, conosci qualche altro Jimmy Sullivan? Cazzo sì, il batterista dei Sevenfold! Devo anche farti un disegno?-
-Oh mio dio, non ci posso credere!- esclamo, sorridendo con un angolo delle labbra e ignorando l’ironia della sua ultima frase.
-Lo so ed è meraviglioso. Comunque, rimango qui io per questi giorni.-
-Sul serio?-
-Certo, rossa. Rimarrò qui fin quando non mi caccerai a calci nel culo.- dice, facendomi sorridere per la terza volta.
-Grazie, Julie. Ti voglio bene.- dico, abbracciandola.
-Anch’io, rossa. Anch’io.- pronuncia e rimaniamo strette in quell’abbraccio che sa di amicizia vera e stima l’una nei confronti dell’altro. Credo che lei sia una delle ancore a cui poggiarmi in casi di difficoltà come questi.
 




 
NOTE DELL’AUTRICE:
Innanzitutto salve carissimi lettori e lettrici.
Chiedo venia per il ritardo con cui aggiorno, ma ultimamente sto avendo tanti problemi e impegni.
Ma comunque, passiamo al dunque e quindi al capitolo.
Credetemi, mi doleva il cuore mentre scrivevo questa parte. *si asciuga una lacrimuccia e tira su con il naso*
So che magari sono stata un po’ banale e sembra la solita storiella scema, ma ho voluto affrontare anche il tema della violenza sulle donne, un argomento a cui tengo particolarmente.
Nei prossimi capitoli ci saranno dei piccoli cambiamenti, non posso spoilerare altro, scusatemi. Eheheh.
Bene, ora scappo e torno nel mio angolino.
Vi amo tanto tanto. *sparge cuoricini*
Mi fa piacere e mi motiva leggere recensioni. Non è che potreste lasciarmi un commento piccolo piccolo in cui mi fate sapere cosa ne pensate di questa schifezza storia? *fa gli occhioni*
Mi dileguo davvero.
A presto.
Sassanders.
o
   
 
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