Capitolo 12
Vengo svegliata da un rumore che probabilmente proviene da fuori la finestra, forse perché il sonno non era così profondo. Ho un mal di testa allucinante e prima ancora di aprire gli occhi, percepisco solo due braccia enormi e tatuate che mi cingono e un petto a cui sono appoggiata. Sorrido spontaneamente e mi muovo leggermente, cercando di non fare rumore, in modo da non svegliare Brian. Mi volto verso di lui e alzo lo sguardo, soffermandomi ad osservare il suo viso e i suoi lineamenti. Sfioro la mascella un po’ squadrata e marcata, gli zigomi fortemente pronunciati, le labbra sottili ed il naso all’insù con tanto di piercing. Accarezzo piano la sua guancia, un po’ ruvida a causa della poca barba incolta e lo sento sorridere. Mi avvicino e gli lascio un bacio sulle labbra che stranamente non approfondisce. Mi stacco, incrociando finalmente i suoi magnifici occhi color cioccolato e gli sorrido mentre lui alza solo un angolo della bocca, evidentemente a causa del sonno.
-Buongiorno, Haner.- mormoro.
-Turner.- biascica in risposta, stropicciandosi gli occhi e stiracchiandosi successivamente.
Mi lascio sfuggire una risata quando, il chitarrista si stende a pancia in giù e affonda la testa nel cuscino, mugolando. Passo ad accarezzargli i capelli corvini in un gesto che sembra rilassarlo ancora di più e chiude gli occhi. Dopo poco, una fitta alla testa mi fa sprofondare nel cuscino morbido e mi poggio un braccio sugli occhi, per evitare la luce che filtra dalle persiane.
-Porca puttana che mal di testa.- dico solamente, tirando la coperta fin sopra la testa. Lo sento rimanere in silenzio, e lo imito per i successivi dieci minuti.
Decido di alzarmi, non prendendo nemmeno più le stampelle, visto che i dolori all’addome sono diminuiti notevolmente. Scendo a piedi nudi giù per le scale e arrivo in cucina, dove rimango allibita. Sul tavolino adiacente al divano ci sono sei bottiglie di birra, e mozziconi di sigarette sparsi ovunque. Sbuffo infastidita, visto che stamattina mi toccherà fare la casalinga e mettere in ordine questa casa, che al momento, somiglia più ad un porcile.
Sento dei passi dietro di me e noto Brian che rimane un attimo fermo ad osservare la mia espressione scocciata.
-Abbiamo bevuto un tantino troppo ieri sera, non credi?- chiedo, con una punta di ironia.
-Hai bevuto un tantino troppo ieri sera.- dice, marcando il verbo. -Ed ora non ricordi nulla di nulla, dico bene?- mi domanda a sua volta, con tono acido.
Aggrotto le sopracciglia e rimango perplessa. Sta facendo riferimento in particolare a qualcosa che ho combinato e che ora non ricordo? La paura di poter aver detto qualche cazzata, si impossessa di me.
Faccio spallucce, e fingo di rimanere calma, mentre preparo un caffè.
-Vuoi il caffè?-
Lui annuisce semplicemente, sedendosi su una sedia a caso e passandosi una mano sul viso e tra i capelli. Non ho idea di cosa gli sia preso e, sinceramente, sto cominciando a preoccuparmi. Avrò combinato una qualche cazzata delle mie? Mentre questi pensieri mi mandano in confusione, sento il rumore della macchinetta, che mi segnala che il caffè è finalmente pronto. Afferro due tazze, verso il liquido bollente al loro interno, e le poggio sul tavolo, poi, prendo una scatola di merendine e la metto al centro del tavolo.
Comincio a sorseggiare il caffè e fisso un punto indefinito della stanza, sforzandomi di ricordare cosa è successo ieri sera, senza risultati. Con la coda dell’occhio vedo che anche lui è immerso nei suoi pensieri e contrae la mascella: sembra nervoso. Ho paura di chiedergli cosa ho combinato, perché potrei aver fatto qualcosa di sbagliato. Magari non è così grave e gli passerà. Mi faccio forza e dopo aver finito la colazione poggio le tazze nel lavabo. Probabilmente ha bisogno di stare un po’ da solo e schiarirsi le idee, così decido di andare per prima in bagno. Osservo il riflesso nello specchio: tutto sommato i lividi sono spariti, ce n’è solo uno sullo zigomo che è ancora gonfio e qualcuno qua e là per il collo. Dannazione, solo guardare quegli ematomi mi riconduce al dolore di quella sera e agli occhi azzurri di Logan che mi scrutano con rabbia. Una lacrima scivola dall’occhio destro, ma prontamente la asciugo con le dita. Apro la fontana della vasca e comincio a riempirla con del bagnoschiuma e vari oli, con acqua calda. Quando è piena, mi svesto ed entro nella vasca, immergendo la testa in acqua, tra le bolle. Mi aiuta a rilassarmi e a pensare, e forse mi aiuterà anche questa volta, per cercare di ricordare ciò che è avvenuto ieri. Ricordo fin quando abbiamo preso delle birre, io ho scolato tutta la prima e metà della seconda, abbiamo parlato del più e del meno e poi niente. Buio totale, non ricordo più nulla. Sospiro, sforzandomi ancora di più, mentre il mal di testa torna a martellare le mie tempie. Ci provo ancora una, due, tre volte ma niente. Niente di niente. Solo fino allo stesso punto di prima. Esausta e affranta, esco dalla vasca, avvolgendo il mio corpo nell’accappatoio e i capelli nell’asciugamano, formando una specie di turbante. Esco dal bagno e torno nel corridoio che porta al salotto, asciugando i capelli con l’asciugamano azzurro. Li smuovo un po’ ed entro in cucina, notando Brian ancora fermo al suo posto, mentre si guarda intorno. Mi avvicino silenziosamente e lo avvolgo le mie braccia intorno al suo collo, da dietro. Mi sporgo e gli poso un bacio sulla guancia, guardandolo mentre, con espressione pensierosa, mi accarezza le braccia. Rimaniamo qualche minuto in quella posizione, poi gli scocco un altro bacio sulla guancia e mi allontano per andare a vestirmi e ad asciugarmi i capelli umidi.
Quando sono pronta, scendo in cucina, canticchiando una canzone a caso, a labbra serrate. Ho scelto di indossare solo una maglia nera che scopre una spalla con un disegno viola, dei leggins e delle scarpe da tennis. Compongo il numero di Julie con il mio iphone, mentre vedo il chitarrista giocherellare con le sue dita, con lo sguardo perso su di esse e pensieroso.
-Julie, finalmente!- esclamo, quando sento la sua voce dall’altra parte del telefono.
-Tesoro, ciao! Come va?-
-Bene, i lividi vanno molto meglio. Tu piuttosto?-
-Io sto alla grande.-
-E, di preciso, a cosa è dovuta tutta questa gioia?-
-Magari dopo passo da casa tua e ci facciamo una bella chiacchierata, che ne dici?-
-Perfetto.-
-Bene, ciao tesoro.-
-Ciao!-
Chiudo la chiamata e vedo Brian che mi osserva. Mi siedo accanto a lui e gli carezzo una mano e le sue dita affusolate.
-Tutto bene?- gli chiedo.
Sospira profondamente e ora, inizio seriamente a preoccuparmi.
-Sì, ma… Volevo chiederti una cosa.- dice, scrutandomi.
-Dimmi pure.-
Prende un altro respiro profondo.
-Che fine ha fatto quel…Logan o come si chiama lui?-
A quelle parole mi irrigidisco e sbarro gli occhi. Tremo dalla paura e abbasso lo sguardo, torturandomi le dita.
-S-sì, non si è fatto più sentire da quel giorno in sede…- mento, fissandolo negli occhi per cercare una possibilità in più per essere creduta.
Scoppia in una risata fragorosa, oltre che amara e sarcastica. Aggrotto le sopracciglia e mi si mozza il fiato, mentre cerco di non piangere.
-Non si è fatto più sentire eh? E allora com’è che ieri sera mi hai casualmente confessato che è stato lui a ridurti in questo stato?- domanda e mi irrigidisco. Porto le gambe al petto e comincio a tremare come una foglia.
-Ero sicuramente ubriaca e-e poi n-non mi ricordo ciò che è successo quella sera, te l’avevo già detto.- sbotto, mentre delle lacrime solcano il mio viso, ma le scaccio prontamente con il dorso della mano.
-Perché cazzo ti ostini a mentirmi, Sophie?- urla e trasalgo, in preda al panico. Le lacrime scendono di nuovo copiose, mentre lui afferra il mio viso tra le sue mani, ma io mi allontano di scatto, appiattendomi contro il divano.
-Cosa avrei dovuto fare? Dirti che quella sera mi aveva picchiato solo perché pensava che io e te stessimo insieme mentre lui se la faceva già con quella lì? Devo dirti che l’ho fatto solo per noi? Quelle volte che è successo, vederti ridotto in uno stato pietoso a causa mia, mi ha provocato un dolore che nemmeno immagini. Non voglio che combini qualche cazzata per colpa mia, lo capisci? Riesci a comprendere le mie ragioni?- Urlo in risposta, mentre lui mi guarda allibito.
-Avremmo potuto discuterne come delle persone adulte e cercare di risolvere la situazione insieme!-
-Cercare di risolvere la situazione insieme?- dico, ridendo istericamente. -Dopo quello che avevo passato, dopo ogni notte passata a fare incubi su di lui che tornava e mi faceva del male, sarei dovuta venire lì e parlartene? Scusami ancora se stavo cercando di dimenticare, visto che ogni volta che chiudo gli occhi, la scena di lui che mi riempie di botte mi si presenta davanti.-
Si zittisce per i successivi dieci minuti, mentre io mi rannicchio sul divano, singhiozzando debolmente.
-Mi dispiace, ma me ne avresti potuto parlare.- dice semplicemente, alzandosi e prendendo la giacca dall’appendiabiti.
-Dove vai?- gli chiedo, con la voce tremante.
-Non lo so. Devo riflettere.-
-Riflettere? Ma ti senti quando parli? Le situazioni si risolvono insieme, non è così? Ti confesso un’ultima cosa, prima che tu te ne vada.- inizio, tirando su con il naso. -Non te l’ho detto perché ci tengo a te, e perché mi ha fatto stare più male di tutto ciò che avevo subito in precedenza, vederti lì a soffrire per colpa mia.- continuo, e lo vedo titubante. Afferra la maniglia, e mi lancia un ultimo sguardo pieno di tristezza, il tutto accompagnato da una lacrima che gli riga la guancia destra.
-Tornerai?- gli chiedo soltanto. Non risponde, abbassa solamente lo sguardo per qualche attimo. Poi, lo rialza e apre la porta, uscendo e chiudendola alle sue spalle. Appena sento il rumore della porta, scoppio in un pianto isterico, ma anche liberatorio. Non ho idea di quanto tempo passo con la testa sul cuscino a singhiozzare convulsamente, ma mi addormento. Ciò che mi sveglia è il trillo del campanello, che mi fa alzare di scatto dal divano e trovando sull’uscio di casa una Julie tutta pimpante e sorridente. Appena mi vede, il sorriso le scompare dal viso e comincia a preoccuparsi.
-Sophie, che diamine hai fatto?-
Io la abbraccio semplicemente, piangendo sulla sua spalla, mentre con la mano mi accarezza i capelli e cerca di tranquillizzarmi. Dopo poco, mi ricompongo, per quanto sia possibile, e la lascio entrare nell’appartamento. Si siede accanto a me sul divano e mi sfiora una guancia.
-Allora, mi spieghi cos’è successo?-
-Succede che sono un’emerita deficiente. Succede che io ho mentito a tutti, e che ricordo perfettamente quella sera, ricordo che Logan mi ha picchiata e mi ha ridotto in queste condizioni. Mi ero ripromesso di non dirgli niente, e così è stato, fin quando ieri mi sono ubriacata e gli ho rivelato tutto. Non ero sobria e stamattina era strano. Abbiamo litigato e se n’è andato: il problema è che non sa se tornerà o meno.- riassumo, fermandomi ogni tanto per asciugarmi il volto. Julie cambia improvvisamente stato d’animo, abbracciandomi forte.
-Oh, cazzo, mi dispiace, Soph. Davvero, non lo dico tanto per, mi dispiace un casino.-
-Lo so.-
-Tutto andrà per il meglio, sta’ tranquilla. Tra qualche giorno sarà di nuovo qui a romperci le scatole e a fare le sue solite battutine del cazzo. Non c’è da preoccuparsi.- mi risponde.
Annuisco e sospiro, sperando che sia così.
-Scusami.- mormoro. Mi guarda stranita, non comprendendo il motivo delle mie scuse.
-Scusa se ti riempio sempre con i miei problemi e le mie stronzate.- aggiungo.
-Non devi scusarti, sono qui apposta, rossa.-
Le faccio un mezzo sorriso, ricordandomi poi che lei doveva dirmi qualcosa.
-Hey,ma tu non dovevi dirmi qualcosa?- le domando.
Sembra leggermente imbarazzata e a disagio.
-Cristo, allora.- si blocca un attimo, passandosi le mani tra la chioma nera.
-Io e Jimmy siamo stati a letto insieme e ora ci frequentiamo.- continua, sorridendo. Rimango stupita.
-Jimmy…Jimmy?- chiedo.
-Jimmy Sullivan.-
-Quel Jimmy Sullivan?- chiedo, spalancando gli occhi.
-Andiamo, conosci qualche altro Jimmy Sullivan? Cazzo sì, il batterista dei Sevenfold! Devo anche farti un disegno?-
-Oh mio dio, non ci posso credere!- esclamo, sorridendo con un angolo delle labbra e ignorando l’ironia della sua ultima frase.
-Lo so ed è meraviglioso. Comunque, rimango qui io per questi giorni.-
-Sul serio?-
-Certo, rossa. Rimarrò qui fin quando non mi caccerai a calci nel culo.- dice, facendomi sorridere per la terza volta.
-Grazie, Julie. Ti voglio bene.- dico, abbracciandola.
-Anch’io, rossa. Anch’io.- pronuncia e rimaniamo strette in quell’abbraccio che sa di amicizia vera e stima l’una nei confronti dell’altro. Credo che lei sia una delle ancore a cui poggiarmi in casi di difficoltà come questi.
NOTE DELL’AUTRICE:
Innanzitutto salve carissimi lettori e lettrici.
Chiedo venia per il ritardo con cui aggiorno, ma ultimamente sto avendo tanti problemi e impegni.
Ma comunque, passiamo al dunque e quindi al capitolo.
Credetemi, mi doleva il cuore mentre scrivevo questa parte. *si asciuga una lacrimuccia e tira su con il naso*
So che magari sono stata un po’ banale e sembra la solita storiella scema, ma ho voluto affrontare anche il tema della violenza sulle donne, un argomento a cui tengo particolarmente.
Nei prossimi capitoli ci saranno dei piccoli cambiamenti, non posso spoilerare altro, scusatemi. Eheheh.
Bene, ora scappo e torno nel mio angolino.
Vi amo tanto tanto. *sparge cuoricini*
Mi fa piacere e mi motiva leggere recensioni. Non è che potreste lasciarmi un commento piccolo piccolo in cui mi fate sapere cosa ne pensate di questa
Mi dileguo davvero.
A presto.
Sassanders.o