Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: GabrielTrish    25/02/2015    3 recensioni
((AU EruRi - Heer!Erwin/Jude!Levi))
E' il 1939, le notti di Berlino vengono illuminate dalle fiamme dei roghi, degli incendi e dalla luna che si mostra impietosa verso questa capitale instancabile e potente.
Ma la domenica ci si riposa. Si va in chiesa. Si prega per i soldati caduti, si prega per la sopravvivenza dei propri cari, si incrociano gli sguardi con gli altri fedeli in segno di solidarietà e compassione.
Così Erwin Smith si reca il dieci dicembre 1939 in chiesa, con la sua vita perfetta, la sua moglie perfetta e la sua divisa perfetta.
E così si reca Levi Ackerman il dieci dicembre 1939 in chiesa, con la sua vita stravolta, la sua famiglia distrutta, la sua fede nascosta.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Irvin, Smith
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Duunque ^^ ecco il secondo capitolo :D
Non volevo aspettare tanto tempo tra il primo e il secondo, essendo comunque capitoli introduttivi e di conseguenza almeno un po' noiosi.. Vi lascio alla presentazione del nostro secondo protagonista, anche lui alle prese con un nodo alla cravatta piuttosto ostico xD Vi ringrazio in anticipo se recensirete o deciderete di seguire questa storia che intendo sviluppare senza troppi intrecci di trama, una semplice storia d'amore durante un periodo in cui il diverso era sinonimo di sbagliato.
Buona lettura ^^


2 - Levi Ackerman


E’ domenica.
Domenica 10 dicembre 1939.
 
Levi Ackerman non era mai stato un fervido credente. O meglio, forse da bambino riponeva  quella fiducia incondizionata verso quella fede, quella cultura alla quale apparteneva. Ma nel corso del tempo, con il succedersi degli eventi aveva iniziato a domandarsi se non fosse stato meglio non nascere proprio.

-Avanti, caporale, quanto ci vuole mettere per allacciarsi una semplice cravatta?-

Distratto dai suoi pensieri, si girò verso la voce femminile, una dei suoi coinquilini, Petra Raal. Alzò gli occhi al cielo, come ogni volta che gli si rivolgeva dandogli del lei. Ovvero sempre.
All’inizio aveva protestato, gli sembrava una vera stupidaggine, ma contro la testardaggine di Petra non c’era e non c’è mai stato nulla da fare.

Era nato in un ambiente tranquillo, in una famiglia felice. La grande Berlino aveva accolto con gioia il loro arrivo, e la comunità ebraica ne era stata altrettanto felice. Il tutto, però, prima dello scoppio della prima guerra mondiale e prima che quello psicopatico prendesse il potere.
E beh, poi gli eventi hanno portato altri eventi, la prima guerra mondiale si era portato via il padre, la madre fu portata via qualche anno dopo chissà dove insieme alla gran parte della comunità.
Era una famiglia, quella comunità. Conosceva tanta gente.
E lui, Levi, l’orfano Levi, l’orfano ebreo Levi fu mantenuto a spese dello stato fino ai diciotto anni in un orfanotrofio.
Un centro di accoglienza che di accogliente aveva solo il nome. Furono anni di crescita, in cui iniziò a capire che la sicurezza e la felicità con cui era cresciuto erano solo la facciata di una città sempre più distrutta.
Era solo, in quell’edificio. Tentava di scappare quasi ogni notte, ed ogni notte veniva riacchiappato. Puntualmente. E non demorse fino a quando non incontrò, durante l’ennesima fuga, altri quattro ragazzi –Auruo, Erd, Gunther e Petra- .
Aiutandoli a fuggire, però, rinunciò alla sua occasione e si ritrovò di nuovo in quel tugurio. Quando uscì, con sua grande sorpresa, li ritrovò ad aspettarlo, davanti ai cancelli.
Era da allora, da quando li aiutò a fuggire da quel posto, che tutti e quattro insistevano per dargli del lei e chiamarlo caporale. Benchè la cosa gli facesse piacere –molto in fondo-, lo ha sempre fatto sentire incredibilmente vecchio. Anche troppo, per i suoi ventinove anni. 
Insieme, avevano trovato un appartamento a basso prezzo per vivere, con un padrone di casa disposto a non fare troppe domande sulla provenienza dei soldi dell’affitto, e per quanto riguarda la religione, nel corso degli anni Levi aveva imparato a dissimulare ogni abitudine della sua infanzia, costringendosi addirittura ad andare in chiesa ogni domenica con tutta la truppa. Non gli costava molto, ad essere sinceri;  benché continuasse a considerarsi un ebreo a tutti gli effetti.
Dovette pure affrontare il problema del nome, trovando tuttavia la soluzione in un libro di nomi francesi, in cui uno in particolare aveva attirato la sua attenzione avendo all’incirca la stessa pronuncia del suo nome di battesimo: Rivaille.  

-Petra, per favore, smettila di darmi del lei. Mi fai sentire vecchio.-


-Oh, si caporale, mi scusi, non lo faccio più.-

Rispose  più per abitudine che per vero e proprio rimprovero, mentre sentiva le dita sottili della ragazza aggiustargli quel nodo alla cravatta impossibile da fare anche per lei. Da quando ha memoria, Petra ha sempre avuto un’attenzione in più per lui, e Levi ha sempre ricambiato con un forte senso di protezione verso l’unica donna del gruppo nonché la più piccola.
Volse lo sguardo verso la porta già aperta, dove degli impazienti Erd, Auruo e Gunther cercavano di mettergli fretta.
E ogni giorno la stessa storia. Attenti a cosa dite, attenti a quello che fate, mi raccomando, Erd e Ghunter siete cristiani e tedeschi purosangue quindi vedete di essere più disinvolti, non state sempre con una scopa nel culo quando passeggiate, Auruo smettila di parlare alla gente di quanto tu sia fiero di essere di origini russe, mi raccomando quando tornate la sera state attenti alle ronde notturne.
Quella non proprio tranquilla quotidianità che aveva raggiunto dopo anni e anni, tuttavia, lo metteva a disagio, ogni giorno di più. In ogni azione controllata, in ogni bugia raccontata con più facilità del bere un bicchiere d’acqua, in ogni nodo alla cravatta ogni sacrosanta domenica, solo per provare agli altri che lui era proprio come loro.  

Sospirò, ringraziando con lo sguardo Petra e squadrandosi allo specchio.
Quella vita, nascosti sotto una cappa di bugie inutili, non lo aveva mai soddisfatto.  Certo, uscire allo scoperto sarebbe stato letteralmente un suicidio, ma l’insofferenza per quella falsità, per quella vita ipocrita aumentava di giorno in giorno.
 “Arriverà il momento in cui non ce la farò più e farò qualche cazzata”, si ripeteva  sempre, ogni mattina. Probabilmente la sua frase preferita. Aspettava con ansia, terrore ed eccitazione quel momento che di sicuro prima o poi sarebbe arrivato.
E allora avrebbe mandato a fanculo tutti, avrebbe fatto fuori tutti quegli stronzi che avevano sterminato la sua comunità e si sarebbe ripreso la rivincita per tutta quella merda.

Indurì lo sguardo, quello sguardo imperfetto, troppo sottile, troppo gelido. Prese il suo soprabito con qualche rammendo all’interno, imperfetto.  Lanciò uno sguardo al nodo imperfetto della cravatta ma fatto tuttavia con tutta la buona volontà.  Chiuse la porta di quell’imperfetto appartamento all’ultimo piano di quella palazzina modesta. Guardò tutte quelle dannatissime apparenze così imperfette, ma che tentavano disperatamente di essere uguali a quelle di tutti.

E fanculo al Reich.

 
  
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