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Autore: Solitaire    08/12/2008    4 recensioni
nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Roxas, Zexyon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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XII

 

XI

 

 

“China più che puoi la testa verso il petto. Stai fermo e non parlare. Forse sentirai un po’ di fastidio, ma non possiamo usare su di te i sensori fotonici. Interferisci con il loro funzionamento.” Lexaeus esita un attimo “Se preferisci, posso darti qualcosa per farti dormire. Non abbiamo bisogno che tu sia cosciente.”

 

No!

 

Zexion ride, senza distogliere l’attenzione dagli schermi olografici che si attivano intorno a lui e sotto le sue mani.

 

“Vuole sapere cosa facciamo di lui, essere sempre cosciente e consapevole. Niente segreti. Odia i segreti. Vero, Roxas?”

 

veroveroveroveroveroverovero

 

“Il castello è un apparato di registrazione e simulazione. Ricostruisce ambienti partendo dai ricordi con cui viene a contatto. Voglio registrare il tuo continuo mnemonico nel suo sistema.”

 

???

 

“Di tutti noi, sei quello la cui psiche presenta meno distorsioni, gran parte della tua intera esistenza come nobody è stata capillarmente registrata e io ho impresso nella mente anche la tua rielaborazione soggettiva, come tu hai interpretato gli eventi. Questo ci fornisce un sistema di riferimento per lo studio del castello.”  

 

Lexaeus gli passa un dito lungo la spina dorsale, premendo leggermente sulle vertebre cervicali messe in rilievo dalla curvatura del collo, fino a che non trova il punto giusto.

Il ragazzo rabbrividisce involontariamente al tocco metallico dell’iniettore sulla nuca, poi c’è un colpo e una puntura quando Lexaeus inserisce la sonda a nanofibre alla base del suo cranio.

Sussulta di riflesso, ma il dolore è stato brevissimo e adesso prova solo una sensazione di freddo che si dirama e si diffonde lungo la spina dorsale e la testa. Non è neppure esattamente freddo, ma è il termine che definisce la sensazione più simile a quello che prova. A ogni modo, non fa male e il fastidio non è certo degno di nota.

 

Ricordisoloassociazioni. Tu lo hai detto!

 

“Questa è una delle ragioni per cui vogliamo capire il meccanismo del castello, come funziona, su quali principi si basa. Possiamo comparare le simulazioni con le registrazioni dei tuoi ricordi. Verificare l’attendibilità con cui il sistema rielabora le catene associative per ottenere un insieme coerente. Adesso puoi rilassarti e parlare, se vuoi.”

 

Roxas risolleva la testa e si distende nell’ampia poltrona al centro del sistema di analisi. Mentre i sensori si propagano all’interno del suo corpo, i pannelli traslucidi che circondano Zexion si tramutano in flussi numerici.

 

“Solo quelli? Solo i ricordi di questa vita?”

“A me interessano solo quelli.”

 

 

* * *

 

 

Ci sono schemi precisi nella fuga degli abitanti del pianeta. Percorsi imboccati dalla maggioranza, folle composte da così tanti individui da ostacolarsi a vicenda nella loro frenesia di salvarsi, poi strade scelte da gruppi man mano meno numerosi, fino a sentieri dove la probabilità di scovare i fuggiaschi è tanto esigua da essere quasi nulla.

Le moltitudini in fuga tracciano disegni prevedibili, facili da interrompere.

Gli heartless non hanno bisogno di aiuto per la caccia. Il tropismo per i Cuori e la capacità di attraversare i sentieri delle ombre permettono loro di individuare e seguire le prede dovunque esse cerchino di nascondersi. Non c’è modo di sfuggire loro e, se il mondo perdurasse, ne catturerebbero tutti gli abitanti, ma questi possono eluderli quel tanto che basta, movendosi rapidamente.

Le ombre agiscono alla cieca. Si avventano sui Cuori più vicini e, fino a quando ci sono prede disponibili, trascurano i fuggiaschi più lontani.

Ma lo scopo è effettuare il raccolto più consistente possibile e la probabilità che gli heartless raggiungano il Cuore del mondo o del sole cresce esponenzialmente con la moltiplicazione degli stessi heartless. Quando succederà, in pochi minuti il pianeta sarà cancellato con tutto quello che ci si trova.

Lo spreco delle risorse è imperdonabile. A maggior ragione perché non c’è nessuno con lui, a correggere i suoi eventuali errori. Questa volta è il solo responsabile dell’operazione.

Occorre affrettarsi e questo significa indirizzare o aiutare gli sciami.

Occuparsi delle masse principali dei fuggiaschi, lo lascia fare ai suoi guerrieri. Trovare coloro che si muovono in gruppi più esigui, o soli, è una parte che riserva a sé stesso.

Si lancia all’inseguimento del grosso veicolo in corsa e salta sul tetto. La macchina sbanda violentemente quando il conducente cerca di farlo cadere. Ma contrastare l’inerzia è facile e Roxas resta eretto e immobile sulla vettura, come se ne fosse parte.

Fasci laser affondano nel sistema di alimentazione e il veicolo si blocca. Le porte si spalancano e i passeggeri ne escono. Qualcuno urla, la maggior parte si limita a fuggire per le strade. Mentre scappano, due di essi voltano verso di lui e sparano. I proiettili si dissolvono in sbuffi di luce.

 

 

* * *

 

 

Il luogo dove sorge castello non è e non assomiglia a quello dove ha combattuto e, per la prima volta, ha versato il suo stesso sangue. Non c’è nulla di simile alle pianure coperte di edifici massicci e grigi, non ci sono urla e suoni di esplosioni e spari e terra nuda. Ma l’odore non è cambiato e l’odore identifica quel mondo.

Odore di salvia e di miele.

Distese di fiori ricoprono a tratti irregolari il territorio e le creste contorte di pietra che circondano il castello. Fiori di innumerevoli sfumature di rosa e blu ciano. Fiori dai tentacoli verdi sottili come capelli, che si muovono languidamente e incessantemente.

C’è anche un sommesso mormorio sibilante che proviene da tutte le parti, che sembra inzuppare l’aria stessa.

I fiori comunicano fra loro.

 

 

* * *

 

 

Anche la prima volta che ha visitato il pianeta si è trovato solo, ma una solitudine apparente. Zexion era a un piano di distanza, sarebbe bastato un pensiero per farlo accorrere. Adesso è lontano universi. Tutti loro sono lontani universi e lui ha soltanto nemici, intorno.

Tira l’orlo del cappuccio, si assicura che sia calato su tutto il volto, anche se sa di non essere visibile, nascosto fra le ombre e avvolto in un campo di distorsione visiva di piani slittati di Luce.

Le persone che lo circondano lo intimoriscono ancora, con la loro presenza, la loro sfacciata esibizione di emozioni e pensieri, l’indifferenza con cui si toccano e si urtano, come se toccarsi fosse cosa di nessuna importanza, un gesto da sprecare, da poter riservare a chiunque. Ma è qui per un ben preciso scopo e tutto è secondario a quello.

Le tavole variopinte sono esposte in fila. Sembrano tutte uguali, tranne che per il colore.

La prima è bianca, con piccoli disegni neri. Passa subito oltre.

Le scorre in rassegna. Non può scegliere se non sa fra cosa sceglie. Quando è sicuro di averle vagliate tutte, decide. Una blu. Blu elettrico con il disegno stilizzato di una creatura felina con gli occhi azzurri e il manto giallo ocra a chiazze nere.

Si muove dal suo angolo fra le ombre e prende lo skateboard. Ora ha quello per cui è venuto, ma non può ancora andarsene. C’è un’altra cosa che ha attratto la sua attenzione. Un oggetto sul bancone del negozio, un piccolo cubo di vetro con all’interno una falena d’argento con la bocca di scorpione. Gli hanno raccontato la storia di un pianeta mai visto, dove ci sono farfalle notturne che si ammantano di grigio per cacciare con l’inganno e l’illusione.

Il proprietario del negozio non lo ha visto, nemmeno quando ha fissato nella sua direzione, ma il campo mimetico di Roxas è solo un modo effimero per sviare l’attenzione, non per renderlo realmente invisibile. Se l’uomo guardasse con attenzione, si accorgerebbe di lui.

Nella fretta di prendere l’oggetto senza farsi scoprire, fa urtare il cubo con il bordo dello scaffale e con suo rammarico uno spigolo si scheggia e una piccola linea di frattura compare nel cristallo.

Sorpreso dal rumore, l’uomo si volta nella sua direzione, ma Roxas si è già sciolto nell’Oscurità con il suo bottino. 

 

 

* * *

 

 

Il cielo è una massa di coaguli e viluppi bianchi, grigi, violacei, bluastri, talvolta con sfumature gialle o color ruggine. E’ come quando si mescolano più colori a tempera, quando non sono del tutto miscelati, ma un insieme ancora disomogeneo.

Pigri e continui bagliori di lampi accendono quelle nubi.

Sembra una cosa viva, quel cielo, qualcosa in trasformazione. Qualcosa che cerca una sua forma definitiva e, non trovandola, continua a cambiare. Ha una spazialità esasperata, una prospettiva esagerata.

Il pianeta Oblio è iperattivo in tutto, così vario e vitale rispetto al loro mondo morente.

L’energia della triplice stella innesta una vigorosa attività atmosferica. I mari sono percorsi da correnti impetuose, i cieli battuti da venti e uragani. Gli ambienti sono innumerevoli e instabili, i tre soli inondano il pianeta di una quantità elevata di radiazioni mutagene e la vita ha assunto una quantità di forme e dimensioni sconosciute sulla maggior parte dei mondi.

A volte, violente tempeste elettriche squassano interi continenti. Tempeste dove la pioggia è sostituita da fulmini.

Anche le correnti e le maree di Forze hanno un’energia inconsueta. Si muovono in ritmi e cicli, separate da termoclini e strati, scivolano e si frangono le une sulle altre, più o meno pure, più o meno concentrate, e stringhe libere di energie saettano nella matrice dimensionale.

La natura rifiuta l’assoluto e si esprime solo come composizione di diversità e anche qui le Forze sono inestricabilmente intrecciate l’una all’altra. Ma ogni Mondo ha una sua combinazione unica, così come ha un suo suono, irripetibile. La madre di questo universo è il Crepuscolo.

Anche questa è diversità.

Qualcosa del pianeta si riflette in lui.

Il cuore batte con troppa forza, il sangue scorre un po’ troppo in fretta. A volte, si ritrova a respirare un po’ troppo affannosamente.

Come il giorno in cui l’Oscurità ha sfondato la serra. Ma questa volta non è una minaccia.

E’ un invito.

 

 

* * *

 

 

Vexen non è un uomo tollerante. In particolare, non lo è con i neofiti. Sembra considerarli niente più di un fastidio, qualcosa che esiste solo per turbare l’ordine del suo mondo.

Ma Vexen è anche uno dei più stretti e assidui associati di Zexion e questo lo obbliga ad avere a che fare con Roxas, perché Zexion ha cominciato a esigere, non più solo a permettere, che il ragazzo resti con lui anche mentre lavora. Roxas ha il sospetto che, in qualche modo, Zexion abbia fretta, che la sua imperturbabilità si sia incrinata, e questo è un po’ disturbante.

Di contro, è cresciuta la pazienza di Vexen. Forse, per la costanza della sua presenza, il medico ha finito per sviluppare una soglia di tolleranza nei suoi riguardi piuttosto elevata.

In genere si limita a ignorarlo, però c’è una situazione in cui l’atteggiamento di Vexen cambia. Basta mostrare interesse per il suo lavoro. Allora è capace di passare ore a spiegare e, se quello che dice non è comprensibile, gli si può chiedere di ripetere tutte le volte che serve. Lo fa senza mai perdere la calma, senza mai mostrare fastidio.

La cosa più strana è che parla come se fosse Roxas a fargli un favore, e non lui a dare qualcosa al ragazzo.

 

“Ogni singolo aspetto della Realtà è determinato da una combinazione delle cinque Forze e delle loro Antiforme. Noi, però, siamo espressioni altamente sbilanciate di Crepuscolo. La sola cosa che ci mantiene in essere è la volontà, la stessa che, in primo luogo, ci ha permesso di esistere. Quando la volontà cessa, ad esempio quando moriamo, ci dissolviamo. Anche i tessuti isolati dal corpo subiscono lo stesso processo di degradazione, sebbene molto più lentamente, perché manca la componente traumatica che agisce come catalizzatore alla dissoluzione, apportando un fattore negativo di volontà. Anche con i più efficaci dei fissativi, restano effimeri. Per questo, quando dobbiamo effettuare un’analisi che richiede tempo per essere completata, come un esame del DNA, per prima cosa dobbiamo risolvere il problema di avere un campione stabile, o questo potrebbe dissolversi prima che l’analisi sia completa e, in ogni caso, anche un principio di degradazione altererebbe l’esame. La tecnica più semplice è una duplice replicazione del campione con materia ordinaria. Ogni singolo filamento della doppia elica parentale è lo stampo da cui si ottengono due molecole ibride, ognuna di esse formata da un filamento originale e uno di nuova sintesi. A quel punto, possiamo effettuare un secondo clonaggio per ottenere una doppia elica ibrida e una completamente stabile, oppure possiamo semplicemente limitarci a eliminare i filamenti originali della molecola ibrida. Ci sono antifissativi, ma basta anche lasciare decantare. L’elica originale si dissolve e resta solo la sua complementare. Così abbiamo ottenuto un duplicato stabile del DNA di origine.”

 

Poi, Vexen aggiunge una cosa e ha uno strano tono mentre pronuncia quelle parole. Roxas non lo ha mai sentito parlare così e non è capace di interpretare quel tono e neppure la sua espressione. Gli ricorda Marluxia il giorno in cui hanno conquistato mondo di Oblio. Anche se aveva vinto la sua battaglia, non era sembrato trionfante.

 

“E’ solo una copia inerte che riporta il codice. Niente altro. Non ci è possibile ottenere il clone vitale di un nobody, neppure di un frammento di tessuto.”

 

 

* * *

 

 

Saïx passa quasi tutto il suo tempo nello spazio. Studia le stelle che compongono il sistema trinario, la nana gialla che è il sole intorno a cui orbita il pianeta e le sue due compagne, la più grande stella arancione e la piccola stella rossa.

Di tanto in tanto torna, scarica i dati raccolti nei computer, attende gli elaborati, mangia qualcosa, sempre con il naso affondato nei suoi grafici, e riparte. Raramente scambia una sola parola con chiunque altro. Raramente resta più di qualche ora.

Così, è una sorpresa quando dice che, questa volta, si fermerà giorni.

 

“Non entrare mai nel castello senza preparazione e senza ragione. E senza avvertire.” dice Lexaeus “Se esci dal perimetro del campo, ti consiglio di non togliere l’uniforme. Le piante non sono mortali per noi, ma la loro puntura è comunque piuttosto dolorosa e le tossine provocano fastidiosi effetti. E’ praticamente impossibile vivere qui e non essere punti, prima o poi, ma non conviene farlo di proposito. E quando rientri, vedi di sterilizzarti con cura. Sono velocissime a germinare e basta loro il minimo accesso per infiltrarsi.”

 

Saïx si avvicina al confine del campo di repulsione e si accovaccia in corrispondenza di un piccolo groviglio verde dai delicati fiori rosa. I tentacoli ondeggiano in modo discordante al soffiare del vento e si scontrano con la barriera invisibile.

Saïx li osserva come se osservasse nemici.

 

“Non attaccano la flora e il resto della fauna?”

“La vegetazione è al sicuro. Non avrebbe avuto senso trovarsi su un pianeta deforestato. Per quanto riguarda la fauna, in effetti sono settate solo per reagire a uno stretto range genetico.”

“Sarebbe meglio eliminarle.”

“Più facile dirlo che farlo. Sono estremamente resistenti e adattabili o la popolazione del pianeta ne avrebbe avuto ragione. Comunque, basta un po’ di cautela. Vogliamo estendere i campi di repulsione almeno lungo la strada. A parte che noi siamo esclusi dal range preda, sono state progettate con svariati meccanismi di sicurezza che ne inibiscono la germinazione nel nostro organismo.”

“Non c’è la possibilità che si adattino a noi?”

“Molto meno di quanto non potrebbe farlo qualsiasi predatore naturale, privo di questi meccanismi programmati di sicurezza. Se le piante assimilano il nostro DNA, lo incorporano nella loro matrice genetica. A quel punto, c’è una corrispondenza fra i nostri tessuti e ci riconoscono come loro stesse, non come substrato bersaglio.”

“Perché Marluxia non le ha progettate come carnivori obbligati? Si sarebbero estinte una volta scomparse le loro prede.”

“Questo dovresti chiederlo a lui.”

 

I tentacoli dei fiori strisciano e picchiettano sulla parete invisibile. Cercano una via d’ingresso.

 

Saïx non conosce molto bene Marluxia se considera verosimile che avrebbe mai progettato organismi con una data di estinzione stabilita e nessuna possibilità di sopravvivere.

 

 

* * *

 

 

Appena entra nello studio, l’uomo si immobilizza, trattiene il respiro e il suo cuore accelera. Il fragore di quel battito diventa quasi assordante.

Non li ha visti né sentiti, ma si è accorto di un fattore anomalo nel suo ambiente.

Non è importante. Anche se uscisse, non c’è luogo dove non possono raggiungerlo.

L’umano accende la luce.

Azione curiosa. Non può sapere che né lui né Zexion hanno bisogno di luce per vedere come se fosse giorno pieno e dovrebbe presumere di conoscere lo studio meglio di chiunque. Con il vantaggio del territorio dovrebbe preferire il buio. Ma teme l’oscurità e accende la luce, come se una lampada potesse tenere lontano i suoi nemici come tiene lontane le sue paure. Come se la luce fosse uno schermo, un’arma, il segreto di una difesa.

La sola differenza è che, ora, può conoscere il loro aspetto.

Roxas si abbassa il cappuccio.

Le emozioni dell’uomo cambiano non appena lo vede in volto. Ha sempre paura, ma l’intensità e omogeneità di questa paura è interrotta, anche se impercettibilmente, da stupore e qualcosa che non è troppo sicuro di capire, ma che può definire aspettativa di sopravvivere.

 

“Tutti i pezzi possono essere usati, al momento opportuno.” mormora Zexion “Per alcuni, l’uso migliore è essere rimossi dalla scacchiera.”

 

L’attività elettrica del cuore dell’uomo si altera e assume un ritmo irregolare. Le contrazioni cardiache mutano di conseguenza e si fanno disordinate.

Roxas gli si avvicina di un passo, attento.

Zexion ha i suoi modi e inganna il corpo del nemico per sì che gli obbedisca, e questo nessun altro può farlo, ma ci sono molte strade diverse per giungere allo stesso risultato.

Il corpo è una macchina a funzionamento elettrico. Ogni azione, ogni pensiero, ogni attività, è il risultato di un’attività elettrica che rende gli esseri viventi dei fari animati.

Il cuore è un sistema in grado di autogenerare e regolare gli stessi segnali che lo azionano. Due nuclei principali, uno dei quali origina gli impulsi che attivano la contrazione muscolare del cuore, l’altro che trasmette l’impulso e lo calibra per regolare il battito sistolico che spinge il sangue nelle arterie.

Roxas si estende e pizzica cautamente il flusso successivo calibrato.

La turbolenza elettrica cardiaca aumenta. Le fibre muscolari si contraggono in modo del tutto disorganizzato e casuale, invece che coordinato. Il battito è inefficace.

Qualche istante e la contrazione del muscolo cessa ed è il blocco della circolazione sanguigna.

Zexion si avvicina al cadavere.

 

“Capisci perché non ho voluto che tu usassi armi?”

“Per non lasciare tracce?”

“Non c’è modo di non lasciare traccia del proprio passaggio. Ciò che esiste non può non influire sulla realtà.”

“Allora ogni nostra azione può essere scoperta.”

“Ogni nostra azione può essere rilevata. La sola presenza lascia impronte nel tempo e nello spazio. Più o meno evidenti, ma impossibili da evitare. Quindi, quando occorre, dobbiamo operare per rendere difficile il loro riscontro e la loro interpretazione.”

“Cancellarle?”

“Cancellare i segni del tuo passaggio può essere anche più rivelatore. Meglio mascherarli. Far credere che siano qualcosa che loro conoscono. Qualcosa di familiare, qualcosa che sono in grado di stabilire con certezza. Non cercheranno altro e tu attraverserai il loro mondo come se fossi invisibile. Talvolta, questo vuol dire celarsi in quello che è loro più vicino.”

 

 

* * *

 

 

L’interno del castello è una serie di sale bianche, ornamenti floreali e geometrie rigorose, e disattende la disordinata massa esterna.

Il palazzo si nutre di ricordi e i tredici piani aldisopra e i dodici aldisotto sono un intero universo di possibilità, da riempire con memorie rubate.

Un giorno entra in una stanza con un numero di pareti che varia di momento in momento e in ognuna di quelle pareti c’è una porta. Guarda attraverso quelle porte e ciò che vede sono attimi della sua esistenza.

Con tutti gli eventi che continua a rivivere, certe volte non è neppure più sicuro di quello che è accaduto prima e quello che è avvenuto dopo e questo non va bene. C’è un modo per non perdersi nel castello ed è tenersi stretti i propri ricordi, perché ogni stanza può essere collegata a tutte le altre e ognuna di esse diventa un frammento della propria vita e se si ricorda, allora si ha la mappa di navigazione. Ma se solo si scorda qualcosa, se solo si scorda di quando si è vissuta quella cosa, allora tutte le sale si rimescolano fra loro.

Lì dentro, anche il tempo scorre a un ritmo suo indipendente, perché il tempo è scandito dai ricordi.

Talvolta è convinto di essere rimasto in quelle sale giorni interi, poi esce e trova i suoi compagni ancora intenti nell’attività che hanno iniziato quando li ha lasciati. Ma qualche volta, invece, scopre che i fiori hanno ricoperto un’intera rupe, anche se è entrato nel castello solo pochi istanti prima, quando quelle rocce erano nude, e si accorge che, forse, è trascorsa un’altra stagione senza che lui abbia saputo che ora sia, o che giorno, o che anno.

Si chiede se a casa sua è ancora inverno.

 

 

* * *

 

 

Gli piace la compagnia di Saïx. E’ intelligente quanto Zexion, ma non altrettanto esigente e non lo tratta mai con condiscendenza, né finge di avere riguardi per la sua età.

Non può proprio dire la stessa cosa di tutti.

Pretendono che faccia quello che fanno loro se non che, poi, lo escludono come se fosse incapace di capire.

Non gli ci è voluto molto per rendersi conto che assumono con lui lo stesso atteggiamento che gli umani riservano ai loro bambini, perlomeno negli aspetti più superficiali. Non a suo beneficio, ma al loro. Vogliono solo di mantenere le loro preziose vestigia di umanità a sue spese.

Non Saïx.

Ha sentito su di lui ogni genere di storia e ogni genere di opinione. Il solo punto in comune è che Saïx è molto intelligente e altrettanto squilibrato, ma perché e qual è il punto di squilibrio, non lo ha mai capito. In realtà, non è neppure sicuro di avere capito che significa squilibrato. Andare d’accordo con Saïx è facile. Si circonda di una barriera di spazio e parole e pensiero. Basta non superare mai nessuno di quei confini, basta non cercare neppure di superarli, né fargli mai ritenere che si ha intenzione di varcarli.

E’ la più comprensibile delle ragioni. E’ quello che vuole anche per sé stesso.

Anche l’altro aspetto di Saïx, quello che si mostra in battaglia, è comprensibile.

Lo chiamano invasato.

Non è vero. Non se con quel termine intendono uno stato anormale.

Saïx si lascia affondare in quello stato della mente dove non c’è la riflessione con tutta la sua lentezza, solo pensiero e azione, solo capacità e coscienza senza consapevolezza. E’ una condizione naturale. Può farlo anche lui, con maggior controllo di Saïx, ma non in modo differente.

Allora, forse, tutto questo rende pazzo anche lui.

 

Quando chiede a Saïx se può accompagnarlo in uno dei suoi viaggi nello spazio, l’uomo si limita a guardarlo senza dire né sì né no. Passano settimane e nessuno dei due tira più fuori l’argomento. Fino a quando Saïx non si presenta nei suoi appartamenti per dirgli che partiranno il giorno dopo.

 

 

* * *

 

 

Sul pianeta non c’è una regolare alternanza di notte e giorno, ma solo un complesso ciclo di luce variabile. E’ raro che i tre soli illuminino in contemporanea lo stesso emisfero, mentre l’altro è al buio. Sul continente dove si trova il castello, il vero sole del pianeta è basso a causa della stagione e dell’inclinazione dell’asse planetario. Anche a mezzogiorno, la sua declinazione non è mai molto al di sopra dell’orizzonte e il giorno solare è breve. Le due stelle secondarie non sono altrettanto luminose, ma la luce di anche una sola di esse è sufficiente a impedire la calata di una vera notte. Per la maggior parte del tempo, il pianeta è avvolto da una mutevole penombra crepuscolare, grazie anche alla perenne copertura di nubi spesse.

Siccome tutti i presenti lavorano insieme e sono in numero così limitato, hanno adottato un ciclo sonno veglia sincronizzato, diverso da come capita nel loro mondo, dove ognuno ha i propri ritmi e il castello è sempre in attività. Ma, anche così, Roxas ha molto tempo libero.

Vaga per il pianeta, quando non deve lavorare.

Non può restare sempre confinato nell’accampamento e non può tollerare a lungo una vicinanza tanto stretta con altri. Il campo base è miseramente angusto rispetto all’estensione della loro casa-città, dove lo spazio a disposizione permette di isolarsi in universi privati e di esistere senza doversi necessariamente incontrare.

Ha ordine di non abbandonare il mondo. Per il resto, nessuno lo trattiene, una volta terminato nel castello e nei laboratori.

Mancano gli heartless, ma un intero pianeta a sua disposizione lo tiene abbastanza occupato. 

 

 

* * *

 

 

Un grigio opaco e uniforme che non è colore, ma mancanza di qualsiasi colore. Un freddo che non una temperatura bassa, ma mancanza di qualsiasi temperatura. Uno vuoto che non è uno spazio e un tempo, ma mancanza di dimensioni. Un’immobilità che è solo mancanza di punti di riferimento.

Il Mondo in Mezzo è un ambiente paradossale.

Zexion lo segue. Non permetterà un errore fatale, questo Roxas lo sa, ma sbagliare o fallire sarebbe un errore sufficiente.

Se riuscirà, il suo premio saranno la libertà di viaggiare e l’indipendenza. Una volta imparate le strade per i Mondi, niente e nessuno, se non la sua stessa volontà, potrà trattenerlo.

Fallire è inaccettabile.

Il nulla intorno sussurra menzogne. Lo spinge a spezzare la concentrazione, anche un solo attimo, ma basterebbe a perdersi.

 

Tu non sei. Non c’è soprasotto freddocaldo lontanovicino primadopo. Nell’uniformità del caos, niente ti definisce e se niente ti definisce, non esisti.

 

Calcola la rotta più probabile tra Mondi eternamente in movimento e quel che il pensiero può figurare, la volontà può far diventare realtà. Anche slittare da un universo all’altro. 

Il grigio si sgrana in colori e il nulla diventa una strada da percorrere, non una distesa dove perdersi.

 

Io definisco me stesso. Io penso. Il pensiero scorre in un flusso e questo determina una direzione e una durata. La direzione definisce lo spazio. La durata il tempo. Essi definiscono la dimensione del reale.

Io ho consapevolezza. Io sono. L’essere definisce una differenza. La differenza cancella l’uniformità, abolisce il caos.

Io divento il sistema di riferimento di me stesso e dell’universo.

 

Quando apre la parete dei Mondi, riemerge nel luogo prescelto come meta del suo primo viaggio.

 

 

* * *

 

 

C’è anche un mare, non tanto lontano dal castello. Lo stesso mare che una volta ha visto nel cielo. Un mare grigio che lambisce le rive di un deserto secco ed elettrico dall’atmosfera polverosa.

Ogni tanto, ha voglia di andare a nuotare. Non lo fa mai.

Lui nuota come se fosse nato nell’acqua. Nuota quasi come Demyx. Una di quelle cose che ha sempre saputo fare senza aver mai imparato.

Per questo, anche se gli piacerebbe, non entra in mare.

 

 

* * *

 

 

E’ sempre una questione di attesa e pazienza, con Axel. E’ sempre controllo. Aspettare il momento giusto. Non troppo presto, non troppo tardi. Come camminare su un filo, squassati dal vento.

E’ una questione di equilibrio.

E’ stato tollerante con lui. Lo ha ascoltato per ore. Gli ha parlato, anche. E quando Axel gli sfiora un polso, si rivolta contro quell’imposizione e la sua velocità rende il colpo devastante. Si trattiene quanto basta per non fracassare il ginocchio del compagno.

L’uomo cade a terra, sibilando in una lingua aliena termini dal significato evidente.

Sono in molti a credere che Axel cerca proprio questo. Roxas è di altra opinione. Axel vuole il controllo, vuole attenzione e vuole schiacciare chi gli sta di fronte, sempre e comunque. Non necessariamente con le armi. Anche con le parole, l’ostinazione, la volontà. Qualsiasi tipo di sopraffazione gli va bene e l’acquiescenza non lo tratterrebbe. Proprio il contrario. Axel combatte chiunque, se deve, ma preferisce avversari che non possono reagire e una violenza superiore alla sua è la sola cosa che lo contiene, perché la violenza è un mezzo di comunicazione, il solo che comprende realmente. Allora, tanto vale non sprecare tempo ed energia cercando un linguaggio più consono per parlare con lui.

Finché avrà paura per sé stesso, Axel non esagererà. Nel momento in cui Roxas dovesse cedere, dovesse mostrarsi vulnerabile, anche di poco, allora lo annienterebbe. Comunque, non desisterà.

Non c’è modo di convincerlo a lasciarlo in pace, Roxas se ne è fatto una ragione (anche se, vagamente, il ragazzo si rende conto che esiste una soluzione definitiva, però quella è semplicemente impensabile). Ma, allora, le cose le gestirà lui e può usare le condizioni a suo profitto, perché Axel persegue solo il risultato senza pensare mai alle conseguenze, se non per arrivare a quel risultato. Nemmeno alle conseguenze per sé stesso.

E’ una questione di equilibrio e l’equilibrio sta cambiando.

All’inizio pendeva dalla parte di Axel. L’uomo riusciva a provocarlo a piacere, così controllava le sue azioni. Ma Roxas ha imparato a infrangere le sue aspettative, a non reagire sempre e non sempre quando se lo aspetta. Allora, annulla il suo controllo. Ma Axel è ostinato e rifiuta di arrendersi, e lo insegue nella ricerca di ritrovare il potere che aveva, senza rendersi conto, o forse solo indifferente a questo, che di volta in volta svela un po’ di sé. Ogni volta, diventa più semplice capirlo.

Si accorge che Axel sta diventando dipendente da lui.

Si accorge che anche a lui piace avere il controllo. 

 

 

* * *

 

 

Lo attira la città ciclopica che ha visto mentre fuggiva con Xigbar, quel mare di edifici di acciaio e cristallo, ora regno di una vegetazione sempre più rigogliosa. Allora aveva potuto vederla solo per qualche secondo. Adesso nessuno gli impedisce di esplorarla per il tempo e con tutta la libertà che desidera. 

Non ci sono più esseri umani, su questo mondo. In cambio c’è una nuova vita. La stessa vita che li ha spazzati via, che sta conquistando lo spazio che era stato il loro, che continua a espandersi. 

Mentre percorre le strade deserte, incontra mucchi di vegetali più folti, con fiori più numerosi, da dove le piante si diffondono. Marluxia ha pensato proprio a tutto nel progettare gli esseri che hanno permesso l’acquisizione del mondo, compreso come occuparsi della massa di materia organica in putrefazione nel modo più rapido ed efficiente. Dei cadaveri, sono rimasto solo scheletri perfettamente puliti, intrecciati e tenuti insieme da tralci spinosi, viticci, foglie e fiori. Le piante hanno consumato ogni tessuto organico eccetto quello osseo, ma esse stesse hanno preso il posto di tendini, legamenti e muscoli. La vegetazione si allarga tracciando delle specie di irregolari disegni a ragnatela, con al centro gli scheletri, sorgenti da cui nascono le piante madri. 

E’ la città più grande del pianeta e quella dove i resti degli abitanti sono i più numerosi. Pochi sono caduti nelle abitazioni e tanti, tantissimi, per le strade. Come se non avessero voluto portare la morte nelle loro case.  

 

 

* * *

 

 

Ha letto, per un po’, ma durante la serata si è più o meno sdraiato di fianco sul divano, il collo piegato contro il bracciolo, una gamba mollemente penzoloni. In qualche modo, il libro si è ficcato sotto la sua cassa toracica.

La sua posizione in sfida all’anatomia non è certo comoda, ma il solo pensiero di muoversi è stremante, anche se è per trovare una sistemazione più confortevole o raccogliere uno dei cuscini che ha sparpagliato per terra. E’ tanto più facile restarsene così. Il caldo della sala comune e il suono della pioggia scrosciante all’esterno sono soporiferi. E’ quasi, anche se non del tutto, addormentato.

In sottofondo, a un livello sonoro appena superiore a quello del tamburellare della pioggia, le voci sommesse di Zexion e Luxord. Stanno giocando a carte, un gioco di loro invenzione probabilmente troppo complicato perché gli altri possano capirci qualcosa, anche se volessero unirsi a loro. Cosa che nessuno si sogna mai neppure di fare.

Da un po’ di giorni a questa parte, la temperatura è calata drasticamente e la pioggia è quasi di schegge di ghiaccio. Gli hanno detto che presto comincerà a nevicare. Per ora, fa solo freddo. L’ambiente del castello è controllato e la temperatura costante, eppure è possibile avvertire la differenza di clima e il calore della sala risulta anche più gradevole.

Sprofonda sempre più in quel luogo ovattato di buio e sonno e non ha intenzione di resistere.

 

“Roxas…”

 

Apre gli occhi. C’è Luxord, accanto a lui.

 

“Ti verrà il torcicollo, così.”

 

L’uomo gli toglie il libro dalle costole, raccoglie un cuscino, glielo infila sotto la testa e torna al suo gioco.

Lui si stira, assapora la nuova posizione, affonda nel cuscino, ma l’intervento di Luxord ha interrotto, almeno in parte, la letargia, così si mette a studiare i suoi due compagni.

Non arriveranno a nulla, ne è certo. Non si affidano solo alle capacità mentali e di calcolo. Luxord sfrutta il suo potere sul tempo e sulle probabilità. Zexion adopera la telepatia e non ha il minimo scrupolo a rivoluzionare le percezioni del suo avversario. I loro giochi diventano virtuali scontri all’ultimo sangue. Non c’è da stupirsi se nessuno vuole giocare con loro.

 

“Vi date delle regole, ma non le seguite.” mormora.

 

Zexion si lascia andare contro lo schienale della sua poltrona e gira pigramente il cucchiaio nella tazza di tè.

 

“Dipendere dal caso invece che dalle nostre capacità? Dici che dovremmo provarci, Luxord?”

“Allora perché perdete tempo a dirvi cosa dovete fare?”

“Le regole ci servono. Dobbiamo sapere cosa infrangere, ti pare?”

“Vieni qui.” lo chiama Luxord e indica con un cenno la poltrona accanto alla sua.

Spande le carte in due file parallele sul tavolo.

“Adesso stai attento a quello che faccio.”

 

 

* * *

 

 

Trova una macchina volante simile a un insetto, come quelle degli uomini che li avevano combattuti.

La studia per giorni. Ha visto queste macchine teletrasportarsi, però non è ciò che gli interessa.

Lexaeus gli chiede se vuole aiuto, ma lui rifiuta. Il principio su cui si basa il funzionamento dell’aeromobile non è diverso da quello delle loro navi e dei sistemi di traslazione artificiali che usano nel castello. La diversità è solo nei meccanismi.

Riesce a riattivarla e, per un po’, la usa per volare nelle vie delle città deserte, tra gole di vetro e acciaio formate dalle pareti verticali dei palazzi, o correre alla massima velocità sui campi di fiori, sollevando nubi di spore piumose come semi di soffione.

Gareggia con i suoi guerrieri, che scivolano nelle ombre e nei raggi di sole sfuggiti alle nubi.

 

 

* * *

 

 

“Comunicare fra i Mondi è un problema di difficile soluzione.” dice Zexion “La comunicazione è determinata da un trasmittente, un ricevente, un canale, cioè il mezzo attraverso cui il messaggio si trasmette, e un complesso sistema di codifica che comprende contesto psicologico, comprensione dell’oggetto di comunicazione, linguaggio. Se trasmittente e ricevente non si trovano nello stesso Mondo, il primo ostacolo che si incontra è di ordine puramente fisico, determinato dalla difficoltà del segnale di attraversare la barriera dimensionale inalterato, o con alterazioni limitate al punto che rimanga, comunque, riconoscibile. C’è da fare una distinzione importante. La vera difficoltà non è entrare in contatto con altri universi. Ci sono molti mezzi, naturali e artificiali, per effettuare collegamenti interdimensionali. Gli schermi del Grattacielo della Memoria sono fra i tanti. Ma contatto non significa comunicazione. A nostra conoscenza, nessuno è mai riuscito a costruire un sistema di comunicazione artificiale in grado di superare il muro tra i Mondi. Il pensiero di alcuni individui è la cosa che più si avvicina a farlo. Uno dei miei compiti principali è la ricerca e la ricognizione preliminare dei nuovi ambienti. Non ho bisogno di spostarmi dal nostro universo, per questo. Talvolta, riesco a effettuare un collegamento con altre entità, ma è sempre un caso sporadico. Sono pochi i ricevitori in grado di raccogliere messaggi interdimensionali, almeno quanti sono pochi in grado di trasmetterli. Nel caso della comunicazione telepatica, la difficoltà è spesso il sistema di codifica del messaggio, in particolare il contesto. Mancando una lingua comune, il contatto è possibile solo sul significato del pensiero, ma il contesto? I soli sensi specifici degli individui coinvolti determinano contesti psicologici molto differenti. Anche se non è possibile annullare queste differenze, in alcuni casi si riesce a sviluppare un protocollo di comunicazione comune, un sistema di traduzione. Ma deve essere elaborato e questo premette la conoscenza delle parti. In un primo contatto, non è possibile. Se mi collego a un’entità aliena mai incontrata prima, tutto quello che posso trasmettere ed essa ricevere è il pensiero puro. Non è detto che sia in grado di decifrarlo, che l’oggetto della comunicazione abbia un significato nel suo contesto o, persino, che un significato esista, per me. E viceversa. Anche fra entità dotate di sistemi di codifica comune, la telepatia non è una soluzione, se avviene fra universi differenti. Come ti dicevo, il processo di comunicazione è influenzato dal mezzo attraverso il quale avviene. Persino la trasmissione mentale è distorta, anche con un ricevente adeguato. In buona parte dei casi, si limita a sogni e sensazioni. La sola forma di collegamento che riesco a mantenere in modo continuo è la presenza. Io so sempre se voi continuate a esistere. Purtroppo, è una trasmissione unilaterale e, basilarmente, limitata a una sola informazione, più o meno come le lastre nella sala dell’esistenza. La differenza è che io ricevo anche qualche dato sulla vostra condizione mentale, ma questo non mi dice cosa vi sta accadendo. Tutti noi possiamo richiamare i nostri famigli da altre dimensioni, ma non possiamo scambiare con loro nulla di più complesso di quel richiamo e anche così ci sono restrizioni. Fondamentalmente, il solo sistema sicuro per comunicare fra i Mondi rimangono i corrieri. Capirai anche tu che la mancanza di un sistema di comunicazione diretto e permanente rappresenta un limite e dovresti capire anche quali sono le situazioni in cui questo limite si fa più condizionante.”

 

 

* * *

 

 

Un giorno, punta con la sua aeromobile verso il cielo. Presto è tanto in alto che, sotto di lui, la terra diventa una scacchiera di colori dove le città sono macchie tumorali in regressione, divorate dal verde. Ma si tuffa nello strato di nubi perenni e la terra non si vede più.

Ci sono raffiche di venti violenti e correnti verticali che rendono il volo difficoltoso e, talvolta, quando è catturato da vuoti d’aria, l’apparecchio compie balzi improvvisi e improvvise cadute. La temperatura cala, diventa presto gelida, ma lui si è avvolto in una crisalide protettiva di fili di Luce.

Continua a salire e cariche elettriche gli fanno formicolare la pelle. Le nuvole sono adesso squassate da rovesci di acqua nebulizzata, trasformata in aghi di ghiaccio abrasivo.

Ci sono anche esseri viventi. Innumerevoli. Forme larvali di creature che in età adulta vivono sulla terra ed esseri che passano la loro intera esistenza nel cielo. Distese di piccoli organismi a metà strada fra i vegetali e gli animali, dotati di vescicole piene di idrogeno e altri organi che permettono loro di galleggiare e veleggiare nell’aria. Esseri più grandi, più di lui e della sua nave, con ombrelli trasparenti percorsi da fasci e catene di luci intermittenti e lunghi tentacoli a forma di nastro. Sembrano fragili, come meduse o delicati ctenofori di vetro, ma vivono in questo mondo di nebbia e tempesta e non c’è nulla di fragile in loro.

Ancora più in alto, flagellato dalle correnti, bagnato dalla pioggia, e la coltre nuvolosa si spalanca.

E’ un mondo sopra il mondo. Cascate di gas ionizzati precipitano da montagne di schiuma, fra campi coperti di fiori di fuoco. Il vento solare solleva onde su mari di Luce, a lambire rive fotoniche, e il cielo nero è percorso da fiumi di plasma ardente.

Le scroscianti voci elettroniche dei soli infrangono il silenzio.

Geometrie cristalline di Luce si intersecano a veli evanescenti di Crepuscolo, gli uni e gli altri intrecciati a nubi ribollenti di Oscurità.

La stella rossa e quella arancione sono alte nel cielo, e il sole principale è solo un piccolo spicchio quasi completamente scomparso dietro l’orizzonte. Il triplice spettro stellare si frantuma in migliaia di colori diversi, in una tale molteplicità che può cercare e cercare e non ritrovare mai due volte la stessa sfumatura. Non tutti hanno nome, perché nessun altro può vedere la Luce in tutta la sua rivelazione e quei colori senza titolo sono qualcosa che appartiene solo a lui.

E’ come scivolare fra le valve di una conchiglia.

L’aria è secca, tanto rarefatta che è quasi inesistente e, anche se dopo lo strato di nubi la temperatura è risalita, fa sempre freddo. Più freddo del più freddo giorno sul mondo nero.

La radiazione solare non è più schermata - domatadiminuitaviolata - e brucia con la sua letale forza velenosa. Per lui, ha il tocco carezzevole di una madre. Questo è il suo regno, qui niente può fargli male. Non il freddo, non i frammenti di materia che arrivano dallo spazio e screziano il cielo di stelle cadenti, non la mancanza di ossigeno. Qui vive nutrito dalla Luce, dissetato dalla Luce, pervaso dalla Luce.

Più in alto, ancora.

L’aeromobile sussulta, va in stallo, precipita.

L’abbandona e si lascia cadere per lo spazio che lo separa dalla superficie. Una rete di Luce lo cattura e decelera la caduta, ma non la ferma.

Percorre all’inverso il viaggio fatto per arrivare qui, in una lentissima parabola questa volta verso il basso. Fino a quando l’atmosfera non torna a essere aria pesante e sciropposa, i colori ottenebrati, la superficie si avvicina ed è il momento di abbandonare il cielo e tornare a essere un abitante della terra.

 

 

* * *

 

 

La creatura lo sovrasta da un’altezza che è quasi un terzo superiore alla sua. E’ uno degli esseri con cui spartiscono il mondo. Ce ne sono tanti, diversi gli uni dagli altri, ma condividono tutti la stessa natura, che è anche la loro.

L’uomo che lo accompagna si è interposto fra loro due non appena la creatura si è materializzata. C’è sempre qualcuno con lui, quando non è chiuso nell’area che definisce il suo spazio. E’ consapevole che la cosa non vale per tutti, anzi, gli altri sono spesso soli. Ma non prova stupore o fastidio, né si chiede perché. E’ come sono sempre state le cose. I suoi accompagnatori sono solo parte dell’ambiente, come tutto il resto. Un mondo monotono e uniforme, fatto di elementi appena accennati e ombre nella nebbia.

Tranne questa creatura.

E’ un nodo di colori e luce. Luce e colori che possono diventare suoi.

Cerca di avvicinarsi all’essere e l’uomo lo blocca afferrandolo per il cappuccio. Lui tira e insiste.

La creatura muove passi ondeggianti nella sua direzione. L’uomo materializza un’arma affilata e la usa per tenerla lontana. Ma la forza di attrazione che esercitano l’uno sull’altro non può essere fermata da un ostacolo.

Roxas strattona, cerca di aprire la mano che lo trattiene, richiama una delle sue armi.

L’uomo si allontana prima che essa si materializzi del tutto. L’ombra rarefatta del keyblade si dissolve senza concretizzarsi.

Roxas ignora l’uomo. La sola cosa importante è che non si interpone più.

Ora l’essere gli è davanti. Anche lui lo vuole. Vuole la sua forza. Fluttua sull’orlo della dissoluzione. Legarsi alla struttura mentale del ragazzino vuol dire condividere la maggiore stabilità. Il costo è la libertà individuale e la creatura anela alla libertà, ma la pulsione prima di qualsiasi nobody è sopravvivere a qualsiasi costo. La sua risolutezza è incrinata, divisa fra scopi opposti. Una frattura nella volontà che la indebolisce.

Roxas, invece, non esita. Sa cosa deve fare. Anche se nessuno glielo ha mai detto, lo ha visto fare dagli altri, lo vede nell’intenzione stessa della creatura che lo fronteggia.

Espande il pensiero per incontrare quel pensiero alieno. Come gocce di mercurio che si toccano, le loro menti si fondono. Si delinea l’abbozzo di una struttura formata dai due nuclei di esistenza intorno a cui orbitano le singole coscienze, appartenenti al tempo stesso a entrambi.

Si rafforzano a vicenda, ognuno di essi guadagna abbassando il livello di energia spesa a mantenere il punto di equilibrio e la struttura risultante è più stabile delle parti che la compongono.

Ma non fa parte della loro natura cedere la propria autodeterminazione e la propria individualità. Ogni forma di legame e dipendenza è aborrito, anche quando necessario. Non vogliono condividere. Vogliono appropriarsi ognuno della vitalità dell’altro.

Combattono. Nel mondo fisico, la lotta è più breve di un battito di ciglia. Nel mondo mentale dove si svolge non c’è tempo. Ma la determinazione che ha permesso a Roxas di esistere in questa forma, gli permette di schiacciare qualsiasi volontà non sia quella di uno dei suoi fratelli. La struttura paritaria esistita per un istante diventa un sistema con una sola stella centrale. Ora la creatura sconfitta può esistere solo nella sua orbita, come suo satellite, entità singolare ma non più indipendente.

E’ il primo elemento della sua mente composta.

Altre creature bianche si materializzano. 

 

 

* * *

 

 

Roxas è sulle montagne quando vede la piccola nave discendere verso il campo e manovrare per l’atterraggio. Non ha tanta fretta da teletrasportarsi e quando raggiunge l’accampamento, il vascello è già approdato.

Sente dei lamenti e pensa che il pilota abbia portato con sé un animale e lo stia tormentando. Poi vede cosa emette davvero quei gemiti. Larxene scende dalla nave e si tira dietro Naminé tenendola per i capelli. La ragazzina non è in grado di tenere il passo delle rapide falcate di Larxene. E’ caduta, ma la donna non le ha dato possibilità di rialzarsi e la trascina senza riguardo. Un atto di violenza contenuto rispetto alla volontà di Larxene. La giovane non nasconde nulla delle sue vere intenzioni e la repulsione che riversa deliberatamente contro Naminé è stordente.

Roxas non esiterebbe un solo istante se uno di loro fosse attaccato da un estraneo. Ma non si tratta di estranei e non è abituato a interferire nelle azioni dei suoi compagni se non lo riguardano direttamente e non conosce l’antefatto. Non ha ragione di prendere le parti di Naminé piuttosto che quelle di Larxene.

 

E’ Lexaeus a intervenire. Senza una parola, blocca il passo di Larxene, prende in consegna la ragazzina e la porta all’interno del castello.

 

Larxene ha già accantonato l’episodio. Tende un palmare a Zexion e, mentre lui legge, si mette a vagare per il campo.

Studia incuriosita quello che la circonda, la serie di semisfere argentate delle tende, alcuni crepuscolari affaccendati intorno alla sua nave, intenti a scaricare quello che ha portato, e il castello, naturalmente. L’incombente massa irregolare dalle dimensioni confuse, una forma che sembra essere state disfatta e rimontata mettendo insieme i pezzi a caso.

Roxas si avvicina a Zexion. Lo scienziato è contrariato da quello che sta leggendo. Non dice né mostra nulla, ma non fa neppure nulla per mascherare il fastidio con quella esteriore mancanza di reazioni.

 

 

* * *

 

 

Saïx parla di limiti di luminosità che un corpo soggetto a gravità può emettere, prima di dissolversi in energia.

Parla di stelle blu più luminose di ogni altro corpo celeste, erranti predatori dello spazio nati dalla collisione di altre stelle, che divorano astri per ringiovanire sé stessi.

Parla di Mondi che sbocciano e si espandono nell’istante senza tempo che segue la loro nascita, dalla dimensione di un punto a quella di un intero universo.

Di Mondi che muoiono nel gelo e nel silenzio, come il loro pianeta, e altri che continuano a espandersi sino a farsi a pezzi, materia ed energia distrutta, sino a quando la massa è zero e restano solo brandelli sparpagliati che si disperdono nella matrice grigia, ma che qualche volta possono congiungersi per generare altri universi e rinascere a nuova vita in una forma differente.

 

 

* * *

 

 

Oggi ha compagnia nella città.

L’estraneo è ancora molto lontano, rivelato solo dal suo segnale vitale. Potrebbe evitarlo. Traslarsi, cambiare direzione, semplicemente stare a distanza e continuare i suoi vagabondaggi senza neppure doverlo incontrare. Invece si dirige verso la presenza.

La conformazione specifiche dei campi di Luce del nobody lo rende inconfondibile. Ci sono solo due persone, oltre a lui, così affini alla Luce, e Saïx è di nuovo nello spazio.

 

Larxene è seduta sulla scalinata d’ingresso di un edificio che Roxas sa essere una specie di museo. Legge e sbocconcella un panino. Un blando campo elettrico la protegge da fiori. Vicino a lei, appena al di sotto, lo scheletro umano origine della vegetazione che si allarga sui gradini di pietra bianca. Alcune fronde si stanno diffondendo sulle colonne che affiancano la scalinata.

La ragazza chiude il libro e lo posa al suo fianco, con la cura con cui Roxas ha visto solo Zexion trattare un libro. Avvolge il panino nel tovagliolo di carta e posa anche quello.

 

“Buongiorno, Roxas.”

 

Il ragazzo sale le scale e le si siede accanto.

 

“Sta per scoppiare una tempesta.”

Lei gli sorride.

“Lo so. Sono qui per questo. Ti hanno fatto vedere gli ordini inviati da Xemnas?”

“Sì. Vuole il mondo Kā’h’onua.”

“Zexion non mi è sembrato molto soddisfatto. Ha paura di farsi male?”

“Non vuole portare via tempo al suo lavoro.”

“Quel pianeta ci apre un intero vaglio di Mondi.”

“Quello interessa a Xemnas. A Zexion, adesso, interessa il suo lavoro.”

 

La ragazza annuisce. Roxas ha l’impressione che sia d’accordo con il telepate, ma non ne è sicuro, Larxene lascia subito cadere l’argomento e non c’è niente a confutare o sostenere la sua sensazione.

Una delle piante brancola verso di lui. La incenerisce con un fascio di microonde ad alta energia.

 

“Larxene, perché tratti così Naminé?”

“Perché non posso ucciderla.”

“Non ti ha fatto nulla. Non è una tua nemica.”

“Davvero? Qual è la tua definizione di nemico, Roxas?”

“Qualcuno che vuole farmi del male, oppure qualcuno che mi impedisce il raggiungimento di un mio obiettivo.”

“I tuoi amici scienziati non ti fanno mai male?”

 

No, sta per rispondere. Ma ci sono state le lancinanti emicranie seguite a ogni seduta di analisi a cui lo ha sottoposto Zexion.

 

“Qualche volta.”

“Però non li consideri nemici.”

“Non è loro intenzione. E’ solo un effetto collaterale di quello che fanno.”

 

Ma non sempre. 

 

“Quindi, è l’intenzione che conta, non tanto il risultato. Roxas, se qualcuno ti facesse realmente del male perché convinto che sarebbe la cosa migliore per te, quello non sarebbe un nemico?”

 

C’è il silenzio, che è peggio di tutto. Quello non è solo un effetto collaterale. 

 

“Per quanto ne so, io potrei essere solo il risultato dell’opera di Naminé. Quello che considero reale, essere solo un suo capriccio. E non sarei in grado di rendermene conto. Eppure, solo Saïx ha abbastanza cervello da avere capito cos’è davvero quella strega e cosa bisognerebbe farne. Non riesco neppure a farlo entrare in testa a Maru.”

“Anche Zexion può fare quello che fa lei.”

“Pessimo esempio, Rox. Chi considera Zexion indifeso o innocuo?”

“Nessuno.”

“Già. Noi siamo nobody. Sai che vuol dire?”

“Non abbiamo…”

 

Larxene sorride gentilmente, gli prende la mano sinistra e gli sfila il guanto.

 

“Larxene, lasciami.”

 

Ha mani delicate, Roxas, prive delle rotondità tipiche della sua età. Solo fasci di nervi e ossa fragili come quelle di un uccello, con lunghe dita sottili e forti, e un reticolo di vene azzurre evidente sotto la pelle chiarissima e trasparente. Le cicatrici delle ferite inferte dall’heartless sono quasi invisibili e, in parte, nascoste sotto due anelli elastici a medio e indice.

Lei stringe leggermente. Dalla base delle dita che si era ferito parte una lieve scossa dolorosa che si propaga sino al gomito.

Roxas cerca di sottrarsi, inutilmente.

Una brutta sensazione comincia a formarsi nel retro della sua coscienza. Come se qualcosa di viscido e freddo cercasse di strisciare sulla sua faccia per impedirgli di respirare.

Non può muoversi. Non come vuole. Non del tutto e se non è tutto, allora è niente.

 

“Lasciami!”

 

Si accorge di aver pronunciato quella parola a voce un po’ troppo alta. 

La ragazza lo libera. L’impressione nauseante si perde prima di essere davvero nata.

Larxene continua a tenersi il guanto e quando Roxas si allunga per riprenderlo, allontana la mano.

 

“Non tirarmi fuori la faccenda del Cuore. Quella è solo una nostra peculiarità biologica. O spirituale. O psicologica. Dipende da quale scuola di pensiero segui.”

 

Ancora una volta Roxas cerca di riconquistare il suo guanto, allungandosi all’improvviso, ma Larxene può eguagliare la sua velocità e riesce ancora a impedirglielo. La ragazza è più alta e se lui non si alza in piedi non può raggiungere la sua mano, ma non vuole farsi vedere così in difficoltà.

 

“Che significa, allora?”

Vuol dire che per il resto degli universi siamo peggio dell’immondizia. Lo sai quando si capisce che una vittima sta per cedere? Quando comincia a collaborare con il suo carnefice, quando diventa complice e partecipe della sua distruzione e sceglie la tortura che le viene inferta. Quando si convince che la responsabilità di quello che le accade è sua. In quel momento, decide la sua fine. Il carnefice può anche farsi da parte, diventare solo uno strumento nelle mani della vittima e lasciare che essa si annienti da sola. Per i completi la nostra esistenza assume un significato solo se riescono a terminarla. Se qualcuno si prenderà il disturbo di rivolgerti la parola, lo farà solo per dirti che sei un errore, che quello che sei è una punizione, che sei malvagio. Lo sentirai dire da così tanti, così tante volte, che sarai tentato a crederci. E’ quello che vogliono loro. Vogliono renderci deboli perché siamo forti. Vogliono farci credere che non siamo niente, che non abbiamo niente per cui vivere. Se ci convinciamo che hanno ragione, se davvero ci crediamo nessuno, noi siamo morti.

 

Finalmente, Larxene gli restituisce il guanto. Adesso che lo ha, invece di rimetterlo si sfila anche il secondo e se li posa sulle ginocchia. Deve subito riprenderli e infilarli in tasca prima che il vento li faccia volare via.

 

“Nessuno è più giusto o più sbagliato degli altri e nascere non è un premio o un castigo. E’ solo un caso, per chiunque. Tu come credi che sia essere umani?” chiede la ragazza.

“Non lo so.”

“No, certo, ma avrai pur cercato di immaginarlo. Non fanno altro che parlare di questo.”

“Ho cercato di ricordarlo. Non ci sono riuscito.”

“Credi che voglia dire essere sempre felice, non provare mai dolore, insoddisfazione, dispiacere, sofferenza? Ti hanno fatto credere che a essere completi improvvisamente tutto va bene, lo stato perfetto dell’esistenza? Ti hanno mentito, Roxas. Io ricordo com’era. C’erano volte in cui ero felice e altrettante in cui ero infelice. Anzi, la maggior parte delle volte erano pause di felicità in mari di paura e confusione. In realtà, non è cambiato nulla. Essere vivi non vuol dire essere sempre felici. Naminé lo crede e, siccome non si sente felice, crede di non essere viva. Siccome non vuole soffrire, non essere insoddisfatta, non avere paura, ha deciso qual è la soluzione. E lei è quasi come noi, persegue il suo scopo con tutta la sua volontà. Quello che vuole la perderà, non mi interessa. Ma noi siamo sulla sua strada e questo mi interessa molto di più. Io non credo che una persona capace di cancellare la mia vita, che potrebbe anche averlo già fatto, possa non essere pericolosa, e se questa persona è convinta che io non dovrei esistere, la considero mia nemica.”

“Adesso capisco. A quelli che consideri nemici, fai in modo di procurare sofferenza.”

“Più che posso.”

 

I potenziali elettrici di cielo e terra stanno raggiungendo un gradiente enorme. L’atmosfera si carica.

Roxas si sente un po’ stordito. Un po’ euforico.

 

“Perché lo fai?”

“Perché ne ho voglia.” risponde Larxene, con il tono di chi afferma l’ovvio.

“Questo basta?”

“Questa è la ragione.”

“Vexen si è infuriato quando ho detto che caccio gli heartless perché ne ho voglia.”

“Quindi, perché tu hai dato la stessa risposta che io ho dato a te e Vexen ti ha detto che è la risposta sbagliata, ne cerchi una diversa, quella corretta. Non pensi che, magari, la risposta sia giusta e l’errore sia di Vexen?”

“Non so dove sia l’errore.”

“Ma senti che c’è un errore.”

“Lo fate quasi tutti. Tu, Axel, Saïx, Demyx. Anche Zexion. Non lo dice, ma io so cosa fa. Quando lascia il suo corpo e vola per esplorare, qualche volta, in certi mondi, trova cose che lo attirano. Sono gli abitanti. Allora non ci va solo con il pensiero. Raggiunge quel mondo e fa cose alle persone che hanno attirato la sua attenzione. Vexen ha causato la morte di milioni di esseri di ogni genere, persino sul suo stesso pianeta. Non ha ragione di essere tanto in collera, però si è arrabbiato con me. Per lui non basta volerlo fare.”

“Io odio gli esseri umani. La trovi una ragione più plausibile?” 

“Noi possiamo odiare?”

“Tu sai così bene cosa vuol dire odio da riconoscerlo con sicurezza in un altro, o affermare la sua impossibilità?”

“Zexion, Lexaeus, Demyx e Marluxia dicono che noi proviamo emozioni, ma altri dicono di no.”

“E non hai motivo di credere agli uni piuttosto che agli altri.”

“Vero.”

“Per quanto mi riguarda, se lo riconosco come odio, allora vuol dire che posso odiare. Li voglio odiare, se preferisci.”

“Perché?”

“Ti ho visto aprire i mondi alle tenebre, Roxas. Ti ho visto inseguire quelli che sfuggono agli heartless e rigettarli nelle fauci dello sciame. Quanti sono riusciti a scappare, di quelli che hai deciso di prendere?”

“Nessuno.”

“Quanti ne hai lasciati andare?”

“Nessuno.”

“Tu sei il più abile di tutti noi. Neanche Saïx o Xaldin hanno un registro di successi positivo quanto il tuo. Nemmeno io.”

“Se devo fare qualcosa, lo faccio il meglio possibile. Altrimenti, non ha senso farlo.”

“Però dai la caccia agli heartless anche quando non devi.”

Il ragazzo annuisce.

“Non capisco. In quel momento, non penso a quello che faccio. Lo faccio e basta e non so perché.”

“Quindi, credi che se troverai una spiegazione per quello che faccio io, la troverai anche per te. Roxas, stai cercando una ragione logica per uccidere?”

“Zexion ha detto che forse per me è necessario.”

“E non ti sembra una ragione sufficiente? Pensi che sia meglio essere distrutti da qualcuno convinto di non volerlo fare, ma lo fa ugualmente?”

“Anche se quello che faccio non serve?”

“Questo dipende sempre da quello che vuoi soddisfare. Se lo scopo è solo esistere, allora facciamo tante cose che non servono, Roxas. Se dovessimo fare solo quello che serve, passeremmo la maggior parte del tempo a non fare nulla.”

 

La ragazza allunga una gamba verso il cumulo di ossa e vegetali e lo colpisce. L’ammasso di sgretola in una nuvola di polvere e spore, alcuni pezzi rotolano giù per gli scalini. Le piante si svolgono con lentezza, tendono i tentacoli filiformi verso la disturbatrice e si ritirano, folgorati.

 

“Mia madre è morta combattendo nel nome di un re che non aveva mai visto, che l’avrebbe lasciata morire di fame se non avesse avuto bisogno di lei, un uomo che non conosceva neppure il suo nome, che non avrebbe neanche voluto conoscerlo. Che, se lo avesse conosciuto, non si sarebbe degnato di pronunciare. Ha combattuto per terre che non sarebbero state sue, cibo che non avrebbe mangiato, acqua che non avrebbe bevuto, libertà che non avrebbe avuto, oggetti che non avrebbe mai toccato.”

“Qualcosa che non riguardava lei?”

“Tu combatteresti per qualcosa che non è la tua fame, la tua libertà, qualcosa che non riguarda te? Combatteresti per qualcuno che ti disprezza? Qualcuno che non vuole neppure pronunciare il tuo nome?”

 

I frammenti dello scheletro non hanno ancora raggiunto la fine della scalinata.

 

“No.”

“No, nemmeno io. Forse anche lei ti avrebbe detto la stessa cosa, ma era convinta che la riguardasse. Quindi, era così. La differenza sta tutto in quello in cui siamo convinti. Uccidiamo perché vogliamo restare attaccati alla speranza che un giorno o l’altro torneremo umani, come Saïx o Xemnas. Perché vogliamo vincere una partita a scacchi, come Zexion. Perché non vogliamo morire, come Luxord. Per avere potere dalla morte, come Maru. Vexen vuole credere che ci sia un fine superiore, allora giustifica tutto, altrimenti niente. Puoi ammantare le tue ragioni di tutti i significati che riesci a trovare, alla fine la ragione è solo una. Facciamo quello che vogliamo fare. Siamo disposti a morire perché vogliamo farlo. Uccidiamo perché vogliamo farlo. Naminé non mi ha fatto nulla. La maggior parte della gente che uccido non mi ha fatto nulla, e anche la maggior parte di quella che uccidi tu. La maggior parte delle volte, i nemici sono gente che neppure si conosce, che non ha alcuna intenzione nei tuoi riguardi perché non sa chi sei. Le intenzioni non sono niente. Una volta che ci siamo dimenticati di esse, che cambiamo idea, mi dici tu che differenza fa? Contano solo i risultati.”

 

L’aria è del colore della ruggine, il cielo grigio e pesante. Viluppi di nubi si avvolgono su sé stessi, accesi dai lampi. Sono così bassi che sfiorano le cime dei palazzi.

Raffiche di vento sollevano torpidi mulinelli di polvere, foglie secche e petali caduti.

 

“Vuoi sapere perché li odio? Perché sul mio mondo, se alzavamo gli occhi per guardare le stelle, era solo per vedere se stavamo camminando nella direzione giusta. Perché sarei vissuta e morta nel fango, al servizio di qualcuno che non avrebbe mai conosciuto il mio nome. Adesso ho l’intero universo a disposizione, eppure devo nascondermi. La loro esistenza mi esilia nell’Oscurità. Per me è un buon motivo per odiare.”

 

Roxas tira leggermente uno dei lacci del cappuccio. Giocherella con l’estremità metallica e cesellata. La muove un po’, per far sì che la luce cangiante del cielo ci scivoli sopra e tragga riflessi dalla superficie incisa.

Nella strada sotto di loro, si è formata un’intera serie di trombe d’aria in miniatura.

 

“Quel pezzo di ferro è così interessante?”

 

Il ragazzino sobbalza. La voce di Larxene lo ha sorpreso. Per qualche secondo, si è perso in una specie di vuoto di pensiero.

Deve compiere uno sforzo consapevole per concentrarsi.

 

“So qual è il tuo motivo per combattere, Roxas. Fai domande a tutti e nessuno ti risponde. Perlomeno, nessuno ti dà le risposte che ti soddisfano, risposte che hanno senso. Non a quelle domande.”

“Mi dicono di non sapere.”

“E da quando ti sei accorto che ti mentono?”

“Ne sono stato sicuro il giorno in cui gli heartless hanno sfondato la serra.”

Lei abbassa per un attimo la testa sulle ginocchia e quando si risolleva, sta sorridendo.

“La prossima volta, dimmi anche l’ora esatta della scoperta, già che ci sei.”

 

Roxas ricomincia a tormentare il pendente del laccio, senza capire cosa ha detto che non doveva, o in quale modo lo ha detto, che non doveva.

 

“Però continui a provarci, anche se sai che mentono quando ti dicono di non sapere, e mentono quando tacciono. Preferisci far finta di non saperlo, perché tu non mentiresti mai a loro, non per una cosa tanto importante, e vuoi credere che sia reciproco. Così combatti anche quando non vuoi farlo. Loro te lo chiedono e allora obbedisci, sperando che, se sarai abbastanza bravo, abbastanza obbediente, alla fine si accorgeranno che meriti le risposte che chiedi. Non funzionerà, Roxas. Non basterà mai e ti chiederanno sempre di più.”

 

Il panino dimenticato, catturato dalla corrente, è spinto lontano e i lembi liberi dei mantelli sventagliano con violenza contro le loro gambe. Larxene si affretta a recuperare il libro e riporlo in una tasca.

 

“E’ colpa mia?” chiede Roxas.

“Sì.”

“Cosa ho fatto di sbagliato?”

“Niente. E’ per quello che sei, non per quello che hai fatto. Per questo non puoi fare niente neppure per rimediare.”

 

Rispondimi tu, allora.

 

Ma non lo chiede. Quella verità sfiorata è la personale forma di tortura riservata a lui. Chiedere non cambierebbe nulla, se non che si metterebbe in condizione di inferiorità rispetto alla ragazza. 

Tutti vogliono qualcosa. Non sa cosa vuole lei, ma qualcosa vuole di sicuro.

 

Un insetto vola davanti al suo volto, combattendo il vento. Le ali iridescenti discendono nel battito portante, si flettono, iniziano il battito ascendente. Ogni singola battuta di ala dura più di un suo respiro. Il ronzio è un brontolare profondo.

 

“Non voglio che tu faccia del male a Naminé. Io posso impedirtelo.”

 

Larxene si mette a ridere, come se non fosse appena stata minacciata.

 

“Adesso fai il cavaliere di qualcuno che potrebbe distruggerti con un pensiero? Naminé non ha bisogno di cavalieri, potrebbe difendersi benissimo da sola. Ma la cosa, purtroppo, non è reciproca e tutti noi abbiamo bisogno di essere difesi da lei. La scatola dove Zexion l’ha chiusa non basta per tenerla a bada.”

 

Roxas sbatte le palpebre.

L’insetto lo ha appena superato e continua il suo volo rumoroso e lentissimo.

Tutto intorno a lui è lento. I fiori agitano i tentacoli in un ritmo impercettibile, le nubi sono quasi congelate nel cielo, il vento si è indebolito contro la sua pelle.

I suoni sono un po’ rimbombanti, un po’ strascicati. 

 

“Non lo sapevi? Non te lo ha detto, il nostro grande psicologo? E’ stato lui quello che ha voluto isolarla. Non ti ha detto neppure chi è Naminé? Cavaliere, lei è il Drago.”

 

Dovrebbe dire qualcosa, ma adesso fa proprio fatica a riflettere sulle parole, quelle di Larxene e quelle che dovrebbe dire lui.

La donna scuote appena la testa.

 

“Rox, lascia stare. Se non mi credi, qualsiasi cosa possa dirti continuerai a non credermi e qualsiasi cosa dirai tu, io resterò della mia idea.”

 

Il ragazzino non cerca neppure di controbattere.

Ancora una volta, il tempo sembra essersi contratto. Capita, ogni tanto. Il mondo rallenta fino quasi a congelarsi e Roxas si trova a muoversi e pensare e agire in una scenografia statica. Ma non è il tempo. Il tempo è soggettivo. Il tempo dipende dal riferimento e il riferimento è lui. Può controllarsi, però, a volte, gli manca la voglia di farlo. 

Forse, un giorno o l’altro si troverà a vivere un’eternità per ogni secondo del mondo esterno.

Ma non c’è differenza in Larxene. Lei esiste alla sua stessa velocità, come lui. Come lui, è finalmente qualcosa di reale in un universo sempre troppo lento.

Tende la mano verso la guancia della ragazza. La tocca e le dita gli formicolano come quando ha volato fra le nubi.

Larxene è una rete di luce vibrante. Il fulmine le scorre nel sangue.

 

“Dimmi una cosa, Roxas. Definisci nemico qualcuno che ti impedisce di raggiungere un tuo obiettivo. Tu vuoi risposte su te stesso. Loro ti impediscono di ottenerle. Allora sono nemici? Sarebbe amico, qualcuno che ti aiutasse?”

 

Un lampo scocca con la violenza di una supernova, si scarica su uno degli edifici della città, e il tuono è un’esplosione lacerante.

Il ragazzo sussulta. Il fulmine è Luce ed è anche nel suo sangue.

 

Larxene si alza e scende le scale, fino a trovarsi nel mezzo della strada.

 

I tuoni sono continui, adesso che le folgori si susseguono quasi senza pausa.

 

Roxas raggiunge la ragazza.

Il cuore gli batte col ritmo dei fulmini. Ogni fulmine porta con sé un’immagine.

I fiori si avvoltolano su sé stessi per offrire meno superficie alla bufera.

Nel campo intorno al castello, si affrettano a tirare al riparo macchinari e apparecchi e rifugiarsi nelle tende.

C’è fumo e odore di ozono quando i lampi colpiscono il mare grigio.

La tempesta è diventata i suoi occhi.

 

 

* * *

 

 

Le terminazioni nervose si infiammano e c’è luce.

Il mondo si schiude.

Di fronte a lui, una donna dai capelli chiari.

La riconosce come donna, così come riconosce quella su cui poggia come terra, le sagome che lo circondano come persone.

Concetti senza significato.

Ma quel mondo che ha appena cominciato ad assumere una forma si disfa nel caos, i minuscoli frammenti di definizione e coerenza che ha conquistato si disperdono e lui è ricacciato nell’oscurità.

 

indietro

 

Prima della luce, c’è solo buio.

 

indietro

 

Sprofonda in quel mare nero e si trova in un mare turchese.

 

indietro

 

Creature grigie nuotano fra scie di bolle, turbini dacqua, e fischi e sibili organizzati in complesse armoniche.

 

indietro

 

SO… 

 

?

 

 

* * *

 

 

La tempesta elettrica prosegue per ore.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Ringrazio tutti per i sempre fantastici commenti e stavolta chiedo scusa per il ritardo impressionante ^__^

 

Chris: ti sbagli. Non storco il naso per la ragione sentimentale. Invece sono proprio felice che hai apprezzato l’apparizione di uno dei nobody minori ^__^

Capisco quanto sia facile provare simpatia per i 13, ma capisco poco invece il generale disinteresse che suscitano i nobody di truppa. Hanno lo stesso valore dei loro fratelli maggiori. Non mi va che siano considerati solo gli ostacoli da spazzare via perché tanto sono brutti e strani.

D’altra parte, devo fare il mio lavoro di avvocato del diavolo. E non è che agli heartless tolgo la parola, sai? Prima o poi Xehanort arriva ^__^

 

Adoro il mondo dove vivono i nobody (mai e poi mai lo chiamerò Mondo che non Esiste. Mi rifiuto di definire una cosa concreta ‘non esistente’ e se Xemnas ha qualcosa da obiettare, venga da me e ne parliamo faccia a faccia).

Certo, il primo pensiero è ‘Ma che aspettano a spostarsi?’. Ma, visto che stanno lì, non posso che ammirarli. I nobody saranno anche entità più o meno spirituali, ma sono materiali. Mangiano, dormono, hanno una casa e vestiti, vuol dire che hanno bisogno di riparo. In un mondo simile? Salute e auguri.

L’idea che costoro passino la vita solo o a far disastri sui pianeti altrui o ad annoiarsi a morte è del tutto campata in aria. In un mondo come quello, devono darsi da fare come castori solo per rimediare di che mangiare e non crepare di freddo. Certo, possono saccheggiare altri mondi, ma è aggiungere un’ulteriore sorgente di incertezza a un’esistenza già fin troppo incerta.

Tra l’altro, il loro mondo spazza via un altro luogo comune. Che la cosiddetta organizzazione sia in effetti solo un mucchio di tizi che si odiano vicendevolmente, che, per qualche sconosciuto motivo, decidono di vivere insieme. Forse per fregarsi meglio l’un con l’altro.

Insensato. Nel gioco viene mostrato solo il loro periodo finale, senza tenere conto dei precedenti. Non solo sono sopravvissuti anni su un pianeta dove sopravvivere non deve essere certo uno scherzo, ma hanno messo in ginocchio l’universo, e una guerra non si fa random. E’ un sistema organizzato.

Che siano individualisti a oltranza è evidente, ma sono gente che dipende l’una dall’altra e sono stati capacissimi di collaborare in modo altamente efficiente. Se non fosse così, semplicemente non sarebbero neppure arrivati al punto in cui li vediamo.

Tutti motivi per cui non sono mai riuscita a considerare i 13 ‘cattivi tutti d’un pezzo’. Non cattivi e sicuramente non tutti d’un pezzo. Sopporto quindi poco quando cercano di spacciarmeli per tali. E’ che non sopporto neppure l’altra versione, quella ‘poveri cucciolini indifesi tanto dolci che il cattivo universo vuole distruggere senza ragione’.

Ma è così difficile accettare personaggi che non si piazzano in una demenziale suddivisione buoni-cattivi? Mi pare davvero limitato come modo di pensare.

Alla fin fine, è proprio questo che mi ha affascinata di Kingdom Hearts. Senza questo, sarebbe una banalissima storia dove buoni e cattivi si prendono a legnate.

 

Oh, Marluxia ringrazia per l’apprezzamento ^__^

 

Lux:  Zexion e House ci sono arrivati indipendentemente. Sanno entrambi di cosa si parla, loro ^__^

Lo ammetto. Quella frase avrei potuto risparmiarmela e non sarebbe cambiato niente. E’ una specie di puerile ripicca nei confronti di tutte quelle storie dove odio e amore vanno a braccetto.

Ma caspita, non ne posso più di sentire parlare delle emozioni come se fossero indistinte qualità celesti senza causa, piuttosto che quello che sono, cioè funzioni assolutamente ordinarie di qualunque organismo dotato di uno straccio di sistema nervoso. Che si inzuppano, mescolano, confondono cose che esistono per ottenere risultati opposti, è ridicolo. Ma ti pare?

Anche nel gioco l’intera questione ‘emozioni’ è trattata in modo demenziale. DiZ ribadisce ostinatamente che non provano emozioni. Roxas gli urla allora che lo odia e lui fa: ‘E’ quello che voglio. Sora non sa odiare, quindi gli serve il tuo, di odio.’

E cosa sarebbe l’odio, o Saggio? Un tubero?

Mi viene voglia di urlare.

 

Giodan: eh, l’arrivo di Sora sarà drammatico. Tanto per riprendere la riposta a Chris, noi li vediamo solo nei loro ultimi tempi, durante una crisi che, probabilmente, era in essere da parecchio. Tempo sufficiente perché Xemnas infiltrasse un agente nel gruppo di Marluxia. E non credo proprio che il coinvolgimento di Axel sia roba da poco. Deve essersi guadagnato la fiducia di Marluxia e Larxene al punto che loro lo hanno coinvolto nella congiura.

O erano già amici da tempo, e Xemnas ne ha approfittato, oppure lui stesso ha mandato Axel dai due. In ogni caso, il rapporto fra Marluxia, Larxene e Axel non è quella specie di odio che traspare da molte storie, anzi, sono convinta che fossero molto uniti e da tempo. Non si rivelano i piani di rivolta verso il proprio legittimo re all’ultimo arrivato o a chi si odia o di cui non si ha la massima fiducia.

I nobody probabilmente sono convinti di poter sopravvivere a tutto, perché è questo che hanno sempre fatto. Vincono chiunque e qualunque cosa.

Poi arriva un ragazzino e li falcia. Aggiungi il tradimento reciproco e non escludo per niente che sia anche la prima volta che uno di loro alza la mano su uno degli altri. La crisi precipita. Ogni certezza va in frantumi.

A quel punto, c’è la fuga di Roxas, la loro chiave del futuro, e la sempre maggior instabilità mentale di Xemnas, che mi rifiuto credere fosse così squilibrato fin dall’inizio.

Non mi stupisco se in quel momento non riescono più a fidarsi l’uno dell’altro.

In effetti, Sora non li ha distrutti. E’ solo arrivato al momento giusto e ha dato il colpo di grazia.

 

 

  
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