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Autore: Apricot93    27/02/2015    4 recensioni
Dal Cap. 9:
«... E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, Rae, perché non me lo merito».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Non posso neanche controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che Finn merita tutto questo «e pensi che lei sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che hai ascoltato?».
Dal Cap.10: (Finn's POV)
«Sei peggio di una bambina dell'asilo, Rae» e mi sei mancata per tutto il tempo in cui sei stata via «ma sei adorabile...» le avevo sussurrato all'orecchio avvicinandomi di un passo.
Le sue guance erano avvampate all'istante, immediate come l'allegria che aveva spazzato via il mio nervosismo.
Che mi fossi imbarazzato anch'io, però, non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archie, Chloe Harris, Finn Nelson, Kester, Rae Earl
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 9: Il rifugio del Bianconiglio

Stamford - 1/4 Dicembre


Assurdità... Se io avessi un mondo come piace a me là tutto sarebbe assurdo. Niente sarebbe com'è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa.
Ciò che è non sarebbe, e ciò che non è sarebbe.


Così Alice descrive il suo mondo ideale poco prima di precipitare nelle profondità della terra per inseguire il Bianconiglio.
Piccola principiante, benvenuta nella mia vita, c'era bisogno di fare tanto chiasso per ritrovarsi in situazioni paradossali?
Sogni. Tanto dettagliati da sembrare reali, colori vividi, profumi intensi, imprese epiche e decisioni importanti. Quanto tempo si può trascorrere agognando una vita fittizia? E se poi quelle fantasticherie diventassero vita vera? Potrebbe mai essere la realtà all'altezza delle aspettative?
Solo un paio di giorni fa non facevo che perdermi in fantasiose dimensioni romantiche, scene da film e dichiarazioni in carta da zucchero. Saremmo stati di nuovo vicini, io e Finn, di nuovo uniti, innamorati, felici, ma quello che nessun sognatore professionista ti insegna e che si impara sul campo è che il passaggio dalla vita onirica a quella reale non è facile come sembra. Perché non sai più dove mettere le mani, ad esempio, ci si dimentica di respirare, non si sa dove guardare, come evitare di balbettare. E la morte per autocombustione non è poi una possibilità così remota.
Addio disinvoltura da film, benvenuto imbarazzo.

Un lato del fungo ti farà diventare più grande, l'altro lato ti farà diventare più piccola.

Oh, il pezzo del Brucaliffo, quando le dà il funghetto che la fa diventare prima gigante e poi lillipuziana. E se tutta la storia non fosse un sogno ma un effetto allucinogeno?
D'altronde tra maratonde con le stelle marine, fiori parlanti, Brucaliffo e Stregatto potrebbe anche darsi.
O peggio, se fosse stata anche lei sotto effetto di psicofarmaci? Dio, rischio di cominciare a parlare con le pan-farfalle e vedere dondo-libellule?
Ok, calma Rae, conta fino a 10 e smettila di straparlare mentalmente, è solo Finn.
Solo Finn...
Da quando siamo tornati da Leeds, due giorni fa, stiamo trascorrendo moltissimo tempo insieme. Nessuno dei due ha più nominato Eleonor né quello che è successo, ma è come se tutta l'esperienza vissuta insieme avesse creato un nuovo legame tra noi e abbattuto le incomprensioni delle settimane precedenti.
Dopo il viaggio di ritorno più silenzioso che la storia ricordi ero convinta che ci sarebbe stata una gigantesca nuvola di imbarazzo tra noi, e invece a neanche due ore dal rientro l'avevo ritrovato fuori dalla mia porta di casa, deciso a trascinarmi al College fuori dall'orario delle lezioni per fare il punto sulla mia situazione.
Un disastro annunciato, in pratica, niente che non sapessi già prima di sorbirmi l'ennesima ramanzina della Preside su quanto fossi rimasta indietro.
La panacea di tutti i mali? Crediti extra, le due paroline magiche che ci hanno condotti qui. A casa mia, sul mio divano, le sei del pomeriggio.
All'inizio mi era sembrata un'ottima idea guardare Alice nel Paese delle meraviglie insieme, un modo come un altro per sentirlo più vicino, ma non avevo fatto i conti con la mia emotività, e, come dicevo prima, con certe situazioni rappresentate nei sogni che si concretizzano nella vita reale a tradimento.
Avrei gradito una prova generale almeno, una simulazione in piena regola con tanto di posizionamenti studiati, e invece un minuto prima ero a Rae-Landia, un minuto dopo sui carboni ardenti.
Ora, il mio divano è un comodissimo rifugio a tre cuscini abbastanza grande da ospitarci entrambi, e se fossimo rimasti comodamente seduti uno accanto all'altra tutto sarebbe filato liscio, ma a pochi minuti dall'inizio del film non so come, né quando, né perché, la testa di Finn si è magicamente materializzata sulle mie gambe. L'aria annoiata e senza il minimo imbarazzo ha deciso come se fosse la cosa più naturale del mondo di straiarsi e mettersi comodo.
Il problema è che io ho smesso di respirare.
E di parlare.
E di muovermi.
... e anche di vedere il film, se è per questo.
Quindici minuti, una tortura cinese.
Ed eccoci qua, il ritratto perfetto di una coppietta di fidanzati. O almeno... la metà di una coppia, perché io sono più che altro in modalità statua di marmo. Finn guarda il film e io guardo lui, intento a giocherellare rilassato con una ciocca dei miei capelli, la testa poggiata sulle mie gambe, così vicino da percepire il ritmo regolare del suo respiro. Una scena idilliaca, se non fosse per l'imminente attacco di panico.
La verità è che sono una gelatina di imbarazzo e non ho la più pallida idea di come comportarmi, cosa siamo adesso? Amici? Fidanzati? Posso prendermi certe confidenze oppure no? Posso essere spontanea e abbracciarlo, se mi va, o devo controllarmi?
Ma al di là di certe paranoie il problema vero adesso sono le mani. Sì, le mani. La destra è poggiata sul bracciolo del divano, arpionato come un salvagente, ma la sinistra vive di vita propria e si muove convulsamente come sopra a un vulcano in eruzione pronto a ustionarla. Se la lasciassi andare planerebbe dritta sul torace di Finn, e a quel punto brucerei sul serio per autocombustione, però non posso nemmeno tenerla a mezz'aria a vita, sembrerei la prima della classe intenta in una sessione straordinaria di domande a raffica. Così ho trovato rifugio nel telecomando, il mio Sacro Graal.
Abbassa il volume, alza il volume, migliora la luminosità, accentua il colore, premi tasti a caso. Una psicopatica maniaca del controllo fatta e finita.
Speravo di non aver dato troppo nell'occhio, e questa forse è la parte più allarmante dell'intera faccenda, ma naturalmente mi sbagliavo.
«Rae vuoi smetterla di muoverti come un'anguilla? Molla il telecomando che mi stai facendo venire il mal di mare, non serve alzare e abbassare il volume ogni dieci secondi» mi intima Finn strappandomi la salvezza dalla mano.
E adesso?
Boccheggio vistosamente con il braccio teso come la sbarra di un passaggio a livello, ho raggiunto uno stato di agitazione tale da accorgermi appena dei mille gradi di calore sulle guance, ma è Finn a decidere per entrambi ancora una volta. Con un movimento del tutto spontaneo raggiunge la mia mano intrecciando le sue dita con le mie e poggiandola delicatamente sul suo petto. Così, come se fosse il gesto più naturale di questo mondo. Una posizione e un atteggiamento così intimi e romantici da lasciarmi senza fiato, perché nemmeno nei miei voli pindarici migliori avrei potuto immaginarli.
Potrebbe mai essere la realtà all'altezza delle aspettative? No, è decisamente migliore.

Mi risveglio da una sorta di dolce torpore durante la canzone dei fiori, l'iris sta suonando una calla come fosse un'arpa, le margherite tramutate in percussioni si distruggono a vicenda, mentre la rosa rossa direttore d'orchestra tiene il ritmo per tutti. La povera Alice tra risate di scherno viene declassata a erbaccia e cacciata via. Curioso, penso, mi ricorda qualcosa, se ci fosse una peonia giallo canarino lucida di gocce di rugiada avremmo il gruppetto di Barbie Stronzo-fiore-di-primavera al gran completo.
Finn, sempre immobile nella sua posizione, segue la storia ridacchiando di tanto in tanto mentre con le sue dita accarezza lievemente le mie, mi provoca brividi continui lungo la schiena e un sorrisetto ebete che proprio non vuol saperne di abbandonarmi «ti hanno già detto che parte farai?».
Chi? Come? Ah... la parte.
Già, sono così impegnata a godermi il momento da aver dimenticato il vero motivo per cui siamo qui «macché» borbotto in risposta «la Signora Patmore me lo comunicherà domani durante le prove. Ma si tratta sicuramente di un piccolo ruolo secondario, forse due se gli manca qualcuno. Probabilmente un fiore e una carta della Regina di Cuori, credo che tutte le parti principali siano già state assegnate. Meglio così, poche battute e poco tempo sulla scena» anche perché il panico da palcoscenico fa parte del mio DNA dalla nascita.
Il palcoscenico... Dio, Kester mi ucciderà, in tre giorni ho fatto esattamente tutto quello che lui mi aveva chiesto di evitare come la peste: invischiarmi in situazioni di stress, essere al centro dell'attenzione e impelagarmi in relazioni non definite. Tutte fonti inestinguibili di agitazione, ansia e panico.
Ma quando la Preside mi ha prefigurato quest'anno di studi come la disfatta di Caporetto proponendomi di sostenere la media con crediti extra, il corso di teatro mi è sembrato il più innocuo, il male minore. Di solito in questi casi, quando si entra a corso già iniziato, il massimo che può capitarti è occuparti della scenografia, dei costumi, fare studi aggiuntivi sugli autori, come avrei mai potuto ricordarmi dello spettacolo annuale di beneficenza?
Alice nel Paese delle meraviglie, per l'appunto, quest'anno, peccato che nonostante conoscessi a grandi linee la storia non avessi mai letto il libro, né tantomeno visto il film, che a quanto pare sarà la linea guida della nostra messa in scena.
«Ma secondo te non è una storia troppo da ragazzini? Insomma, fiori e farfalle che cantano, conigli con la fissazione per i ritardi, gatti che compaiono e scompaiono a comando...».
«Certo che lo è, i nostri spettatori saranno i bambini delle Case Famiglia della città... spettacolo di beneficenza, ricordi?».
Finn si volta verso di me come colto da un'illuminazione, mi scruta con attenzione e sorride «ah già, giusto. Ma dimmi una cosa... tu che parte vorresti fare? Se dipendesse da te, intendo».
Bella domanda. Io sono già Alice nella vita di tutti i giorni, non ho bisogno di precipitare nel vuoto per perdermi e ritrovarmi in un mondo dove la gente cammina a testa in giù, o dove sono l'unica a non essere mai nel posto giusto al momento giusto, e forse proprio per questo l'avrei esclusa a priori «non so... forse il Cappellaio Matto, mi si addice, è scombinato quasi quanto me. Oppure la Regina di Cuori, Tagliaaaaaatele la testa!» la cito provando a imitare il suo tono burbero scuotendo violentemente la testa. In effetti se provassi a recitare la sua parte con il pensiero di Stacey nella mente potrei anche risultare parecchio convincente.
Finn si solleva sulle braccia fino ad arrivare alla mia altezza, mi guarda negli occhi e scoppia in una fragorosa risata «naa, tu sei il Brucaliffo fatto e finito».
Sono perplessa, un po' per la risposta e un po' perché questo dimostra che sta seguendo la storia sul serio «perché?».
«Quando Alice gli domanda cosa sia... lui le risponde di essere un'incognita. E alla fine si trasforma in farfalla e svanisce... Ti somiglia molto più di quanto pensi» dichiara, serio, tornando a sdraiarsi sulle mie gambe con la testa rivolta allo schermo.
È questo che sono per lui? Un'incognita?
È così frustrante avere proprio sotto agli occhi il fallimento di un'intenzione. Quello che provo per lui è così chiaro e definito che mi sembra impossibile anche solo dubitarne. Vorrei riuscire a comunicargli quello che provo quando siamo insieme, a fatti e a parole, eppure l'unico atteggiamento che mi viene spontaneo è balbettare frasi sconnesse e avvicinarlo quasi con timore. La ragione è più determinata del mio cuore a quanto pare, ed è un disastro se voglio Finn nella mia vita.
«Tu invece sei sicuramente il Bianconiglio» dico pizzicandogli un fianco «anche se non lo dici mai apertamente non fai che ricordarmi che sono in ritardo e... beh, che ho un pessimo tempismo» ammetto mestamente.
«Mi manca un orologio da taschino» aggiunge, ironico «però... in fondo non penso davvero che sia troppo tardi».
E stavolta sono io a cercare la sua mano e stringerla forte.

Stregatto che strada devo prendere?
Tutto dipende da dove devi andare.
Beh in realtà importa poco.
Allora importa poco che strada prendi, Alice.


Questa stupida favoletta per bambini comincia a mettermi alla prova più di quanto avessi immaginato, in certi punti è quasi come se mi leggesse dentro, meno male che il passatempo preferito del momento è trovare correlazioni tra realtà e finzione sui nostri amici.
«Lo Stregatto è Archie!» dichiara Finn con una risata, indicando lo schermo «guardalo, ti propone quel sorrisetto compiaciuto e ti infarcisce di suggerimenti a interpretazione libera. Dai, è lui».
Mi unisco alla sua risata e rilancio «è vero, invece Izzy e Chop sono la regina di Cuori e le povere cartine, lei comanda, lui obbedisce. E Chloe è il Leprotto Bisestile sempre impegnato a festeggiare i NonCompleanni!» rincaro la dose prossima alle lacrime.
In effetti siamo un piccolo microcosmo di meraviglie, e quando Alice ritorna alla realtà e compaiono i titoli di coda sono quasi dispiaciuta che sia già finita.
Ci alziamo dal divano entrambi per sgranchirci un po' le gambe e il suo calore già mi manca. Lo osservo di sottecchi per assicurarmi che vada tutto bene, ma come succede ormai da quando siamo ripartiti da Leeds lo sorprendo pensieroso e malinconico.
Vederlo tanto scosso a causa di Eleonor è stata una prova difficile da superare perfino per me, e ho scelto di non addentrarmi più nell'argomento rispettando il suo silenzio, ma so benissimo che i pensieri continuano ad arrovellarglisi nella testa, li vedo anche da fuori provare a venire a galla. L'immagine che Finn mostra normalmente di sé stesso è così diversa dalla realtà, ma nonostante questo ci sono caduta perfino io che gli sono stata vicino quotidianamente per mesi. Ho creduto a quello che mi faceva più comodo vedere. Avevo bisogno di una roccia, una persona solida e risolta che potesse aiutarmi a rimanere a galla, e ho chiuso tutti e due gli occhi davanti alle sue debolezze. Eppure era così chiaro, il suo modo di fare del momento non differisce di una virgola da quello che ha sempre adottato da quando lo conosco, ma adesso nei suoi occhi distinguo anche le falle, le fragilità, i rancori e le mancanze.
Riconosco il momento esatto in cui gli passa per la testa un pensiero storto, i suoi occhi diventano liquidi come il miele e le spalle si irrigidiscono immediatamente. Non sono stata attenta con lui, non ho voluto esserlo, ed è un errore che non voglio più commettere, non adesso che so quanto abbia bisogno di me, forse, ora, addirittura più di quanto io stessa ne abbia di lui.
«Ehi» sussurro posandogli una mano sulla spalla «va tutto bene? Non voglio tirare in ballo di nuovo tua madre, però...».
«Allora non farlo» mi interrompe, «va tutto bene. Piuttosto toglimi una curiosità» eh, l'antica arte della distrazione dall'argomento scomodo «ieri quando siamo andati dalla Signora Patmor mi è sembrato di vedere in teatro Liam, quel tuo amico, è iscritto al corso anche lui?» domanda sibillino e, se non la reputassi una reazione assolutamente fantascientifica... un tantino infastidito?
Chissà se è geloso di me...
Ahhh Rae, smettila! È come se Liam Gallagher fosse geloso di... boh... di un Puffo che suona il mandolino, ecco.
Impossibile, quindi torna sulla Terra.

«Sì, credo sia nella mia stessa situazione. Ma da quanto ho capito si occuperà delle scenografie, questioni di sega e martello insomma, dubito accetterebbe mai di mettersi in gioco in uno spettacolo, non è il tipo».
Sopracciglio alzato e sguardo vispo, Finn mi osserva curioso «non è il tipo eh? E tu lo conosci bene, naturalmente, ma...» prosegue fingendo inutilmente noncuranza «è... è mai venuto a trovarti a Sleaford? Non che mi interessi eh, così, semplice curiosità».
Come no, semplice curiosità, per risultare ancora meno convincente di così dovrebbe mettersi a fischiettare saltellando su una gamba sola. Forse un pizzichino di gelosia è materia davvero di tutti i comuni mortali, nessuno escluso «mah... no, non è mai venuto a trovarmi, però ci siamo sentiti, sai per lui è più facile immedesimarsi nella mia situazione, abbiamo molte cose in comune» lo provoco trattenendo a stento una risatina.
«Mh» borbotta accigliato.
Ma il mio momento da femme fatale termina nel giro di un paio di secondi, è così tenero con il broncio, come faccio a mantenere un minimo il punto? Come?
Sventolo bandiera bianca ancora prima di riaprire bocca «però non è stato lui a convincermi a tornare» ammetto arrossendo fino alla punta dei capelli.
Finn torna a guardarmi negli occhi regalandomi il suo migliore sorriso imbarazzato voltando appena il viso, poi afferra la sua giacca e si avvicina alla porta «comunque domani ti accompagno, sai... per assicurarmi che tu ci vada davvero» dice un attimo prima di schioccarmi a tradimento un bacio sulla guancia.
Mi limito ad annuire ancora in modalità rapa matura quando indietreggia di nuovo «senti Rae, c'è una cosa che voglio dirti da quando siamo tornati da Leeds» ammette imbarazzato «ho capito che, forse, potremmo...».
Si blocca di nuovo, perché è così sulle spine? Vederlo in difficoltà sta agitando anche me, ho quasi paura perfino a pensarlo ma... sono felice. Sono felice senza motivo e ancora non ha detto una parola.
«Magari ne parliamo domani però, voglio prima darti una cosa, ok?» sussurra sorridendomi dolcemente.
«Va bene, co... come vuoi».
Mi saluta con un cenno di mano e lo seguo mentre si allontana... sono emozionata, forse un passo alla volta potrò ricominciare a sentirlo mio.
Mio...

* * * * * * *



Esilarante, buffo e grottesco.
Sono prossima alle lacrime, ma non devo cedere.
«Rae Earl, non-dire-niente» mi intima Archie scandendo ogni parola con fare omicida.
Pensa a qualcosa di terribilmente triste, forza Rae, sforzati, triste e orribile.
La fame nel mondo, le guerre, tu in costume da bagno, tu in costume da bagno nei corridoi del college.
Ok, questo è troppo.

Provo a calmare la risata isterica che reprimo ormai da dieci minuti, ma quando alzo gli occhi e lo vedo non c'è condizionamento che tenga. Gli scoppio a ridere in faccia senza troppe cerimonie e mi gioco il tutto per tutto cercando di scovare il lato positivo della faccenda «Arch, sei veramente...» aria, datemi aria «sei veramente...».
«Non-dirlo, non-ci-provare» borbotta ancora il malcapitato scostandosi appena un petalo dagli occhi.
Tentativo fallito, è buffo a livelli imbarazzanti «sei veramente un fiorellino, Arch».
A quelle parole seguite da risate e lacrime, il mio, a questo punto ex, migliore amico mi rivolge lo sguardo killer migliore del suo repertorio sbuffando copiosamente, e con un gesto teatrale perfettamente nella parte, c'è da dire che secondo me è davvero portato, si sistema la corolla intorno al viso e poi si accascia su una poltroncina delle prime file.
È esausto, il ritratto della frustrazione, e siede tra il narciso e la rosa rossa, a due passi dall'iris con l'arpa.
Lo spettacolo che mi si para davanti agli occhi è qualcosa di unico, un prato fiorito in piena regola per la scena della canzone dei fiori nella recita di Alice. Siamo arrivati da mezz'ora in teatro e la Signora Patmore ha distribuito le parti. Finn e Archie sono stati coinvolti all'ultimo minuto, e catapultati nel Paese delle meraviglie da un'agitatissima insegnante sull'orlo di una crisi di nervi per carenza di personale. In realtà i due malcapitati erano semplicemente venuti per accompagnarmi, ma, di fatto, Archie adesso è ufficialmente una margherita azzurra, mentre Finn se l'è cavata con i lavori per la scenografia.
Mi sbraccio verso quest'ultimo, intento a montare una collinetta sotto al cielo azzurro, per invitarlo ad avvicinarsi sperando riesca a sdrammatizzare la situazione e risollevare Archie, ma quando arriva a pochi passi da noi la situazione peggiora drasticamente.
Non appena scorge nella vegetazione i petali azzurri di Archie si sblocca impietrito ed esplode in una fragorosa risata senza proferire parola. Se continua così rischia la morte per soffocamento, temo.
«Ecco! Perché lui è ancora un essere umano e io sono l'ultimo anello della catena alimentare?» impreca Archie pugnalandolo mortalmente con gli occhi, «Rae, questa me la paghi, non so ancora quando né come, ma verrà il giorno in cui tu la pagherai e non resteranno che piccoli pezzettini microscopici di te, nemmeno tua madre con una squadra di restauratori di mosaici al seguito riuscirà a ricostruirti».
Gli occhi ridotti a due fessure e lo sguardo iniettato di sangue... forse è un po' arrabbiato.
Va bene, è vestito da fiore ed è decisamente furioso, ma non è mica colpa mia!
Finn, appena ripresosi dallo shock iniziale, gli si avvicina con cautela circondandogli lo stelo con un braccio, «oh dai Arch, non farla tanto lunga, avresti potuto rifiutarti, in ogni caso non sei poi così male».
Credibilità zero contornata da ottime intenzioni, ma se non la smette di sghignazzare come pretende di essere preso sul serio?
«Beh certo, non sei mica tu quello vestito da margheritina di campo! E poi rifiutarmi, dici? Quel diavolo fatto donna» impreca indicando con un dito la nostra insegnante «mi ha infilato questo costume ridicolo ancora prima che potessi rispondergli! Hai idea della figura di merda che farò e che mi rincorrerà per i secoli a venire? Lo scemo del villaggio, Finn, ecco cosa sarò d'ora in poi!».
Chi glielo dice che dovrà anche far finta di suonare il violino? È talmente rosso in viso che mi fa quasi paura, sembra un vulcano in piena eruzione, magari i particolari li tirerò fuori dopo, quando si sarà calmato... SE si calmerà.
Lasciando da parte ogni speranza di conciliazione, Finn si avvicina a me sorridente circondandomi la vita con un braccio «a te che parte hanno dato?».
«Parti, so... sono due» provo a spiegarmi mentre realizzo quel contatto inaspettato sulla pelle «una carta della Regina di Cuori e il Brucaliffo... a quanto pare avevi ragione tu sulle somiglianze» ammetto imbarazzata.
In effetti quando la Signora Patmore mi ha assegnato la parte sono stata a un passo dal cielo nonostante il pessimo sentore sul costume di scena. Ma non importa, prima di tutto perché ormai rendermi ridicola per me è una specie di sport, sono una professionista, e poi perché sono pur sempre una futura farfalla. Sarò anche esageratamente romantica e ottimista, ma tutta questa storia della trasformazione mi sembra di buon auspicio.
«Te l'avevo detto io, sono un talento negli accostamenti realtà-finzione» gongola lui a pochi centimetri dal mio viso.
Non partire subito per la tangente, Rae, rilassati e non avvampare, che il Brucaliffo è azzurro, non rosso amaranto!
Niente, una causa persa in partenza.
«Senti, Rae, io sto andando al magazzino per recuperare un paio di pannelli per le scenografie, ti serve qualcosa?» il tono di Finn è così premuroso da sembrare surreale. Per sicurezza mi regalo un paio di pizzicotti senza farmi notare assicurandomi di essere ben sveglia «no... no, sto bene così, grazie» gli rispondo imbambolata.
Lui scioglie la presa e si volta alla versione disperata e furiosa di Archie «a te serve qualcosa? Una tazza di caffè... un rastrello... un po' di concime...?» sogghigna allontanandosi rapidamente da noi prima che l'ira funesta di Archie lo colpisca in pieno.
«Sei davvero divertente, Giuda!» gli urla infatti dietro quest'ultimo come la migliore Regina dei Drammi «ricordati che chi la fa l'aspetti!».
E ho come la sensazione che quell'ultimo ammonimento sia diretto anche alla sottoscritta...

Nell'ora successiva al dramma di Archie l'atmosfera si è fatta decisamente più rilassata.
Ognuno di noi si sta dando da fare nel suo compito come brave formichine operaie e tutto procede a ritmo sostenuto.
La mia prova costume si è rivelata meno traumatica di quanto pensassi, certo sono pur sempre un lombricone azzurro, ma se mi ripeto allo sfinimento farfalla, farfalla, farfalla, riesco a non imbarazzarmi più del necessario. Oltretutto non si tratta che di poche battute, e l'idea di esordire con un Coooosa esssser tuuuu? mi diverte molto.
Oltre ai doveri artistici però, la nostra carceriera, come Archie ha soprannominato la Signora Patmore quando il suo livello di rabbia è passato da lava incandescente ad acqua bollente, ci ha pregati di dare una mano con le scenografie, ed ecco che ci siamo tramutati come per magia in esperti del bricolage.
Mi sono sempre piaciuti i piccoli lavoretti manuali, mi rilassano, per una abituata a distruggere tutto come me provare a costruire qualcosa è una vera sfida, e mentre osservo i miei amici darsi da fare tra martelli, chiodi, pennelli e vernici colorate, pitturo allegramente il mio angolino di cielo blu.
Come cambiano le cose, un mese fa non avrei dato a me stessa nemmeno una piccolissima speranza di essere qui, oggi. Eppure nonostante mi senta sicuramente meglio non so fino a che punto considerarla una buona cosa o l'ennesima beffa.
Sono tornata a casa da Sleaford già da qualche giorno, ma ancora non ho avuto un attimo di tregua per riflettere seriamente sul da farsi. Vedrò Kester dopodomani e la cosa mi preoccupa molto. In momenti di quiete come questo dimentico che per le persone come me l'ennesima nuvola non è solo una possibilità remota ma una certezza concreta, ed è un guaio, perché crogiolarsi nella felicità non fa che moltiplicare l'impatto della caduta successiva.
In questi ultimi giorni la mia vita ha ruotato intorno a tutti i miei affetti, la mia famiglia, Finn, i ragazzi, e ha riacquisito una parvenza di normalità che vorrei tenermi stretta per sempre. Ma non ho dimenticato il motivo che mi ha spinta a fuggire da qui, come non ho dimenticato il terrore, la solitudine e l'estraneamento provati.
Sono davvero io, Rae, è questa la vera me? O dovrei fare affidamento su qualche altro riflesso immaginario? Come faccio a riconoscere senza possibilità di errore il confine tra reale e fantasia? Come posso riprendermi la mia vita senza che l'affetto dimostratomi si trasformi in delusione?
Ogni tanto osservo Finn e sento un nodo alla gola fatto di sensi di colpa che non mi dà pace, adesso che ho capito quanto possa sentirsi fragile anche lui dovrei volerlo sapere accanto a qualcuno in grado di stargli vicino davvero, di sostenerlo come lui ha sempre fatto con me. Ci ho provato anch'io goffamente a stargli accanto, certo, ma sono veramente troppo incasinata per caricarmi addosso anche il peso delle sue, di questioni irrisolte. Eppure non riesco a staccarmi, ogni volta che la mia coscienza fa capolino tra i pensieri e mi chiede di lasciarlo andare la caccio via senza colpo ferire, perché senza di lui io non riesco più nemmeno ad immaginarmi. Ma so di non meritarlo, e so quanto meriti di meglio lui.
Il problema è che se è vero che non sono capace da sola di definire me stessa, è altrettanto vero che senza Finn, o Archie, o Chloe, la mia identità sarebbe perduta per sempre in ogni caso, perché sono proprio loro a definire me. Come amica, come fidanzata, come confidente. Ritrovo il mio spazio nel mondo grazie a loro, che hanno un peso specifico nella mia vita a cui non potrei rinunciare nemmeno volendo o finirei col perdermi sul serio.
E io so bene quanto sia stata vicina a vederlo accadere.
«Ehi, Terra chiama Rae, rispondete».
Una voce divertita interrompe le mie riflessioni, Liam seduto a un metro da me mi osserva incuriosito con un pennello grondante verde ancora in mano, teso a invadere il mio campo visivo e richiamarmi alla realtà.
«Scusa, ero un po' distratta».
«Me ne sono accorto» risponde sorridendo «tutto bene?».
Tutto bene... Se avessi una moneta per tutte le volte che me lo sono sentita ripetere, a quest'ora potrei pagare una compagnia di attori professionisti e una squadra di operai specializzati per allestire uno spettacolo degno di Broadway «benissimo» rispondo, secca.
Come se potessi mai risultare credibile agli occhi di un mio simile «farò finta di crederci, ma toglimi un dubbio, tu e Nelson state di nuovo insieme?».
«Finn, dici?» sentirlo chiamare per cognome è quasi destabilizzante, in ogni caso la domanda mi imbarazza lo stesso, tanto che evito di staccare gli occhi dalla mia straordinaria opera d'arte monocolore «mh... direi di no... perché me lo chiedi?».
Ricevo in risposta una risatina sibillina «perché ti osserva in continuazione, e questo di per sé non sarebbe un problema, però... osserva anche me, e questo non mi piace. C'è qualcosa che dovrei sapere?».
Momento, momento, momento.
Finn mi osserva?
LUI osserva... ME?
Sento il cuore cominciare a lanciarsi in danze sfrenate e il mio ego respirare a pieni polmoni. Quindi è geloso sul serio, di Liam, cioè, di ME per Liam, oddio questa però è fantascienza sul serio. Va bene, tutte le prove fomentano questa teoria, che resta però quasi fuori dal mondo. Se lui è geloso, io cosa dovrei fare?
Tra Barbie Patinata sempre col fiato sul collo e tutte le altre ochette che ci provano, io cosa dovrei fare? Imbottirmi di tranquillanti? Andare in giro con una motosega?
Ed Elle? Oddio, lei forse è la più pericolosa di tutte. In effetti stamattina Finn ha fatto diverse pause per andare a telefonare, e se si trattasse di lei? Se stesse tornando? Se ieri sera quando stava per andarsene da casa mia avesse voluto semplicemente prepararmi al suo ritorno? O, peggio, a un ipotetico fidanzamento?
Ossigeno, mi serve un po' di ossigeno. Ma perché diavolo devo sempre finire a straparlare?
«Mh...».
Oh, no. Mi volto alla mia destra richiamata da un borbottio, e un Liam ancora più incuriosito e vagamente in apprensione mi scruta con l'attenzione di uno scienziato per un esperimento di vitale importanza. Devo sembrargli parecchio strana in questo momento. Beh... più del solito, intendo.
«No. Per rispondere alla tua domanda, non c'è niente da sapere. Io e Finn siamo solo amici, per ora» e calco in maniera decisamente innaturale su quelle due ultime paroline «non distrarti, su, continua a pitturare che non abbiamo tutta la vita per farlo» taglio corto imbarazzatissima sperando di metterlo a tacere.
Ma adesso sono nervosa, le paranoie di poco prima mi hanno completamente destabilizzata. Mi volto scannerizzando il teatro alla ricerca di Finn e lo trovo solo un paio di minuti dopo di ritorno da dietro le quinte... e dal telefono. Ancora il dannatissimo telefono.
Stavolta un paio di nuvolette su questa tavola azzurra non me le toglie nessuno.

* * * * * * *



A fine giornata sono un gigantesco fascio di nervi e le unghie già mangiucchiate non bastano a placare la mia frustrazione.
La presa di coscienza sulla mia attuale situazione con Finn mi è arrivata addosso tutta insieme e non faccio che pensarci. Siamo in un fottutissimo vicolo cieco.
Ha ripreso ad essere tenero e affettuoso con me, è vero, ma all'atto pratico questo cosa significa? Non ci sono state dichiarazioni d'amore, non mi ha mai detto niente che potesse farmi intendere il nostro rapporto come un qualcosa di romantico. Mi è stato vicino, molto vicino, in parecchie circostanze oltretutto, e io so che lui non è solito a questo genere di atteggiamenti a meno che non si tratti di persone a cui tiene in modo particolare. Ma noi siamo stati insieme, abbiamo condiviso un sentimento importante, quindi forse è normale avere un senso di intimità più pronunciato.
E poi c'è Elle, ed è un altro dato di fatto.
Sono rimasta decisamente indietro su di lei, quando ci siamo parlate mi ha confidato di essersi presa una bella cotta per Mister Ombroso, ma lui? I suoi pensieri in proposito sono ancora un'incognita per me dato che non me ne ha mai accennato. E non li ho nemmeno mai visti insieme, non che mi dispiaccia per carità, ma non ho il minimo indizio sull'intensità della loro complicità, ammesso che ci sia, o sulle intenzioni di Finn per questa nuova conoscenza. E se le dedicasse le stesse attenzioni che riservava a me quando stavamo insieme? Se riconoscessi l'amore che una volta indirizzava a me nei gesti rivolti ad un'altra?
Un'altra, Elle, che potrebbe godere dei suoi abbracci, dei suoi baci, dei suoi sorrisi, delle sue attenzioni e delicatezze.
No. Decisamente no. Devo smetterla di pensarci.
Prima di tutto perché rischio seriamente di finire in manicomio, di nuovo, e poi perché fare previsioni funeste non serve a niente se non a vedersele avverate prima nella fantasia e poi sotto agli occhi. Una doppia tortura. Ma ammetto che è estremamente facile farne adesso che Finn non c'è, assente giustificato per via degli allenamenti. Come se rincorrere avanti e indietro una stupidissima palla fosse più importante di imbrattare pannelli di compensato con disegni astratti.
Sono talmente impantanata nelle paranoie da accorgermi di Archie la margherita solo nel momento in cui mi passa una strisciata di vernice azzurra su una guancia «ma dai! Guarda qua» farnetico nel tentativo di pulirmi «sei perfido».
«Perfido? Vuoi sapere cosa sia la perfidia? Guardami vestito da fiore di campo e saprai dirmi...» risponde seccato terminando il suo capolavoro impressionista sulla mia faccia «dai, adesso datti una pulita che ti accompagno a casa, ti aspetto fuori».
Arraffo qualche fazzoletto di carta e mi sistemo la faccia tra un'imprecazione e l'altra dopo aver mugugnato un «ok» di risposta a Monet, poi raccolgo borsa e giacca e lo raggiungo fuori nell'aria gelida della sera.
Finalmente l'espressione accigliata post-eruzione sembra aver abbandonato il viso di Archie che è tornando a essere il tenerone di sempre, mi accoglie con un sorrisone davanti al teatro, prendendomi sottobraccio mentre cominciamo a camminare «allora Signorina, siete tornati da Leeds da due, dico ben due giorni, e ancora non mi hai raccontato niente» si lamenta saltando i convenevoli «ma vi ho visti, sai, tu e Finn, carini, complici... che mi sono perso?».
Eccone un altro, qui sono in piena crisi esistenziale e lui attacca con le domande pettegole «proprio niente, Arch. Siamo andati e tornati e basta, amici come prima, ci vogliamo bene. Stop».
«E questa acidità a cos'è dovuta, di Grazia?» domanda squadrandomi con un sopracciglio alzato.
«Non è acidità, Arch, sono solo io che prendo coscienza della situazione».
«Che situazione?» mi scruta perplesso, quasi si aspettasse un'assurdità da un momento all'altro.
Mi fermo gonfiando le guance ferita nell'orgoglio e lascio il suo braccio ripartendo a passo di carica «Elle. Mi sono ricordata dell'esistenza di Elle, che se non è già tornata sicuramente tornerà presto. Ha una cotta per lui, te lo ricordi, no? È una bella ragazza, non è una psicopatica e scommetto che non parla nemmeno da sola» concludo sbuffando.
«No, fammi capire» mi afferra un braccio interrompendo la mia marcia solitaria di indignazione «dopo quello che avete passato insieme in questi giorni, tu pensi a Elle? Sul serio?».
Ci manca solo che scoppi a ridermi in faccia, perché dovrebbe essere un'idea così strana poi, non ho nessuna voglia di sorbirmi una ramanzina, né riflessioni sagge a sottolineare la mia idiozia, quindi mi libero dalla sua presa e ricomincio a camminare in silenzio a testa bassa.
«Aspetta un momento» mi supera ostruendomi il passaggio per conversare occhi negli occhi, detesto quando fa così, significa che sta per dirmi qualcosa di intelligente e sensato «continui a perdere di vista le cose essenziali, è evidente. Lui ha voluto te, non Elle, non suo padre, non me, per affrontare un casino gigantesco che si trascina dietro da anni. Anni, Rae. E che riguarda sua madre, la sua famiglia, la parte in assoluto più intima e privata della sua vita. Perché secondo te?».
«Beh, ma...».
«No, non mi serve una risposta» mi interrompe immediatamente «io la conosco già, e stasera mi sento così magnanimo da voler condividere il mio immenso sapere con te» dichiara teatralmente. «Finn è uno zuccone. Ha un milione di qualità e gli affiderei la mia vita, ma è uno zuccone, e lo è soprattutto con te. Ma non lo fa per ferirti, lo fa per tutelarsi».
«Tutelarsi? Ma...».
«Zitta» mi interrompe di nuovo, «fammi finire. Tutelarsi, sì, perché tu, Rae, hai un milione di qualità come lui, ma l'hai già ferito tante volte, e lo sai anche tu. Ciò che tiene Finn lontano da te è la paura di ritrovarsi ancora una volta con un pungo di mosche in mano, mentre quello che tiene te lontana da lui non è Elle, non sarà mai Elle, e non è nemmeno un'altra ragazza. Sei tu, Rae. Se tu volessi potresti stare insieme a lui anche adesso, Finn è innamorato di te da quando vi siete messi insieme, forse anche da prima, e non ha smesso nemmeno quando vi siete lasciati... nemmeno quando ha provato a stare con Olivia» aggiunge un attimo prima che potessi chiederglielo io.
«Ed è per questo che ha voluto te quando è tornato da Eleonor. Capisco che fantasticare sui problemi sia più facile che affrontare la paura di un eventuale rifiuto, ma credimi testona, quel rifiuto è solo ed esclusivamente nella tua testa. Quindi smettila di arrovellare gli ingranaggi del tuo cervellino e dai a Finn la fiducia che merita, direi che con te se l'è guadagnata sul campo. Non credi?».
Tipico.
La solita storia, Archie apre bocca e improvvisamente passo dalla modalità farneticante a quella gioco-del-silenzio.
Ha ragione su tutta la linea porca miseria, e anche se non lo ammetterò mai davanti a lui so bene anch'io che la colpa di tutti i casini che ci sono stati tra me e Finn trova nella sottoscritta la quota maggiore di responsabilità.
Ma non voglio più parlarne per ora, mi limito a un rapido cenno di assenso più per togliermi di dosso i suoi occhi che altro, e lo prendo di nuovo sottobraccio in silenzio.
Tanto lo sa anche senza che glielo dica, che mi ha fregato ancora una volta.

In giro per la città cominciano a comparire le prime lucine natalizie, siamo già a Dicembre, quest'anno ho perso così tanto tempo dietro alle mie paturnie da aver vissuto praticamente a mesi alterni. E il risultato è che il tempo è volato e non me ne sono resa conto.
Natale... mi piacerebbe regalare un po' di serenità a Finn, l'idea che tra lui e la Regina Madre ci sia di nuovo il gelo continua a scavarmi nel cervello come un martello pneumatico. Vederlo a terra è stata un'esperienza terribile per me, e non oso immaginare come possa viverla lui adesso.
Di sicuro se glielo chiedessi apertamente minimizzerebbe tutto dicendo che non gli interessa, che ci ha fatto l'abitudine, condendo quelle sciocchezze con una scrollata di spalle. Ovviamente in una remotissima ipotesi di apertura al dialogo, perché sono quasi certa che non mi risponderebbe proprio.
La testardaggine è un tratto che ci accomuna purtroppo, proprio il peggiore dovevamo ritrovarci, perché tanto le cose tra noi sono già così facili...
E chissà come l'ha presa Eleonor, quella donna per me resta un mistero, ritrova il dialogo con suo figlio dopo anni, le cose vanno male e lei che fa? Sparisce di nuovo. La codarda che c'è in me solidarizza con lei, ma è pur sempre una madre dopotutto, io non vorrei arrivare con questo caratteraccio alla sua età, come può accettare l'idea di perdere Finn? Di essere addirittura detestata da lui? Io rifinirei in analisi per molto meno... e se...
«Archie, come la giudicheresti un'ipotetica chiacchieratina amichevole tra me ed Eleonor?».
Silenzio.
Brusca frenata.
Congelamento immobilizzante.
Forse non gli sembra una buona idea?
«Eleonor. Quella Eleonor? La Eleonor di Finn?» domanda balbettando... e che avrò mai detto di tanto assurdo?
«Certo, lei, è l'unica Eleonor che conosco».
Mi guarda attentamente, forse per cercare di capire se la mia sia stata una battuta, ma sono seria, serissima, e poi l'ho anche conosciuta, non è mica un mostro a due teste. Prende un paio di respiri profondi «ok, ti rispondo. Come la giudicherei... dunque, vediamo... una stronzata? Una cazzata? Un errore? Una follia? Rae non sono affari nostri, sarebbe un'invasione bella e buona nella sfera personale di una persona già di per sé molto riservata. L'ho già detto cazzata?».
Esagerato.
Ha praticamente preso la rincorsa per rispondermi, il solito disfattista, a me sembra un'ottima idea invece, secondo me quella donna ha solo bisogno di una piccolissima spinta, l'ho vista la sua espressione quando ha scorto Finn tra gli invitati al matrimonio, era raggiante, il ritratto della felicità.
«Dici che Finn ci rimarrebbe male?» domando, cauta.
«Male? No, Rae, ci rimarrebbe male se organizzassi una festa senza invitarlo, o se gli dicessi che fa schifo a calcio, o se gli nascondessi un CD degli Smiths. Se parlassi con Eleonor si incazzerebbe come... come... non lo so, probabilmente non si è mai incazzato così tanto da poterci fare un paragone».
Mi piace il suo atteggiamento costruttivo, è il tipo che ti dà sempre speranza, ma c'è un'enorme differenza tra noi due «tu non l'hai visto Arch, non hai idea di cosa sia stato il viaggio di ritorno, e non hai idea di come l'abbia ritrovato dopo lo scontro con lei. Credimi se ti dico che al posto mio ti faresti venire certe idee anche tu».
E sono sincera, se avesse visto Finn come l'ho visto io sarebbe andato a fare due chiacchiere con la Regina Madre subito, invece di aspettare dei giorni. Capisco le sue titubanze, le capisco sul serio, ma l'idea di restarmene con le mani in mano non è una possibilità, non più, soprattutto se penso di avere la possibilità nel mio piccolo di muovere anche solo un dito per aiutarlo.
Archie mi guarda dritta negli occhi preoccupato e stanco «è andata così male?».
«Peggio» ammetto.
Respira lentamente torturando un laccio della sua giacca, è preoccupato quanto me, glielo si legge in faccia. Per discrezione sicuramente ha evitato di fare domande a Finn, ma la mia ammissione dev'essere stata la conferma di qualcosa che già immaginava. Soprattutto conoscendo la storia familiare del suo migliore amico.
«Non lo so, Rae, non so cosa dirti, rischieresti di fare più male che bene. E l'intromissione forzata in una questione così delicata non mi convince proprio. Però... se, per ipotesi, riuscissi davvero a smuovere le acque sarebbe... beh sarebbe una gran cosa. Ma non mi sento di consigliarti né una cosa né l'altra».
La parola "cautela" non renderebbe minimamente giustizia al discorso di Archie, sembra più un soldato in marcia su un terreno minato mentre aspetta che una bomba atomica gli scoppi di fianco. Eppure quest'idea, folle a suo dire, non mi è mai sembrata tanto giusta come ora.
«Promettimi che ci penserai molto bene prima di fare qualunque cosa» ma è più un'affermazione, un invito, che una reale richiesta.
«Te lo prometto, Arch» e sono sincera mentre lo rassicuro, ma mentirei se negassi di non essere già con la mente insieme a lei.

* * * * * * *



Una grande, gigantesca, enorme fregatura. In altre parole: il corso di teatro.
Va bene, lo ammetto, forse sono stata un tantino precipitosa a fiondarmi qui. Non ho mai avuto spiccate velleità artistiche, mi piace la musica e adoro cantare non essendo particolarmente stonata, ma come attrice? No, grazie, decisamente non è nelle mie corde, ci penso già abbastanza nella realtà a condurre personalissime messinscene e non sento il bisogno di farlo anche come hobby. Eppure in qualche modo la presenza di Archie e Finn mi aveva tranquillizzata, e così anche l'assegnazione delle parti. Poche battute, poco spazio, irriconoscibilità data dal costume di scena. Tutto perfetto, o almeno... così credevo.
Ma non avevo considerato un dettaglio: i lavori del dietro le quinte... o intorno alle quinte, o come cavolo si chiama.
Vernice, vernice ovunque, mi sento colorata in punti in cui un essere umano non dovrebbere mai essere colorato.
Nuovo giorno e nuove incombenze. Avevo capito che con lo sfondo di ieri la sessione di bricolage fosse giunta al termine, e invece no. L'unica cosa ad essere giunta al termine è la mia pazienza, e lo spazio sulla pelle immune da colore, quindi nulla, uno zero cosmico. La mia iniziale curiosità per questo genere d'arte? Morta, sepolta, sparita per sempre.
Ho fatto avanti e indietro dal magazzino con martelli, chiodi, pennelli e vernici talmente tante volte da aver accumulato una nuovissima personalità multipla: il pittore-martellatore-incapace. Due cerotti sulla mano destra, uno sulla sinistra, escoriazioni varie, un buco sulla maglietta, vernice ovunque.
Un bollettino di guerra, e gli altri non sono messi meglio di me.
Se non avessi Finn a un metro di distanza intento a fissare un pannello appena pitturato avrei già fatto i bagagli da un pezzo, ma siamo immersi nella casa del Bianconiglio adesso, e ammetto che, disavventure a parte, c'è anche un non so ché di romantico.
«Non lo trovi ironico?» gli chiedo facendo un passo indietro per ammirare meglio lo sfondo, una deliziosa casetta con i tetti spioventi, le finestrelle di legno e innumerevoli orologi distorti appesi alle pareti.
Finn si volta perplesso sogghignando «che intendi?».
«Questo» rispondo divertita indicando prima la scena e poi lui «è il rifugio del Bianconiglio... casa tua!».
«Ah, ah, ah, ancora questa storia delle associazioni? Comunque...» mi avvicina da dietro posando il mento sulla mia spalla «mi sa che il Brucaliffo a casa mia non c'è mai stato però, quindi forse è ora di tirare fuori le ali e sloggiare» sussurra all'orecchio.
Bene, forse l'intenzione è prendermi un po' in giro, ma a questa distanza ravvicinata chi diamine dovrebbe capirlo? Io a malapena respiro «Giu... giusto» balbetto imbarazzata.
Lo sento sorridere sui miei capelli e allontanarsi appena per frugare nella borsa.
Oh, un pacchettino incartato, un regalo?
No, un attimo... Un regalo... PER ME?
Si avvicina con quella che ha tutto l'aspetto di essere una scatolina rettangolare, sottile e perfettamente incartata, con un bel fiocco viola al centro. E me la porge «è per te» ammette imbarazzato «è una sciocchezza, ma, beh ecco... mi ha fatto pensare a te. Ma non aprirlo ora, c'è vernice ovunque e non vorrei che si sporcasse».
......................
......................
Niente.
Il cuore è partito, il cervello defunto, le mie guance vivono di vita propria e si sono trasferite sull'Etna.
Qualcosa, di qualunque genere si tratti, l'ha fatto pensare a me.
Ha pensato a me.
Uccidetemi ora, prima che faccia o dica qualcosa di terribilmente stupido.
Completamente frastornata afferro la scatolina dalle sue mani come se fosse una fialetta di nitroglicerina pronta a esplodere, gli sorrido, perché le corde vocali non si sono ancora riprese dallo shock ma in qualche modo voglio fargli intendere che ne sono felice e lo ringrazio, e la ripongo con cautela nella mia borsa. Se dessi retta alla curiosità strapperei la carta a morsi e aprirei il pacchetto in due secondi netti, forse meno, ma non voglio fare figuracce e non voglio sembrare un'innamorata in crisi d'astinenza, quindi mi trattengo, ritrovo la parola e mi limito a un «grazie».
«Figurati, te l'ho detto è una sciocchezza» minimizza voltandosi di nuovo ai pannelli che stava sistemando, con un cacciavite in mano al posto del martello... forse non è solo questo stupido Brucaliffo a sentirsi imbarazzato dopotutto.
«Ah, Rae, ci sono un paio di cose che volevo dirti» dice avvicinandosi di nuovo.
Cos'è, ha deciso di uccidermi oggi? Il mio imbarazzo sta raggiungendo livelli da torcia umana e non riesco a smettere di fissargli le labbra.
Lui invece non mi guarda, siamo uno davanti all'altra ma trova particolarmente interessanti le macchie di vernice per terra. Respira profondamente un paio di volte prima di riprendere la parola «innanzitutto voglio presentarti una persona. In effetti dovrebbe già essere qui» borbotta dando un'occhiata all'orologio, «comunque, te la presenterò quando arriverà. E poi... c'è una cosa di cui volevo parlarti anche l'altra sera, ma dovevo esserne sicuro prima...».
Oddio, non svenire, non svenire.
Persona, quale persona? Chissene frega della persona!
Io devo sapere assolutamente cosa voleva dirmi, perché ha tutta l'aria di essere qualcosa di importante o non sarebbe così nervoso.
Dai, Finn, coraggio, magari è la stessa cosa che morirei dalla voglia di dirti anch'io.
«Beh... sì, ti ricordi a Leeds, quando...».
Sì...?
«Finn!!!».
La morte.
Una vocetta squillante e fastidiosa interrompe il momento potenzialmente più importante della mia intera esistenza, chi caspita si permette di...
Sto per voltarmi mugugnando qualcosa quando due braccia sottili arrivano a circondare il collo di Finn, il mio Finn, per poi abbracciarlo con trasporto sprofondando il viso nel suo maglione. O forse sarebbe più corretto dire che gli si è gettata letteralmente addosso. Lui indietreggia per quello slancio improvviso e sorride divertito, circondandole la vita a sua volta in una stretta altrettanto calorosa.
«Ho fatto tardissimo, scusami, mi sono persa due volte per arrivare qui» gli dice mollando appena la presa.
«Non ti preoccupare, tanto qui ne avremo ancora per molto, sei il solito impiastro» ribatte Finn lasciandole un buffetto sul naso.
Elle.
L'ho riconosciuta dal primo istante ma sono troppo imbambolata a fissarli per dire o fare qualunque cosa. Se il mio cervello funzionasse correttamente mi imporrebbe di allontanarmi subito, cercare un riparo ed elaborare una buona scusa da vendere a Finn per giustificare la conoscenza della sua amica.
Ma non me ne importa un fico secco di questo adesso, l'unica cosa a cui riesco a pensare è l'affiatamento che mi si palesa davanti agli occhi.
Perché smaniavo tanto all'idea di vederli insieme? Perché? Fa male porca miseria, malissimo.
Sembra una di quelle scene da film in cui lei si isola nella sua bolla di pensieri e la vita intorno smette di esistere sostituita dal vuoto assoluto.
Ma il vuoto assoluto nel mio caso ha gli occhi verdi e lucidi di una ragazza della mia età ancora abbracciata al ragazzo che amo. Mi fissa attentamente come a cercare nella mia espressione la risposta a un collegamento che ha già fatto, e prima che Finn possa dire qualcosa si avvicina abbracciando anche me.
«Rae! Ma che bella sorpresa! Sono felicissima di rivederti! Ma... vi conoscete?» domanda a un Finn decisamente confuso.
Proprio una bella sorpresa, sì.

Bisogna sempre fare molta attenzione alle parole, soprattutto agli incastri di frasi in cui vengono utilizzate.
Finn aveva due cose importanti da dirmi e se con la prima voleva introdurmi alla conoscenza di Elle, forse la seconda era... non riesco neanche a pensarlo.
Stanno insieme? Era questo il mistero da svelare?
Con la scusa della pittura mi sono immediatamente congedata da loro, prima ancora delle presentazioni ufficiali, rifugiandomi nei disegni, o sgorbi, per dirla tutta. Siamo ai due lati opposti dal palco e loro sono... beh sono... merda, sono veramente carini insieme.
Insieme, continuo a ripetermelo nella speranza che il significato della parola cambi, ma non succede niente.
Discutono fitto fitto di qualcosa che non riesco ad afferrare, ma il linguaggio del corpo è esplicito e parla più di qualunque conversazione, sono vicini, si sfiorano delicatamente in punta di dita, ridono insieme. Lei è palesemente sulle spine e non smette di giocherellare con una ciocca di capelli, lui invece è completamente rilassato, a suo agio, anche se si volta di tanto in tanto nella mia direzione. Ciò che mi fa più male però è la tenerezza che leggo nello sguardo di Finn, i suoi occhi dorati brillano mentre le parla e seguono attentamente la risposta senza lasciarla un momento.
Non voglio vederli, per la verità non voglio proprio saperne niente.
Respiro a pieni polmoni e mi concentro sulla sagoma dell'albero che sto tracciando a matita, quando l'ombra di una persona alle mie spalle si disegna sulla tela «puoi uscire un momento?».
Per qualche secondo non rispondo, continuo a disegnare, ma i miei nervi sono tesi e mi tremano le mani «non... non mi sembra il caso» mormoro senza voltarmi, «la tua amica resterebbe sola».
«Ho lasciato Elle insieme ad Archie, per favore» insiste Finn, sembra tranquillo.
Poggio la matita a terra e mi volto con una lentezza esasperante. Guardarlo negli occhi si rivela un'impresa titanica, sono imbarazzata, nervosa e...sì, anche arrabbiata, perché adesso che ho davanti agli occhi la proiezione a grandezza naturale del mio incubo peggiore mi sento quasi tradita. Sono terribilmente gelosa.
Lascio che mi conduca fuori camminando tra le poltroncine rosse del teatro, prendiamo la giacca entrambi, e arrivati nell'aria frizzante di metà mattina non aspetta neanche un momento per aprire bocca «sto pensando a un motivo che possa averti spinta a non dirmi che conoscevi già Elle, ma non me ne viene in mente nessuno».
Non riesco a capire se sia arrabbiato oppure no, di sicuro è perplesso, mentre io invece sono nervosa. Ed è quel nervosismo astioso che finisce sempre col farti dire qualcosa che vorresti evitare «curioso, in questi giorni mi sono fatta la stessa domanda anch'io» ribatto con un sorrisino sarcastico.
Appunto.
L'intenzione dimostrata è venuta a galla più pungente di quanto avessi voluto e anche lui se ne è accorto, mi fissa con aria frustrata e spalanca le braccia «e non potevi dirmelo e basta?».
«E tu? Non potevi dirmelo e basta?» replico stizzita.
«Stavo aspettando di potertela presentare, Rae, non era un segreto».
Devo dirti un paio di cose, devo dirti un paio di cose, Dio, questa frase prima o poi mi ucciderà, non fa che martellarmi il cervello per farsi strada sulle mie labbra e ricevere la soddisfazione che merita «era questa la seconda cosa che dovevi dirmi?».
«Che... non ti seguo».
Provo a calmarmi respirando lentamente, ma gelosia e rabbia sono un cocktail esplosivo per qualsiasi sistema nervoso che non sia già stato irrimediabilmente compromesso, quindi figuriamoci per il mio. Serro le mani a pugno lungo i fianchi sperando di dirottare lì almeno una piccola parte di acidità «eravamo nella casa del Bianconiglio, e tu mi hai detto che dovevi dirmi due cose. La prima era Elle, volevi che la conoscessi, e la seconda qual era? È legata a lei, no? State insieme?».
È incredulo, o quantomeno mi osserva come se lo fosse «che cosa te lo fa pensare?».
Me lo sta chiedendo davvero? Che cosa dovrei rispondergli? Che sono carini insieme? Che si nota?
«Non lo so Finn, vi vedo. Io... Archie mi ha detto che avete passato un sacco di tempo insieme, e Chloe che le è sembrato ci tenessi parecchio» gesticolo in confusione alla ricerca di un appiglio che non arriva, «e poi ho conosciuto lei, a Sleaford, è la sorella di Agnes e mi ha fatto vedere delle foto dove c'eri anche tu, e... non lo so, sembravate molto... molto... non lo so» sussurro abbassando la testa. Ai suoi occhi mi sento completamente esposta e a disagio, non riesco a guardarlo.
«Archie, Chloe, le fotografie... ma ti ascolti quando parli? Perché non sei venuta subito da me? Oltretutto...» si prende una pausa, forse, nel tentativo di non perdere la calma, ma sospira rumorosamente a spalle tese e pugni serrati, e alla fine esplode «cazzo, sono stato da solo negli ultimi giorni? Da mia madre non c'eri? Dov'eri? Come hai fatto a credere che volessi... non lo so Rae, giuro che non riesco a capirti... che volessi parlarti della mia nuova ragazza? È questo?».
Sì, lo so anch'io che suona come una forzatura, me ne sono resa conto subito, ma perché non rende le cose più semplici a entrambi rispondendo e basta? Mi limito a un timido cenno di assenso senza perdere la visuale sulle mie scarpe, pregando di non irritarlo ancora.
«Perché? Perché pensi che ti avrei presa da parte per dirti "ehi indovina un po', sto con un'altra", un minuto dopo averti fatto un regalo. Non ha nessun senso te ne rendi conto?».
«Perché l'hai già fatto!» gli grido dritto in faccia. È attonito, incredulo, e non stacca gli occhi dai miei, come se si aspettasse di trovarci dentro una crepa che giustifichi quello che gli sto dicendo, «con Olivia. Tu... quando le cose sono andate male tra di noi hai sempre cercato... qualcos'altro, ecco. C'è stata Olivia e adesso c'è Elle, solo che lei è più... più... più giusta per te, forse».
Devo essere completamente impazzita, ascolto le parole che mi escono di bocca e non le riconosco nemmeno come mie. La morsa di rabbia si sta allentando lentamente lasciando spazio alla paura, vorrei solo essere rassicurata e sentirmi dire che andrà tutto bene per una volta. Chiedo troppo?
I suoi occhi però sono lava incandescente e mi attraversano senza soffermarsi sui miei, è veramente furioso.
«Non ci credo che me lo stai rinfacciando sul serio» dice dopo una lunga pausa di silenzio scuotendo la testa, «tu dici "quando le cose sono andate male tra noi", ma io direi "quando HAI DECISO che le cose dovessero andare male tra noi", Rae. Mi hai lasciato sempre tu, entrambe le volte, e prima che tu me lo dica sì, l'ultima volta la parola fine ce l'ho messa io, ma solo perché sono stato più veloce di te a tirartela fuori dalla testa. E cos'avrei dovuto fare dopo? Sentiamo... aspettare cosa? Che TU, sempre TU, decidessi che... ok, mah sì, forse tutto sommato potevamo stare insieme di nuovo? Tanto nel frattempo io stavo benissimo secondo te, non è così?».
«No. Io, veramente» balbetto, inutilmente.
«Tu niente. Tu prendi e sparisci, il resto non conta. Io sono quello che deve restare nella merda e deve capire, come con mia madre, la stessa cosa. Te l'ho detto anche a Leeds che le somigli molto e non mi sono sbagliato. Però voglio dirti una cosa» si blocca facendosi più vicino invitandomi a sollevare il viso, ho paura, una paura di perderlo che mi sta scavando nel cuore. Lasciare l'asfalto è una sofferenza ma alla fine mi convinco, perché lui non si è mai nascosto con me e gli devo almeno i miei occhi.
«Io voglio stare con una persona che ci sia, per me. Voglio potermi sentire libero di non vederla per un giorno sapendo che la ritroverò comunque l'indomani senza cacce al tesoro, e non rincorrendola in un'altra città o chissà dove. Voglio una persona che mi parli dei suoi problemi invece di essere sempre costretto a indovinarli, e voglio poterla tenere per mano o abbracciarla mentre siamo tra la gente, perché non c'è niente di male in questo Rae, e non c'è niente di cui vergognarsi. E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, perché so di non meritarmelo».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Le sue parole sono ferme, decise, e descrivono esattamente tutto ciò che non sono mai riuscita ad essere per lui, non posso nemmeno controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che lui merita tutto questo «e pensi che Elle sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che ti interessa? Mi hai già dato la tua benedizione prima, hai detto che è più giusta per me, no?» scuote ancora la testa «non lo so, forse. O forse no. In ogni caso lei non c'entrava niente con quello che volevo dirti prima».
«E cos'era allora?».
«Niente. Pensavo una cosa, però... beh, era una cosa sbagliata a quanto pare. Comunque quello che c'è o non c'è tra me ed Elle non è affar tuo, non ti riguarda più, quindi stanne fuori e non ti intromettere» dice oltrepassandomi per rientrare in teatro, non mi degna di uno sguardo, non aspetta nemmeno che gli risponda.
Rimasta sola mi accascio al suolo e mi sfogo in un pianto senza lacrime, non riescono a uscire, sono bloccate da qualche parte nel mio cuore come tutte le altre sensazioni. Mi sento un guscio vuoto di rimpianti e frasi non dette, ti amo, solo questo avrei dovuto dire. Ma non l'ho fatto.
E il Bianconiglio dice che adesso è troppo tardi.

Rimango rannicchiata a terra con le spalle al muro e il viso tra le mani per una ventina di minuti. Non ho il coraggio di rientrare in teatro ma non ce l'ho nemmeno per andarmene, sono spaesata e non ho la più pallida idea di cosa fare, sento solo un vuoto insopportabile all'altezza del petto.
Un rumore di passi si avvicina lentamente e ho quasi paura ad alzare la testa, non potrei sostenere un'altra discussione con Finn, tantomeno un interrogatorio da parte di Archie, sono praticamente raggomitolata su me stessa e se così non è chiaro che non voglio avere intorno anima viva non so proprio cos'altro potrei fare.
«Ehi, eccoti qui» socchiudo appena le palpebre e la mia borsa comincia a ondeggiarmi davanti agli occhi, è Liam, «Archie mi ha chiesto di portarti questa, pensava potesse servirti ma era troppo indaffarato a discutere con Nelson per farlo di persona».
Fantastico, ma perché deve sempre mettersi in mezzo quel Grillo Parlante «grazie» rispondo afferrando la borsa.
Adesso che non ho più neanche una scusa per rientrare posso finalmente tornarmene a casa. Mi sento osservata, ma l'ultima cosa di cui ho bisogno è mettermi a raccontare, parlare o ascoltare consigli. Voglio solo starmene un po' in santa pace, magari al buio e con un cuscino morbido tra le braccia.
«Vado a casa, ringrazia Archie per la borsa e digli che va tutto bene, per favore» gli dico mentre ho già cominciato a camminare.
«Come vuoi» risponde con una scrollata di spalle.
Caspita, devo avere un'aria veramente abbattuta se non si azzarda nemmeno a chiedermi qualcosa, meglio così, tanto non l'avrei comunque ascoltato.
Le due ore successive al mio rientro a casa trascorrono in camera mia esattamente come avevo deciso, ma quando sto finalmente per addormentarmi mi alzo di scatto e comincio a prepararmi un borsone.
«Magari tra noi è finita sul serio, ma non ho cambiato idea su Eleonor, in fondo lo facevo per lui mica per noi» mi dico provando ad ignorare la stretta al cuore che quel noi morto e sepolto mi provoca. Chissà se lo faccio davvero per lui o perché mi illudo di contare ancora qualcosa nella sua vita... egoista e stronza, ecco che cosa sono diventata.
Scrivo un biglietto a mia madre inventandomi un pigiama party tra ragazze a casa di Chloe e apro la porta... immobilizzandomi all'istante.
Lui è lì, davanti a me, e non capisco se sia la mia fantasia a farmelo vedere o la realtà. Lo fisso ancora incredula qualche istante prima di sentirlo parlare.
«Ciao» esordisce imbarazzato con un filo di voce, sembra quasi un'altra persona senza quell'alone di rabbia negli occhi «sono passato solo per... beh...»
Imbarazzato, perché è inbarazzato? E soprattutto perché non è più arrabbiato? Non è che c'è lo zampino di...
Ti prego, te ne prego, tutto, ma non la pietà, se stai per dirmi che ti dispiace solo perché Archie ti ha convinto ripensaci.
Finn respira profondamente torturandosi le mani, sembra sulle spine e vorrei tanto che non sembrasse così adorabile «... volevo solo dirti che non intendevo... ma... stai partendo?».
Tutta la sua attenzione viene catalizzata dal borsone che stringo tra le mani e i suoi occhi volano frenetici da me a lui andata e ritorno più volte.
Merda, e adesso? Cosa gli dico "eh sì, sai sto andando a fare una bella gita a Leeds da tua madre, mi è piaciuta la vista del suo appartamento", come minimo mi salterebbe al collo, e questa è l'ipotesi migliore, perché nella peggiore non mi rivolgerebbe più la parola.
«No... cioè, sì» non posso mica negare l'evidenza «ma solo per un giorno... cosa... cos'è che stavi dicendo?» balbetto pregando che mi assecondi.
Ma è già troppo tardi, la sua espressione si è indurita immediatamente e ogni buona intenzione è svanita dietro alle mie bugie. Non è più neanche arrabbiato, sembra solo... una persona arresa all'evidenza «non ci posso credere che sei un'altra volta in partenza» dice allargando le braccia.
«No, no te l'ho detto io non...».
«Lascia stare» mi interrompe, atono «sono affari tuoi e non voglio saperne niente, ormai ho rinunciato a capirti».
Perché è qui? Perché ho l'impressione di aver perso anche l'ultima possibilità che voleva regalarmi? Vorrei trovare le parole giuste per spiegarmi e sistemare tutto ma come sempre la mia parlantina nei momenti importanti svanisce nel nulla.
Perciò resto zitta, ancora una volta, come se questo silenzio potesse riavvolgere il tempo e cancellare tutto quello che ci siamo detti finora.
Ma non si può cambiare ciò che è stato, e lo capisco ancora prima che si avvicini a me inchiodando i suoi occhi ai miei «devi sapere una cosa, perché non voglio che sia qualcun altro a dirtelo, adesso... io ed Elle stiamo insieme» è un attimo, ma a quelle parole distoglie appena lo sguardo prima di tornare a guardarmi «non che debba giustificarmi con te, ma mi sembrava corretto parlartene subito... Buon viaggio Rae... ovunque tu stia andando» dice scuotendo la testa, indietreggiando, un attimo prima di voltarmi le spalle.
Sono sotto shock, stanno insieme? Ma come... quando...
Era in difficoltà, a disagio, sembrava gli costasse uno sforzo immenso dirmi quelle cose, non capisco, non era questo che voleva dirmi all'inizio ne sono quasi certa. Eppure...
Lo seguo finché non sparisce dalla mia visuale mentre qualcosa dentro di me si crepa per sempre, poi deglutisco un boccone d'aria e mi costringo a uscire. Non ora, non è il momento di crollare, ci sarà tempo per quello, voglio che da tutto questo disastro esca anche qualcosa di buono e così sarà. Lo devo a me stessa e a lui, non accetto di avere come finale un fallimento completo.
A un certo punto della storia Alice dice "So chi ero quando mi sono svegliata stamattina, ma da allora devo essere cambiata diverse volte", se è vero che la nostra identità viene definita anche dalle persone che ci circondano, senza Finn io che cosa sono adesso?

Rieccoci di nuovo qui!
Prima di tutto vorrei scusarmi, al solito, per il ritardo, non riesco mai ad essere puntuale e questo fatto mi disturba da morire, ma un po' gli impegni, un po' la lunghezza dilatata dei capitoli, questo è il meglio che sono riuscita a fare.
In questo capitolo ho voluto giocare con la storia di Alice, in realtà era già da un po' che progettavo di farlo ma volevo aspettare il momento giusto e il discorso sull'identità mi è sembrato perfetto per lo scopo.
Probabilmente in questo momento mi odierete, lo so, sono stata un po' stronza nel darvi prima una versione tenerella di Rae e Finn per poi finire con lui che le sbatte in faccia la sua nuova storia. Ma a tutto c'è una ragione, e quelle di Finn sono, direi, piuttosto valide. Che poi le abbia detto tutta la verità è ancora da vedere, e se qualcosa vi è sfuggita o avete l'impressione che abbia tralasciato qualche fatto importante sappiate che è vero, e che è voluto.

Il prossimo capitolo sarà un POV di Finn e chiariremo ogni cosa.
Vi anticipo che non vi racconterò del viaggetto di Rae fino al capitolo 11. Ma non temete perché ci sarà molto altro da raccontare. Elle sarà presente, ebbene sì, ma vi assicuro che la adorerete anche se adesso vorreste vederla spiaccicata sotto un tir col rimorchio. Ricordatevi che la ragazza non è stupida, e una volta capito che era Rae il motivo per cui Finn si trovava a Sleaford... insomma sono certa che per una volta accantonerete nei suoi confronti ogni pulsione omicida.

Ringrazio come sempre chi ha seguito finora questa storia e ci vediamo al prossimo capitolo :)

Ah dimenticavo, ormai sono una professionista nell'arte del dilungarsi, mi dite se la cosa è eccessiva o ancora ci può stare?
   
 
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