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Autore: Laylath    27/02/2015    1 recensioni
(spin off di Un anno per crescere)
Le storie romantiche decisamente non facevano per loro.
Ci si poteva immaginare belle e deliziose favole, ma alla fine la loro personalità era quella della gente di campagna. Rumorosa, divertente, poco raffinata, ma con solide basi che piantavano radici nella semplicità del mondo stesso.
Ed ecco l'ultimo spin off, ossia la famiglia Havoc
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heymas Breda, Jean Havoc, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 17.
1890. Nuovi equilibri




Col passare delle settimane Angela si rese conto che la nascita di Janet aveva profondamente sconvolto gli equilibri di casa Havoc. A volte le sembrava surreale che quel piccolo concentrato di morbidezza che sapeva di latte e borotalco potesse cambiare così tanto una realtà familiare, ma si doveva ogni volta ricredere.
E la cosa più surreale era che la bambina aveva fatto un effetto diametralmente opposto sui due maschi di casa.
“Sai, Janet – sospirò la donna, un pomeriggio di giugno, mentre finiva di farla mangiare – a volte mi sembra di essere il perno della bilancia. Credo che se non ci fossi io questa casa crollerebbe sulle sue stesse fondamenta.”
La bambina la fissò pigramente con i suoi occhi azzurri già mezzo chiusi, con la chiara aspettativa di essere cullata da una delle canzoncine materne per addormentarsi.
Accontentando quel desiderio così palese, Angela continuò a riflettere sul fatto che sia Jean che James avevano sviluppato per la piccola dei sentimenti davvero contrastanti, eppure classici.
James era diventato il tipico padre completamente innamorato della propria figlia femmina: sì sa che spesso i genitori maschi tendono ad affezionarsi in maniera particolare alle figlie, ma James spesso rasentava il ridicolo. Anche perché, ovviamente, con Jean non si era mai comportato in un modo così sdolcinato.
Jean, dal canto suo, non voleva avere il minimo rapporto con la sorellina: addirittura usciva dalla stanza non appena si rendeva conto che c’era anche lei. Questo l’aveva portato a stare fuori più del previsto e non per la solita smania di giocare. Era come se vedesse la sua casa occupata da una spiacevole intrusa e continuava a mantenere la parte dell’offeso sperando di ottenere chissà cosa.
“Già – constatò Angela, mettendo la piccola addormentata nella culla – decisamente bisognerebbe riorganizzare un po’ le cose. Oh, ma non ti preoccupare, cucciola, il tuo fratellino ti vuole bene, se ne deve solo rendere conto pure lui. Ma, ahimè, ha sia sangue Havoc che sangue Astor: la sua ostinazione durerà per diverso tempo.”
“Dov’è la mia bellissima principessina? – chiese James entrando con il più ebete dei sorrisi – Dov’è la bambina più bella del mondo?”
“Si è appena addormentata – lo mise sull’avviso Angela con sguardo serio – e non è proprio il caso di svegliarla, intesi?”
“Oh, e dai! Voglio solo passare del tempo con lei!”
“Potresti smetterla di essere così smielato? Almeno in presenza di Jean: non capisci che così lo fai ingelosire ancora di più?”
“Ingelosire? – James la fissò incredulo – Ma no, scheggia, sono due cose differenti. Sono maschio e femmina: pure lui dovrebbe adorarla, no?”
“Permettimi di dissentire – sospirò la donna mettendosi una mano sulla fronte – essere padre e fratello sono due cose molto differenti, dovresti capirlo. E poi Jean c’è già rimasto male per la storia del fratellino mancato, non mi pare il caso di infierire ancora. Tratta Janet con più tranquillità, va bene?”
“Ma lei è perfetta!”
“Come lo è Jean!”
“Ovviamente… ehi… mi sa che tu hai una preferenza per il maschio, eh?”
“Ma che dici!? Io amo entrambi i miei figli allo stesso modo.”
“Pure io, spero non lo vorrai mettere in dubbio. E’ che… diamine non mi aspettavo una femminuccia!”
“Santa pazienza…”
 
“Stupida sorella!” esclamò proprio in quel momento Jean, lanciando una pietra in uno dei piccoli stagni poco lontani da casa sua.
La rabbia era così tanta che continuò ad afferrare i sassolini e a scagliarli nella pozza d’acqua fino a quando il terreno vicino a lui fu privo di qualsiasi proiettile. Non pago iniziò a prendere a calci i fiori attorno a lui facendo un disastro con le proprie scarpe e pantaloncini corti.
Erano passate cinque settimane dall’arrivo dell’intrusa, ma sembrava che i suoi genitori proprio non accettassero l’idea di fare uno scambio con un maschietto. E nemmeno con un cagnolino. A quanto pareva era destinato a sorbirsi la marmocchia per tutta la vita.
Proprio lui che odiava le bambine: strane, smorfiose, prepotenti, pronte a piangere… erano brave solo come vittime dei suoi dispetti. Ma questo non voleva dire che ne gradiva una sotto il suo stesso tetto.
Maschio… a lui serviva un fratello maschio!
“Uffa! – sospirò alla fine, ansando leggermente per tutto il caos che aveva combinato – Ma perché sono così sfortunato?”
Mettendosi le mani in tasca iniziò a passeggiare senza meta, desideroso solo di stare lontano da casa sua e da quella marmocchia irritante. Se c’era una cosa che gli dava fastidio era vedere i suoi genitori ronzare attorno a lei come delle api attratte dal miele.
Tipico delle femmine fare le smorfiose per attirare le simpatie.
Se fosse stato un fratello avrebbe finalmente avuto la spalla che gli mancava. Oramai mancava poco all’inizio della quarta elementare ed effettivamente si stava accorgendo che non riusciva a stringere amicizia forte con nessuno dei suoi compagni. Erano divertenti, si scherzava, ma vedeva che non si andava oltre determinate confidenze.
Con un fratello sarebbe stato tutto estremamente diverso.
“Ehilà, Jean – una voce lo fece distogliere dai suoi pensieri e si accorse che davanti a lui c’era Heymans, il suo compagno di classe – tutto bene?”
“Certo – annuì lui con aria spavalda – perché?”
“Era solo per chiedere – scrollò le spalle l’altro – non ti ho più visto da fine scuola.”
“Semplicemente mi faccio gli affari miei… adesso scusa, ma devo proprio andare.”
Si girò e riprese il cammino verso casa: se c’era una cosa che voleva evitare era una chiacchierata con Heymans Breda. Di tutti i suoi compagni era quello che considerava di meno: troppo diligente ed educato, i cocchi della maestra non gli piacevano per niente.
E come se non bastasse ha anche un fratello… dannazione a lui!
La vita era profondamente ingiusta e ce l’aveva in particolar modo con lui, era chiaro.
 
E la vita prometteva di essere particolarmente ingiusta quella sera.
Dopo cena sua madre lo chiamò nella camera matrimoniale e, con sommo disgusto, vide che la cosa era sopra il letto, con tanto di tutina smanicata e sgambata, che si agitava tutta contenta del suo ruolo di regina della casa.
“Che cosa vuoi?” chiese il bambino con aria seccata, mettendosi le mani in tasca.
“Fammi un grande favore – gli disse Angela, andando verso di lui e arruffandogli i capelli – devo assolutamente andare a farmi un bagno, ne ho proprio bisogno. Tuo padre è in magazzino e deve fare delle cose. Pensa tu a Janet, va bene?”
Cosa? – sbottò lui, sgranando gli occhi – Ma stai scherz… mamma!”
“Dai, per una ventina di minuti! – sospirò la donna, recuperando asciugamani e vestito pulito – devi solo restare qui e controllarla per evitare che cada dal letto. Grazie, raggio di sole, mi stai salvando la serata!”
Jean era pronto a ribattere che non aveva alcuna intenzione di salvare la serata di nessuno, considerato che la sua era stata già rovinata. Tuttavia sua madre fu incredibilmente veloce e non aveva fatto in tempo a girarsi che lei era già sparita, chiudendo la porta alle sue spalle.
E così, per la prima volta, Jean si trovò faccia a faccia con la sua rivale, senza nessuno dei suoi genitori a sovrintendere.
Almeno così credeva.
 
“Secondo me è una follia – mormorò James, dietro la porta – chissà che è capace di combinare!”
“Se non gli diamo la possibilità di conoscerla bene non le piacerà mai – scosse il capo Angela – quindi adesso torna in magazzino e lasciali soli.”
“E se nostra figlia si mette a piangere per colpa di nostro figlio?”
“La loro madre è in bagno ed è in grado di sentire eventuali pianti – sorrise lei, vittoriosa – e questo chiude qualsiasi discussione. Forza, aria! Non mi pare proprio educato stare qui ad origliare.”
 
Jean rimase in piedi per qualche minuto, a braccia conserte, fissando con aria annoiata la sua rivale che, sdraiata supina, lo guardava con gli occhioni azzurri spalancati. Sembrava estremamente curiosa del nuovo arrivato e ad un certo punto agitò freneticamente le braccia, sembrando una papera che tenta di prendere il volo.
“Ma che? Sei scema?” chiese Jean inclinando la testa di lato.
Per tutta risposta la bambina continuò nei suoi movimenti, aggiungendo anche uno sgambettio violento; sputò il ciuccio ed iniziò ad emettere versi strani e lamentosi.
“No, dai, non fare così – si impanicò subito il ragazzino – poi la colpa viene data a me! Smettila! Che motivo hai di fare l’indemoniata?”
Si accostò al letto, cercando di capire che cosa non andasse e, come per magia, la bambina smise di lamentarsi e prese a fissarlo con maggiore intensità.
“Bene, hai smesso!” annuì Jean, girandole le spalle e tornando indietro.
Ma non aveva fatto due passi che di nuovo Janet riprese a protestare ed agitarsi.
“Che rottura di palle che sei! – sbottò il ragazzino – Va bene, ho capito: guarda sono qui vicino a te. Sei contenta adesso?”
E sembrava che la bambina fosse proprio contenta di quel risultato: sembrava che fosse estremamente interessata a suo fratello ed era chiaro che desiderava le sue attenzioni. Peccato per lei che Jean non avesse alcuna intenzione di dargliele.
“Scordatelo, frignona! Resto qui, ma mica ti tocco!”
Si scatenò così una strana lotta tra fratello e sorella: il primo si ostinava a non toccarla e manteneva quella posizione vicino alla seconda solo per evitare nuove proteste; la bambina invece cercava chiaramente di spostarsi verso il fratello maggiore, ma i suoi movimenti erano ancora troppo impacciati per arrivare al gattonare e anche il solo girarsi sul fianco era parecchio complicato.
Jean, per quanto ostentasse un’aria annoiata e seccata, osservava con curiosità quella sorellina così strana e… buffa. Era come uno strano animaletto rovesciato sulla schiena che lotta per riguadagnare la posizione sulle quattro zampe: ma nonostante gli sforzi Janet non otteneva alcun risultato, sebbene non si scoraggiasse.
“Dì, ma proprio non ci riesci?” le chiese ad un certo punto, sinceramente incuriosito.
Per tutta risposta Janet annaspò ancora, cercando una girata di lato che però si bloccò a nemmeno un quarto di strada. Tuttavia la voce del fratello le aveva dato nuova vitalità e tese le braccia verso di lui, con la chiara intenzione di farsi aiutare.
Jean sospirò ed allungò l’indice verso quella manina paffuta che lo afferrò prontamente.
E così era quella la sua situazione: costretto ad assecondare i capricci di una poppante che non era nemmeno in grado di girarsi sul fianco.
“Naaghuu!” esclamò Janet, soddisfatta di quel risultato.
“Ehi, non credere! E’ mio l’indice!”
Ma pur dicendo quella frase non levò il nuovo giocattolo dalle mani della sorellina.
Aveva la netta intenzione che se avesse fatto una mossa simile si sarebbe scatenata di nuovo nel suo repertorio di fastidiosi suoni piagnucolosi.
E dovette far appello a tutto il suo orgoglio per negare quella piccola parte di lui che si stava divertendo ad osservare quella cosina così vivace e sgambettante.
 
“James Havoc! – sibilò Angela dieci minuti dopo quando, uscita dal bagno, vide il marito davanti alla porta della loro stanza – sei davvero pessimo.”
“Sssh – la zittì lui – sono arrivato adesso, cosa credi!”
“Ah sì? Scusa se ne dubito… allora, come va?”
“Niente pianti né rumori sospetti – ammise lui – non so se esserne felice o preoccupato!”
Angela sbuffò ma poi tese attentamente l’orecchio per sentire i suoni soffocati dalla porta di legno. Distinse chiaramente i ciangottii di Janet e sembrava che la bimba si stesse divertendo, ma poi, ascoltando meglio, si accorse anche delle risatine di Jean.
Si concesse un sorriso soddisfatto e fissò il marito con aria di chi la sa lunga.
“Giocano, suppongo.”
“Nostro figlio che gioca con Janet? Mah…”
“Bisognava solo dare tempo al tempo – sentenziò lei – adesso ovviamente non entreremo di colpo per non rovinare questo momento,vero?”
“Se lo dici tu…”
Angela sorrise ma proprio in quel momento la voce di Jean divenne chiara, così come l’inizio di pianto di Janet.
“Ehi… ehi… e ora che piangi? Non ti piace più il mio dito? Che cosa ti suc… oh, merda! Che schifo! Ma ti sei cagata addosso! Lascia! Lascia il dito! Fammi stare lontano da te! Ma come cazzo fai ad essere così schifosa!”
“Jean! – la donna entrò subito in camera pronta ad intervenire – potresti gentilmente moderare i termini!”
“Ma la vedi? – il bambino si allontanò ancora di più dalla sorellina urlante con aria profondamente irritata – è un bagno di merda!”
“Pupù, Jean Havoc! Pupù!”
“Ma se anche tu e papà dite merda!” protestò lui, tappandosi il naso con le dita.
“Sì, ma questo non ti autorizza a ripeterle, almeno fino a quando non avrai diciotto anni – lo sgridò James, dandogli uno scappellotto sulla testa – sono le regole e… merda! Angela ma quanto caga nostra figlia!?”
“Oh! Dannazione! James non ti ci mettere anche tu! – sbottò la donna che stava cercando di liberate Janet dalla tutina che, ovviamente, aveva i bottoni messi male – Ho detto che simili parole… e merda! Ma perché non si vuole aprire!”
“Mamma hai detto pure tu merda!”
“Finitela!”
E alla povera Janet non rimase che singhiozzare fino a quando, dopo altre svariate ripetizioni della parola iniziante per m, non venne finalmente pulita e cambiata.
 
Per lo meno, da quel momento, sembrò che la situazione migliorasse leggermente, almeno per quanto concerneva l'atteggiamento di Jean nei confronti della sorellina.
“Ciao, principessina dolce di papà… ti posso prendere in braccio? Oh, ma sì che posso… vero? Vero? Vero che mi vuoi bene? Vero che mi vuoi bene?”
“Gggnaaagh!” esclamò Janet
“Ha detto di sì! Certo che ha detto di sì!”
“Mamma – chiese Jean seduto sul tappeto intento a giocare – ma papà faceva così anche con me?”
“No, a te faceva fare vola vola – sospirò Angela sedendosi nel divano e ringraziando il cielo per la fine di una giornata particolarmente intensa – ma è normale, caro. E’ che i papà con le bambine sono sempre un po’… uhm…”
“Stupidi?” propose Jean con un’occhiata eloquente
“Beh, non è proprio il termine giusto… però il concetto è quello. Ma non devi pensare che per questo papà ti voglia meno bene, vorrei che ti fosse chiaro.”
“No, ma non l’ho mai pensato – scrollò le spalle il piccolo – però è preoccupante vederlo fare così.”
Era davvero buffo e allo stesso tempo piacevole vedere Jean in quella versione seria che poco si confaceva a lui. Per qualche secondo Angela ritenne che fosse segnale che qualche cosa non andava nel suo primogenito, ma poi si rese conto che in determinati frangenti Jean Havoc era anche in grado di stare sereno e confidarsi.
Così, con disinvoltura, scese dal divano e si sdraiò accanto a lui, proprio come una bambina.
“A cosa giochi?” gli chiese, prendendo le figurine di legno rappresentanti gli animali.
“A niente – ammise il piccolo tenendo tra le mani quella di un’aquila – pensavo al nonno… è che a volte mi manca.”
“Oh, tesoro, mi dispiace – sospirò la donna abbracciandolo e sentendo con piacere che non si irrigidiva – è normale, sai.”
“Credi che a lui sarebbe piaciuta?”
“Janet? Sì, credo proprio di sì… e credo anche che ti avrebbe detto di essere un bravo fratello per lei.”
“E avrebbe detto a papà di essere meno… stupido?”
“Molto probabile – annuì la donna con aria cospiratoria – anzi, di sicuro.”
“Le piace il mio indice – ammise il bambino – non so perché.”
“Ha gusti molto personali, come tutti. Ehi, dovresti essere felice che le piaci  - lo spronò ancora la donna – piacere ad una Havoc non è cosa da tutti, sai?”
“Mh, ma credo che per i fratelli sia diverso… è ovvio che le piaccio.”
“Ah, ma allora ti piace pure lei… tra fratelli è così, no?”
Gli occhi azzurri di Jean si puntarono su di lei: profondi, accusatori, ma leggermente increduli, come se gli avesse appena svelato la soluzione ad un rompicapo su cui si stava arrovellando da tempo.
“Allora va bene – annuì dopo qualche secondo – se tra fratelli è diverso allora posso anche farmela piacere.”
“Principessina, piccina piccina piccina…”
“Papà, smettila…”

 
  
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