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Autore: xingchan    01/03/2015    4 recensioni
C. C. 1484:
“In primavera giunse nella Terra di Buck un messaggio da Rohan: Re Éomer desiderava vedere Messere Holdwine per l’ultima volta. Meriadoc era già anziano (102 anni) ma ancora sano e vigoroso. Si consultò con il suo amico il Conte, e poco dopo ambedue affidarono beni e incarichi ai figli e passarono Sarnoguado. Non furono mai più visti nella Contea. Si seppe poi che Messere Meriadoc si era recato a Edoras per trascorrere qualche tempo con Re Éomer prima che morisse in autunno.
Poi Meriadoc e il Conte Peregrino andarono a Gondor, ove dimorarono durante gli ultimi brevi anni di vita che rimanevano loro; quando morirono, furono composti a Rath Dinen insieme con i grandi di Gondor.”
(J. R. R. Tolkien)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Merry, Pipino
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Concerning hobbits'
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The Last Journey

 

Correva l’anno 1502 per gli Hobbit della Contea, ma nel regno di Gondor il calendario segnava il 3102 della Quarta Età.

Le mattine del mese di aprile di quell’anno furono imbiancate di una luce risplendente. Non ci fu un solo giorno di pioggia nel Reame di Gondor, ma c’era abbastanza umidità per non far seccare le colture. Le sere erano fresche, e talvolta qualche nube sorvolava la volta celeste lentamente, leggere come piume. Ma non passava una sola notte in cui si attardassero abbastanza da oscurare le stelle.

Meriadoc era ancora una volta accanto a Legolas sulla sommità della maestosa bianca Torre di Ecthelion, con un taccuino nuovo in una mano e una penna già intinta nel calamaio nell’altra come sua consuetudine, e tutto ciò che osservò quella sera del diciannove aprile lo ricondusse  a tutti coloro che aveva conosciuto e che avevano fatto parte integrante della sua esistenza.

Non sapeva il motivo di quelle elucubrazioni, però era certo che non le avrebbe scacciate quella volta. Gli apparivano così remote, ora, che per niente al mondo lo avrebbe fatto. Anzi, cercò di afferrarle quanto più gli fu possibile.

D’improvviso avvertì un forte giramento di testa. Posò con fatica la penna sul foglio davanti a sé, e prima che il mondo gli vorticasse ancora davanti agli occhi, li coprì con la mano libera. Solo allora si avvide del tremore che gli tormentava la mano.

“Merry, non ti senti bene?”

La soave voce incrinata dalla preoccupazione dell’Elfo era come miele per le orecchie, ma per lo Hobbit era come una martellata scagliata ferocemente su un pezzo di metallo ardente.

“Per oggi basta così, Legolas. Non ti dispiace, vero?”

“No affatto,” lo rassicurò l’amico “la tua salute è ben più importante delle stelle! Hai bisogno di dormire ora. Domani ci attende una giornata lunga!” terminò con un sorriso.

Gli tolse tutto di mano, lasciandolo sul tavolino messo apposta per i loro strumenti di lavoro.

Poi lo Hobbit si fece accompagnare nella camera che condivideva con suo cugino e si raccomandò di non dire niente a nessuno di quella brusca interruzione. L’ultima cosa che voleva erano inutili allarmismi.

Pipino già dormiva della grossa da un po’, perciò non si accorse di nulla.

 

***

 

Da quando erano finalmente insieme, Meriadoc, Peregrino, Aragorn, Legolas e Gimli avevano preso con il passare del tempo una piacevolissima abitudine, divenuta poi quasi come un sacro rito a cui adempievano almeno una volta ogni mese, salvo impegni del Re: sellare i loro cavalli e pony, e sfrecciare nelle vaste piantagioni di Gondor che si estendevano al di sotto delle mura di Minas Tirith.

Erano cavalcate, quelle, che gli ultimi membri della Compagnia presenti sulla Terra di Mezzo si concedevano come unici, veri momenti per stare soli come ai vecchi tempi, per quanto l’assenza degli altri si facesse sentire.

Arrivavano sempre ad un punto, solitamente a Est, in cui Minas Tirith diventava poco più di una bianca visione grande quanto una falange. Poi si fermavano a riposare, mangiando e fumando erba-pipa e discutendo del più e del meno.

Legolas, però, quel giorno era all’erta: non aveva detto niente a nessuno del malessere di Merry della sera prima, ma la consapevolezza inquietò la sua dormiveglia.

Contrariamente, Meriadoc non dava segni preoccupanti, e se mai li aveva non li diede a vedere.

Fino alla fine della giornata.

Merry avvertì un lancinante dolore al petto, un allarmante sentore che qualcosa non andasse, ma subito tentò di cancellare la smorfia che assunse. Si guardò intorno, e nessuno pareva si fosse accorto di nulla. Salvo Legolas. Incrociò i suoi occhi con quelli dell’amico, appurando che l’avesse adocchiato già da molto tempo.

Il Mezzuomo abbassò lo sguardo, sentendosi stranamente colpevole. Stava cercando di coprirsi quando molto probabilmente non avrebbe dovuto farlo, e stava trascinando Legolas a mantenere il silenzio con lui quando era ben evidente l’intenzione di avvertire almeno Aragorn.

Passarono altri minuti, e una nuova fitta gli sembrò strappare in due il cuore. Emise un gemito soffocato, ma questa volta l’Elfo non fu il solo che lo notò.

Aragorn osservò Meriadoc di sottecchi, e colse l’espressione dolente dello Hobbit.

“Merry!”

“Sto bene!” lo anticipò il vecchio Brandibuck, temendo che Peregrino si impensierisse per lui. “Non è niente, davvero.”

Ma nessuno gli diede corda. Gimli e uno spaventatissimo Pipino l’aiutarono ad alzarsi, e Aragorn lo fece montare assieme a lui sul suo cavallo.

E ritornarono di gran carriera a Minas Tirith.

 

***

 

Dopo molti tentativi di Aragorn di alleviare le sofferenze di Merry mediante uso di athelas, dovette arrendersi all’abilità ben più avanzata dei guaritori del Reame. Ma in quel frangente, sembrava che nessuna medicamento riuscisse a curare il piccolo Mezzuomo. Anzi, tutti i sintomi sembravano farsi beffe dei loro sforzi. Re Elessar ne ebbe sentore quasi fin da subito, ma la speranza degli altri e nutrita da lui stesso non era mai abbastanza.

“Non gli resta molto tempo. Anzi, è molto debole, e la debolezza aumenta. Centovent’anni sono molti anche per uno Hobbit. Temo che ne avrà ancora per qualche ora, se non meno.”

Il guaritore, che si chiamava Ostoher, era sinceramente dispiaciuto per Meriadoc. Aveva imparato a conoscerlo quando si era offerto di insegnarli alcune cognizioni su delle erbe curative insieme a Legolas, ed aveva intrecciato un legame fatto di affetto fraterno e cordialità.

Spesso aveva definito Merry gentilhobbit proprio come era d’usanza fra i Mezzuomini, e non si era mai dimostrato altero o indisponente con lui. E il piccolo della Contea aveva fatto altrettanto.

“Non avrò mai il cuore di dirlo a Pipino...”

“Questo è vero, ma penso l’abbia già capito da sé. Anche se non lo ammetterà mai.”

“Merry lo sa?”

“Sì, non ho voluto nasconderglielo. È una personcina molto giudiziosa, saprà come affrontare la situazione.”

Sebbene parlassero a bassa voce, Pipino udì tutta la conversazione.

E provò la paura più intensa della sua vita.

Per molti anni aveva sofferto per le perdite della sua famiglia, ma ora che era arrivato a quella che spesso temeva, già da un po’ di anni a quella parte, non sapeva come comportarsi. C’era un grande vuoto che lo attendeva ad un passo un po’ più in là. Le gambe non volevano saperne di avanzare; sembrava si fosse immobilizzato a causa di un incantesimo.

Ma voleva comunque vederlo. Lo avevano tenuto sotto stretta osservazione per ore, e ora più che mai voleva stargli vicino.

Fu questa volontà che lo spinse ad eludere i due uomini entrando furtivamente nella stanza dov’era Merry, sfuggendo dalle solide braccia del Nano che nel frattempo ascoltava il guaritore, che continuava a discorrere con Aragorn.

Pallido come un cencio, Meriadoc era steso sul suo lettino, le coperte tirate fino alle spalle. Aveva il respiro corto ma da quel che poteva vedere Peregrino riusciva a dominarlo bene. E questo gli fece accendere una luce, per quanto illusoria.

“Merry, come stai?”

Gli prese la mano, ma era così fredda che la coprì con l’altra per fargli calore. Merry la strinse forte accarezzandola piano. Non voleva altro.

“Non molto bene, ma presumo non mi possa lamentare... Centovent’anni, Pip! Non ho superato il vecchio Bilbo ma meglio di niente.”

Rise debolmente, come se avesse detto qualcosa di divertente. Ma Pipino era sconvolto, e proprio non era in vena di scherzi.

“Non... non dirle certe cose. Ho una paura, Merry!”  balbettò tremante.

“Non ne hai motivo, Pip. Sei forte, e riuscirai a vivere anche senza di me. Hai imparato tanto, e hai insegnato molto anche a me. Hai consolato la Regina del Mark, ricordalo.”

“Ma che stai dicendo?” esclamò l’altro, riprendendosi. Si sentiva così inutile. “Ti rimetterai, ne sono sicuro! Studierai ancora le stelle, e faremo altre gite come quella di oggi.”

La sua voce però si ridusse ad un sussurro strozzato, e Merry lo vide distogliere lo sguardo carico di lacrime represse. Tutto ciò era troppo struggente per Pipino. In fondo, lui non doveva neanche essere lì a parlargli. Merry non sapeva se gli potesse fare bene o male al suo piccolo cugino, ma sembrava che uscire da quella stanza fosse l’ultima delle sue intenzioni. Si rese conto persino che si era acquattato al bordo del suo letto per stargli più appresso. E di mandarlo via non se ne parlava.

“La tua stessa voce ti tradisce, vecchio mio. Non sono uno stupido. Sto morendo e voglio prenderla con tranquillità e filosofia, tutto qui. Hai presente quando ti raccontai del Dono di Eru, quando ancora eravamo giovani e sapevamo poco del mondo esterno? Cosa ti dissi, lo ricordi?”

“Dicesti che la morte in fin dei conti è un bene,” singhiozzò lui “perché non ci rende stanchi del mondo, e perché ci fa apprezzare ogni singolo minuto dell’esistenza.” sentenziò come se fosse una lezione imparata a memoria. Una lezione che però ora non era disposto ad accettare. Una lezione che accostata a Merry non aveva la benché minima applicazione.

“Sì, questa era la mia conclusione. L’hai adottata anche tu, vedo.”

Sorrise debolmente, e se non fosse stato così fragile Pipino gli avrebbe tirato una manica per portarlo dove lui voleva. Come da bambini.

“Cosa farai ora, Pip? Hai intenzione di ritornare nella Contea?”

“No, resterò qui.” assicurò il vecchio Tuc. “Resterò insieme a te, come abbiamo sempre fatto.”

“Resta con Aragorn e gli altri, e spendi il tuo tempo con loro più che puoi. Davvero, la loro compagnia è più di quanto noi potessimo mai aspirare.”

“E con te?” chiese ancora.

“No, io... sarò nel tuo cuore e basta.”

Pipino non riusciva più a parlare o a fare domande. Si accucciò contro il fianco di Merry, piangendo in silenzio. Merry gli accarezzò i capelli, ricordando tutti coloro che avevano fatto parte della sua vita, uno per uno.

Si chiese se avesse mai fatto qualcosa di male o qualcosa di cui non ne valesse la pena. Di dispetti ne aveva fatti eccome, e si era portato dietro i guai con Pipino che lo seguiva ovunque.

Poi si era caricato sulle spalle il titolo di Signore della Terra di Buck, e da lì il suo matrimonio, e la nascita dei suoi figli. Vide Pipino condividere con lui tutto questo, e avvertì perfettamente ciò che l’altro stava provando in quel momento.

Pipino aveva un modo tutto suo di concepire situazioni ardue come quella, e chissà se avrebbe fatto quel che gli era stato detto. Probabilmente non aveva sentito una sola parola, preso com’era dal solo pensiero di voler stare con lui.

Legolas e Gimli assistevano a distanza senza dire una parola. Gimli si asciugava le lacrime con la barba gemendo in modo incontrollato. Il suo compagno gli cingeva le spalle, spostando gli occhi ora su di lui, ora su Merry e Pipino.

Piano piano Peregrino si rese conto che il respiro di Meriadoc si faceva sempre più impercettibile.

“Merry, mi senti?”

Merry non rispose. Accarezzò il braccio del cugino ancora una volta ed esalò un respiro strano, che fece tendere le orecchie del Re. Riconosceva quando una persona era sul punto di morire, perciò entrò nella stanzetta seguito a ruota da suo figlio.

Commise l’errore di prendere il braccio di Pipino che tanto amorevolmente Merry aveva toccato, e il vecchio Tuc esplose. Tutto ciò era davvero troppo.

“Aragorn, lasciami con lui!”

A quella preghiera, sulle guance del Re scese una lacrima. Quelle di suo figlio Eldarion erano già completamente bagnate. Il Principe era in procinto di aiutare il padre a convincere Pipino ad andarsene da quella camera; ma si rese conto che sullo stipite della porta di Merry c’era sua sorella Lùthien. La giovane osservava l’interno chissà da quanto tempo, perché anche lei stava piangendo, gli occhi sgranati dall’incredulità di quel che stava accadendo.

Nel suo deliquio, la mente di Merry la scambiò per la sua stessa figlia, e ne pronunciò il nome per l’ultima volta. La sua ultima parola. Prima di spirare.

“Primula...”

“Merry!” mormorò la Principessa.

Il momento era così straziante che Eldarion decise di accorrere per portar via sua sorella. Le cinse le spalle, e la fece procedere verso le sue stanze, dove la affidò a sua madre e a Nerwen, anch’esse evidentemente afflitte.

“Pipino, vieni via.”

“Voglio... voglio stare con lui, ti prego.”

Esaudirlo significava anche assistere alla sua inutile, affranta veglia. Per questo Aragorn, cercando di essere il più delicato possibile, fu costretto a prenderlo in braccio, costringendolo a lasciare la mano del suo amico. Lo Hobbit provò a stento a dimenarsi: la forza di Re Elessar era troppo per lui, ma combatté per mantenere il contatto visivo con il corpo del suo caro cugino Merry.

Strinse i lembi delle vesti del Re con forza, tentando di affacciarsi oltre la grandezza delle sue spalle.

Merry era lì, solo e pallido. La mano che aveva tenuto fino a pochi istanti prima era abbandonata appena di fianco al cuscino. I riccioli bianchi si confondevano con il candore del suo capezzale. Era sereno, ma questa consapevolezza non era di nessun aiuto o conforto.

Non vide neanche Ostoher che con gli occhi arrossati gli stendeva un lenzuolo bianco addosso, coprendone anche il volto. Il suo pianto avrebbe trovato sfogo dopo, quando Meriadoc si sarebbe trovato nel suo luogo di riposo e tutto sarebbe realmente finito.

Le lacrime di Peregrino invece bagnarono la barba del Re, che intanto lo abbracciava sussurrando consolazioni che non erano in grado neanche di alleviare il suo stesso accoramento.

L’ultima cosa che vide prima di svenire in preda alla disperazione fu un buio profondo oltre il baratro, ed un punto luminoso che subito si spense.

Tutto ciò che aveva, lo aveva irrimediabilmente perso.

 

 

 

 

 

 

NDA

In questo capitolo ho tentato di introdurre per bene il Fato degli Uomini (come viene chiamato dai mortali del Silmarillion che ne hanno timore) o Dono di Eru (per quanto le mie capacità potessero permetterlo), anche perché è Tolkien stesso che lo copre di un velato mistero, per quanto sia esplicativo che immortali e non, hanno sorte differente.

Doveva essere un capitolo molto più corto e un po’ più d’impatto, ci scusiamo per il disagio! xD

 

   
 
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