#O1
– THE FIRST TIME ;
Carne
e Verità.
When you feel my heat, look into my eyes: it’s where my demons hide; don’t get too close, it’s dark inside: it’s where my demons hide.*
“Se non esistesse il cuore dell'uomo, non ci sarebbe disperazione sulla terra.”
─Romain Gary
Il
campanello suonò
e si diresse con un passo misurato, indossava bella biancheria, era
depilata e ben vestita, con quei tacchi che facevano tic-tac
sul parquet e rimbombavano per la casa vuota. Era tutto quello che
voleva, ogni dettaglio era per soddisfare le sue aspettative, una
specie di regalo d'addio a Amy.
Non era emozionata,
nervosa o anche solo incuriosita. Le mani non erano sudate, ebbero
solo un leggero tremore al secondo giro di chiave.
«Buonasera.» le
sorrise Ian, splendido nella sua maglietta beige con una stampa
astratta di colore leggermente più scuro, sui cui aveva una
giacca
sportiva grigio scuro con delle toppe di cuoio sui gomiti.
«Buonasera.» lo
accolse con un tono quasi.. professionale, gelido.
«Un po' di vino?»
tirò fuori da dietro la schiena una bottiglia con attaccato
un
bigliettino con dello spago, come se niente fosse. Lei la prese e
l'osservò sospettosa facendosi da parte per farlo entrare.
Una breve occhiata
all'esterno le fece notare che cominciava a nevicare fitto e grosso,
tanto che gli alberi del giardino erano già quasi del tutto
imbiancati. Richiuse velocemente la porta distogliendo lo sguardo in
fretta. La neve era una di quelle cose belle che una volta la
facevano emozionare come una bambina, una di quelle piccole cose che
una volta le scaldavano il cuore. Ricordava ancora chiaramente tutte
le volte che aveva ballato sotto quei fiocchi con un sorriso sulle
labbra screpolate e le guance arrossate.
«Non devi
fingere.»disse lei duramente mentre lui si guardava attorno
assorto
senza aver notato la sua reazione.
«Non sto fingendo,
è semplice cortesia.» rispose distrattamente senza
guardarla.
Lei ignorò la sua
risposta e guardò il bigliettino, semplice, color avorio in
cui
all'interno c'era scritto “Felice
deflorazione” con una
una calligrafia un po' sghemba in inchiostro blu. Fece una smorfia di
disappunto ripiegandolo e si diresse verso la cucina.
«Aspettami nella
stanza alla tua destra, mettiti pure comodo.» si
voltò dirigendosi
in cucina, prendendo un cavatappi da un cassetto e due bicchieri a
stelo ben panciuti dalla credenza. Cosa stava facendo?
Perché voleva
uccidere così l'unica parte di lei rimasta allo sfacelo
della sua
anima?
Perché ormai
pesa troppo per conviverci ancora, è ora di troncare ogni
rapporto
con la tua umanità; si rispose duramente mentre
versava il vino
nei bicchieri e li portava a colui che l'avrebbe aiutata a spegnere
l'ultima scintilla che le rimaneva.
Ian era di spalle
quando entrò, sembrava parecchio preso nel guardare le foto
poggiate
sulla mensola del camino acceso; sua madre ne era stata così
entusiasta quando l'aveva vista. Era sempre stato il suo sogno, un
bel camino di pietra grezza a vista su cui disporre tante belle foto
degli attimi felici della sua vita, per esserlo ancora un po'
riguardandoli. C'erano le foto del matrimonio, con sua madre
raggiante nel suo abito bianco in pizzo e il suo neo marito che la
stringeva da dietro sovrastandola tanto era il dislivello di altezza
fra loro, alcuni scatti di famiglia, alcune in posa, altri fatti a
tradimento a discapito di qualcuno, una mandata da suo fratello
quando era stato a quel corso a Berlino, sorridente davanti a una
grande cattedrale di cui nemmeno ricordava il nome. Quelle di Amy,
invece, si fermavano a più di un anno prima, con la foto del
suo
sedicesimo compleanno, tutti attorno a una torta da supermercato alla
frutta, sorridenti e un po' sfatti, ma veri. Sembrava una persona
diversa, non per il trucco un po' colato e i capelli scombinati, ma
per l'espressione. C'era una tale vita nel suo sguardo, nel suo
sorriso che avrebbe travolto chiunque; quel viso, contrapposto a
quello del presente la faceva sembrare ancora più fredda,
quasi
inesistente.
«Ti avevo detto di
metterti comodo, a proposito, carino il bigliettino.. fa sempre parte
del servizio o è un'extra gentilmente offerto dalla
casa?» esordì
distogliendo in fretta lo sguardo dai ricordi che una volta le
facevano male e ora la lasciavano solo rumorosamente vuota.
Probabilmente sarebbe stato molto meglio organizzare la cosa in una
stanza d'albergo, farlo venire lì, oltre ad essere un
rischio per la
sua privacy, era anche un modo per permettergli inconsciamente di
tirare fuori vecchi fantasmi. Come il fatto di riposare lo sguardo su
quelle foto che ignorava sistematicamente ogni volta che entrava in
quella stanza, ma voleva che quell'ultimo sfregio a sé
stessa doveva
succedere in luogo che le avrebbe ricordato costantemente cos'aveva
deciso, cos'aveva scelto per sé stessa.
«Oh no, questo è
solo per te, sai, una circostanza inusuale merita qualcosa con cui
festeggiarla.» si voltò con nonchalance l'uomo.
«Dovrei sentirmi
onorata?» si accigliò leggermente sedendosi
comodamente sulla sua
poltrona preferita di fronte al fuoco, dove di solito si metteva a
leggere con una tuta sformata addosso, gli occhiali e i capelli
raccolti malamente. Probabilmente in qualche album c'era anche una
foto di lei in quella mise. Da quando suo fratello aveva scoperto la
sua passione per la fotografia non faceva che scattare “pieces
of life” come li chiama lui.
Era un bel
contrasto, ora, con un bel vestito, i tacchi vertiginosi e un
bicchiere di vino bianco in mano.
«Oh, credo che ci
voglia qualcosa di molto più–
eclatante.» ribatté lui
rigirandosi in mano il bicchiere che aveva preso quando lei glielo
avevo porto. Si sedette sul divano di fronte a lei poggiando con
nonchalance il braccio sullo schienale e accavallando le gambe in una
posa da seduttore consumato.
Chissà se aveva un
copione per quegli incontri, dimodoché ogni donna che
dovesse
servire fosse soddisfatta. Come un bravo cameriere.
Studiava le clienti,
ne indovinava i gusti e le inclinazioni per farle sentire amate,
desiderate.. ne conosceva e condivideva i peccati per legarle a
sé
indissolubilmente dimodochè non potessero più
sfuggirgli.
In fondo, un certo
Heinlein non aveva detto “Le puttane svolgono lo
stesso lavoro
dei preti ma molto più scrupolosamente.” ?
«Mhm, potrei
stupirti.» commentò lei, più per non
far cadere il discorso che
non per un vero interesse verso quella conversazione forzata. Di
rito.
Bevve tutto d'un
sorso il vino pentendosi amaramente di aver lasciato la bottiglia in
cucina.
«Oh, non ne
dubito.» ammiccò bevendo anche lui quasi tutto il
suo bicchiere.
Amelia rimase in
silenzio, sembravano arrivati ad un punto morto e lei non sapeva che
fare con lui che sembrava farle la radiografia. Doveva riprendere in
mano il controllo della situazione. Si alzò cercando di far
sembrare
il più naturale possibile quello scatto improvviso e gli si
avvicinò
lentamente, chinandosi per prendergli il bicchiere che teneva fra le
mani.
Le fermò il polso
con una presa delicata, ma decisa, tenendola ferma così, per
metà
chinata su di lui occhi negli occhi. Sentì la stretta calda
della
mano avvolgerle il polso sottile, quasi come una scossa. La
tirò a
sé leggermente, con delicatezza, facendo in modo che dovesse
essere
lei a volersi chinare sempre di più, altrimenti avrebbe
potuto
benissimo tirarsi indietro, ma non lo fece, anzi, lasciare che fosse
lui a condurre il gioco la rilassò, contro ogni sua
aspettativa e
mania di controllo. La attirò a lui lentamente, calibrando
ogni
millimetro con la flemma di chi sa che l'attesa spesso è
meglio del
bacio stesso. O del piacere, in quel caso.
Si sentiva il suo
respiro caldo e inebriante sulla pelle del viso, odorava di buono e
di vino. Qualche altro centimetro e sentì l'odore della sua
pelle,
che le solleticava persino il palato, quasi avesse un sapore
dolceamaro, forte e pungente. Odorava di nebbia, tabacco e qualcosa
che poteva ricollegare vagamente all'arancia, ma non era quello, era
molto più carnale, era l'odore della sua pelle.
Continuarono a
guardarsi negli occhi e nonostante fisicamente fosse lei a sovrastare
lui, sembrava il contrario. La forza di quegli occhi blu intenso che
l'avevano colpita fin dall'inizio —assieme ad un bel
fondoschiena e
la visione d'insieme decisamente non male— ma erano stati
quei
pezzi d'oceano a metterla al muro. A farla decidere.
Sembrava quasi un
bacio normale, senza quel contesto che sporcava tutta la poesia che
secondo la fantasia comune doveva esserci in una situazione del
genere. Le loro labbra ora quasi si sfioravano, ma nessuno dei due
accennava a voler distogliere lo sguardo, in quella muta sfida che
serpeggiava fra di loro. Un respiro un po' profondo di lui la fece
risvegliare da quella specie di ipnosi.
«Vado a portare giù
i bicchieri.. o vuoi altro vino?» chiese con un leggero
tremolio
della voce a metà della frase, in fondo era attratta da lui,
il suo
corpo non era morto assieme alla sua anima.
«No grazie, ma se
serve a te..» rispose lui con un tono caldo che le fece
venire un
brivido lungo la schiena. Aveva sempre pensato che una delle parti
più seducenti di un uomo era la voce, e a quanto pareva lo
sapeva
anche lui.
«Non ho mai avuto
bisogno di coraggio liquido.» ne ho già
abbastanza di mio,
rispose per poi rimettersi dritta e voltargli le spalle.
Si rintanò da vera
codarda in cucina, contraddicendosi da sola. Aprì la
lavastoviglie
distrattamente e vi mise dentro i bicchieri pensosa. Non aveva dubbi
o ripensamenti, era solo stranita da tutte quelle parole, quei giochi
di sguardi che facevano sembrare quella situazione come un semplice
gioco di seduzione mentre era tutto preconfezionato, fasullo. Era
tutto falso, com'era stata la sua vita troppe volte.
Lo sentì arrivarle
da dietro, ma non si voltò, lo lascio avvicinare facendo
finta di
niente, richiudendo la lavastoviglie e recuperando un tappo di
plastica da un cassetto su cui campeggiava un'apetta dondolante su
una molla. Richiuse la bottiglia e finalmente si voltò per
andare a
metterla in frigo, ritrovandoselo molto più vicino di quanto
aveva
previsto.
Di nuovo il suo
odore l'avvolse come una coperta fumosa, stuzzicandole i sensi.
«Pensavo fossi
scappata.» le disse a mezza voce.
«Questa è casa
mia.» ribatte con ovvietà senza riuscire a
muoversi di un
centimetro. Bloccata.
«Hai ragione.»
mormorò. Era bloccata contro il piano della cucina, un passo
indietro e ci avrebbe appoggiato la schiena e lui le toglieva ogni
via di fuga davanti. Ma perché pensava in termini di
prigionia? Non
l'aveva voluta lei quella situazione? Non si era forse prodigata lei
stessa per finire in quella situazione? E lui faceva solo il suo
lavoro, per cui era stato assoldato e pagato da lei stessa.
«Metto via questa e
sono subito da te.» fece un respiro profondo aggirandolo. Non
capiva
perché stesse giocando al gatto e al topo con lui quando non
ne
aveva bisogno, quando non si capiva nemmeno chi era il felino e chi
il roditore. Decisamente avrebbe preferito far parte della prima
specie, ma qualcosa le diceva che non era esattamente così
che
stavano le cose.
Mise la bottiglia
nel frigorifero nel maggior tempo possibile senza dar l'immagine di
voler rimandare, poi si voltò e lo vide. Esattamente nella
stessa
posizione di quando gli aveva voltato le spalle solo che adesso
l'osservava intento in chissà quale pensiero. Era bello, su
questo
non c'erano dubbi, sicuramente se non lo fosse stato non sarebbe
stato così gettonato.
Le si avvicinò con
lentezza, perfettamente naturale, eppure c'era sempre quella nota
stonata nell'aria che non riusciva ad identificare. Quando le fu
davanti le poggiò le mani sulla vita e lei dovette farsi
violenza
per non arretrare, per mantenere quella fredda visione di sé
che lui
aveva avuto fin dall'inizio. Per rimanere credibile anche a
sé
stessa.
Quando le fu così
vicino da invaderla col suo respiro caldo non riuscì
più a
trattenersi, gli immerse le mani nei capelli e riempì il
piccolo
spazio vuoto che c'era fra loro. E quello fu il loro primo bacio, e
in quel preciso momento, mentre sentiva già il suo sapore
sulle
labbra e la loro morbidezza che le sfiorava, un pensiero che
durò
solo un istante, fuggevole che dimenticò subito dopo, alla
presa con
questioni di ben altra importanza, fu che l'inizio della fine doveva
per forza essere così, avere il suo odore, il suo sapore, la
sua
bellezza ammaliatrice, macchiata di peccato mascherato dalle buone
maniere e dalle convenzioni.
Lo baciò, assaporò
e morse, non vi fu nulla di poetico né mistico. Furono
sospiri a
fior di labbra e mani che sfioravano e toccavano ciò che
potevano
raggiungere.
Contro quel frigo si
consumò il primo atto del suo lento e crudele addio al suo
cuore.
«Niente finzioni,
non voglio che sembri qualcosa che non è.» gli
sospirò a fior di
labbra inchiodandolo con lo sguardo, con una mano sul suo petto e
l'altra ancora stretta nei suoi capelli morbidi.
Per quanto inutile
sia anche un topolino può travestirsi da leone, bastava
crederci.
«Nessuna finzione.»
annuì senza sfuggire dal suo sguardo, e anche se in quel
momento
stava probabilmente recitando una parte rompendo la sua promessa nel
momento stesso in cui la pronunciava lui sembrava capirla, con quello
sguardo così blu reso ancora più liquido dal
desiderio e lei decise
di credervi. Di mentire a sé stessa.
«Seguimi.» mormorò
facendo scivolare la mano che fino ad un momento prima era sul suo
petto nella sua che era ancora posata sul suo fianco. In
realtà non
lo prese propriamente per mano, per amor della precisione gli
circondo il polso con la mano piccola che non riusciva nemmeno a
circondarlo del tutto. Si sfilò velocemente da quella
posizione
scomoda e lui si lasciò guidare su per le scale di legno
dopo un
ultimo sguardo. Entrarono nella stanza di lei, carina e accogliente
con un bel letto a una piazza e mezza con un copriletto su cui
troneggiava la bandiera inglese. Quando lui riprese il controllo
della situazione e la fece stendere sul letto per mettervisi sopra
affondarono nel materasso morbido. Aveva voluto la verità e
lui
gliela stava dando, comprese la rossa fra un bacio e l'altro. Lui
nelle questioni carnali era quello esperto e voleva comandare. Solo
che probabilmente non aveva considerato che per quanto inesperta,
sopra o sotto che fosse, Amelia non era una tipa da lasciarsi
sopraffare. Si era sfilata le scarpe mentre sentiva le mani di cui
correre lungo le sua gambe, sempre più su raggiungendo
sempre più
inesorabilmente il limite del vestitino corto che aveva indossato
quella sera, già di parecchio sollevato dalla foga dei
movimenti.
Fece correre la mano sotto la giacca di lui levandogliela senza tante
cerimonie, senza paura di sembrare goffa o troppo sfacciata, come
immaginava sarebbe stato se al posto di quell'uomo di cui conosceva
solo il nome –Ian– e il mestiere –puttana
d'alto bordo– ci
fosse stato qualcuno a cui teneva davvero; e questa cosa le piaceva
davvero, la entusiasmava e la faceva sentire forte e impudente. Anche
se non era così, in quel momento lei fu la predatrice e
–realizzò–
anche lui lo era. Due animali che lottavano per il territorio a suon
di baci, di morsi e carezze tutt'altro che tenere. La sospinse
più
verso la testata del letto, visto che a quella altezza le sue gambe
al di sotto del ginocchio penzolava oltre il bordo. Lei si
lasciò
spostare docilmente mentre aveva già le mani sotto la sua
maglietta,
desiderosa di sentire la sua pelle contro la propria e lui per si
stacco per un attimo dal suo collo che stava lentamente e allo stesso
tempo voracemente torturando per farsela sfilare.
Non c'era
sentimento, cuori che battevano all'unisono e amori sussurrati a
mezza voce perché troppo importanti per essere gridati.
C'era
passione, giochi di labbra, sguardi languidi che s'intrecciava e poi
lasciavano, visi arrossati e l'odore della loro pelle mischiato in un
profumo primordiale che spingeva i loro corpi a chiedere sempre di
più.
Le sfilò le
autoreggenti, non con delicatezza e reverenza come in ogni film,
mentale o hollywoodiano che fosse, ci si aspetta, ma quasi
strappandogliele, veloce come chi consumato dall'esperienza sapeva
cosa faceva, un gesto abituale macchiato dalla passione.
Era tutto confuso,
come eternamente bloccato su una linea di confine dondolando un po'
di qua dove giocava l'esperienza e la freddezza calcolatrice e un po'
di là dove regnava la passione e l'autocontrollo andava a
farsi
fottere, nel senso letterale del termine.
Decise di passare
all'attacco anche perché sentirlo mentre le mordicchiava il
collo e
la sfiorava soltanto e lei era ancora vestita la stava innervosendo.
Lo ribaltò senza troppa delicatezza per stendersi
praticamente sopra
di lui. Si mise a cavalcioni e lo baciò con
aggressività mentre lui
le metteva le mani sotto la gonna accarezzandole e stringendole i
glutei.
Lei gli accarezzava
il petto sodo, seguendo le linee sottili dei muscoli appena accennati
che guizzavano sotto le sue dita.
Lui la stava facendo
impazzire mentre risalendo pian piano con le mani le tirava su il
vestito fino ad obbligarla ad alzare le braccia per farselo sfilare.
Le sembrava di essere in un sogno, era tutto così surreale e
allo
stesso tempo di una realtà schiacciante, sentiva ogni nervo
in lei
che si risvegliava mentre le loro labbra erano strumenti per divorare
l'altro con quanta più foga e i loro bacini si sfioravano e
allontanavano. Fu tutto naturale, abbandonò ogni pensiero e
semplicemente dedicò ogni suo pensiero a spogliarlo per
sentire la
sua pelle contro la propria, l'istinto primordiale che sapeva
esattamente cosa fare si risvegliò in lei e la travolse, fra
i
sospiri e i gemiti e quando arrivò il momento si accorse che
voleva
guardarlo negli occhi, era stupido, da romanzetto rosa, ma un momento
prima che lui facesse ciò per cui era stato pagato gli
immerse le
mani nei capelli come aveva già fatto più e
più volte quella sera
e lui le piantò quelle iridi pazzesche nelle sue.
Forse stava per dire
qualcosa, ma lei in ogni caso l'anticipò scuotendo la testa
tempestivamente, voleva quel silenzio, voleva sentire ogni volta che
respirava, ogni piccolo spostamento d'aria, voleva che tutto quello,
che stava andando oltre le sue aspettative apocalittiche, non fosse
rovinato da qualche stupida frasucola di circostanza. La
guardò
intensamente per qualche istante, poi capì e la
baciò, la baciò e
cancellò l'ultima traccia di purezza che le rimaneva allo
stesso
tempo e non sapeva dire se fosse una cosa buona o brutta. Di colpo
ogni suo pensiero che aveva cercato di riaffiorare in quella nebbia
di annullamento totale venne definitivamente spazzato via da
quell'unica verità. Niente di poetico o moralmente alto,
semplicemente fu come se il suo corpo si fosse risvegliato dopo quasi
diciott'anni di sonno perpetuo in un misto di dolore e un'unica
scarica elettrica di piacere che diede inizio a tutto.
E così ebbe davvero
inizio la fine.
Aveva
sentito, tempo
addietro, che alcune ragazze dopo la loro prima volta piangevano,
ridevano incontrollate o che si erano sentite come se dopo mancasse
qualcosa. Per lei fu qualcosa di ancora diverso, si sentì
uguale e
allo stesso tempo svuotata. Non sentiva quella mancanza di cui le
avevano parlato, né si addormentò all'istante
completamente
appagata, semplicemente, con il corpo caldo di lui che ancora
l'avvolgeva come una coperta d'indolenza le sembrava che non fosse
assolutamente cambiato nulla anche se aveva appena scoperto cosa si
provava a sentire con l'intero corpo. Era tutto uguale, lo
guardò
ancora per qualche istante negli occhi e capì l'intento di
quell'ennesima pazzia senza senso che aveva fatto. Voleva sentire,
voleva risvegliare quello che era rimasto sopito in lei per troppo
tempo e non ce l'aveva fatta. Lui la guardava pacifico e rilassato,
ma continuò a non dire nulla, rimasero in quel silenzio
carico
dell'eco dei loro sospiri e gemiti. All'improvviso quella vicinanza
divenne soffocante e non desiderò altro che scostarsene.
Slegò le braccia
dal suo collo e le appoggiò sul suo petto dandogli una
leggera
spinta, lui capì all'istante spostandosi di lato e
mettendosi steso
di lato a fissarla mentre si metteva per metà seduta e
cercava nel
cassetto del comodino il suo posacenere e il pacchetto di sigarette
ancora chiuso che di solito teneva di scorta quando le finivano.
Merda, erano
nell'altro comodino e lei aveva bisogno di fumare.
«Puoi guardare nel
comodino accanto a te? Dovrebbero esserci un posacenere e un
pacchetto di Lucky.» parlare di nuovo, sentire il proprio
tono
neutro spezzare quel silenzio che fino a quel momento era stato solo
un velo caldo che l'aveva protetta dalla realtà fu come
sentirsi
improvvisamente nuda in mezzo ad una bufera.
Ian le diede la
schiena e si mise a frugare nel cassetto tirando fuori un posacenere
di metallo e il pacchetto ancora integro. Richiuse il cassetto con
uno schiocco secco che la fece sobbalzare uscendo dalle sue
elucubrazioni.
«Tieni.» le
sorrise tranquillo come se nulla potesse intaccare la sua pace. Lei,
dal canto suo, sentiva la contrapposizione con l'estremo rilassamento
del corpo con la sensazione che ci fosse qualcosa di estremamente
storto nella sua testa.
Aprì pensosa il
pacchetto e stava per prendere una sigaretta quando lui la
bloccò
prendendole il pacchetto di mano sempre con un mezzo sorriso dipinto
sul volto.
«Aspetta.» le
disse semplicemente capovolgendo una sigaretta e rimettendola a posto
nel pacchetto.
«La sigaretta del
desiderio.» rispose al suo sguardo accigliato come se quella
frase
potesse spiegare tutto e lasciandola ancora più basita.
«La cosa?» chiese
confusa portandosi i capelli indietro passandoci dentro la mano ben
aperta.
«La fumi per ultima
esprimendo un desiderio quando la accendi.» le
spiegò porgendole il
pacchetto.
«È stupido.»
commentò riprendendolo e tirando fuori una sigaretta.
«È carino.» le
accese la sigaretta che si era portata alle labbra con un accendino
che evidentemente aveva preso dal cassetto anche se si era
dimenticata di chiederglielo.
«Mhm.. non penso.»
gli porse il pacchetto aperto. Lui lo prese e lo appoggiò
sul
comodino.
Rimase così, a
fissare il soffitto, mentre assaporava l'unica cosa che dai vari
racconti di adolescenti curiose era risultata veritiera: le sigarette
dopo il sesso erano ancor migliori dell'ultima della giornata.
«Perché hai scelto
di farlo in questo modo?» domandò all'improvviso
Ian rompendo una
delle clausole.
Fece un tiro dalla
sigaretta che teneva fra le dita, pensosa mantenendo lo sguardo fisso
sul soffitto verso cui si dirigevano le volute di fumo.
«L'ho messo in
chiaro all'inizio perché, semplicemente volevo gestirmela da
me la
mia prima volta, nessuno avrebbe fatto esattamente come volevo e
comunque mi sarei dovuta impegnare a conoscere dettagli inutili di
una vita che non mi interessava minimamente, quindi meglio
cosi.»
Un'alzata di spalle,
come se stesse parlando di una partita di calcetto.
La guardò
intensamente, chiedendosi come una persona, una donna, potesse
ridursi così, emotivamente nulla.
Sentendosi osservata
si voltò tirando un'altra boccata di fumo ricambiando lo
sguardo
profondo, dannatamente blu. Gli passò rapita una mano fra i
capelli
morbidi e neri. Con quel buon odore di pulito, mentre i loro sguardi
non accennavano a districarsi. Con lentezza le prese la sigaretta che
teneva fra le dita, allungandosi su di lei per spegnerla nel
posacenere sul comodino, mentre con l'altra mano già che le
teneva
il viso. Poi mentre si tirava indietro si fermo su di lei e la
baciò.
E si morsero, si baciarono e assaporarono ancora una volta,
perché
quella era la sua notte. La notte in cui tagliava l'ultimo legame
rimasto con la vecchia Amy e rimaneva solo Amelia, la persona che
aveva creato poco a poco chiunque avesse amato. Chiunque avesse amato
e poi perso.
Dopo la seconda
volta si sentiva stanca, ma la presenza estranea accanto a lei nel
suo letto non le permetteva di rilassarsi abbastanza da chiudere gli
occhi. Era così curiosamente ridicolo quanta fiducia ci
volesse nel
semplice atto del dormire accanto a una persona, mentre per farci
sesso non ci volesse nulla. Non aveva voglia di fumare ancora, non
aveva voglia di parlare. Non aveva voglia di voltarsi e vedere
quell'estraneo accanto a sé.
«Il bagno..?»
sentire la domanda venire dall'oggetto dei suoi pensieri la
infastidì
ancora di più, in quell'isola di estrema lucidità
in un mare di
sonnolenza che le intorpidiva il corpo, ma non la mente. Impedendole
di cedervi.
«La porta blu,
quella con la targhetta toilette.» rispose atona.
Sentì il
materasso alzarsi e i passi leggeri dei piedi nudi sul pavimento dopo
che aveva superato il tappeto ed era arrivato sul parquet. Una porta
aprirsi e chiudersi. Una chiave che girava nella toppa.
Sembrava tutto
scandito da quei rumori semplici, quasi non si accorse del respiro
liberatorio quando chiuse gli occhi portandosi una mano sul viso col
palmi rivolto verso il soffitto. La luce dei lampioni filtrava tenue
dalla finestra, ma dava lo stesso fastidio, forse perché
riverberata
dal biancore della neve che continuava a posarsi incurante
dell’assassinio dell'anima che stava accadendo in quella
casa. Non
sapeva più nemmeno lei perché l'aveva fatto, le
motivazioni che
aveva dato –che si era data– non valevano poi molto
a cose fatte.
Forse voleva di nuovo sentire qualcosa, forse voleva semplicemente
ferirsi pur di ricominciare a sentire. E invece niente,
le sue
manie di controllare ogni cosa le accadesse erano state soddisfatte,
la prima volta era stata anch'essa— soddisfacente.
Perché
quella parola stonava così tanto in quell'ambito?
Scacciò quel
pensiero molesto archiviandolo come stupido e autoimposto per
sentirsi normale, giusta. Una tiritera che era riuscita a debellare
da tempo e non intendeva riaccogliere nella sua testa solo
perché
aveva appena accolto qualcos'altro fra le gambe che non fossero le
sue mutande.
Si alzò a sedere un
po' troppo in fretta provocandole un leggero capogiro che la
costrinse ad appoggiarsi alla testata del letto allungando
tempestivamente il braccio prima di crollare. Doveva fare un respiro
profondo chiudendo gli occhi per riprendersi in fretta e raggiungere
il comò dove c'era una maglietta che avrebbe potuto mettere
perché
cominciava a sentire freddo e non se la sentiva ancora di mettersi
sotto le coperte. La sua ripresa divenne impellente quando
sentì il
rumore dello sciacquone attutito attraverso la porta chiusa e
capì
che a breve sarebbe uscito dal bagno e l'avrebbe trovata lì
nuda nel
corpo e nell'animo, e se alla prima neanche ci pensava la seconda non
era un'opzione. Non l'avrebbe vista debole.
Si fece forza per
alzarsi, ancora un po' stordita, ma determinata. Attraversò
la
stanza più in fretta che poté e si
aggrappò al comò fino a farsi
sbiancare le nocche. Aveva la vista appannata che le ricordò
che non
aveva mangiato dall'ora di pranzo quando si era fermata nel suo fast
food vegano preferito, l'unico in tutta la città a dire il
vero,
dopo delle commissioni. Era stata in giro anche praticamente tutto il
pomeriggio per poi ritrovarsi a dover preparare e sistemare ogni
cosa, compresa se stessa, usando anche il tempo che aveva
preventivato per un pasto precotto da infilare in microonde.
Aprì il primo
cassetto e prese una delle magliette a maniche corte troppo grandi
per lei che aveva rubato a suo fratello, che benché fosse
più
piccolo di lei d'età, la superava di almeno una ventina di
centimetri e forse anche di più in altezza. Se la
infilò in fretta
sentendo che la copriva fin quasi alle ginocchia.
Click. La
porta si aprì silenziosa dopo lo scatto leggero della
serratura, ma
non sentì i suoi passi sul parquet. Si voltò dopo
un ultimo respiro
profondo per calare su di sé la maschera di
intoccabilità che aveva
mantenuto fino a quel momento: Ian, così aveva detto di
chiamarlo
nessun cognome.
Lui non aveva detto.
Lei non aveva
chiesto.
La fissava
appoggiato allo stipite della porta incurante della sua
nudità; in
fondo con il lavoro che faceva sarebbe stato ridicolo se fosse stato
pudico.
«Così ti piacciono
i cartoni animati.» commentò divertito.
«Come?» gli lanciò
una breve occhiata perplessa non capendo da dove venisse quel
commento decisamente fuori luogo.
«Bhe, la tenda
della doccia di Spongebob e la maglia con sopra un– un
animaletto
strano verde col becco e il cappello..» parlò come
se stesse
parlando di api e di fiori a una bambina di cinque anni un
–bel–
po' ottusa. Si guardò la maglia che aveva indossato in tutta
fretta
e scoprì che aveva indossato la maglia con l'ornitorinco di
un
cartone animato estremamente stupido che il suo fratello estremamente
stupido, nonostante i sedic'anni compiuti, adorava. Di tutte le
maglie rubate –fra cui anche una più dignitosa dei
Pink Floyd,
tanto per dire– aveva pescato quella.
Scrollò le spalle
indifferente. «La tenda l'ho vista in un supermercato e l'ho
trovata
carina.» nessun commento sulla maglietta, nessuna
spiegazione. Non
avrebbe permesso nessuna infiltrazione nella sua vita, nel suo scarno
ambito affettivo.
Si era appoggiata
senza accorgersene al mobile con la schiena ed entrambe le mani,
probabilmente un'altra inconscia barriera che aveva eretto pur di non
mostrare debolezza, persino in quel momento, con quell'estraneo nel
suo territorio.
Aveva un'assurda
voglia di pasta aglio, olio e peperoncino, ma non era buona mossa
prepararsi qualcosa di potenzialmente letale se solo dopo avesse
respirato nel raggio di cinquecento metri dall'uomo che aveva pagato
per una notte di sesso. Profumatamente pagato.
Nonostante questi
discorsi mentali fossero parecchio convincenti di meno lo era la
consapevolezza che in frigo c'era ben poco dato che sua madre, che di
solito si occupava della spesa, era in vacanza in montagna con tutta
la famiglia. Meraviglioso! E lei continuava ad aver fame.
«Vado a farmi un
panino.» si voltò senza aspettare risposta. Non le
importava cosa
avrebbe potuto pensare di lei, di certo far colpo su di lui non era
fra le sue priorità.
Scese le scale
lasciando scivolare le mano sul corrimano di legno lucido e scuro,
accarezzò distrattamente la piccola sfera lucida e bianca di
marmo
alla fine girandoci intorno per raggiungere la cucina. Le sembrava
così surreale la casa vuota, un uomo lasciato solo, e
soprattutto
nudo, nella sua stanza mentre lei andava a farsi uno spuntino di
sotto. Passò dal soggiorno per prendere il cellulare,
controllandolo
distrattamente. Sua madre l'aveva chiamata circa un'ora prima,
probabilmente voleva sapere se un ladro,violentatore e assassino era
entrato in casa per rubarle la sua virtù —che
andava decisamente
svalutata dopo quella sera— pensando che comunque le avrebbe
permesso di interrompere il delitto e riferirle se aveva rimesso il
latte in frigo e svuotato la lavastoviglie. Forse voleva solo trovare
una scusa per tornare giù da quel cucuzzolo su cui si era
fatta
trascinare per amore nonostante fosse un'ostinata fan del mare e del
caldo.
Un altro paio di
messaggi privi d'importanza e uno di suo fratello che le aveva
mandato su Whatsapp una foto di lui e del suo amico Eric —con
cui
divideva il piccolo chalet accanto a quello di loro madre e del
marito— in un bar, o meglio una specie taverna in cui il
legno e la
birra facevano da padroni. Avevano i segni bianchicci degli
occhialoni in viso e dividevano il tavolo con alcune ragazze
decisamente promiscue e dedite alla socializzazione a giudicare dalle
facce soddisfatte dei due adolescenti il cui cervello si trovava
affogato dagli ormoni. Il messaggio era di poche parole:
“Sono
felice che tu non sia venuta, altrimenti avresti fatto paura alle mie
spasimanti! A Eric invece manchi.” più una serie
di faccine
allusive su cui preferì non indagare mentre poggiava il
telefono sul
piano della cucina e apriva il frigo pensierosa tirando fuori quello
che rimaneva del cinese che aveva ordinato la sera prima. Si
appoggiò
con la schiena al ripiano masticando pensierosa gli spaghetti di soia
freddi, probabilmente avrebbe dovuto metterli nel microonde, ma la
voglia di fare qualunque cosa che fosse fuori dallo stretto
necessario era pari a zero. Perlomeno erano ancora imbevuti di tutte
le salse in cui li immergeva ogni volta.
~*~
Era lì che mangiava
con quegli occhi così strani —nocciola quasi
gialli— fissi in un
punto imprecisato, masticava e guardava il vuoto con quella maglietta
extralarge che faceva solo intuire le forme al di sotto, i capelli
sconvolti che le incorniciavano il viso. Ed era bella, bella quando
abbassava la guardia e l'unica espressione che aveva sul viso non era
eccitazione, desiderio, sfida o calma glaciale, ma semplice e tiepida
tranquillità; eppure c'era qualcosa che non cambiava mai in
lei,
neanche in quei momenti di quieta solitudine. Era un rumore di
sottofondo appena udibile, lo si notava solo se si tendeva
l'orecchio, se si era disposti ad ascoltare.
Restò nascosto
nella penombra, lei scendendo non aveva acceso nessuna luce. Sembrava
che fosse la nota predominante nella sua vita, si crogiolava nella
penombra, né buio né luce, semplice e
indifferente penombra. Il
cellulare accanto a lei cominciò a vibrare e la vide
sobbalzare per
quella crepa nell'immobilità che regnava in quel momento.
Guardò il
cellulare accigliandosi poi, con uno sbuffo, lo prese in mano e
rispose.
«Dimmi Ma'.» un
tono neutro, appena macchiato da una nota di fastidio malcelata.
«Tutto bene qui.»
telegrafica, indifferente.. quindi non era così distante
solo con
gli estranei –con lui– ma anche con la madre e le
persone più
vicine a lei.
«Sì, mi ha scritto
stasera.» rimase nell'ombra rubandole quella piccola
parentesi di
vita quotidiana, per semplice curiosità. Di solito si faceva
le sue
idee su ogni cliente, probabilmente chiunque facesse il suo lavoro
avrebbe potuto benissimo fare lo psicologo, faceva parte del tutto,
capire le persone e cosa volevano, perché meglio si faceva,
più le
si accontentava e di conseguenza la probabilità che
diventasse
un'abituè diventava più alta e quindi
più soldi che da gente a
caso. Una specie di reddito fisso.
Lei era strana,
sembrava la classica ragazzetta ricca e viziata con una mania di
controllo al di sopra dei limiti umanamente possibili e i soldi di
papino a disposizione. Eppure c'era dell'altro, oltre alla saccenza e
alla freddezza che la rendeva uguale a molte altre ragazze e ragazzi
di quel quartiere, c'era quel distacco che la contraddistingueva, che
all'inizio aveva attribuito ai soldi che aveva in tasca e il ruolo
che giocava lui nella società, ma vedendola parlare con la
madre—
quella deduzione era stata scalzata da una sensazione che non si
poteva definire a parole, ma che era solo istintiva.
Nonostante questo
non riusciva ad inquadrarla, capirla e non era ancora pronto ad
abbandonare la sua prima impressione.
«No, Ma'.. nessun
ladro, stupratore e maniaco assassino di vergini.» la
sentì dire e
si accorse che aveva perso un pezzo di conversazione grazie alle sue
elucubrazioni su di lei. Sembrava la solita conversazione
madre-figlia a parole, però mancava quella scocciatura mista
all'affetto necessaria nel tono della ragazza, sembrava stesse
ordinando una pizza. Difettava di emozioni.
«Mnh, okay.» la
sentì dire mentre prendeva un'altra forchettata tenendo il
cellulare
fra la spalla e l'orecchio. Ascoltava in silenzio masticando, magari
una filippica sulla sicurezza di una ragazza sola in casa di notte,
non poteva capirlo né dalla faccia di lei né dal
mormorio di
sottofondo che veniva dal cellulare.
«Ho sistemato
tutto—» cominciò bloccandosi di colpo
con la bocca aperta come se
stesse per dire qualcos'altro. «Sì, anche quello,
se ho detto che
ho fatto tutto vuol dire che ho fatto tutto.»
La guardò osservare
lo scatolino e spostarsi dalla sua posizione per buttarlo mentre
ascoltava ancora sua madre che a quanto pareva era logorroica quanto
la figlia era silenziosa.
«Te l'ho detto, non
mi serve nulla, digli di non spaccarsi la testa per niente.»
borbottò mentre metteva la forchetta nella lavastoviglie e
la
richiudeva.
«No, no, no..»
bloccò sul nascere un altro discorso. «Sono
stanca, parlaci tu e
spiegaglielo.. diglielo che non ho nulla contro di lui. Okay. Okay.
Notte.» e chiuse la conversazione, sembrava esausta mentre
poggiava
il cellulare e si riavviava i capelli.
Lui, in quel lasso
di tempo, era rimasto nascosto lì sulla soglia, lo schermino
illuminato del microonde segnava le 00:23, lui era lì sin
dalla
prima serata anche se le ore trascorse gli sembrava che fossero state
compresse fino a prendere le sembianze di massimo una di esse.
«Mi spii?» la voce
di lei lo sorprese in fallo, facendolo sentire come un bambino
beccato a rubare dal borsellino dell'intransigente nonna.
«Affatto, pensavo
ti fossi soffocata mangiando e sono sceso a controllare, mi devi
ancora la mia commissione.» rispose indossando una maschera
di
tranquilla indolenza, con addosso solo i boxer che aveva raccattato
da terra prima di scendere.
«Mhm, hai ragione.»
gli dava ancora le spalle. Seguì una piccola pausa che lo
fece
sentire scomodo e fuori posto.
«Vuoi mangiare?»
domandò lei all'improvviso voltandosi di scatto.
«No, grazie.»
rispose tranquillo.
«Vuoi del vino?»
continuò imperterrita, come se stesse cercando qualcosa da
fare,
qualcosa che smuovesse quel silenzio melmoso che si era adagiato fra
loro.
«No, grazie.»
ripeté.
«Vuoi andartene?»
lo spiazzò mentre lo guardava dritto negli occhi, uno
sguardo
incolore che lasciava solo intendere che lo stava studiando.
«Devi essere tu a
volermi mandar via.» le spiegò serafico, senza
lasciarsi intaccare
troppo dalla cosa. Certo, lo incuriosiva come persona, ma non ci
avrebbe certo perso il sonno, bastava solo che avesse i suoi soldi.
«Già.. Allora cosa
vuoi?» continuò imperterrita senza scoprirsi,
rifiutandosi di
farlo.
«Non sono io a
dettare le regole.» le fece notare mentre si rendeva conto di
essersi mosso verso di lei lentamente e di starlo ancora facendo.
Passo dopo passo.
Lei storse la bocca
contrariata, ma non disse nulla, rimanendo impassibile a parte quel
piccolo segno di aver sentito qualcosa.
«Sei tu la cliente
pagante e si da il caso che tu abbia prenotato i miei servizi per
tutta la notte.» continuò, facendo un passo ad
ogni parola.
Avvicinandosi con circospezione, come se lei fosse un animale feroce,
che solo un movimento brusco avrebbe potuto farlo scattare ad
azzannargli la gola.
«La cliente pagante
ora vuole bere.» evase bruscamente dalla discussione
sgusciando
nell'ormai angusto spazio che era rimasto fra loro. Invece di andare
al frigorifero si diresse verso uno scaffale sopraelevato aprendo
l'anta mettendosi in punta di piedi. Era piena di bottiglie di ogni
tipo, soprattutto superalcolici, notò con un'occhiata veloce.
«Ti piace il rum?»
domandò voltandosi già con una mano tesa. Lui non
capiva, non
capiva quei modi di fare, gli sfuggiva come a frenare ogni suo
impeto. Era tutto così surreale, lei nel letto
e quella fuori
dal letto erano due persone diverse; non che facesse queste
grandi dimostrazioni e lui non le pretendeva di certo, ma di solito
le inquadrava subito le clienti, lo aiutava a gestirle. Lei gli
sfuggiva di continuo. A letto, nonostante fosse inesperta e si
vedesse da qualche timida incertezza, era allo stesso tempo decisa,
passionale, quasi travolgente. Quando l'aveva deflorata gliel'aveva
visto negli occhi il dolore, gliel'aveva sentito nelle unghie che gli
affondavano nelle spalle, la mano che gli aveva stretto i capelli, ma
la sua espressione facciale non era cambiata di una virgola, non un
mugolio o un sospiro, un lamento.. aveva sostenuto il suo sguardo,
sfidandolo a fermarsi, a darle della debole. Non ci aveva messo
sentimento, o almeno, non quello che ci si aspettava da una vergine
nel sesso; ci aveva messo tutto tranne i sentimenti giusti.
Non aveva letto in
quegl'occhi promesse d'amore eterno, paura, timorosa timidezza.
Allo stesso tempo
non aveva visto quel vuoto che sovrastava ogni altro sentimento di
solito.
C'era stato solo
istinto, forza, tanta forza da far quasi paura, travolgente,
passione, voglia.
C'era stata tanta
carne e nessun vezzo interno, nessuna parola, illusione.
Carne e Verità.
Dura e cruda realtà.
«Sì.» la
osservando attentamente, senza perdersi nessun suo movimento mentre
quasi si arrampicava sulla cucina per prendere una bottiglia troppo
in altro per la sua misera statura. L'osservò quando
andò a
prendere due bicchieri, uno normale e uno da shot, mettendogli
davanti sull'isola al centro della stanza quello più piccolo
e
prendendo per sé quello più capiente,
riempiendoli abbondantemente
entrambi.
«Prego.» gli
indicò con un gesto vago della mano lo sgabello di fronte al
suo
dopo esservici arrampicata sopra.
Lui vi si sedette
con tranquillità, entrambi mezzi nudi davanti ad un
bicchiere di rum
a testa.
La ragazza fece un
cenno alzando il bicchiere e con un gesto secco ne buttò
giù una
bella sorsata.
Lui fece lo stesso
col suo shot mentre lei veniva scossa da un brivido involontario per
il liquido caldo che aveva fatto bruciare la gola anche a lui.
«Ancora?» e senza
aspettare risposta gliene versò un altro bicchiere.
«Hai proprio
bisogno di bere?» chiese all'improvviso lui non riuscendo
più a
contenere la curiosità.
«Cosa intendi?» si
mise subito sulla difensiva rispondendo con un altro punto
interrogativo alla domanda.
«Sembra che tu
abbia una voglia irrefrenabile di bere, ma non ne capisco il
motivo.»
si sforzò di mantenere un tono vago e rilassato.
«Non ne ho bisogno,
semplicemente è bello bere in compagnia, se lo si fa da soli
si
scade nell’alcolismo.» assunse un tono e
un'espressione abbastanza
stizziti, come se ogni goccia d'alcol buttasse fuori un po' di
ghiaccio che sembrava regnarle dentro.
«E approfitti di
ogni occasione per farlo?»
Stavano parlando di
ogni quanto si faceva un bicchierino mentre lui era lì,
pagato, per
fare sesso con lei. Non che fosse una cosa troppo strana, molte donne
lo cercavano per crearsi l'illusione per una sera di avere una
relazione appagante in cui un giovane uomo le trovava attraenti,
l'avevano portato a cene, ad eventi di beneficenza. Le donne
utilizzavano i gigolò in modo molto più sottile
ed emotivo di
quanto facessero gli uomini con le prostitute. Certo, questo non
voleva dire che non ci fossero le vecchie porcone, ma in generale il
sesso non era sempre l'obbiettivo finale, c'era più un
appagamento
personale. A volte lo facevano solo per sentirsi meno sole.
Ma lei lo faceva per
solitudine? Non sembrava il tipo, sì, era sola, ma sembrava
più una
scelta personale che una condizione imposta. Però, forse,
nonostante
non sembrasse così, si sentiva sola e basta, ed era molto
più
semplice di come aveva intuito.
Probabilmente era
solo una ragazzina viziata, ricca e maniaca del controllo.
«Sarebbe meglio se
tu non giudicassi così facilmente le persone, potresti
rimanere
deluso un giorno.» si limitò a ribattere
seccamente re-indossando
la sua maschera di imperturbabilità. Però
lasciò il proprio
bicchiere ancora mezzo pieno allontanandolo di poco con gesti
distratti delle dita.
Lo inchiodò con lo
sguardo e lui decise che erano già state dette troppe
parole, che
non avrebbe ceduto alle sue provocazioni né tantomeno
avrebbe
sprecato la nottata a cercare di inquadrarla quando lei faceva di
tutto per sfuggire da ogni definizione. Aggirò il bancone
con
lentezza, studiandole il viso per captare ogni minima reazione
potesse attraversarlo. Preferiva fare sesso con lei piuttosto che
stare dietro ai suoi tentativi di conversazione sconclusionati.
Lei rimase immobile,
seguendolo con lo sguardo, in guardia, come se si sentisse un animale
che stava per essere braccato.
Le si mise davanti,
era alta quanto lui appollaiata su quello sgabello che compensava la
trentina di centimetri di differenza che c'erano fra loro.
Le mise una mano fra
i capelli scostandoglieli, molto lentamente, e avvicinò il
viso al
suo per poi abbassarlo lentamente e posarle le labbra sul collo
depositandovi leggeri baci partendo dalla spalla lasciata per
metà
scoperta dal collo largo della t-shirt e risalendo pian piano.
«È parte del mio
lavoro, inquadrare le persone..» era arrivato a
metà collo, la
sentiva tremare leggermente sotto le sue labbra «..per capire
cosa
vogliono..» ora percorreva delicatamente la mandibola. Arrivo
fino
all'orecchio e poi si scostò per guardarla negli occhi.
«..e dare
loro ciò che davvero desiderano.» concluse in un
soffio, con un
tono caldo e roco. Lei gl'infilò di scatto le mani nei
capelli
dietro la nuca e fece cozzare le sue labbra contro le sue, con forza
e irruenza, forse voleva solo farlo stare zitto, o semplicemente la
sua offensiva l'aveva smossa. Le mise una mano sotto la maglia,
impaziente mentre lei gli accarezzava ogni pezzo di pelle che
riusciva a raggiungere allargando le gambe per farlo mettere in mezzo
e sentirlo più vicino.
E la terza volta fu
forte, appassionata, impaziente , senza lasciarsi respiro e con i
boxer non del tutto sfilati che gli circondavano le caviglie.
~*~
Quando
ebbero finito
lei rimase qualche istante appoggiata alla sua spalla col respiro
corto, ancora seduta su quello sgabello, con le unghie che quasi gli
affondavano nelle spalle e probabilmente avevano lasciato segni
rossastri.
Aveva ragione,
l'aveva capita. Era stato passionale, era stato forte. Era stato
sesso, puro e semplice e a quella definizione si aggrappava
beandovisi; nessun pensiero controverso, nessuna emozione in cui
affondare, era stato splendidamente fisico. E le
piaceva, come
si sentiva libera, sfrontata, priva di ogni inibizione mentre mentre
riprendeva fiato e lo allontanava con delicatezza, completamente
nuda, ma senza vergogna alzandosi in piedi con un leggero salto per
colmare la distanza fra i suoi piedi e il parquet. Non le importava
che fosse il primo uomo che la vedeva completamente nuda e non solo a
pezzi, non le importava che fosse l'unico ad esserle entrato
dentro, in modo così splendidamente fisico, e
averla guardata
negli occhi mentre veniva travolta dalle sensazioni che ogni sua
terminazione nervosa aveva sentito all'unisono come mai prima
d'allora.
Aveva fatto bene a
scegliere un professionista, ci sapeva fare, a quota tre orgasmi
raggiunti nei modi più disparati –ossì,
pensò deliziata, ci
sapeva fare eccome– si sentiva indolenzita e piacevolmente
leggera.
In pace.
La faceva sentire in
pace non essere amata e non dover amare per provare quella gran
soddisfazione che in molti dipingevano come il coronamento di quel
sentimento che tanto la ripugnava, rifletté mentre
raccoglieva la
maglia da terra e se la infilava con lentezza, indolenza. Lui intanto
si era tirato su i boxer e si era seduto sullo sgabello di fronte a
quello su cui avevano appena consumato il loro terzo amplesso.
«Penso tu ti sia
meritato un extra.» abbandonò un po' di quella
rigidità che la
contraddistingueva mentre allungava le braccia per stiracchiarsi.
«Sempre al suo
servizio mylady.» commentò lui facendole
l'occhiolino sorridendo
malizioso.
«Vado a prendere
una sigaretta.» annunciò lei facendo per
andarsene, salvo poi
voltarsi verso di lui.
«Se vuoi puoi
dormire nella stanza degli ospiti, ma non mi darebbe fastidio se tu
volessi fermarti nel mio letto.»
Non c'era nessuna
inflessione particolare nella sua voce, aveva detto addio alla
speranzosa Amy quella sera, o forse anche troppo tempo addietro per
ricordarsi come fosse davvero sperare in qualcosa ardentemente, era
un invito come un altro. Una considerazione.
«Solo se fai mezza
con me della sigaretta che stai per fumare.» le rispose
scendendo a
sua volta dallo sgabello, sembrava aver rinunciato a capirla e a lei
andava più che bene. Sarebbe stato più semplice
così conviverci
fino al mattino dopo.
Una tregua.
Fra di loro.
Con sé stessa.
Solo fino al
mattino.
Senza doversi
difendere, semplicemente dividere una sigaretta e dormire, senza
nessuna promessa di fiducia o impegno da parte sua che non fosse il
pagamento del lavoro, davvero ben svolto per la sua modesta se non
nulla esperienza.
«Okay, sta bene,
pensavo chiedessi un extra quindi mi è andata più
che bene.»
rispose facendo una smorfia che somigliava ad un sorriso, senza
dubbio un effetto postcoito.
«Penso che con
l'ultimo extra che mi hai promesso le bollette si pagheranno
egregiamente.» ribatté malizioso affiancandola
mentre si dirigevano
verso le scale.
«Hai così tanta
fiducia in te stesso?» storse il naso.
«Sono solo
pienamente conscio delle mie capacità.» sorrise di
rimando il
ragazzo, che sembrava così giovane,
chissà com'era finito a
fare quel lavoro.. i guadagni erano indiscutibilmente alti, su questo
non aveva dubbi, ma non riusciva ad immaginare come fosse finito ad
accontentare vecchie signore per lavoro. «Badi a non
sottovalutarle
lei, miss.»
Sembrava una
minaccia piena di ogni ammiccamento che più le sarebbe
piaciuto
inserirvi. Lo osservò, o meglio, lo studiò
interessata come non
aveva fatto da molto tempo; perdere tempo con le persone, a cercare
di capirle non era più cosa che le interessava, preferiva
farsi i
fatti propri e ignorare ogni essere umano che le gravitava attorno.
Era più semplice, più sano.
«Non le
sottovaluto, fidati di me.» ribatté con
nonchalance mentre
raggiungevano la porta della sua camera e lui gliela apriva in un
buffo gesto di galanteria.
«Prego.»
continuava a sorridere, sembrava facesse parte del pacchetto,
chissà
come doveva essere sorridere per lavoro, di sicuro a fine giornata
dovevano fargli davvero male le guance.
«Ma che gentile.»
ironizzò con un piccolo cenno del capo che doveva somigliare
ad un
velato ringraziamento mentre entrava e senza accertarsi che la
seguisse si avvicinò al letto per prendere una sigaretta. Si
distese
sentendo il materasso affondare accanto a sé e il suo calore.
Fumarono in
silenzio, ognuno perso nei propri pensieri passandosela con
naturalezza, una volta arrivata alla fine lei si gustò
l'ultimo tiro
ben consapevole che quella era l'ultima della giornata e segnava il
giusto confine fra veglia e sonno. Si sistemò sotto le
coperte e
voltò le spalle con tranquillità a Ian di cui
sentiva il calore
lambirla anche attraverso la piccola distanza che c'era fra loro.
«Buona notte.» il
suo respiro sul collo la fece rabbrividire dalla sorpresa come
scoprire che aveva colmato in fretta lo spazio fra loro stringendola
a sé. Era bello sentire il calore umano di qualcuno
avvolgerla,
senza nessuna pretesa assurda di un futuro assieme. Un rapporto del
genere l'avrebbe potuto anche sopportare. Sesso, sigaretta, sesso,
sigaretta e qualche chiacchiera priva di significato, addormentarsi
in un letto caldo poi la mattina dopo salutarsi e non avere il peso
di un'altra anima sulle spalle.
«Sì— anche a
te.» mormorò sovrappensiero mentre il torpore che
le avvolgeva il
corpo non ne voleva sapere di raggiungere anche il cervello. Forse il
fatto che non si fidasse di lui influiva non poco sul suo istintivo
senso di sopravvivenza che le diceva a chiare lettere di non chiudere
gli occhi accanto al pericolo. La differenza fra uomo e donna
–la
colpì quella riflessione prima di convincere del tutto
sé stessa di
zittirsi e riposarsi– era che all'uomo bastava il mero sesso,
la
donna voleva anche una borsa dell'acqua calda, se così si
poteva
definire, che le scaldasse il letto fino al mattino dopo.
Fece un ultimo
respiro profondo e finalmente si arrese al sonno accogliendolo come
un vecchio amico. Senza sogni, pacifico.
*Quando
senti il
mio calore, guarda nei miei occhi: è dove i miei demoni si
nascondono; non avvicinarti troppo, dentro di me c'è il
buio: è
dove i miei demoni si nascondono.
—Imagine
Dragons, “Demons"
note
dell'autrice:
questa parte è per i lettori coraggiosi che sono arrivati
fino a qua. Questa è la mia prima originale e ho una fifa
blu, ma questo non toglie che ce la sto mettendo tutta. Proprio per
questo ho aspettato il primo capitolo per aggiungere questa noticina a
piè pagina per chiedervi un parere sincero su ciò
che ho scritto e ringraziare le persone che già la seguono.
Mi incoraggiate a continuare con questo piccolo esperimento, sperando
che possa essere qualcosa di più.
With
love. :)