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Autore: Miss Dumbledore    02/03/2015    2 recensioni
“Più un cuore è vuoto e più pesa."
—Augusta Amiel-Lapeyre

Una ragazza ricca e tradita fin troppe volte, sfiduciata e arrabbiata nel profondo nei confronti degli uomini.
Un gigolò che si destreggia fra le donne più facoltose e sole della città usando il suo charme e il suo corpo come fonte di guadagno.
Lei che si sente un involucro vuoto.
Lui una cosiddetta “puttana di alto bordo”.
Come si incroceranno le loro strade? Cosa c'entrano i loro mondi l'uno con l'altro e cosa li ha portati a incrociarsi quando sono solo i soldi ad accomunarli?
Lei, non la classica bella ragazza, una bellezza discreta dai lineamenti particolari.
Lui affascinante, ferino e decisamente gettonato fra le signore; il classico uomo da ormone impazzito.
Lei con un carattere forte e un cuore che sembra essere stato asportato gli fa una proposta.
Superficialità e un viaggio interiore intrapreso dalla porta di servizio s'incrociano per arrivare alla stessa destinazione.
"Aprì gli occhi di scatto e incontrò i suoi, così blu da affogarvici dentro."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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#O1 – THE FIRST TIME ;
Carne e Verità.

When you feel my heat, look into my eyes: it’s where my demons hide; don’t get too close, it’s dark inside: it’s where my demons hide.*


Se non esistesse il cuore dell'uomo, non ci sarebbe disperazione sulla terra.”

Romain Gary




Il campanello suonò e si diresse con un passo misurato, indossava bella biancheria, era depilata e ben vestita, con quei tacchi che facevano tic-tac sul parquet e rimbombavano per la casa vuota. Era tutto quello che voleva, ogni dettaglio era per soddisfare le sue aspettative, una specie di regalo d'addio a Amy.
Non era emozionata, nervosa o anche solo incuriosita. Le mani non erano sudate, ebbero solo un leggero tremore al secondo giro di chiave.
«Buonasera.» le sorrise Ian, splendido nella sua maglietta beige con una stampa astratta di colore leggermente più scuro, sui cui aveva una giacca sportiva grigio scuro con delle toppe di cuoio sui gomiti.
«Buonasera.» lo accolse con un tono quasi.. professionale, gelido.
«Un po' di vino?» tirò fuori da dietro la schiena una bottiglia con attaccato un bigliettino con dello spago, come se niente fosse. Lei la prese e l'osservò sospettosa facendosi da parte per farlo entrare.
Una breve occhiata all'esterno le fece notare che cominciava a nevicare fitto e grosso, tanto che gli alberi del giardino erano già quasi del tutto imbiancati. Richiuse velocemente la porta distogliendo lo sguardo in fretta. La neve era una di quelle cose belle che una volta la facevano emozionare come una bambina, una di quelle piccole cose che una volta le scaldavano il cuore. Ricordava ancora chiaramente tutte le volte che aveva ballato sotto quei fiocchi con un sorriso sulle labbra screpolate e le guance arrossate.
«Non devi fingere.»disse lei duramente mentre lui si guardava attorno assorto senza aver notato la sua reazione.
«Non sto fingendo, è semplice cortesia.» rispose distrattamente senza guardarla.
Lei ignorò la sua risposta e guardò il bigliettino, semplice, color avorio in cui all'interno c'era scritto “Felice deflorazione” con una una calligrafia un po' sghemba in inchiostro blu. Fece una smorfia di disappunto ripiegandolo e si diresse verso la cucina.
«Aspettami nella stanza alla tua destra, mettiti pure comodo.» si voltò dirigendosi in cucina, prendendo un cavatappi da un cassetto e due bicchieri a stelo ben panciuti dalla credenza. Cosa stava facendo? Perché voleva uccidere così l'unica parte di lei rimasta allo sfacelo della sua anima?
Perché ormai pesa troppo per conviverci ancora, è ora di troncare ogni rapporto con la tua umanità; si rispose duramente mentre versava il vino nei bicchieri e li portava a colui che l'avrebbe aiutata a spegnere l'ultima scintilla che le rimaneva.
Ian era di spalle quando entrò, sembrava parecchio preso nel guardare le foto poggiate sulla mensola del camino acceso; sua madre ne era stata così entusiasta quando l'aveva vista. Era sempre stato il suo sogno, un bel camino di pietra grezza a vista su cui disporre tante belle foto degli attimi felici della sua vita, per esserlo ancora un po' riguardandoli. C'erano le foto del matrimonio, con sua madre raggiante nel suo abito bianco in pizzo e il suo neo marito che la stringeva da dietro sovrastandola tanto era il dislivello di altezza fra loro, alcuni scatti di famiglia, alcune in posa, altri fatti a tradimento a discapito di qualcuno, una mandata da suo fratello quando era stato a quel corso a Berlino, sorridente davanti a una grande cattedrale di cui nemmeno ricordava il nome. Quelle di Amy, invece, si fermavano a più di un anno prima, con la foto del suo sedicesimo compleanno, tutti attorno a una torta da supermercato alla frutta, sorridenti e un po' sfatti, ma veri. Sembrava una persona diversa, non per il trucco un po' colato e i capelli scombinati, ma per l'espressione. C'era una tale vita nel suo sguardo, nel suo sorriso che avrebbe travolto chiunque; quel viso, contrapposto a quello del presente la faceva sembrare ancora più fredda, quasi inesistente.
«Ti avevo detto di metterti comodo, a proposito, carino il bigliettino.. fa sempre parte del servizio o è un'extra gentilmente offerto dalla casa?» esordì distogliendo in fretta lo sguardo dai ricordi che una volta le facevano male e ora la lasciavano solo rumorosamente vuota. Probabilmente sarebbe stato molto meglio organizzare la cosa in una stanza d'albergo, farlo venire lì, oltre ad essere un rischio per la sua privacy, era anche un modo per permettergli inconsciamente di tirare fuori vecchi fantasmi. Come il fatto di riposare lo sguardo su quelle foto che ignorava sistematicamente ogni volta che entrava in quella stanza, ma voleva che quell'ultimo sfregio a sé stessa doveva succedere in luogo che le avrebbe ricordato costantemente cos'aveva deciso, cos'aveva scelto per sé stessa.
«Oh no, questo è solo per te, sai, una circostanza inusuale merita qualcosa con cui festeggiarla.» si voltò con nonchalance l'uomo.
«Dovrei sentirmi onorata?» si accigliò leggermente sedendosi comodamente sulla sua poltrona preferita di fronte al fuoco, dove di solito si metteva a leggere con una tuta sformata addosso, gli occhiali e i capelli raccolti malamente. Probabilmente in qualche album c'era anche una foto di lei in quella mise. Da quando suo fratello aveva scoperto la sua passione per la fotografia non faceva che scattare “pieces of life” come li chiama lui.
Era un bel contrasto, ora, con un bel vestito, i tacchi vertiginosi e un bicchiere di vino bianco in mano.
«Oh, credo che ci voglia qualcosa di molto più– eclatante.» ribatté lui rigirandosi in mano il bicchiere che aveva preso quando lei glielo avevo porto. Si sedette sul divano di fronte a lei poggiando con nonchalance il braccio sullo schienale e accavallando le gambe in una posa da seduttore consumato.
Chissà se aveva un copione per quegli incontri, dimodoché ogni donna che dovesse servire fosse soddisfatta. Come un bravo cameriere.
Studiava le clienti, ne indovinava i gusti e le inclinazioni per farle sentire amate, desiderate.. ne conosceva e condivideva i peccati per legarle a sé indissolubilmente dimodochè non potessero più sfuggirgli.
In fondo, un certo Heinlein non aveva detto “Le puttane svolgono lo stesso lavoro dei preti ma molto più scrupolosamente.” ?
«Mhm, potrei stupirti.» commentò lei, più per non far cadere il discorso che non per un vero interesse verso quella conversazione forzata. Di rito.
Bevve tutto d'un sorso il vino pentendosi amaramente di aver lasciato la bottiglia in cucina.
«Oh, non ne dubito.» ammiccò bevendo anche lui quasi tutto il suo bicchiere.
Amelia rimase in silenzio, sembravano arrivati ad un punto morto e lei non sapeva che fare con lui che sembrava farle la radiografia. Doveva riprendere in mano il controllo della situazione. Si alzò cercando di far sembrare il più naturale possibile quello scatto improvviso e gli si avvicinò lentamente, chinandosi per prendergli il bicchiere che teneva fra le mani.
Le fermò il polso con una presa delicata, ma decisa, tenendola ferma così, per metà chinata su di lui occhi negli occhi. Sentì la stretta calda della mano avvolgerle il polso sottile, quasi come una scossa. La tirò a sé leggermente, con delicatezza, facendo in modo che dovesse essere lei a volersi chinare sempre di più, altrimenti avrebbe potuto benissimo tirarsi indietro, ma non lo fece, anzi, lasciare che fosse lui a condurre il gioco la rilassò, contro ogni sua aspettativa e mania di controllo. La attirò a lui lentamente, calibrando ogni millimetro con la flemma di chi sa che l'attesa spesso è meglio del bacio stesso. O del piacere, in quel caso.
Si sentiva il suo respiro caldo e inebriante sulla pelle del viso, odorava di buono e di vino. Qualche altro centimetro e sentì l'odore della sua pelle, che le solleticava persino il palato, quasi avesse un sapore dolceamaro, forte e pungente. Odorava di nebbia, tabacco e qualcosa che poteva ricollegare vagamente all'arancia, ma non era quello, era molto più carnale, era l'odore della sua pelle.
Continuarono a guardarsi negli occhi e nonostante fisicamente fosse lei a sovrastare lui, sembrava il contrario. La forza di quegli occhi blu intenso che l'avevano colpita fin dall'inizio —assieme ad un bel fondoschiena e la visione d'insieme decisamente non male— ma erano stati quei pezzi d'oceano a metterla al muro. A farla decidere.
Sembrava quasi un bacio normale, senza quel contesto che sporcava tutta la poesia che secondo la fantasia comune doveva esserci in una situazione del genere. Le loro labbra ora quasi si sfioravano, ma nessuno dei due accennava a voler distogliere lo sguardo, in quella muta sfida che serpeggiava fra di loro. Un respiro un po' profondo di lui la fece risvegliare da quella specie di ipnosi.
«Vado a portare giù i bicchieri.. o vuoi altro vino?» chiese con un leggero tremolio della voce a metà della frase, in fondo era attratta da lui, il suo corpo non era morto assieme alla sua anima.
«No grazie, ma se serve a te..» rispose lui con un tono caldo che le fece venire un brivido lungo la schiena. Aveva sempre pensato che una delle parti più seducenti di un uomo era la voce, e a quanto pareva lo sapeva anche lui.
«Non ho mai avuto bisogno di coraggio liquido.» ne ho già abbastanza di mio, rispose per poi rimettersi dritta e voltargli le spalle.
Si rintanò da vera codarda in cucina, contraddicendosi da sola. Aprì la lavastoviglie distrattamente e vi mise dentro i bicchieri pensosa. Non aveva dubbi o ripensamenti, era solo stranita da tutte quelle parole, quei giochi di sguardi che facevano sembrare quella situazione come un semplice gioco di seduzione mentre era tutto preconfezionato, fasullo. Era tutto falso, com'era stata la sua vita troppe volte.
Lo sentì arrivarle da dietro, ma non si voltò, lo lascio avvicinare facendo finta di niente, richiudendo la lavastoviglie e recuperando un tappo di plastica da un cassetto su cui campeggiava un'apetta dondolante su una molla. Richiuse la bottiglia e finalmente si voltò per andare a metterla in frigo, ritrovandoselo molto più vicino di quanto aveva previsto.
Di nuovo il suo odore l'avvolse come una coperta fumosa, stuzzicandole i sensi.
«Pensavo fossi scappata.» le disse a mezza voce.
«Questa è casa mia.» ribatte con ovvietà senza riuscire a muoversi di un centimetro. Bloccata.
«Hai ragione.» mormorò. Era bloccata contro il piano della cucina, un passo indietro e ci avrebbe appoggiato la schiena e lui le toglieva ogni via di fuga davanti. Ma perché pensava in termini di prigionia? Non l'aveva voluta lei quella situazione? Non si era forse prodigata lei stessa per finire in quella situazione? E lui faceva solo il suo lavoro, per cui era stato assoldato e pagato da lei stessa.
«Metto via questa e sono subito da te.» fece un respiro profondo aggirandolo. Non capiva perché stesse giocando al gatto e al topo con lui quando non ne aveva bisogno, quando non si capiva nemmeno chi era il felino e chi il roditore. Decisamente avrebbe preferito far parte della prima specie, ma qualcosa le diceva che non era esattamente così che stavano le cose.
Mise la bottiglia nel frigorifero nel maggior tempo possibile senza dar l'immagine di voler rimandare, poi si voltò e lo vide. Esattamente nella stessa posizione di quando gli aveva voltato le spalle solo che adesso l'osservava intento in chissà quale pensiero. Era bello, su questo non c'erano dubbi, sicuramente se non lo fosse stato non sarebbe stato così gettonato.
Le si avvicinò con lentezza, perfettamente naturale, eppure c'era sempre quella nota stonata nell'aria che non riusciva ad identificare. Quando le fu davanti le poggiò le mani sulla vita e lei dovette farsi violenza per non arretrare, per mantenere quella fredda visione di sé che lui aveva avuto fin dall'inizio. Per rimanere credibile anche a sé stessa.
Quando le fu così vicino da invaderla col suo respiro caldo non riuscì più a trattenersi, gli immerse le mani nei capelli e riempì il piccolo spazio vuoto che c'era fra loro. E quello fu il loro primo bacio, e in quel preciso momento, mentre sentiva già il suo sapore sulle labbra e la loro morbidezza che le sfiorava, un pensiero che durò solo un istante, fuggevole che dimenticò subito dopo, alla presa con questioni di ben altra importanza, fu che l'inizio della fine doveva per forza essere così, avere il suo odore, il suo sapore, la sua bellezza ammaliatrice, macchiata di peccato mascherato dalle buone maniere e dalle convenzioni.
Lo baciò, assaporò e morse, non vi fu nulla di poetico né mistico. Furono sospiri a fior di labbra e mani che sfioravano e toccavano ciò che potevano raggiungere.
Contro quel frigo si consumò il primo atto del suo lento e crudele addio al suo cuore.
«Niente finzioni, non voglio che sembri qualcosa che non è.» gli sospirò a fior di labbra inchiodandolo con lo sguardo, con una mano sul suo petto e l'altra ancora stretta nei suoi capelli morbidi.
Per quanto inutile sia anche un topolino può travestirsi da leone, bastava crederci.
«Nessuna finzione.» annuì senza sfuggire dal suo sguardo, e anche se in quel momento stava probabilmente recitando una parte rompendo la sua promessa nel momento stesso in cui la pronunciava lui sembrava capirla, con quello sguardo così blu reso ancora più liquido dal desiderio e lei decise di credervi. Di mentire a sé stessa.
«Seguimi.» mormorò facendo scivolare la mano che fino ad un momento prima era sul suo petto nella sua che era ancora posata sul suo fianco. In realtà non lo prese propriamente per mano, per amor della precisione gli circondo il polso con la mano piccola che non riusciva nemmeno a circondarlo del tutto. Si sfilò velocemente da quella posizione scomoda e lui si lasciò guidare su per le scale di legno dopo un ultimo sguardo. Entrarono nella stanza di lei, carina e accogliente con un bel letto a una piazza e mezza con un copriletto su cui troneggiava la bandiera inglese. Quando lui riprese il controllo della situazione e la fece stendere sul letto per mettervisi sopra affondarono nel materasso morbido. Aveva voluto la verità e lui gliela stava dando, comprese la rossa fra un bacio e l'altro. Lui nelle questioni carnali era quello esperto e voleva comandare. Solo che probabilmente non aveva considerato che per quanto inesperta, sopra o sotto che fosse, Amelia non era una tipa da lasciarsi sopraffare. Si era sfilata le scarpe mentre sentiva le mani di cui correre lungo le sua gambe, sempre più su raggiungendo sempre più inesorabilmente il limite del vestitino corto che aveva indossato quella sera, già di parecchio sollevato dalla foga dei movimenti. Fece correre la mano sotto la giacca di lui levandogliela senza tante cerimonie, senza paura di sembrare goffa o troppo sfacciata, come immaginava sarebbe stato se al posto di quell'uomo di cui conosceva solo il nome –Ian– e il mestiere –puttana d'alto bordo– ci fosse stato qualcuno a cui teneva davvero; e questa cosa le piaceva davvero, la entusiasmava e la faceva sentire forte e impudente. Anche se non era così, in quel momento lei fu la predatrice e –realizzò– anche lui lo era. Due animali che lottavano per il territorio a suon di baci, di morsi e carezze tutt'altro che tenere. La sospinse più verso la testata del letto, visto che a quella altezza le sue gambe al di sotto del ginocchio penzolava oltre il bordo. Lei si lasciò spostare docilmente mentre aveva già le mani sotto la sua maglietta, desiderosa di sentire la sua pelle contro la propria e lui per si stacco per un attimo dal suo collo che stava lentamente e allo stesso tempo voracemente torturando per farsela sfilare.
Non c'era sentimento, cuori che battevano all'unisono e amori sussurrati a mezza voce perché troppo importanti per essere gridati. C'era passione, giochi di labbra, sguardi languidi che s'intrecciava e poi lasciavano, visi arrossati e l'odore della loro pelle mischiato in un profumo primordiale che spingeva i loro corpi a chiedere sempre di più.
Le sfilò le autoreggenti, non con delicatezza e reverenza come in ogni film, mentale o hollywoodiano che fosse, ci si aspetta, ma quasi strappandogliele, veloce come chi consumato dall'esperienza sapeva cosa faceva, un gesto abituale macchiato dalla passione.
Era tutto confuso, come eternamente bloccato su una linea di confine dondolando un po' di qua dove giocava l'esperienza e la freddezza calcolatrice e un po' di là dove regnava la passione e l'autocontrollo andava a farsi fottere, nel senso letterale del termine.
Decise di passare all'attacco anche perché sentirlo mentre le mordicchiava il collo e la sfiorava soltanto e lei era ancora vestita la stava innervosendo. Lo ribaltò senza troppa delicatezza per stendersi praticamente sopra di lui. Si mise a cavalcioni e lo baciò con aggressività mentre lui le metteva le mani sotto la gonna accarezzandole e stringendole i glutei.
Lei gli accarezzava il petto sodo, seguendo le linee sottili dei muscoli appena accennati che guizzavano sotto le sue dita.
Lui la stava facendo impazzire mentre risalendo pian piano con le mani le tirava su il vestito fino ad obbligarla ad alzare le braccia per farselo sfilare. Le sembrava di essere in un sogno, era tutto così surreale e allo stesso tempo di una realtà schiacciante, sentiva ogni nervo in lei che si risvegliava mentre le loro labbra erano strumenti per divorare l'altro con quanta più foga e i loro bacini si sfioravano e allontanavano. Fu tutto naturale, abbandonò ogni pensiero e semplicemente dedicò ogni suo pensiero a spogliarlo per sentire la sua pelle contro la propria, l'istinto primordiale che sapeva esattamente cosa fare si risvegliò in lei e la travolse, fra i sospiri e i gemiti e quando arrivò il momento si accorse che voleva guardarlo negli occhi, era stupido, da romanzetto rosa, ma un momento prima che lui facesse ciò per cui era stato pagato gli immerse le mani nei capelli come aveva già fatto più e più volte quella sera e lui le piantò quelle iridi pazzesche nelle sue.
Forse stava per dire qualcosa, ma lei in ogni caso l'anticipò scuotendo la testa tempestivamente, voleva quel silenzio, voleva sentire ogni volta che respirava, ogni piccolo spostamento d'aria, voleva che tutto quello, che stava andando oltre le sue aspettative apocalittiche, non fosse rovinato da qualche stupida frasucola di circostanza. La guardò intensamente per qualche istante, poi capì e la baciò, la baciò e cancellò l'ultima traccia di purezza che le rimaneva allo stesso tempo e non sapeva dire se fosse una cosa buona o brutta. Di colpo ogni suo pensiero che aveva cercato di riaffiorare in quella nebbia di annullamento totale venne definitivamente spazzato via da quell'unica verità. Niente di poetico o moralmente alto, semplicemente fu come se il suo corpo si fosse risvegliato dopo quasi diciott'anni di sonno perpetuo in un misto di dolore e un'unica scarica elettrica di piacere che diede inizio a tutto.
E così ebbe davvero inizio la fine.

Aveva sentito, tempo addietro, che alcune ragazze dopo la loro prima volta piangevano, ridevano incontrollate o che si erano sentite come se dopo mancasse qualcosa. Per lei fu qualcosa di ancora diverso, si sentì uguale e allo stesso tempo svuotata. Non sentiva quella mancanza di cui le avevano parlato, né si addormentò all'istante completamente appagata, semplicemente, con il corpo caldo di lui che ancora l'avvolgeva come una coperta d'indolenza le sembrava che non fosse assolutamente cambiato nulla anche se aveva appena scoperto cosa si provava a sentire con l'intero corpo. Era tutto uguale, lo guardò ancora per qualche istante negli occhi e capì l'intento di quell'ennesima pazzia senza senso che aveva fatto. Voleva sentire, voleva risvegliare quello che era rimasto sopito in lei per troppo tempo e non ce l'aveva fatta. Lui la guardava pacifico e rilassato, ma continuò a non dire nulla, rimasero in quel silenzio carico dell'eco dei loro sospiri e gemiti. All'improvviso quella vicinanza divenne soffocante e non desiderò altro che scostarsene.
Slegò le braccia dal suo collo e le appoggiò sul suo petto dandogli una leggera spinta, lui capì all'istante spostandosi di lato e mettendosi steso di lato a fissarla mentre si metteva per metà seduta e cercava nel cassetto del comodino il suo posacenere e il pacchetto di sigarette ancora chiuso che di solito teneva di scorta quando le finivano.
Merda, erano nell'altro comodino e lei aveva bisogno di fumare.
«Puoi guardare nel comodino accanto a te? Dovrebbero esserci un posacenere e un pacchetto di Lucky.» parlare di nuovo, sentire il proprio tono neutro spezzare quel silenzio che fino a quel momento era stato solo un velo caldo che l'aveva protetta dalla realtà fu come sentirsi improvvisamente nuda in mezzo ad una bufera.
Ian le diede la schiena e si mise a frugare nel cassetto tirando fuori un posacenere di metallo e il pacchetto ancora integro. Richiuse il cassetto con uno schiocco secco che la fece sobbalzare uscendo dalle sue elucubrazioni.
«Tieni.» le sorrise tranquillo come se nulla potesse intaccare la sua pace. Lei, dal canto suo, sentiva la contrapposizione con l'estremo rilassamento del corpo con la sensazione che ci fosse qualcosa di estremamente storto nella sua testa.
Aprì pensosa il pacchetto e stava per prendere una sigaretta quando lui la bloccò prendendole il pacchetto di mano sempre con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
«Aspetta.» le disse semplicemente capovolgendo una sigaretta e rimettendola a posto nel pacchetto.
«La sigaretta del desiderio.» rispose al suo sguardo accigliato come se quella frase potesse spiegare tutto e lasciandola ancora più basita.
«La cosa?» chiese confusa portandosi i capelli indietro passandoci dentro la mano ben aperta.
«La fumi per ultima esprimendo un desiderio quando la accendi.» le spiegò porgendole il pacchetto.
«È stupido.» commentò riprendendolo e tirando fuori una sigaretta.
«È carino.» le accese la sigaretta che si era portata alle labbra con un accendino che evidentemente aveva preso dal cassetto anche se si era dimenticata di chiederglielo.
«Mhm.. non penso.» gli porse il pacchetto aperto. Lui lo prese e lo appoggiò sul comodino.
Rimase così, a fissare il soffitto, mentre assaporava l'unica cosa che dai vari racconti di adolescenti curiose era risultata veritiera: le sigarette dopo il sesso erano ancor migliori dell'ultima della giornata.
«Perché hai scelto di farlo in questo modo?» domandò all'improvviso Ian rompendo una delle clausole.
Fece un tiro dalla sigaretta che teneva fra le dita, pensosa mantenendo lo sguardo fisso sul soffitto verso cui si dirigevano le volute di fumo.
«L'ho messo in chiaro all'inizio perché, semplicemente volevo gestirmela da me la mia prima volta, nessuno avrebbe fatto esattamente come volevo e comunque mi sarei dovuta impegnare a conoscere dettagli inutili di una vita che non mi interessava minimamente, quindi meglio cosi.»
Un'alzata di spalle, come se stesse parlando di una partita di calcetto.
La guardò intensamente, chiedendosi come una persona, una donna, potesse ridursi così, emotivamente nulla.
Sentendosi osservata si voltò tirando un'altra boccata di fumo ricambiando lo sguardo profondo, dannatamente blu. Gli passò rapita una mano fra i capelli morbidi e neri. Con quel buon odore di pulito, mentre i loro sguardi non accennavano a districarsi. Con lentezza le prese la sigaretta che teneva fra le dita, allungandosi su di lei per spegnerla nel posacenere sul comodino, mentre con l'altra mano già che le teneva il viso. Poi mentre si tirava indietro si fermo su di lei e la baciò. E si morsero, si baciarono e assaporarono ancora una volta, perché quella era la sua notte. La notte in cui tagliava l'ultimo legame rimasto con la vecchia Amy e rimaneva solo Amelia, la persona che aveva creato poco a poco chiunque avesse amato. Chiunque avesse amato e poi perso.


Dopo la seconda volta si sentiva stanca, ma la presenza estranea accanto a lei nel suo letto non le permetteva di rilassarsi abbastanza da chiudere gli occhi. Era così curiosamente ridicolo quanta fiducia ci volesse nel semplice atto del dormire accanto a una persona, mentre per farci sesso non ci volesse nulla. Non aveva voglia di fumare ancora, non aveva voglia di parlare. Non aveva voglia di voltarsi e vedere quell'estraneo accanto a sé.
«Il bagno..?» sentire la domanda venire dall'oggetto dei suoi pensieri la infastidì ancora di più, in quell'isola di estrema lucidità in un mare di sonnolenza che le intorpidiva il corpo, ma non la mente. Impedendole di cedervi.
«La porta blu, quella con la targhetta toilette.» rispose atona. Sentì il materasso alzarsi e i passi leggeri dei piedi nudi sul pavimento dopo che aveva superato il tappeto ed era arrivato sul parquet. Una porta aprirsi e chiudersi. Una chiave che girava nella toppa.
Sembrava tutto scandito da quei rumori semplici, quasi non si accorse del respiro liberatorio quando chiuse gli occhi portandosi una mano sul viso col palmi rivolto verso il soffitto. La luce dei lampioni filtrava tenue dalla finestra, ma dava lo stesso fastidio, forse perché riverberata dal biancore della neve che continuava a posarsi incurante dell’assassinio dell'anima che stava accadendo in quella casa. Non sapeva più nemmeno lei perché l'aveva fatto, le motivazioni che aveva dato –che si era data– non valevano poi molto a cose fatte. Forse voleva di nuovo sentire qualcosa, forse voleva semplicemente ferirsi pur di ricominciare a sentire. E invece niente, le sue manie di controllare ogni cosa le accadesse erano state soddisfatte, la prima volta era stata anch'essa— soddisfacente. Perché quella parola stonava così tanto in quell'ambito? Scacciò quel pensiero molesto archiviandolo come stupido e autoimposto per sentirsi normale, giusta. Una tiritera che era riuscita a debellare da tempo e non intendeva riaccogliere nella sua testa solo perché aveva appena accolto qualcos'altro fra le gambe che non fossero le sue mutande.
Si alzò a sedere un po' troppo in fretta provocandole un leggero capogiro che la costrinse ad appoggiarsi alla testata del letto allungando tempestivamente il braccio prima di crollare. Doveva fare un respiro profondo chiudendo gli occhi per riprendersi in fretta e raggiungere il comò dove c'era una maglietta che avrebbe potuto mettere perché cominciava a sentire freddo e non se la sentiva ancora di mettersi sotto le coperte. La sua ripresa divenne impellente quando sentì il rumore dello sciacquone attutito attraverso la porta chiusa e capì che a breve sarebbe uscito dal bagno e l'avrebbe trovata lì nuda nel corpo e nell'animo, e se alla prima neanche ci pensava la seconda non era un'opzione. Non l'avrebbe vista debole.
Si fece forza per alzarsi, ancora un po' stordita, ma determinata. Attraversò la stanza più in fretta che poté e si aggrappò al comò fino a farsi sbiancare le nocche. Aveva la vista appannata che le ricordò che non aveva mangiato dall'ora di pranzo quando si era fermata nel suo fast food vegano preferito, l'unico in tutta la città a dire il vero, dopo delle commissioni. Era stata in giro anche praticamente tutto il pomeriggio per poi ritrovarsi a dover preparare e sistemare ogni cosa, compresa se stessa, usando anche il tempo che aveva preventivato per un pasto precotto da infilare in microonde.
Aprì il primo cassetto e prese una delle magliette a maniche corte troppo grandi per lei che aveva rubato a suo fratello, che benché fosse più piccolo di lei d'età, la superava di almeno una ventina di centimetri e forse anche di più in altezza. Se la infilò in fretta sentendo che la copriva fin quasi alle ginocchia.
Click. La porta si aprì silenziosa dopo lo scatto leggero della serratura, ma non sentì i suoi passi sul parquet. Si voltò dopo un ultimo respiro profondo per calare su di sé la maschera di intoccabilità che aveva mantenuto fino a quel momento: Ian, così aveva detto di chiamarlo nessun cognome.
Lui non aveva detto.
Lei non aveva chiesto.
La fissava appoggiato allo stipite della porta incurante della sua nudità; in fondo con il lavoro che faceva sarebbe stato ridicolo se fosse stato pudico.
«Così ti piacciono i cartoni animati.» commentò divertito.
«Come?» gli lanciò una breve occhiata perplessa non capendo da dove venisse quel commento decisamente fuori luogo.
«Bhe, la tenda della doccia di Spongebob e la maglia con sopra un– un animaletto strano verde col becco e il cappello..» parlò come se stesse parlando di api e di fiori a una bambina di cinque anni un –bel– po' ottusa. Si guardò la maglia che aveva indossato in tutta fretta e scoprì che aveva indossato la maglia con l'ornitorinco di un cartone animato estremamente stupido che il suo fratello estremamente stupido, nonostante i sedic'anni compiuti, adorava. Di tutte le maglie rubate –fra cui anche una più dignitosa dei Pink Floyd, tanto per dire– aveva pescato quella.
Scrollò le spalle indifferente. «La tenda l'ho vista in un supermercato e l'ho trovata carina.» nessun commento sulla maglietta, nessuna spiegazione. Non avrebbe permesso nessuna infiltrazione nella sua vita, nel suo scarno ambito affettivo.
Si era appoggiata senza accorgersene al mobile con la schiena ed entrambe le mani, probabilmente un'altra inconscia barriera che aveva eretto pur di non mostrare debolezza, persino in quel momento, con quell'estraneo nel suo territorio.
Aveva un'assurda voglia di pasta aglio, olio e peperoncino, ma non era buona mossa prepararsi qualcosa di potenzialmente letale se solo dopo avesse respirato nel raggio di cinquecento metri dall'uomo che aveva pagato per una notte di sesso. Profumatamente pagato.
Nonostante questi discorsi mentali fossero parecchio convincenti di meno lo era la consapevolezza che in frigo c'era ben poco dato che sua madre, che di solito si occupava della spesa, era in vacanza in montagna con tutta la famiglia. Meraviglioso! E lei continuava ad aver fame.
«Vado a farmi un panino.» si voltò senza aspettare risposta. Non le importava cosa avrebbe potuto pensare di lei, di certo far colpo su di lui non era fra le sue priorità.
Scese le scale lasciando scivolare le mano sul corrimano di legno lucido e scuro, accarezzò distrattamente la piccola sfera lucida e bianca di marmo alla fine girandoci intorno per raggiungere la cucina. Le sembrava così surreale la casa vuota, un uomo lasciato solo, e soprattutto nudo, nella sua stanza mentre lei andava a farsi uno spuntino di sotto. Passò dal soggiorno per prendere il cellulare, controllandolo distrattamente. Sua madre l'aveva chiamata circa un'ora prima, probabilmente voleva sapere se un ladro,violentatore e assassino era entrato in casa per rubarle la sua virtù —che andava decisamente svalutata dopo quella sera— pensando che comunque le avrebbe permesso di interrompere il delitto e riferirle se aveva rimesso il latte in frigo e svuotato la lavastoviglie. Forse voleva solo trovare una scusa per tornare giù da quel cucuzzolo su cui si era fatta trascinare per amore nonostante fosse un'ostinata fan del mare e del caldo.
Un altro paio di messaggi privi d'importanza e uno di suo fratello che le aveva mandato su Whatsapp una foto di lui e del suo amico Eric —con cui divideva il piccolo chalet accanto a quello di loro madre e del marito— in un bar, o meglio una specie taverna in cui il legno e la birra facevano da padroni. Avevano i segni bianchicci degli occhialoni in viso e dividevano il tavolo con alcune ragazze decisamente promiscue e dedite alla socializzazione a giudicare dalle facce soddisfatte dei due adolescenti il cui cervello si trovava affogato dagli ormoni. Il messaggio era di poche parole: “Sono felice che tu non sia venuta, altrimenti avresti fatto paura alle mie spasimanti! A Eric invece manchi.” più una serie di faccine allusive su cui preferì non indagare mentre poggiava il telefono sul piano della cucina e apriva il frigo pensierosa tirando fuori quello che rimaneva del cinese che aveva ordinato la sera prima. Si appoggiò con la schiena al ripiano masticando pensierosa gli spaghetti di soia freddi, probabilmente avrebbe dovuto metterli nel microonde, ma la voglia di fare qualunque cosa che fosse fuori dallo stretto necessario era pari a zero. Perlomeno erano ancora imbevuti di tutte le salse in cui li immergeva ogni volta.

~*~


Era lì che mangiava con quegli occhi così strani —nocciola quasi gialli— fissi in un punto imprecisato, masticava e guardava il vuoto con quella maglietta extralarge che faceva solo intuire le forme al di sotto, i capelli sconvolti che le incorniciavano il viso. Ed era bella, bella quando abbassava la guardia e l'unica espressione che aveva sul viso non era eccitazione, desiderio, sfida o calma glaciale, ma semplice e tiepida tranquillità; eppure c'era qualcosa che non cambiava mai in lei, neanche in quei momenti di quieta solitudine. Era un rumore di sottofondo appena udibile, lo si notava solo se si tendeva l'orecchio, se si era disposti ad ascoltare.
Restò nascosto nella penombra, lei scendendo non aveva acceso nessuna luce. Sembrava che fosse la nota predominante nella sua vita, si crogiolava nella penombra, né buio né luce, semplice e indifferente penombra. Il cellulare accanto a lei cominciò a vibrare e la vide sobbalzare per quella crepa nell'immobilità che regnava in quel momento. Guardò il cellulare accigliandosi poi, con uno sbuffo, lo prese in mano e rispose.
«Dimmi Ma'.» un tono neutro, appena macchiato da una nota di fastidio malcelata.
«Tutto bene qui.» telegrafica, indifferente.. quindi non era così distante solo con gli estranei –con lui– ma anche con la madre e le persone più vicine a lei.
«Sì, mi ha scritto stasera.» rimase nell'ombra rubandole quella piccola parentesi di vita quotidiana, per semplice curiosità. Di solito si faceva le sue idee su ogni cliente, probabilmente chiunque facesse il suo lavoro avrebbe potuto benissimo fare lo psicologo, faceva parte del tutto, capire le persone e cosa volevano, perché meglio si faceva, più le si accontentava e di conseguenza la probabilità che diventasse un'abituè diventava più alta e quindi più soldi che da gente a caso. Una specie di reddito fisso.
Lei era strana, sembrava la classica ragazzetta ricca e viziata con una mania di controllo al di sopra dei limiti umanamente possibili e i soldi di papino a disposizione. Eppure c'era dell'altro, oltre alla saccenza e alla freddezza che la rendeva uguale a molte altre ragazze e ragazzi di quel quartiere, c'era quel distacco che la contraddistingueva, che all'inizio aveva attribuito ai soldi che aveva in tasca e il ruolo che giocava lui nella società, ma vedendola parlare con la madre— quella deduzione era stata scalzata da una sensazione che non si poteva definire a parole, ma che era solo istintiva.
Nonostante questo non riusciva ad inquadrarla, capirla e non era ancora pronto ad abbandonare la sua prima impressione.
«No, Ma'.. nessun ladro, stupratore e maniaco assassino di vergini.» la sentì dire e si accorse che aveva perso un pezzo di conversazione grazie alle sue elucubrazioni su di lei. Sembrava la solita conversazione madre-figlia a parole, però mancava quella scocciatura mista all'affetto necessaria nel tono della ragazza, sembrava stesse ordinando una pizza. Difettava di emozioni.
«Mnh, okay.» la sentì dire mentre prendeva un'altra forchettata tenendo il cellulare fra la spalla e l'orecchio. Ascoltava in silenzio masticando, magari una filippica sulla sicurezza di una ragazza sola in casa di notte, non poteva capirlo né dalla faccia di lei né dal mormorio di sottofondo che veniva dal cellulare.
«Ho sistemato tutto—» cominciò bloccandosi di colpo con la bocca aperta come se stesse per dire qualcos'altro. «Sì, anche quello, se ho detto che ho fatto tutto vuol dire che ho fatto tutto.»
La guardò osservare lo scatolino e spostarsi dalla sua posizione per buttarlo mentre ascoltava ancora sua madre che a quanto pareva era logorroica quanto la figlia era silenziosa.
«Te l'ho detto, non mi serve nulla, digli di non spaccarsi la testa per niente.» borbottò mentre metteva la forchetta nella lavastoviglie e la richiudeva.
«No, no, no..» bloccò sul nascere un altro discorso. «Sono stanca, parlaci tu e spiegaglielo.. diglielo che non ho nulla contro di lui. Okay. Okay. Notte.» e chiuse la conversazione, sembrava esausta mentre poggiava il cellulare e si riavviava i capelli.
Lui, in quel lasso di tempo, era rimasto nascosto lì sulla soglia, lo schermino illuminato del microonde segnava le 00:23, lui era lì sin dalla prima serata anche se le ore trascorse gli sembrava che fossero state compresse fino a prendere le sembianze di massimo una di esse.
«Mi spii?» la voce di lei lo sorprese in fallo, facendolo sentire come un bambino beccato a rubare dal borsellino dell'intransigente nonna.
«Affatto, pensavo ti fossi soffocata mangiando e sono sceso a controllare, mi devi ancora la mia commissione.» rispose indossando una maschera di tranquilla indolenza, con addosso solo i boxer che aveva raccattato da terra prima di scendere.
«Mhm, hai ragione.» gli dava ancora le spalle. Seguì una piccola pausa che lo fece sentire scomodo e fuori posto.
«Vuoi mangiare?» domandò lei all'improvviso voltandosi di scatto.
«No, grazie.» rispose tranquillo.
«Vuoi del vino?» continuò imperterrita, come se stesse cercando qualcosa da fare, qualcosa che smuovesse quel silenzio melmoso che si era adagiato fra loro.
«No, grazie.» ripeté.
«Vuoi andartene?» lo spiazzò mentre lo guardava dritto negli occhi, uno sguardo incolore che lasciava solo intendere che lo stava studiando.
«Devi essere tu a volermi mandar via.» le spiegò serafico, senza lasciarsi intaccare troppo dalla cosa. Certo, lo incuriosiva come persona, ma non ci avrebbe certo perso il sonno, bastava solo che avesse i suoi soldi.
«Già.. Allora cosa vuoi?» continuò imperterrita senza scoprirsi, rifiutandosi di farlo.
«Non sono io a dettare le regole.» le fece notare mentre si rendeva conto di essersi mosso verso di lei lentamente e di starlo ancora facendo. Passo dopo passo.
Lei storse la bocca contrariata, ma non disse nulla, rimanendo impassibile a parte quel piccolo segno di aver sentito qualcosa.
«Sei tu la cliente pagante e si da il caso che tu abbia prenotato i miei servizi per tutta la notte.» continuò, facendo un passo ad ogni parola. Avvicinandosi con circospezione, come se lei fosse un animale feroce, che solo un movimento brusco avrebbe potuto farlo scattare ad azzannargli la gola.
«La cliente pagante ora vuole bere.» evase bruscamente dalla discussione sgusciando nell'ormai angusto spazio che era rimasto fra loro. Invece di andare al frigorifero si diresse verso uno scaffale sopraelevato aprendo l'anta mettendosi in punta di piedi. Era piena di bottiglie di ogni tipo, soprattutto superalcolici, notò con un'occhiata veloce.
«Ti piace il rum?» domandò voltandosi già con una mano tesa. Lui non capiva, non capiva quei modi di fare, gli sfuggiva come a frenare ogni suo impeto. Era tutto così surreale, lei nel letto e quella fuori dal letto erano due persone diverse; non che facesse queste grandi dimostrazioni e lui non le pretendeva di certo, ma di solito le inquadrava subito le clienti, lo aiutava a gestirle. Lei gli sfuggiva di continuo. A letto, nonostante fosse inesperta e si vedesse da qualche timida incertezza, era allo stesso tempo decisa, passionale, quasi travolgente. Quando l'aveva deflorata gliel'aveva visto negli occhi il dolore, gliel'aveva sentito nelle unghie che gli affondavano nelle spalle, la mano che gli aveva stretto i capelli, ma la sua espressione facciale non era cambiata di una virgola, non un mugolio o un sospiro, un lamento.. aveva sostenuto il suo sguardo, sfidandolo a fermarsi, a darle della debole. Non ci aveva messo sentimento, o almeno, non quello che ci si aspettava da una vergine nel sesso; ci aveva messo tutto tranne i sentimenti giusti.
Non aveva letto in quegl'occhi promesse d'amore eterno, paura, timorosa timidezza.
Allo stesso tempo non aveva visto quel vuoto che sovrastava ogni altro sentimento di solito.
C'era stato solo istinto, forza, tanta forza da far quasi paura, travolgente, passione, voglia.
C'era stata tanta carne e nessun vezzo interno, nessuna parola, illusione.
Carne e Verità.
Dura e cruda realtà.
«Sì.» la osservando attentamente, senza perdersi nessun suo movimento mentre quasi si arrampicava sulla cucina per prendere una bottiglia troppo in altro per la sua misera statura. L'osservò quando andò a prendere due bicchieri, uno normale e uno da shot, mettendogli davanti sull'isola al centro della stanza quello più piccolo e prendendo per sé quello più capiente, riempiendoli abbondantemente entrambi.
«Prego.» gli indicò con un gesto vago della mano lo sgabello di fronte al suo dopo esservici arrampicata sopra.
Lui vi si sedette con tranquillità, entrambi mezzi nudi davanti ad un bicchiere di rum a testa.
La ragazza fece un cenno alzando il bicchiere e con un gesto secco ne buttò giù una bella sorsata.
Lui fece lo stesso col suo shot mentre lei veniva scossa da un brivido involontario per il liquido caldo che aveva fatto bruciare la gola anche a lui.
«Ancora?» e senza aspettare risposta gliene versò un altro bicchiere.
«Hai proprio bisogno di bere?» chiese all'improvviso lui non riuscendo più a contenere la curiosità.
«Cosa intendi?» si mise subito sulla difensiva rispondendo con un altro punto interrogativo alla domanda.
«Sembra che tu abbia una voglia irrefrenabile di bere, ma non ne capisco il motivo.» si sforzò di mantenere un tono vago e rilassato.
«Non ne ho bisogno, semplicemente è bello bere in compagnia, se lo si fa da soli si scade nell’alcolismo.» assunse un tono e un'espressione abbastanza stizziti, come se ogni goccia d'alcol buttasse fuori un po' di ghiaccio che sembrava regnarle dentro.
«E approfitti di ogni occasione per farlo?»
Stavano parlando di ogni quanto si faceva un bicchierino mentre lui era lì, pagato, per fare sesso con lei. Non che fosse una cosa troppo strana, molte donne lo cercavano per crearsi l'illusione per una sera di avere una relazione appagante in cui un giovane uomo le trovava attraenti, l'avevano portato a cene, ad eventi di beneficenza. Le donne utilizzavano i gigolò in modo molto più sottile ed emotivo di quanto facessero gli uomini con le prostitute. Certo, questo non voleva dire che non ci fossero le vecchie porcone, ma in generale il sesso non era sempre l'obbiettivo finale, c'era più un appagamento personale. A volte lo facevano solo per sentirsi meno sole.
Ma lei lo faceva per solitudine? Non sembrava il tipo, sì, era sola, ma sembrava più una scelta personale che una condizione imposta. Però, forse, nonostante non sembrasse così, si sentiva sola e basta, ed era molto più semplice di come aveva intuito.
Probabilmente era solo una ragazzina viziata, ricca e maniaca del controllo.
«Sarebbe meglio se tu non giudicassi così facilmente le persone, potresti rimanere deluso un giorno.» si limitò a ribattere seccamente re-indossando la sua maschera di imperturbabilità. Però lasciò il proprio bicchiere ancora mezzo pieno allontanandolo di poco con gesti distratti delle dita.
Lo inchiodò con lo sguardo e lui decise che erano già state dette troppe parole, che non avrebbe ceduto alle sue provocazioni né tantomeno avrebbe sprecato la nottata a cercare di inquadrarla quando lei faceva di tutto per sfuggire da ogni definizione. Aggirò il bancone con lentezza, studiandole il viso per captare ogni minima reazione potesse attraversarlo. Preferiva fare sesso con lei piuttosto che stare dietro ai suoi tentativi di conversazione sconclusionati.
Lei rimase immobile, seguendolo con lo sguardo, in guardia, come se si sentisse un animale che stava per essere braccato.
Le si mise davanti, era alta quanto lui appollaiata su quello sgabello che compensava la trentina di centimetri di differenza che c'erano fra loro.
Le mise una mano fra i capelli scostandoglieli, molto lentamente, e avvicinò il viso al suo per poi abbassarlo lentamente e posarle le labbra sul collo depositandovi leggeri baci partendo dalla spalla lasciata per metà scoperta dal collo largo della t-shirt e risalendo pian piano.
«È parte del mio lavoro, inquadrare le persone..» era arrivato a metà collo, la sentiva tremare leggermente sotto le sue labbra «..per capire cosa vogliono..» ora percorreva delicatamente la mandibola. Arrivo fino all'orecchio e poi si scostò per guardarla negli occhi. «..e dare loro ciò che davvero desiderano.» concluse in un soffio, con un tono caldo e roco. Lei gl'infilò di scatto le mani nei capelli dietro la nuca e fece cozzare le sue labbra contro le sue, con forza e irruenza, forse voleva solo farlo stare zitto, o semplicemente la sua offensiva l'aveva smossa. Le mise una mano sotto la maglia, impaziente mentre lei gli accarezzava ogni pezzo di pelle che riusciva a raggiungere allargando le gambe per farlo mettere in mezzo e sentirlo più vicino.
E la terza volta fu forte, appassionata, impaziente , senza lasciarsi respiro e con i boxer non del tutto sfilati che gli circondavano le caviglie.

~*~

Quando ebbero finito lei rimase qualche istante appoggiata alla sua spalla col respiro corto, ancora seduta su quello sgabello, con le unghie che quasi gli affondavano nelle spalle e probabilmente avevano lasciato segni rossastri.
Aveva ragione, l'aveva capita. Era stato passionale, era stato forte. Era stato sesso, puro e semplice e a quella definizione si aggrappava beandovisi; nessun pensiero controverso, nessuna emozione in cui affondare, era stato splendidamente fisico. E le piaceva, come si sentiva libera, sfrontata, priva di ogni inibizione mentre mentre riprendeva fiato e lo allontanava con delicatezza, completamente nuda, ma senza vergogna alzandosi in piedi con un leggero salto per colmare la distanza fra i suoi piedi e il parquet. Non le importava che fosse il primo uomo che la vedeva completamente nuda e non solo a pezzi, non le importava che fosse l'unico ad esserle entrato dentro, in modo così splendidamente fisico, e averla guardata negli occhi mentre veniva travolta dalle sensazioni che ogni sua terminazione nervosa aveva sentito all'unisono come mai prima d'allora.
Aveva fatto bene a scegliere un professionista, ci sapeva fare, a quota tre orgasmi raggiunti nei modi più disparati –ossì, pensò deliziata, ci sapeva fare eccome– si sentiva indolenzita e piacevolmente leggera. In pace.
La faceva sentire in pace non essere amata e non dover amare per provare quella gran soddisfazione che in molti dipingevano come il coronamento di quel sentimento che tanto la ripugnava, rifletté mentre raccoglieva la maglia da terra e se la infilava con lentezza, indolenza. Lui intanto si era tirato su i boxer e si era seduto sullo sgabello di fronte a quello su cui avevano appena consumato il loro terzo amplesso.
«Penso tu ti sia meritato un extra.» abbandonò un po' di quella rigidità che la contraddistingueva mentre allungava le braccia per stiracchiarsi.
«Sempre al suo servizio mylady.» commentò lui facendole l'occhiolino sorridendo malizioso.
«Vado a prendere una sigaretta.» annunciò lei facendo per andarsene, salvo poi voltarsi verso di lui.
«Se vuoi puoi dormire nella stanza degli ospiti, ma non mi darebbe fastidio se tu volessi fermarti nel mio letto.»
Non c'era nessuna inflessione particolare nella sua voce, aveva detto addio alla speranzosa Amy quella sera, o forse anche troppo tempo addietro per ricordarsi come fosse davvero sperare in qualcosa ardentemente, era un invito come un altro. Una considerazione.
«Solo se fai mezza con me della sigaretta che stai per fumare.» le rispose scendendo a sua volta dallo sgabello, sembrava aver rinunciato a capirla e a lei andava più che bene. Sarebbe stato più semplice così conviverci fino al mattino dopo.
Una tregua.
Fra di loro.
Con sé stessa.
Solo fino al mattino.
Senza doversi difendere, semplicemente dividere una sigaretta e dormire, senza nessuna promessa di fiducia o impegno da parte sua che non fosse il pagamento del lavoro, davvero ben svolto per la sua modesta se non nulla esperienza.
«Okay, sta bene, pensavo chiedessi un extra quindi mi è andata più che bene.» rispose facendo una smorfia che somigliava ad un sorriso, senza dubbio un effetto postcoito.
«Penso che con l'ultimo extra che mi hai promesso le bollette si pagheranno egregiamente.» ribatté malizioso affiancandola mentre si dirigevano verso le scale.
«Hai così tanta fiducia in te stesso?» storse il naso.
«Sono solo pienamente conscio delle mie capacità.» sorrise di rimando il ragazzo, che sembrava così giovane, chissà com'era finito a fare quel lavoro.. i guadagni erano indiscutibilmente alti, su questo non aveva dubbi, ma non riusciva ad immaginare come fosse finito ad accontentare vecchie signore per lavoro. «Badi a non sottovalutarle lei, miss.»
Sembrava una minaccia piena di ogni ammiccamento che più le sarebbe piaciuto inserirvi. Lo osservò, o meglio, lo studiò interessata come non aveva fatto da molto tempo; perdere tempo con le persone, a cercare di capirle non era più cosa che le interessava, preferiva farsi i fatti propri e ignorare ogni essere umano che le gravitava attorno. Era più semplice, più sano.
«Non le sottovaluto, fidati di me.» ribatté con nonchalance mentre raggiungevano la porta della sua camera e lui gliela apriva in un buffo gesto di galanteria.
«Prego.» continuava a sorridere, sembrava facesse parte del pacchetto, chissà come doveva essere sorridere per lavoro, di sicuro a fine giornata dovevano fargli davvero male le guance.
«Ma che gentile.» ironizzò con un piccolo cenno del capo che doveva somigliare ad un velato ringraziamento mentre entrava e senza accertarsi che la seguisse si avvicinò al letto per prendere una sigaretta. Si distese sentendo il materasso affondare accanto a sé e il suo calore.
Fumarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri passandosela con naturalezza, una volta arrivata alla fine lei si gustò l'ultimo tiro ben consapevole che quella era l'ultima della giornata e segnava il giusto confine fra veglia e sonno. Si sistemò sotto le coperte e voltò le spalle con tranquillità a Ian di cui sentiva il calore lambirla anche attraverso la piccola distanza che c'era fra loro.
«Buona notte.» il suo respiro sul collo la fece rabbrividire dalla sorpresa come scoprire che aveva colmato in fretta lo spazio fra loro stringendola a sé. Era bello sentire il calore umano di qualcuno avvolgerla, senza nessuna pretesa assurda di un futuro assieme. Un rapporto del genere l'avrebbe potuto anche sopportare. Sesso, sigaretta, sesso, sigaretta e qualche chiacchiera priva di significato, addormentarsi in un letto caldo poi la mattina dopo salutarsi e non avere il peso di un'altra anima sulle spalle.
«Sì— anche a te.» mormorò sovrappensiero mentre il torpore che le avvolgeva il corpo non ne voleva sapere di raggiungere anche il cervello. Forse il fatto che non si fidasse di lui influiva non poco sul suo istintivo senso di sopravvivenza che le diceva a chiare lettere di non chiudere gli occhi accanto al pericolo. La differenza fra uomo e donna –la colpì quella riflessione prima di convincere del tutto sé stessa di zittirsi e riposarsi– era che all'uomo bastava il mero sesso, la donna voleva anche una borsa dell'acqua calda, se così si poteva definire, che le scaldasse il letto fino al mattino dopo.
Fece un ultimo respiro profondo e finalmente si arrese al sonno accogliendolo come un vecchio amico. Senza sogni, pacifico.



*Quando senti il mio calore, guarda nei miei occhi: è dove i miei demoni si nascondono; non avvicinarti troppo, dentro di me c'è il buio: è dove i miei demoni si nascondono.
Imagine Dragons, “Demons"


note dell'autrice: questa parte è per i lettori coraggiosi che sono arrivati fino a qua. Questa è la mia prima originale e ho una fifa blu, ma questo non toglie che ce la sto mettendo tutta. Proprio per questo ho aspettato il primo capitolo per aggiungere questa noticina a piè pagina per chiedervi un parere sincero su ciò che ho scritto e ringraziare le persone che già la seguono. Mi incoraggiate a continuare con questo piccolo esperimento, sperando che possa essere qualcosa di più.
With love. :)

   
 
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