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Autore: Pandora86    02/03/2015    5 recensioni
Spoiler quinta stagione.
Artù e Merlino. Il re e il mago. Due facce della stessa medaglia.
Due anime legate da un filo indissolubile che finisce, inevitabilmente, per spezzarsi in ogni tempo e in ogni luogo.
Ma forse, era finalmente giunto il tempo in cui le due facce della medaglia avrebbero potuto riunirsi, portando a termine il proprio destino.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Prima dell'inizio, Nel futuro
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Ecco il nuovo capitolo.
Come sempre, grazie per le bellissime recensioni.
Grazie anche a chi continua a inserire la storia tra le preferite le seguite e le ricordate.
E, ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura.
 
Capitolo 48. Excalibur
 
“Ti ho ringraziato” ripeté Artù, fissando intensamente l’altro.

Era quella la frase che aveva liberato l’energia negativa che ora riusciva a sentire nell’aria.

Era quella la frase che aveva scatenato la reazione del diamante nero.

Sì, Artù ne era sicuro, oramai.

Sentì il diamante bianco nella sua tasca surriscaldarsi e capì di aver avuto l’intuizione giusta.

Sentimenti positivi; erano quelli che il diamante nero combatteva per esercitare il male.

Erano quelli che il diamante nero cancellava e modificava a suo piacimento fino a distruggerli.

Li individuava con precisione matematica nell’animo di colui che lo indossava e li rigirava a suo piacimento, sconvolgendo la mente del soggetto in questione. Perché il diamante nero proiettava il male verso il suo possessore. Ad Artù era sempre più chiara la verità nella sua mente e sentì il suo animo pronto a dare battaglia. Nulla da dire, il diamante nero sapeva fare il suo lavoro. Peccato che stavolta avesse un valido avversario che gli avrebbe tenuto testa.

Pensò fugacemente al fatto che solo un essere puro come Merlino potesse indossare quell’anello senza radere al suolo un continente. Allo stesso modo, lui avrebbe dovuto appellarsi al diamante bianco per riportare il Bene e il Male al posto giusto nel mondo.

Perché era quello l’equilibrio più importante da sanare, ora Artù lo sapeva. E sapeva anche come usare il diamante bianco: bastava pensare a lui come alla sua spada.  Perché il diamante bianco era la sua spada.

Una spada che aveva sempre impugnato istintivamente. Una spada che leggeva il linguaggio del suo corpo e che scattava ancor prima che la mente comprendesse quello che il braccio faceva. Perché lui era un guerriero, sempre e comunque. Un guerriero che ritrovava la sua vecchia arma e non si appellava più a essa tramite il suo corpo.

Oramai, i tempi in cui doveva affidarsi al suo corpo per proteggere le persone a lui care erano passati. E la sua spada, proprio come il mondo, si era evoluta. Ora Artù doveva appellarsi a essa tramite la sua mente.

Finalmente, riusciva a spiegarsi le sensazioni che gli aveva dato la sua spada mille anni prima quando la impugnava.

Più leggera delle altre ma più tagliente. Più veloce delle altre.

Ora capiva perché la spada, nella sua mano, era sempre stata un’arma di vittoria. La spada leggeva il suo cuore. Il Mago l’aveva forgiata sapendo che lui l’avrebbe impugnata per il Bene. E la spada aveva verificato questa realtà collegandosi direttamente al suo animo.

Ma se sin da allora, la spada riusciva a leggere le sensazioni del suo animo, obbedendo quindi ai suoi ordini senza che lui lo sapesse, perché non avrebbe dovuto farlo ora, quando finalmente il proprietario ne capiva il potere effettivo?

Se sin da allora la spada leggeva nel suo cuore, perché non avrebbe dovuto farlo adesso?
Sì, Artù sapeva di poter usare la sua spada tramite la voce del suo cuore.

Finalmente, riuscì a sentire l’energia che lo aveva accolto in punto di morte, la stessa energia che aveva avvertito quando la sua anima si era ricongiunta alla sua metà.

Durò solo per un istante ma Artù riuscì a coglierla, in quel mare di energia negativa.

Il potere di Merlino. Il potere della sua metà.

“E credete che questo, basti?”.

La voce di Merlino lo distolse dai suoi pensieri ma non lo deconcentrò.

“So che non basta!” ammise Artù.

Ora sapeva cosa fare. Ora sapeva cosa dire.

“Ma non ho avuto il tempo di fare altro. Stavo morendo” gli ricordò.

Perché Merlino non poteva aver cancellato tutto quello che era avvenuto. Il diamante nero non poteva aver cancellato tutto quello che c’era stato tra loro con un colpo di spugna. O meglio, era proprio questo che il diamante nero aveva fatto. Peccato che Artù non fosse più intenzionato a permetterlo, non ora che aveva i mezzi per porvi rimedio.

“Stavo morendo!” ripeté. “Non ho avuto il tempo di fare altro. Lo sai” e calcò pericolosamente le ultime parole.

Vide lo sguardo del mago indurirsi pericolosamente a quelle parole.

“E se foste sopravvissuto, invece?” chiese Merlino non nascondendo l’ira.

Artù vide, con la coda dell’occhio, i vetri della finestra iniziare a crepare ma questo non lo distolse dal suo intento.

“Sai bene che le cose sarebbero state diverse, poi” rispose Artù.  “Sai che le cose sarebbero cambiate” ripeté. “Io lo so che, dentro di te, conosci la risposta” concluse, non interrompendo il contatto con i suoi occhi.

“E invece no, non lo so” esclamò rabbioso Merlino. “Vai via” disse, ripetendo le prime parole che Artù, secoli addietro, gli aveva rivolto dopo la rivelazione.

Artù scosse la testa ma non smise di guardarlo.

“Ero spaventato! Ero ferito e stavo morendo”ricordò ancora, stavolta parlando lentamente.

Sapeva di assomigliare a un disco rotto, che si inceppa sempre sulla stessa frase. Beh, non aveva importanza perché era quella frase la chiave di tutto. Era quella frase la chiave per entrare nei ricordi distorti di Merlino e nel suo animo confuso. E lui avrebbe continuato a ripeterla finché fosse stato necessario.

“Certo!” urlò allora il mago. “Voi eravate spaventato. Voi stavate morendo. Voi, voi, voi, sempre e soltanto voi” e gli puntò il dito contro.

“Beh” continuò, “volete sapere una cosa? Lo ero anch’io, dannazione, lo ero anch’io” e respirò profondamente nel tentativo di calmarsi. “Probabilmente, io ero più spaventato di voi. Spaventato a morte” e fece un istante di pausa.

“Mi ero appena rivelato. Morgana era ancora viva e vi cercava. Ed io stavo cercando di salvarvi la vita con i vostri dannati occhi puntati addosso che mi fissavano come se fossi un mostro” urlò con tutta la voce che aveva in corpo.

Eccolo il vero Merlino che usciva fuori. Eccolo, il suo buono e ingenuo mago uscire allo scoperto.

Ecco le sue vere paure venire a galla. Ecco il suo dolore, antico quasi quanto il mondo, non più celato.

“Lo so” ammise Artù a voce bassissima.

Eccola, l’energia che vorticava incerta. Era vento, quello che gli sfiorava i capelli?

Artù non lo sapeva perché in quel momento c’erano solo lui e Merlino.

Il Re e il Mago.

Artù e Merlino.

Due uomini soltanto.

Due paia d’occhi che si fissavano.

Solo questo e null’altro.

La sentiva Artù la vera essenza dell’altro vorticargli attorno. Allo stesso modo, avvertiva anche la propria anima che scalpitava, quasi a voler uscire dal corpo per ricongiungersi alla sua parte mancante.

Ma Artù sapeva che non era questo, quello che doveva avvenire. Non solo quello almeno.

Perché le loro anime si erano già incontrate e riconosciute secoli addietro.

Ora, erano i loro cuori a doversi ritrovare.

Perché ora Artù e Merlino, le due facce di una stessa medaglia, avrebbero dovuto ritrovarsi rimanendo nel loro corpo. La natura aveva deciso di dare a due parti di una stessa anima un corpo umano e sarebbe stato così che avrebbero dovuto ritrovarsi. Era con la mente che avrebbero dovuto stabilire un contatto perché i loro cuori, liberi dalle maschere imposte dalla mente, si erano già riconosciuti sin dalla prima volta che si erano incontrati.

Nessuna essenza avrebbe vorticato alla ricerca dell’altra.

Nessuna energia sarebbe fuoriuscita libera.

Dovevano incontrarsi nuovamente. E dovevano farlo da uomini.

Ecco perché la natura aveva deciso di dare a Merlino un corpo mortale.

Merlino doveva guidare l’uomo. E, per farlo, doveva rimanere tale. Imparando a convivere con il suo corpo millenario.

Ora Artù lo capiva.

“Adesso lo so!” ripeté Artù.

Adesso, è tardi” gli fece eco il mago.

“Avete la minima idea di tutto quello che ho passato?” domandò.

“Avete la minima idea di tutto quello che sto passando?” e stavolta urlò mentre parlava al presente.

“Posso solo immaginare” rispose Artù.

“Beh, immaginare è diverso da provare” lo aggredì il mago.

“E allora spiegami” s’infervorò Artù.

Eccola, una nuova scossa che gli intorpidiva leggermente le braccia. Eccola, l’energia del diamante nero che opponeva resistenza.

Perché il diamante non voleva che il suo possessore si spiegasse. Il diamante non voleva che il suo possessore aprisse il suo cuore.

Fu per questo che Artù continuò.

“Dimmi cos’hai provato. Dimmi cosa provi ora”.

Vide Merlino vacillare.

“Sarebbe inutile” rispose titubante.

“Se ti fa stare così male, non credo che sia inutile” gli fece eco Artù.

Vide Merlino sedersi e prendersi la testa tra le mani in segno di stanchezza.

Anche lui, in effetti, si sentiva spossato.

Si sedette di fronte a lui.

L’energia negativa, invece, era improvvisamente sparita, quasi come se avesse deciso di battersi in ritirata.

Una ritirata strategica, visto che quella era solo la prima battaglia. Una battaglia che Artù sapeva di aver vinto.

“Siamo due imprenditori” disse poi il Re.

“Amici, almeno in questo secolo?” domandò e tese la mano.

Vide Merlino esitare e capì che l’altro non avrebbe stretto la sua mano tesa.

“Diciamo colleghi” propose Merlino alzandosi e afferrando il cappotto.

“Questo è il mio biglietto da visita. Per fissare la prossima riunione” specificò, poggiando il piccolo foglietto sul tavolino.

“Va bene. Ti contatto quando Lance avrà letto il fascicolo”.

“Bene!” disse Merino avviandosi alla porta.

“Non vi scomodate, conosco la strada” e uscì.

Artù osservò per un lungo istante la stanza vuota. Portò il suo sguardo ai vetri della finestra notando che le crepe erano scomparse.

Sospirò, sentendosi improvvisamente molto stanco. Non avrebbe saputo dire con esattezza cose fosse avvenuto ma sapeva per certo di aver vinto la battaglia.

Si sentiva spossato ma, al contempo, estremamente rincuorato. Aveva testato personalmente l’energia negativa che riusciva a emanare il diamante nero.

Ora, sapeva con certezza quali erano le battaglie che doveva combattere. Ora, riusciva a percepire l’energia del diamante bianco nella sua tasca che lo avvolgeva in un calore confortante.

Era stato come essere su un altro pianeta, staccato dalla terra e senza gravità. Nonostante fosse rimasto nel suo corpo, quando si era liberata l’energia negativa, e lui aveva deciso di non farsi schiacciare, si era sentito come se la stanza fosse scomparsa. Come se non ci fosse nient’altro che energia intorno a lui. Una massa di energia indistinta dove, ben nascosta, poteva scorgere quella del cuore originario di Merlino.

Perché quello era il male che gli era stato tolto dall’animo alla sua nascita. Male che poi si era amplificato e che era divenuto la rappresentazione del male nel mondo.

E lui, non aveva dovuto fare altro che cercare l’energia positiva in quel mare di negatività.

Come un naufrago che si affanna alla ricerca di una piccola luce che possa fargli strada nell’oscurità. Oppure, proprio come quando la luce bianca, proveniente da Merlino, lo aveva guidato fuori dalla grotta.

Perché loro due erano connessi. Lo erano stati fin da allora, dove la loro conoscenza era agli albori. Eppure, le loro anime si erano riconosciute fin da subito.

Perché loro due erano legati indissolubilmente da un filo che né il tempo, né lo spazio potevano spezzare.

E, finalmente, era giunto il tempo che questo filo si accorciasse, per permettere alle due metà di incastrarsi, così come era stato scritto fin dall’inizio dei tempi.
 

***
 
Merlino fermò l’auto sospirando e decidendo di prendere una boccata d’aria. Parcheggiò, prima di avviarsi verso un luogo preciso.

Avalon.

Le acque di Avalon scorrevano davanti a lui e riflettevano quiete la luce della luna.

Erano molti secoli che non camminava sulla riva di quelle acque. Acque che erano divenute un semplice lago, per i molti passanti che percorrevano quella strada. Acque a cui lui non si avvicinava da molto tempo, se non da lontano, e anche in quel caso si limitava a guardarle da lontano.

Si sedette sull’erba, lasciando che il suo sguardo vagasse indistinto.

Toccò l’erba sospirando pensieroso.

Lui, e pochi altri, sapevano cos’era realmente successo nel punto esatto in cui si era seduto dieci secoli prima.

Gli sembrava quasi di rivedere, tramite i ricordi, la barca che si allontanava.

Perché succedeva nuovamente tutto quello?

Merlino non lo sapeva! Eppure, quella sera l’incontro con il Re lo aveva spinto a tornare sulla riva di quelle acque.

Molti secoli addietro, il grande drago gli aveva detto che Artù sarebbe ritornato.

Ritornato quando Albion avrebbe avuto bisogno.

Eppure, lui adesso sapeva anche com’erano andate realmente le cose.

Erano stati i Guardiani a permettere ad Artù di ritornare. E Merlino si era crogiolato in questa convinzione per molti secoli, certo che il Re non sarebbe più tornato. Perché i Guardiani avevano fornito i mezzi per un ipotetico ritorno ma non avevano imposto all’anima del Re di ritornare.
Il problema era che il Re aveva scelto di farlo quando Merlino si era definitivamente convinto che non l’avrebbe più rivisto.

D’altro canto, chi poteva biasimarlo per una simile convinzione? Lui era vivo, in salute e lucido, inoltre, la magia era arrivata nel ventesimo secolo, quindi, perché il Re aveva scelto di tornare?

Possibile che questo fosse un momento di crisi?

No! Non lo era, Merlino era convinto di quello. Tutto andava bene, equilibri a parte. Ma gli equilibri erano sempre stati incrinati, sin da quando i Guardiani avevano fatto la loro comparsa in un mondo mortale.

Quindi, la domanda rimaneva sempre la stessa: perché?

Lui non aveva reagito bene alla nascita del Re, decidendo di ignorare il problema.
In fondo, si trattava di un uomo mortale. Quanto avrebbe dovuto aspettare, prima che morisse nuovamente? Beh, Merlino sapeva di potersi permettere settanta o ottanta anni di attesa.

In passato, aveva ipotizzato che il Re fosse tornato perché la sua anima non era riuscita a trovare pace, intrappolata nelle acque di Avalon. Quindi, era tornato per poi andare via definitivamente.

Certo, Merlino sapeva che nessuno obbligava il Re a essere un’anima in attesa. Le acque di Avalon non lo costringevano a rimanere lì. L’anima del Re, se lo avesse desiderato, avrebbe potuto definitivamente varcare il confine della morte.

Peccato che il confine varcato fosse stato quello opposto.

E Merlino, convinto di riuscire a ignorare il problema, aveva imposto a se stesso di lasciare vivere al Re la sua vita mortale, senza intromettersi.

In fondo, cosa avevano da spartire in quel secolo? Perché sarebbero dovuti stare nuovamente a contatto?

Erano queste le domande che si era posto e, non trovandovi risposta, aveva deciso di fare finta di nulla decretando che ognuno avrebbe dovuto continuare la propria vita senza più venire a contatto con l’altro.

Perché a Merlino faceva male pensare al suo ritorno. Faceva male pensare a un nuovo confronto con Artù.

Eppure, il fato aveva deciso diversamente e Merlino si era ritrovato il Re nella sua scuola di musica.

Era stata un’invasione in piena regola e rivedere quel volto era stato peggiore di uno schiaffo.

Perché lo tormentava ancora? Perché non lo lasciava definitivamente in pace?

Non era bastato avergli servito un regno prospero su un piatto d’argento e incassare il suo rifiuto in silenzio mentre, credendo di poter salvare la loro amicizia, aveva continuato a fargli da servo?

No! Evidentemente, al Re, questo non bastava. Inoltre, da quando lo aveva rivisto così da vicino, gli occhi del Re non lo avevano abbandonato un momento. Erano davanti a lui, senza sosta e senza che lui potesse fare niente per scacciarli.

Quegli occhi, che lo avevano osservato sospettosi mentre lui, il mago, cercava di salvargli la vita, non lo lasciavano in pace.

Perché il Re era ritornato?

La risposta poteva essere solo una, a quel punto: riprendersi il suo posto legittimo di sovrano.

Sovrano di cosa, poi? Questo Merlino non lo sapeva.

Sapeva soltanto che, nell’ascesa di Artù, non ci sarebbe stato posto per lui.

Perché Artù era carismatico, un condottiero nato. Una di quelle persone che si ascolta qualunque cosa dica, non per quello che dice ma per come lo dice.

Il popolo magico, così come le creature, era venuto a conoscenza del ritorno del Re, accogliendo questo avvenimento con gioia.

Le creature avevano avvertito il momento del ritorno senza che ci fosse stato bisogno di avvertirle.

Gli esseri umani, invece, erano felici che il discendente del solo e unico Re, fosse finalmente rinato.

Perché nessuno sapeva come le cose fossero andate. Nessuno sapeva come le cose realmente si fossero svolte.

Avevano ricamato talmente tante storie su quelle leggende che la verità era definitivamente scomparsa, sopravvivendo nella mente di pochi. E lui, Merlino, era uno di quei pochi.

Inoltre, era stato anche lui, durante i secoli, a lasciare che le cose arrivassero a quel punto. Non credendo in un reale ritorno del Re, aveva lasciato che tutti ne avessero l’immagine di un puro di cuore. Un cavaliere senza macchia e senza paura, pronto a sguainare la spada in difesa dei più deboli.

Aveva lasciato che si crogiolassero con la favola del suo ritorno, senza pensare che sarebbe potuto realmente avvenire. E ora ne pagava le conseguenze.

Perché Merlino sapeva quanto il Re riuscisse a conquistarsi la fiducia di tutti. E di lui, il Sommo Emrys, cosa ne sarebbe stato, a quel punto?

Lui, che aveva guidato creature e stregoni nel corso dei secoli, che ruolo avrebbe avuto?

Perché poi le cose sarebbero dovute andare in quel modo? Perché il Re avrebbe dovuto governare su un popolo che non gli apparteneva?

Scosse la testa, scacciando questi pensieri. Si alzò, sentendo le ossa dolergli e guardò di sfuggita il diamante nero.

Una nuova ondata di male stava per arrivare e lui, come sempre, era pronto ad accoglierla sul suo stesso corpo.

Perché il male non smetteva mai di esistere. Non smetteva mai di fluire nel mondo.

E lui, come ogni volta, lo accoglieva inerme.

Il suo sguardo si indurì. Non avrebbe permesso al Re di prendere ciò che era suo.

Non gli avrebbe permesso di metterlo in ombra.

Ripensò al diamante bianco, nella tasca della giacca del Re. Non aveva faticato ad avvertire la sua presenza. Eppure, perché quel diamante gli si era rivoltato contro?

Aveva protetto il corpo del Re, di questo ne era certo. Ma perché, un oggetto magico andava contro di lui?

Il Re, di sicuro, non aveva avvertito nulla ma a Merlino non era sfuggito quello che era avvenuto.

Il suo potere si era scosso, dopo le parole del Re. Il suo potere aveva reagito. Questo perché indossava il diamante nero da appena tre secoli.

La stanza, a un certo punto, si era riempita di energia, Merlino l’aveva vista chiaramente.

E sapeva bene che, se un qualunque essere umano fosse entrato per sbaglio in quella stanza, non ne sarebbero rimasti neanche i resti.

Per questo aveva cercato con tutto se stesso di riprendere il controllo. Perché, nonostante tutto, lui non voleva fare del male al Re. Lui non voleva fare del male a nessuno. Non ne aveva mai avuto intenzione.

Sentì le lacrime rigargli il viso mentre osservava ancora il lago e fu veloce ad asciugarle.

Non voleva fare del male a nessuno.  Eppure, sembrava che il Re non avesse bisogno di protezione.

Non con il Diamante Bianco che sembrava averlo preso in simpatia.

Perché Merlino era sicuro che il Re non avesse né sentito né provato nulla. Gli aveva semplicemente rivolto delle parole a caso e lui, per fortuna, era riuscito a riprendere il controllo prima che il Diamante Bianco cambiasse idea su cosa proteggere.

Perché gli oggetti magici erano così, come delle creature vive. Avevano simpatie e antipatie, avevano un proprio carattere con proprie caratteristiche. E lui era il padre di tutti gli oggetti che lo riconoscevano come padrone e protettore.

Evidentemente, essendo il Diamante Bianco risvegliatosi da poco, stava attraversando una fase di ribellione verso il suo padrone.

Meglio così, in fondo, oppure la polizia britannica si sarebbe dovuta spiegare come un intero quartiere fosse stato raso al suolo in meno di un istante.

Sì, era senza dubbio andata così e il Re non c’entrava nulla con quello che era avvenuto. Perché, di certo, non aveva mai parlato al Diamante Bianco. Di certo, non si era mai rivolto a lui né poteva aver avvertito il suo potere.

Decise di avviarsi in macchina consolandosi con la garanzia che tra cinquanta anni, massimo sessanta, questo Diamante sarebbe ritornato a lui.

Si avviò, consolandosi con la garanzia che, fra qualche decennio, il problema si sarebbe definitivamente risolto e lui sarebbe riuscito a chiudere un capitolo aperto da mille anni.
 

***
 

Freya si guardò intorno per un lungo istante, osservando le infinite bilance che regnavano nella stanza.

Una stanza oramai abbandonata dal mondo che la ospitava e di cui lei era parte integrante oramai.

Una stanza in cui nessun Guardiano si prendeva la briga di entrare.

La stanza di un mondo dimenticato e lasciato a se stesso. Quel mondo.

Bilance infinite erano l’unico arredamento di quella stanza. Ognuna di diverse dimensioni, ognuna di diverso colore.

Al centro, risiedeva la Bilancia D’Oro, quella che misurava l’opposto fondamentale di ogni mondo: il Bene e il Male.

Era così per ogni mondo che si creava, così come vi erano infinite stanze come quella nel Palazzo dei Guardiani.

Ogni stanza si creava nel momento in cui nasceva un mondo e, allo stesso modo, si dissolveva da sola quando un mondo cessava di esistere.

Quella stanza, in particolare, era oramai dimenticata da tutti e, se i primi anni i Guardiani si erano domandati come mai, dopo il tradimento, non si fosse ancora dissolta, ora, semplicemente, la ignoravano.

In fondo, perché entrare in una stanza inutile?

Perché entrare in una stanza dove le bilance erano tutte squilibrate? Così squilibrate da non ammettere neanche il più piccolo potere su di esse, pena: la distruzione istantanea della stanza e di conseguenza la fine di quel mondo.

Perché erano due i casi in cui i Guardiani non potevano entrare in un mondo: il primo, quando quelle bilance erano troppo squilibrate tra loro, il secondo quando erano perfettamente uguali.

Tuttavia, questa seconda ipotesi era utopia dato che nessun Guardiano era mai riuscito a portare tutti gli opposti allo stesso livello.

La bravura di un Guardiano, infatti, si misurava in base a quanto queste bilance si avvicinassero all’equilibrio perfetto.

Un quaranta per cento contro un sessanta per cento. Un trenta per cento contro un settanta per cento e così via.

Tuttavia, ogni Guardiano sapeva che nessuna bilancia avrebbe mai avuto un cinquanta per cento contro un cinquanta per cento.

D’altro canto, considerando come i numeri fossero infiniti, era anche abbastanza logico.

Si poteva avere un quarantanove virgola novantanove per cento. Ma, considerando come i numeri tra novantanove e cento fossero infiniti, allora un equilibrio perfetto era da considerarsi utopia.

Certo, esisteva una leggenda nel mondo dei Guardiani.

Quella leggenda affermava che se un unico mondo fosse stato in grado di portare le bilance allo stesso identico livello, allora quel mondo avrebbe segnato la Storia Perfetta.

Di conseguenza, anche l’infinito mondo dei Guardiani avrebbe avuto fine per ricominciare nuovamente tutto d’accapo.

Come un cerchio, dove l’inizio e la fine coincidono.

Tuttavia, era più una favola che si raccontava ai guardiani più piccoli che una vera e propria realtà.

Eppure, Freya sapeva quello che aveva visto.

Era durato un istante ma il Bene e il Male si erano eguagliati.

Non si erano solo sfiorati, come capita ai piatti di una qualsiasi bilancia quando un elemento predomina sul suo opposto.

Perché quelle bilance avevano un meccanismo totalmente diverso dal funzionamento di quelle umane, nonostante apparissero, esteticamente, con le stesse caratteristiche.

I piatti delle bilance degli uomini, infatti, tendevano a incontrarsi spesso, anche se per pochissimo e, per pochi millesimi di secondo, erano in grado di trovarsi allo stesso identico livello. Era piuttosto frequente, in effetti. Bastava semplicemente far pesare un piatto molto rispetto all’altro ed ecco che, nel meccanismo di salita per uno e di discesa per l’altro, i piatti si incontravano.

Tuttavia, quelle bilance erano totalmente diverse nel funzionamento. Capitava che un mondo, infatti, cambiasse con gli anni le percentuali di un piatto o dell’altro, superando di conseguenza il suo opposto.

Se ci fossero state una discesa e una salita, come per una normale bilancia, allora quei piatti si sarebbero incontrati e questo non poteva succedere. Il funzionamento di una bilancia influenzava le altre, a seconda della sua importanza. Era quindi impensabile che i piatti potessero anche solo trovarsi su una stessa identica retta immaginaria.

I piatti di quelle bilance comparivano e scomparivano, invece e, a un occhio esterno, potevano sembrare sospesi in aria. Lo erano, in effetti.

Tuttavia, in quella stanza, i piatti di quella bilancia si erano materializzati su una stessa retta immaginaria, anche se era durato tutto meno di un istante.

I piatti, in quel caso, si erano letteralmente incontrati, rimanendo sullo stesso piano per un lunghissimo millesimo di secondo.

Ora la bilancia era nuovamente squilibrata eppure, nonostante il Male fosse ancora altissimo, a Freya non sfuggì che il Bene aveva guadagnato qualche posizione.

Che qualcosa sarebbe avvenuto, ne aveva avuto già il sentore. Per questo, aveva richiamato il cavaliere appena pochi minuti prima, cercando un contatto con la sua mente.

Oppure, appena qualche ora prima, se contava il tempo in termini umani.

Eppure, quando il portale che affacciava su quel mondo si era improvvisamente chiuso, Freya aveva avvertito che qualcosa di fondamentale stava avvenendo in quel mondo.

Non la sua distruzione quanto, piuttosto, la sua rinascita.

Era successo quando il Re e il Mago avevano cominciato a parlare e le loro anime avevano liberato la loro energia.

Il contatto con il mondo dei Guardiani si era improvvisamente chiuso, come se l’energia del Mago, unita a quella del Re, avesse creato uno scudo.

Uno scudo potente. Uno scudo che poteva essere generato solo dal potere di Merlino unito alla sua parte mancante.

Perché il potere del Mago era infinito.

Per questo, innumerevoli Guardiani non avevano saputo guidarlo. Per questo, rappresentava l’eterna incognita della storia.

Perché il potere del Mago era tanto grande quanto quello dei Guardiani. Il potere del Mago poteva creare la Storia Perfetta.

Per questo motivo si era precipitata di corsa in quella stanza.

Con un sorriso, decise di uscire, pronta a riferire le novità alla sua cara zia.
 

Continua…
 

Note:
 

Ecco uno dei primi punti di vista di Merlino. Preciso però che il mago si trova ancora in uno stato confusionale e che le sue riflessioni sono il frutto degli incubi che il diamante gli fa avere.

Anche se, si intravede una piccola traccia del suo vero io e della sua bontà.

Come sempre, aspetto curiosa i vostri commenti. Mi raccomando, fatemi sapere quello che ne pensate dato che i protagonisti sono finalmente entrati in scena!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Alla prossima.

Pandora86
  
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