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Autore: EsterElle    02/03/2015    0 recensioni
C’era una volta una ragazza e il suo segreto.
C’era una volta l’Irlanda e tutta la magia del mondo ferma in un punto.
C’era un villaggio, un ragazzo e i suoi colori, alla ricerca di ciò che è bello.
Ed allora fu incontro e scontro, vita e rinunce, magia e colori; semplicemente Caris e Will, alla ricerca di sé, dell’altro, della strada giusta per loro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3





 
In questo buio, in questa mia improvvisa cecità, non posso che pensare.
Ed i pensieri sono pesanti e cupi, sono pensieri che sfiancano la mente, corrodono l’anima, esasperano i sentimenti. Forse è proprio questo lo scopo di questa stanza, di questa punizione.
Non ho più voglia di piangere o urlare.
Mi chiedo se ne vale la pena, e questo pensiero fa male.
C’erano in serbo, per me, lunghi anni e lunghi mesi per girare il mondo, dipingere tutte le tele nella mia mente e trovare me stesso. Di sicuro non pensavo a questa cella, né a queste ore.
Nessuna stella, lassù, veglia per me?
Ci sono tante cose che non so, tante cose che vorrei fare.
Io, che avrei voluto capire e riempirmi di tutta la bellezza del mondo, mi ritrovo ad osservare il nero più  profondo. Io, che amavo i colori di questa terra, del giorno, della notte, delle stelle sul mare. Proprio io, che credevo nell’incanto infinito della vita, mi ritrovo agli sgoccioli di un’esistenza appena accennata.
Tutto questo, perché?
Tutto questo, per chi?
Fanno troppo male, questi pensieri, sono troppo bui in questa cella scura.
Una manciata di mesi prima di oggi, alcuni anni lontano da questo momento, ho conosciuto una bambina che vagava da sola per le colline d’Irlanda. Quella bambina non mi è più uscita dal cuore; ho vagato tanto, ma sono sempre tornato da lei.
Ed ora, son qui: è sua la colpa?
Probabilmente si.
È mia, la colpa? Sicuramente.
Mia perché mi sono lasciato coinvolgere troppo, mia perché non ho saputo andare via. Mia, perché ho permesso a me stesso di conoscerla, di vivere con lei nella mente, di imparare a volerle bene.
Sua, perché non può fare a meno di essere unica al mondo.
No, il suo potere non c’entra.
Esiste un motivo per cui la magia è tenuta nascosta al resto del mondo, ora lo so. C’è motivo di averne paura, ne sono convinto. Lei, Caris, ed i suoi simili sono i primi ad esserne schiavi; prigionieri di ciò che sono, vivono all’ombra di qualcosa di più grande di loro, di un destino che li segna e non li lascia più andare.
Devono nascondersi per non farsi sopraffare dal mondo, devono darsi delle regole per non dare possibilità a questo potere di prendersi gioco di loro.
No, la magia è un freno per Caris, una fragilità; il suo vero potere è tutt’altro.
Il suo vero potere è nei suoi occhi svelti, scuri e leggermente all’insù, intelligenti, che nascondo un mondo. La vera magia è nel modo in cui muove le mani quando è felice, quei gesti lievi che partono dal cuore e si allungano verso di me. Il sortilegio più grande è il modo in cui solleva le sopracciglia quando è rapita dai miei racconti, quando sogna ad occhi chiusi di posti e persone mai viste.
È unica al mondo, si.
Come nessuno sa incantare chi la circonda; è per lei che, oggi, sono qui.
Ne vale la pena?
Si.
Ciò che ho visto e che ho fatto mi basterà; imparerò a non desiderare più nulla se questo vuol dire avere la certezza che lei sarà salva, dopo di me. Che importa delle bellezze d’oriente, della natura del nord, del silenzio sconfinato del deserto e delle dune di sabbia, del sole di notte? Sono cose che non conosco e mai le vedrò.
Incanterò io, per una volta, tutti quei desideri; non che questo sia giusto, ma che altro resta da fare?
Per quale assurdo motivo, ora, il cuore accelera i battiti? Perché il respiro si fa corto e le guance così calde?
Mi passo le mani sul viso, le sento, piacevolmente fresche, ma non posso vederle.
È così buio, qui.
Non c’è Caris che illumina la notte, non questa volta.
Come è semplice, qui rinchiuso, capire quanto sia importante per me; com’è difficile accettare il fatto che non la vedrò mai più.
Il cigolio della porta mi coglie alla sprovvista, perso in pensieri dolci e amari al tempo stesso.
C’è qualcuno che regge un lume, una striscia di luce colora il pavimento polveroso. Sono così stanco dell’odio immotivato di questa gente che non ho voglia di alzare la testa, di guardare l’ennesimo burbero carceriere. Non mi importa di loro.
Non ho paura di loro.
Sto imparando a cristallizzare ciò che resta dei miei desideri.
La luce, però, si infiltra con insistenza fin sotto i miei piedi, giunge alla mia sedia solitaria, ed il respiro affannoso alla porta trova il modo di entrarmi dentro.
Gli occhi fanno male, dopo tutta questa oscurità; è stato un lungo giorno, solitario e sconsolato, e non so se sarò in grado di fissare apertamente quel bagliore di speranza.
Con una mano, provo a proteggermi un po’, a creare una barriera tra me e le illusioni.
Qualcuno trattiene il respiro rumorosamente.
Ma cosa … ?
“Chi sei?” provo a dire, e la mia voce suona roca alle mie stesse orecchie.
“Will!”
E’ lei, lo so. Lo sapevo sin dall’inizio!
Non pensavo esistesse una gioia tanto profonda, tanto dolorosa nel petto e nello stomaco.
Non trovo le parole, i pensieri si fermano a metà.
Caris qui? Ma com’è possibile?
“Caris? Che cosa … ?”
Ora la vedo, la vedo distintamente.
Si staglia alla luce del lume che tiene in mano, identica a come l’ho lasciata questa mattina all’alba, sulla strada per Galway. Stessa gonna azzurra, stesso maglione verde scuro, stessi capelli rossi, ora raccolti in una coda scombinata; è più pallida, però, ed i suoi occhi scuri brillano di una strana luce.
È quasi per caso che mi accorgo della presenza di altre due persone intorno a lei; me ne accorgo solo quando Caris si libera della stretta del ragazzo alla sua destra e corre verso di me.
Quanto sarà pericoloso tutto questo, per lei?
Il pensiero sfreccia nella mia mente sovraffollata e si deposita lontano.
Lei è così vicino che posso sfiorarla; mi da le spalle ed un lieve profumo di verbena si diffonde tutto intorno.
Le sfioro la gonna; vorrei abbracciarla stretta e fuggire via.
Lei, in piedi, è alta quasi  quanto me, seduto. Mi vien da sorridere quando la vedo piantata qui, le braccia allargate, come se, così piccola, potesse difendermi dal resto del mondo.
Magari è davvero così.
Cosa farà, ora?
Il ragazzo che era con lei, il Guardiano vestito di nero, sembra innervosito, ma non sorpreso quanto la donna. È lei che muove un passo incerto, subito interrotto dalle parole che scivolano via dalla bocca di Caris, parole intrise di magia.
“Da questo momento, il suo destino è il mio destino. Se lo ucciderete, morirò anch’io della sua stessa morte, se lo torturerete soffrirò le sue stesse torture …”.
Tutto è molto veloce adesso.
Non ho davvero il tempo per realizzare quello che Caris sta facendo per me; il ragazzo sta venendo verso di noi a passo di marcia, odio nello sguardo, le mani protese.
No, non le farà del male.
Non ho bisogno di pensare per alzarmi in piedi ed afferrarla dalle piccole spalle, ancora tremanti; la spingo dietro di me con un gesto secco e mi preparo a fronteggiare la furia di un Guardiano.
Un taglio si apre alla base del collo, brucia: è stato lui, lo so.
Ma lei sorprende tutti ancora una volta; la sento, il respiro veloce, un grido di sorpresa, di dolore. E poi, la fine della magia.
“Solo quando sarà libero, oltre il boschetto di querce, giù per la strada di Galway, solo allora questo incantesimo si romperà ed io stessa tornerò al villaggio”.
È una scossa di corrente, il silenzio di quando scende la neve; adesso il ragazzo è fermo, con gli occhi sgranati, che digrigna i denti.
“Caris come hai potuto?” chiede, furioso.
“Gerald!” esclama la donna, ancora ferma all’ingresso.
Un uomo anziano è appena arrivato, io l’ho già visto; è lui che mi ha chiuso qui sotto.
“Adesso basta” dice, e la sua voce sembra vibrare per tutta la stanza.
È carica, è potente, di una magia anni luce distante da quella di Caris.
“Neanche tu puoi disfare un incantesimo lanciato, maestro. Non puoi cancellare ciò che io ho reso reale” lo affronta lei, raggiungendo il mio fianco.
Mi resta vicina e mi rendo conto pian piano di quanto sia enorme ciò che ha fatto per me.
Vedo il segno rosso, identico al mio, sul suo collo: credo di doverle la vita.
“Non credere di poter far fesso anche me, ragazzina. Non confondermi con questi due sciocchi”.
La donna è risentita, glielo leggo nello sguardo.
Il ragazzo, ancora troppo vicino, sembra davvero sconvolto.
“Che farai, ora, Gerald?”
“Non lascerò che questo assurdo gioco prosegua ancora: nessuna delle tue magie andrà oltre le mura di questa stanza, da ora in poi, Caris Doherty” dice il vecchio.
Con la coda dell’occhio riesco a vedere la mia amica chinare leggermente le spalle sotto il peso di questa maledizione.
“E sia” sussurra.
Restano a guardarsi negli occhi per un lungo momento, ma io non riesco ad immaginare il flusso di emozioni e pensieri che ora scorre tra loro.
“Io non volevo ferirti, tradirti, maestro; non volevo fare del male a nessuno di voi” sento che trema, lei, alla mia destra.
Quanto è alto il prezzo che siamo disposti a pagare per le nostre scelte, per vivere la vita che ci spetta?
Alto, ora anche Caris lo sa.
In un certo senso, mi sento terribilmente in colpa. Lei ama questo posto, ama questa gente.
“Sono stato un pessimo maestro, per te; solo ora ti vedo” sta dicendo il vecchio, ammorbidito. “Solo ora riesco a immaginare la donna che avresti potuto essere; ma non andrò contro la vita di questo villaggio. Skin Deep è tutto e niente, per persone come noi. Io ho imparto dai miei errori, spero lo possa farlo anche tu”.
Con queste parole se ne va, il suo cardigan sfilacciato, i suoi capelli brizzolati sparati in tutte le direzione, il passo strisciante; quasi mi sembra di sentirlo canticchiare su per le scale.
“Vieni, Tom, abbiamo molto di cui discutere, ora” dice la donna prima di voltare le spalle e lasciare la stanza.
Tom, il Guardiano vestito di nero, indugia ancora un momento, gli occhi fissi su Caris.
“Tom, ti prego … “ inizia lei.
Ma lui indietreggia, sputa per terra, davanti ai suoi piedi.
Poi, letale e furioso, sparisce nel buio.
La porta sbatte ed io non sono più solo, il buio è rischiarato dalla luce del lume, un sottile singhiozzo echeggia alla mia destra.
“Caris” la chiamo.
E lei mi si getta contro, lasciandosi stringere una volta ancora, disperatamente.
Piange strane lacrime, di gioia e dolore insieme.
“Mio padre, lassù … mi odierà, lo so” dice contro il mio petto.
Mi vergogno a guardarla negli occhi, pozzi scuri di sentimenti a contrasto.
“No, no Will!” interviene subito lei, le mani ad asciugare le guance. “Lo farei mille volte ancora se servisse a salvare te”.
Tira su col naso e sembra una bambina, di quelle piccole.
“Vieni, sediamoci qui”.
Siamo sul pavimento, ora, spalla contro spalla, schiena al muro, e la stanza non è più buia; questa scena è talmente tanto familiare da stringermi il cuore.
Con un lembo della sciarpa le asciugo i rivoletti rossi che dalla ferita corrono giù, sotto il maglione.
Lei mi rivolge un sorriso umido, strano.
Quanto è tutto meglio con lei vicino?
E quanto può essere sbagliato avere questi pensieri?
“Caris, non dovevi” inizio con forza, scuoto la testa, finalmente un po’ più lucido.
“Io ti devo tutto, non potevo lasciarti quaggiù”.
Sento ancora le sue lacrime sciogliersi lungo le guance.
“Ora che faremo?”
“Aspettiamo. Ci aiuteremo a vicenda, vedrai”.
Il silenzio non fa paura, la paura è un’altra cosa. La paura è quel brivido che percorre le nostre mani, che si annida negli sguardi, che tiene serrato il labbro inferiore tra i denti.
Il silenzio va e viene, in questa irrealtà.
“Cosa voleva dire il vecchio Gerald?”
“Niente”.
“Caris, ti prego”.
È per me che sei qui, per me che tutti, lassù, potrebbero non perdonarti mai.
Ti prego, si sincera con me.
“Ha limitato la mia magia, le mie parole. Non posso aprire quella porta, né far arrivare un qualsiasi aiuto dall’esterno. È come se fossi una formica e lui mi avesse intrappolata sotto un bicchiere” spiega infine, stringendosi nelle spalle.
“A lui non interessa molto del Capo o dei Guardiani, delle regole. Ma Skin Deep è casa sua, è il suo porto sicuro, tutta la sua vita: farà qualsiasi cosa per proteggere il villaggio”.
“È questo non ci aiuterà di certo”.
“No. Ma non avrei potuto fare nulla comunque, in realtà. Lui ti ha imprigionato qui e solo lui può emettere l’ordine di liberarti. Funzionano così, i Desideri”.
“Caris”.
“Si?”
“Grazie di questa follia”.
“Se solo fossi più forte, più grande, non sarebbe una pazzia. Se solo sapessi gestire meglio il mio potere, ti avrei portato fuori di qui; avrei sfondato quel muro, aperto il terreno, manipolato la volontà del Capo tanto da fargli emettere un ordine di scarcerazione. Ma sono solo un’apprendista ed il mio potere è qualcosa di prezioso tra le mani di un’incapace. Purtroppo, sono tutto quello che hai, Will”.
Adesso si è inginocchiata a guardarmi ed è senso di colpa quello che leggo nei suoi occhi, sulle sue guance umide, le labbra contratte.
Della ragazza stesa nell’erba di questa mattina non c’è più traccia, non c’è più quel sorriso, quel rosso e quel verde; ora vedo solo nero e grigio, bianco, rosso cupo.
Colori bui e sgargianti, feriscono gli occhi, feriscono me.
“Zitta, per favore” provo a rassicurarla, afferrandole entrambe le mani. “Va tutto bene. Sei stata molto coraggiosa, piccola”.
“Speriamo serva davvero a qualcosa”.
“Serve a non farmi sentire solo”.
Quel buio è solo un ricordo, il tarlo del dubbio, il ticchettio dei pensieri, lontano. Ora c’è Caris con me e tutto sembra aver conquistato la giusta prospettiva, una volta per tutte.
“Hai paura, Will?”
“Si”
Ovvio che ce l’ho.
Ho tanta paura di morire.
Ho paura di soffrire, di perdermi il meglio della vita, delle ore che ci attendono. Ho paura perché anche tu ne hai, Caris, e perché hai legato insieme i nostri destini in maniera indissolubile. Ho paura che soffra anche tu.
“Di cosa?”
“Di sprecare questo giorno, questi attimi. Di buttare via la speranza che il tuo arrivo qui ha saputo regalarmi”.
“No, non devi. Sperare è giusto; non vorranno farmi del male, quelli lassù, mi vogliono troppo bene. Non ne faranno a te, quindi: vedi, non tutto è perduto” cerca quasi di sorridere.
Questi alti e bassi, questo umore che va e viene, sa di lei; folle, lunatica Caris!
È un infondesi coraggio a vicenda che ha della stupidità, il nostro. Ma sono le parole che abbiamo bisogno di sentire e noi ce le regaliamo senza vergogna.
La sua mano è fredda quando sfiora la mia guancia, come a voler pulire le tracce di questa notte, di questo sporco.
“Senti, facciamo una cosa” dice, dopo uno sguardo infinito.
Non riesco quasi mai a capire cosa le frulla in quella testa; adesso è in piedi e slaccia il mantello scuro che ancora indossava. Lo stende davanti ai suoi piedi e con un gesto secco del polso, lo strappa sul fondo.
“Ma che fai?”
“Non ci vediamo da così tanti mesi, noi due. Ed io voglio farti un regalo, oggi, che porterai sempre con te” è concentrata mentre stende per bene la stoffa martoriata.
“Sempre che usciremo vivi di qui” la contraddico.
“In questo momento facciamo finta di crederci, Will”.
Sembra che mi legga dentro, con quegli occhi profondi, scuri, ad ogni sguardo che lancia verso di me; è una cosa che scuote nel profondo, questa cosa qui.
“Diventa bianco, per favore”.
“Adesso vieni, stenditi, e chiudi gli occhi” mi invita.
Lei ha messo a rischio la sua vita per me, posso non accontentarla?
Vado vicino a lei, e mi riempio di quel sottilissimo profumo di verbena che emana dal suo vecchio maglione, dalla sua pelle; mi stendo sulle sue ginocchia, testa in su, e chiudo gli occhi.
È di nuovo buio, in realtà, ma un buio tranquillo.
Una sua mano scorre tra i miei capelli.
La sua voce mi culla.
“Adesso raccontami, Will. Raccontami della bellezza che hai visto”.
Si, mi piace questo gioco.
Riempiamo la paura di meraviglia, piccola Caris!
Ed allora sono parole, parole, parole.
Le più vere che riesco a trovare, le più belle a cui lei riesce a pensare.
È magia.
È come galleggiare, nuotare in un mare di nulla, un mare di flash, di serenità.
Parole che scorrono strane, veloci ma lente, dal cuore e non dal cervello.
Le racconto delle vene che sporgevano dalle mani di mia nonna, delle fossette che si disegnavano sulle sue guance quando sorrideva a me, porgendomi un dolce.
“Come fiumi in montagna, come volo di rondini”
Le racconto del profumo di polvere della biblioteca di papà e lacrime scendono sul pavimento.
“Non ti scordar di me”
 Le racconto del rumore di passi sui sentieri al tramonto, del battito solitario del mio cuore nel nulla.
“Il pulsare del sole di giorno”.
Le racconto del mio primo rifugio, di quella vecchia zia di campagna da cui sono corso, sconvolto; le racconto delle sue tovaglie di panno, del suo te speziato, dei ricordi di viaggi, di terre straniere.
“Un po’ d’ombra fresca tra alberi alti”.
Le racconto di viola, di gialli, di blu, di città incantate, di nidi di uccelli tra i tetti, di sorrisi e gonne e automobili in corsa. Di vita.
“Un ragazzo tra l’erba, il suo zaino arcobaleno. Case lontane, fiori viola e girasoli”.
Le racconto dei segreti bisbigliati, delle leggende piene di magia, dei misteri ascoltati al mercato di Galway su un luogo segreto nel cuore del verde d’Irlanda.
Lei ride.
“Querce vecchie e maestose, il vento che bisbiglia tra le fronde. Felci”.
Le racconto degli schizzi d’acqua salata sulle guance, dei colori slavati nell’acqua del mare.
“Nuvole che corrono nel cielo, scie di rosso e d’arancio”.
Le racconto della magia, dei riccioli rossi sparsi d’ovunque, degli occhi che guardano l’anima, della voce più melodiosa al mondo.
“Granelli di polvere nell’aria, luminosi alla luce del sole: una ragazza rossa in faccia e in testa, proprio vicino”.
Le racconto del cuore che batte e gli occhi che ridono, di un’amica speciale che s’incastra alla perfezione con la vita che scorre, che scorre bella.
Le racconto che non ci sono pensieri violenti, non ci sono guerre e odi, con lei vicino, non esistono per me; non ci sono morti e abbandoni, non ci sono tradimenti.
Le racconto di come è stata sempre con me, nei miei pensieri, negli ultimi tempi, in giro nel mondo.
Le racconto del sorriso che nasce spontaneo quando so di aspettare lei.
Le racconto di come quella magia e quella ragazza siano diventati casa mia.
Un porto sicuro.
Lei pian piano diventa stranamente silenziosa ma non me ne rendo conto subito. Le mie parole non sono più accompagnate delle sue, cariche di magia, non c’è più ritornello ai miei racconti.
Apro gli occhi, lentamente.
Il suo volto è lì, soffuso di rosso, intenso, bello: i riccioli le cadono sulle spalle e sulla fronte, ribelli al nastro con cui li aveva legati. Mi guarda ma resta in silenzio.
La guardo e vorrei tacere anch’io.
“Come finisce, Caris? Come finisce il mio racconto?” le chiedo, invece.
Lo voglio davvero sapere, sapere adesso, in questa bolla di finzione che abbiamo costruito, in questo ritaglio di bellezza al centro del caos.
Adesso che le nostre vite sono appese ad un filo, adesso che c’è spazio per la sincerità, adesso che possiamo lasciare da parte maschere e ruoli, doveri e segreti, per una volta.
Vorrei sapere ciò che cela il mio cuore, ciò che nasconde il tuo.
Dimmelo, ti prego.
Lo devo sapere.
“Un bacio” sussurra lei.
E poi, si china leggermente, dolcemente, su di me.
 
...
 
 
La notte è finita e un altro sole sta tramontando.
“Adesso vattene William Stoker. Mai ritroverai la strada del villaggio, mai riconoscerai questi luoghi; oltrepassata la soglia del bosco non ricorderai nulla di questa magia. Vattene per non tornare mai più”.
Biascica il vecchio Gerald, alle mie spalle.
Insieme a lui, mi seguono un gruppo di strani uomini, le facce scure, gli occhi vigili, le spalle tese.
Mi hanno accompagnato qua fuori, carico del mio zaino, delle cartella ormai vuota dopo che tutti i disegni sono stati bruciati.
Ricomincio da zero, ricomincio da capo; forse tornerò a trovare mia madre, chissà.
Ma c’è qualcosa che preme sul petto, ed un respiro caldo al mio fianco.
Caris mi stringe la mano con tutta la forza che ha.
La guardo e vedo il suo volto stanco, gli occhi cerchiati, i capelli sparsi sulla schiena alla luce del nostro ultimo giorno. Piegato sul cuore ho il regalo che ha scelto per me l’altra notte.
Ha messo tra le mie mani il dipinto prima di andare, in quella cella; quel pezzo di stoffa del suo mantello, riportato a nuova vita da lei, l’abbiamo firmato insieme, pronunciando ad alta voce i nostri nomi, guidati dalla sua magia.
“Caris e Will – gennaio 1950”, porta scritto.
Questo lo posso tenere, hanno detto.
È tutta la mia vita, tutta la nostra storia; per una volta l’artista è stata lei, senza pennelli, senza colori. Ha dipinto i ricordi, le parole della notte, qualcosa di unico al mondo.
Vorrei poterlo ricordare, almeno questo, almeno lei.
Non piange, Caris, mentre mi stringe una mano, sulle soglie del bosco.
In fondo, ce l’abbiamo fatta, siamo salvi entrambi.
Ma quale prezzo, Will? Mi vien da pensare.
Alto, vecchio mio, è l’unica risposta che c’è.
La sua gente ha giudicato così, alla luce del giorno: me libero e senza memoria, tenuto lontano dalla magia dei desideri di Gerald. Lei che ritorna alla sua vita di sempre, controllata a vista da quel suo vecchio maestro. Di tutta la magia del mondo non avrò memoria tra qualche minuto.
Mi dispiace.
Mi dispiace perdere ogni cosa, perdere lei.
“Addio, allora” mi volto per salutarla.
Lei mi guarda, uno sguardo sicuro, asciutto, duro.
La disapprovazione degli altri preme sulle nostre spalle.
“Ciao Will”.
“Vorrei dire che non mi dimenticherò mai di te, ma non è così”.
Della bambina di allora, della ragazza di oggi che ha saputo farmi battere il cuore, non resterà che fumo sbiadito nella mia mente.
Mi vien da sorridere.
“Ricorderò io per te”.
Mi allaccia le braccia al collo e, incurante della folla dietro di noi, sfiora le mie labbra con le sue.
“Noi ci rivedremo, un giorno, Will. Ci incontreremo di nuovo e sarà come se niente fosse mai cambiato. Lo giuro” mi bisbiglia all’orecchio.
“Vivremo una vita scelta da noi e non da altri, promesso”.
Ed io stringo più forte la sua vita tra le braccia; ha scritto una promessa sulle nostre vite, ha segnato il nostro futuro di una magia più forte di lei. Ha parlato con la sua voce magica, le sue sono parole che cambiano il corso del mondo, del tempo: lei ci crede davvero.
“Ora lo so”.
“La magia che ci separa, oggi, ci farà ritrovare”.
Si, Caris Doherty, speriamo così.
E mentre affondo il viso tra i suoi mille riccioli rossi mi sento felice, a casa.
Magari questa magia non si avvererà per davvero, lei non è abbastanza brava, abbastanza forte, per sviare così il nostro futuro. Non importa, non lo ricorderò.
Importa che è qui e che il suo cuore batta contro il mio e che lei ne sia davvero convinta.
Importa dell’ora, dell’oggi, di questo ultimo istante.
Importa di me, di lei, della storia che abbiamo scritto, delle tele che abbiamo dipinto.
Importa dell’uomo diverso che sono.
Insieme, quasi per caso, abbiamo scoperto la magia più bella di tutte.
“Addio” mormoro infine e, con un passo, lascio i ricordi alle spalle.
 
 
 



 
 
Note
Avrei tanto voluto riuscire a postare i pochi capitoli di questa storia con regolarità, ma, purtroppo, sono un vero disastro in questo senso! Mi scuso per il ritardo e do tutta la colpa ad una davvero poco gentile influenza! :)
Sono un po’ preoccupata da questo capitolo, a dirla tutta… è quello che mi convince meno di tutti, forse perché il più denso, il vero centro della storia. Insomma, spero sia all’altezza delle aspettative nate nei due precedenti, spero che le vicende non risultino narrate con superficialità e i personaggi forzati nella loro evoluzione! Se vi va, raccolgo tutti i tipi di pareri con piacere e ringrazio già chi mi farà notare qualche svista, qualche errore, che potrebbe essermi scappato nel testo! :)
A presto, per l’ultimo capitolo!
Ester






 
  
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