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Autore: Liberty89    02/03/2015    4 recensioni
Era stato un passaggio graduale ma anche così naturale da non aver destato alcuna preoccupazione nel suo animo. Lentamente, la sua vista cambiò e lui accettò il cambiamento con serenità.
I suoi occhi viola, da sempre simbolo della divina Makal, Dea della bontà e della rinascita, persero la loro luce e lui divenne qualcos’altro. Divenne unico, speciale. Non scorgeva più il presente e ciò che lo circondava né chi gli stava accanto, al posto di tutto questo, Farhiad vedeva la verità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti! E così siamo arrivati all'ultima parte delle avventure di Farhiad. Qui della canzone c'è poco e niente, solo il finale ne riprende l'ultima strofa, ma solo per una questione di fedeltà. In questo ultimo capitolo si concluderà tutto. O quasi.
Mi prendo le consuete righe, prima di lasciarvi alla lettura. Un grandissimo grazie a nadine5 per aver messo la storia tra le seguite.
Detto questo, buona lettura!



Parte V: Sguardo sull’epilogo

Nonostante il vento fresco che soffiava dal mare, il calore del sole cadeva imperioso dal cielo, abbattendosi sui viaggiatori che si muovevano verso l’entroterra. I tre cavalli galoppavano tranquilli sulla sabbia, seguendo la direzione impostagli dai loro cavalieri che scrutavano in silenzio l’orizzonte, dove la figura del tempio di Makal si faceva sempre più nitida.
Farhiad teneva il capo chino e gli occhi chiusi per proteggerli dalla luce e dai granelli di rena che venivano sollevati dagli zoccoli dell’animale, e si teneva stretto alla vita della sua compagna, che cavalcava senza problemi, ignorando le occhiate curiose e insistenti di uno dei loro accompagnatori. Il figlio maggiore di Pankhai le stava accanto con il suo cavallo bruno, osservandola di tanto in tanto, incuriosito e pronto a intervenire nel caso in cui avesse perso la presa sulle redini per un qualsiasi motivo. Marias, invece, era poco più avanti a fare da guida al quartetto, ma anche lui all’inizio aveva guardato con sincero stupore quella ragazza mingherlina e traballante che aiutava il cieco a montare in sella. Né lui né Gajil erano stati abbastanza veloci per intervenire e dare loro una mano, poiché in poco tempo il castano era riuscito a salire a cavallo e subito dopo la spadaccina faceva lo stesso davanti a lui, offrendole il proprio corpo per reggersi.
-Tekharia.- chiamò il veggente, alzando il viso e serrando la presa sugli abiti della compagna. -Fermati.-
La ragazza eseguì, tirando le redini e provocando un nitrito nella sua cavalcatura, che causò l’arresto degli altri due uomini presenti.
-Che succede Maestro? Perché ci fermiamo?- domandò svelto Marias, facendo girare il cavallo dal manto grigio.
Farhiad si voltò, puntando lo sguardo spento nella direzione da cui erano venuti. -Tra poco ci raggiungeranno.-
-Cosa?- disse Gajil, girandosi a sua volta per studiare il paesaggio alle loro spalle, il profilo di Khikal ormai lontano. -Chi?-
-Quanti?- chiese invece Tekharia, smontando da cavallo e porgendo le redini a Marias, che la fissò a occhi sgranati, colmi di confusione.
-Una decina di persone, undici per la precisione. Nessuna con intenti pacifici.- rispose il veggente, aggrappandosi alla sella. -Seguirai la mia mano anche questa volta?-
-Sì, proteggerti è lo scopo della mia vita.- replicò lei, sguainando la daga rovinata che teneva appesa al fianco, mentre la lunga spada era stata assicurata alla sella.
-Ma… ma cosa state dicendo?!- esclamò il soldato di Banrui, attirando l’attenzione del cieco. -Maestro Farhiad, vi prego, spiegatemi!-
-Un gruppo di undici uomini ci raggiungerà entro breve, credo che tu possa riuscire a scorgerli ora.- illustrò il giovane uomo, indicando un punto preciso.
Basito più che mai, Marias seguì l’indice del cieco e gelò quando scorse una nube di polvere accompagnata dal tipico rumore prodotto dagli zoccoli di un gruppo di cavalli al galoppo. -Per gli Dei…-
Poco distante da lui, Gajil era già smontato di sella, la spada in pugno, e lo sguardo azzurro che si puntava sulla schiena minuta della ragazza dai capelli sempre più neri.
-Non possiamo affrontarli!- esclamò il soldato. -Sono troppi! Tornate in sella, il tempio non è lontano!-
-No.- replicò calmo il veggente, carezzando il collo del cavallo per tranquillizzarlo. -Noi li affronteremo. Queste persone sono contrarie alla pace ed è nostro dovere fermarle.- spiegò. -Gajil, potete aiutarmi a scendere, per favore?- chiese poi.
-Farhiad, non sarebbe meglio per voi proseguire insieme alla vostra compagna?- osservò il figlio di Pankhai, avvicinandosi al Maestro. -Qui siete in pericolo.-
-Vi ringrazio per la premura, Gajil, ma io e Tekharia vogliamo e dobbiamo restare qui. Questo è ciò che ho visto.- rivelò, muovendosi per cominciare a scendere da cavallo.

-Muori figlia di Khan!- urlò un guerriero, gettandosi a capofitto sulla ragazza che aveva davanti.
La giovane però non si fece cogliere impreparata. Aveva colto il gesto di Farhiad e si era fatta immediatamente da parte, schivando per un soffio la lama della pesante scimitarra che l’avrebbe sicuramente ferita a morte. Piantò per bene i piedi nella sabbia, quindi affondò la daga nel fianco del suo assalitore, che gridò il suo dolore e la sua rabbia, insultandola prima di crollare a terra con un gemito.
Infine, la mano del veggente si abbassò insieme alle sue palpebre, che celarono gli occhi opachi. Tenendo il viso alto, Farhiad s’incamminò verso la sua compagna, seguendo il rumore del suo respiro affannoso e il ricordo dell’ultima indicazione che le aveva dato.
-Marias, Gajil, siete feriti?- chiese, schivando con attenzione i corpi stesi sulla sabbia, aiutandosi con il bastone bianco, che presto si sporcò di sangue scuro sul fondo.
-Per me solo qualche graffio…- rispose il soldato di Banrui, ripulendo la propria scimitarra con un panno preso da una sacchetta che portava appesa alla cintura.
-Anche per me nulla di grave.- disse il moro, imitando l’altro uomo. -Voi Farhiad? State bene?- domandò poi, osservando i due compagni di viaggio.
-Non dovete darvi pensiero Gajil, sto benone. Come sempre, Tekharia è un’ottima guardia del corpo.- asserì il veggente, posando la mano libera sul viso della ragazza. -Tekharia sei ferita?-
-N-No…- balbettò lei, combattendo con l’affanno. -Sono… solo stanca…-
-Perdonatemi Maestro se risulterò indiscreto…- s’intromise Marias, avvicinandosi ai due. -Come avete fatto a… combattere così?-
Il cieco sorrise, prendendo la compagna a braccetto. -La Vista mi ha mostrato ciò che stava per accadere, così ho guidato i gesti di Tekharia, per sopperire alla sua mancanza di agilità.-
Il soldato tacque e sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. Aveva notato che la ragazza non camminava molto bene, ma non aveva mai pensato che il suo problema fosse così grave. La guardò zoppicare al fianco del suo compagno e si scoprì incuriosito e attratto dalla sua persona: una ragazza che eseguiva i doveri di un uomo e combatteva come un soldato, era in realtà fragile come qualsiasi altra donna e per di più pareva avere un handicap. Una mancanza fisica talmente severa che il veggente compensava con la propria dote, restandole abbastanza vicino da poterla guidare durante uno scontro.
Dal canto suo, Gajil seguì la coppia, mentre il senso di colpa gli picchiava sul cuore. Erano stati i guerrieri di suo padre a invalidare la ragazza, tagliandole i tendini per impedirle di camminare. Lei però era guarita, anche se non completamente, e non solo camminava e portava il peso di una spada al fianco, Tekharia combatteva e lo faceva con tutta se stessa. L’aveva guardata di sfuggita durante la lotta, per poter intervenire in caso di bisogno, ma tutto ciò che aveva visto non era altro che una guerriera forte e indomita, dai vivi occhi rossi che menava affondi e fendenti precisi e letali con una daga usurata e ben poco affilata. Daga di cui aveva riconosciuto la fattura, quindi comprese che doveva essere la stessa che Tekharia aveva rubato la notte in cui fuggì.
Quel pensiero lo fermò. Perché la ragazza non aveva usato la spada che portava legata alla sella? Le parole del cieco però, risvegliarono di nuovo la sua attenzione.
-Tekharia, vorrei che facessi l’ultimo tratto di viaggio con Gajil, anziché con me.- esordì Farhiad, posandole la mano sulla spalla per impedirle di montare in sella. -Prima che tu ti opponga in qualche modo, ascolta: il tuo corpo non reggerebbe alla guida di una cavalcata ancora così lunga, sei stanca e hai bisogno di riposare il più possibile.- spiegò, carezzandole una guancia. -Fidati di me, andrà tutto bene e io posso stare in sella da solo, basta che mi tenga forte.-
-Ma…-
-Il Maestro può venire in sella con me.- s’intromise Marias, affiancando i due con la propria cavalcatura. -Il vostro cavallo possiamo legarlo alla mia sella. Questa soluzione può andare bene anche per voi, Tekharia?-
La ragazza si zittì per un attimo, stranita dal fatto che qualcuno al di fuori del suo compagno le avesse rivolto la parola e persino chiamata per nome. Assentì alla proposta, trovandola la soluzione migliore per garantire un viaggio sicuro a Farhiad, che da parte sua sorrise e accettò a sua volta di buon grado.

Il cammino è sgombro.
La sabbia è pulita.
Gli occhi ti attendono.
È tempo.

-Perché non avete usato la spada, invece di quella vecchia daga?- chiese Gajil, dopo quasi un’ora di viaggio passata in silenzio, dando una veloce occhiata alla ragazza seduta davanti a lui.
-Perché è con questa che sono riuscita a raggiungere Farhiad la prima volta e finché lui non mi dirà il contrario, continuerò a usarla.- spiegò lei, seria, senza distogliere lo sguardo dalla schiena del suo compagno che cavalcava poco più avanti.
-Capisco.- disse il moro. -Oltre a questo, volevo scusarmi per ciò che mio fratello fece quel giorno e-
-Non serve.- lo frenò Tekharia. -È accaduto perché era scritto. Se non fosse stato vostro fratello, sicuramente sarebbe stato qualcos’altro a farmi fuggire prima o poi, perché c’era Farhiad ad aspettarmi.- pronunciò lei senza rancore. -Non provo rabbia né odio nei confronti di nessuno di voi, nemmeno del soldato che mi ferì le caviglie.-
Gajil si ritrovò a sorridere, scuotendo appena il capo, incredulo di fronte alla serenità di colei che avrebbe dovuto riversare contro di lui e la sua famiglia tutto il suo odio. -Il vostro perdono per me vuol dire molto. Vi ringrazio, Tekharia.-
Nuovamente, sentire il proprio nome pronunciato da qualcun altro che non fosse il veggente, la lasciò attonita. Era strano per lei vedere riconosciuta la propria identità da altre persone, ma quella sensazione così nuova e inattesa le piacque.
-È stato Farhiad a insegnarmi il valore del perdono.- riprese poco dopo. -Senza di lui, non avrei mai potuto perdonare me stessa. È lui che dovete ringraziare, non me.-
Gajil avrebbe tanto voluto sapere quale fosse la colpa che aveva dovuto perdonarsi, ma la vista della facciata del tempio alla svolta di una parete di roccia lo ammutolì.
L’edificio era stato scavato nella parete di una bassa montagna e la sua facciata era composta da mille e più quadretti in bassorilievo che mostravano la creazione del mondo per mano delle divinità, le opere compiute dalla Dea Makal e dall’uomo, che con umiltà eseguiva il suo volere. A sorvegliare l’ingresso del tempio c’erano due guerrieri di pietra, poco più alti di un uomo normale, con una scimitarra appesa al fianco e protetti da uno scudo rotondo; ai loro piedi erano posate due sottili giare. Sull’alto portone di legno scuro era stato intagliato il disegno di un’oasi fiorente di vita animale e vegetale, bagnata dai raggi del sole.
Giunti nei pressi dell’ingresso, furono accolti dai soldati dei due villaggi, che li informarono che i due signori li attendevano all’interno. Depositate le armi nelle giare, come volevano le antiche leggi, i quattro viaggiatori entrarono nel tempio.
La prima cosa che avvertirono fu la frescura, che li avvolse immediatamente, facendoli rabbrividire per l’improvviso cambio di temperatura. Poi, il loro sguardo fu rapito dalla statua della divina Makal che dal fondo dell’ampia sala rettangolare, li sovrastava tutti.
La Dea era stata rappresentata come una donna dotata di quattro braccia, con gli occhi chiusi, labbra piene appena schiuse, e il viso gentile, circondato da una chioma di capelli fatti di fiori e boccioli di ogni forma e dimensione. Teneva una mano posata sul centro del petto, una sul ventre, poiché ella era la Dea della bontà e della nuova vita, quindi protettrice delle madri e dei loro figli non ancora nati, la terza era posta diagonalmente verso il torace, in un chiaro segno d’invito ad avvicinarsi, mentre l’ultima era tesa in avanti, con l’indice che indicava la direzione da seguire a chiunque si fosse smarrito. Ai suoi piedi era stato posto l’altare rettangolare su cui venivano lasciate offerte, preghiere e suppliche, ma anche tutti gli accordi e le proposte di pace, ai quali la Dea avrebbe dato la sua benedizione.
Le fiaccole disposte per tutto il perimetro della sala ne illuminavano ogni angolo e condussero i viaggiatori fino al rialzo dell’altare, dove li attendevano i signori delle due città in conflitto, unici presenti.
-Farhiad, amico mio.- esordì Banrui, andando incontro al veggente per stringergli la mano libera dal bastone tra le sue. -Sono felice di vederti qui.-
-Nobile Banrui, vi ringrazio per il vostro invito, per me è un onore.- replicò il castano, chinando il capo.
-L’onore è tutto mio, Farhiad.- disse con sincerità l’uomo. -Avete trovato difficoltà lungo la strada?-
-Siamo stati attaccati da un gruppo di fomentatori della guerra, mio signore.- rispose Marias, inginocchiandosi al cospetto di Banrui, subito imitato dal figlio di Pankhai e da Tekharia.
-A quale città appartenevano?- domandò Dergai, affiancando l’altro capo e scrutando i nuovi venuti con gli occhi scuri, specialmente la giovane donna.
-Quegli uomini erano figli di entrambe le città, Khikal e Pelrath.- rispose il cieco. -Ma non dovete temere nobile Dergai, nessun altro verrà a disturbare questo incontro.-
Il signore di Pelrath inarcò un sopracciglio nero, scettico. -Come fai a dirlo?-
-È stata la Vista a dirmelo, nobile Dergai Jakal, esattamente come il vostro secondo nome, che avete ereditato da vostro nonno.- ribatté tranquillo il veggente, perfettamente consapevole dell’espressione stupefatta dell’uomo che aveva di fronte.
-Ciò che dicevi corrisponde al vero, Banrui. Costui è davvero il Maestro di cui tutto il deserto parla.- ammise, scrutando il giovane uomo dagli occhi ciechi. -Dunque, Farhiad, qual è il vostro saggio consiglio?-
Il castano sorrise e annuì. -La pace nobile Dergai.- disse semplicemente. -Ho visto il futuro che attende Khikal e Pelrath e ne ho vista la prosperità sotto un’unica bandiera.- spiegò, portando la mano di Banrui, vicino all’unica rimasta dell’altro uomo, in modo da stringerle entrambe. -La vostra gente nel lontano passato viveva insieme, è tempo che torni a farlo.-

Due diventano uno.
Gli occhi ti attendono.

-Inizialmente sarà difficile, ma dovete avere fiducia. Se sarete uniti, se collaborerete l’uno con l’altro, la pace che otterrete sarà duratura e prospera.- asserì, per poi spingere le mani sulla pietra dell’altare che inaspettatamente si presentò riscaldata da un leggero tepore. -La divina Makal veglia su questa unione e condurrà voi e la vostra gente alla pace che cercate, sempre che sappiate accettarla.-
Detto questo, Farhiad si allontanò di un passo dai due uomini e li lasciò riflettere nel quieto silenzio che li aveva avvolti, ma sapeva già come si sarebbe concluso quell’incontro e come sarebbe cominciata la nuova storia.
-Farhiad ha ragione.- esordì Banrui, puntando gli occhi verdi in quelli scuri dell’altro nobile. -Siamo stati sciocchi a cominciare una guerra per distruggerci l’un l’altro, quando potevamo collaborare fin dal principio per poter sopperire ognuno alle mancanze dell’altro.-
-Il più sciocco dei due sono stato io.- replicò Dergai. -Tu hai tentato molte volte di proporre la pace tra le nostre città, ma io sono stato sordo e testardo e ho trascinato la nostra gente in un conflitto che ha richiesto un alto prezzo. Perciò, sono io che ti propongo di porre fine alle ostilità e di unire le nostre genti in un solo grande popolo.-
Banrui annuì. -Accetto la tua proposta, Dergai, e sarò il tuo braccio sinistro in questa impresa.-
-Mentre io sarò il tuo occhio destro.- affermò, rinsaldando la presa sulla mano dell’altro.

Il rumore del bastone che cadeva a terra attirò l’attenzione dei quattro uomini, che si fermarono immediatamente e si girarono di nuovo verso l’altare. Videro il veggente inginocchiato di fronte a esso, con la fronte che quasi toccava il pavimento, era completamente raccolto in se stesso, come se volesse farsi sempre più piccolo sotto gli occhi serrati della statua della Dea.
Fecero per avvicinarsi, ma il braccio teso di Tekharia e il suo sguardo intenso li frenarono dal compiere altri passi in qualsiasi direzione.
-Eccomi divina Makal.- esordì Farhiad con un sussurro, spezzando il silenzio che era sceso come un velo nella sala. -Sono giunto come avevi chiesto per sottopormi al tuo giudizio.-
All’improvviso, dalle fessure nella roccia cominciò a soffiare il vento, fischiando nello spazio chiuso e facendo danzare le fiamme delle torce appese alle pareti. L’aria corse per l’intera sala, sfiorando tutti i suoi occupanti con tocchi leggeri, come un animale curioso, ruotò rapidamente attorno a Tekharia, scompigliandole i capelli con fare quasi giocoso, dopodiché si concentrò tutta sul ragazzo cieco chino sul pavimento. Si gettò su di lui come un’onda marina che travolge una zattera, sconquassandogli i vestiti e strappandogli il turbante bianco. Gli colpì la schiena e le spalle, poi s’infilò tra le sue membra rannicchiate, spingendolo a sollevare il torso e il viso.
Obbedendo a quell’ordine muto, Farhiad alzò il volto, per nulla turbato dalla violenza con cui il vento si era abbattuto su di lui, e aprì gli occhi ciechi, puntandoli in direzione di quelli chiusi della statua, che nel buio della sua mente si aprirono per scrutargli l’animo. In quelle iridi piene dei colori della vita, Farhiad scorse ogni cosa, tutto ciò che era accaduto da quando aveva perso l’uso della vista, e il cuore gli si strinse in una morsa d’acciaio. Vide Malik prendere il comando di Mugaroth e la sua progressiva decadenza dovuta alla siccità, ne vide le vittime tra cui Sarah, la sua adorata sorella, suo marito e il piccolo Kashir. Rivide il lungo viaggio dei superstiti di Mugaroth tra le dune del deserto e la morte di Thalai, l’arrivo all’orfanotrofio e la sua nuova partenza conclusasi con l’attesa di Tekharia. Infine, rivide tutte le persone cadute sotto il filo della daga che gli aveva liberato la strada, seguendo le indicazioni della sua mano, fino a quel giorno, il giorno del giudizio.
Lo sguardo di Makal si ritirò dalla sua mente con un profondo sospiro che sembrava venire dalla terra stessa, per poi tornare al suo riposo. Il vento carezzò le guance del veggente e gli sussurrò all’orecchio in un linguaggio che solo lui poteva comprendere, poi scappò via, veloce come una preda inseguita da un cacciatore, spegnendo alcune fiaccole con la sua fuga e aprendo uno dei pesanti battenti che stavano all’ingresso del tempio.
All’esterno si sollevò un tramestio di voci intimorite, ma nessuno osò varcare la soglia di quel luogo sacro rimasto in profondo silenzio.
-Grazie divina Makal.- disse il cieco dopo qualche istante, tornando a chinare il capo. -Fino a che lo riterrai opportuno sarò il tuo umile servitore. Veglierò sulle vite di questi uomini, come tu hai richiesto.-
Passarono altri lunghi attimi di tesa quiete, fino a che il veggente non riportò la schiena dritta e si voltò in direzione della sua compagna, che gli fu accanto in pochi rapidi passi.

Un castello bianco.
Occhi bui che vedono lontano.
Un passo incerto.
La spada sostituisce la daga.

-Farhiad, stai bene?- domandò lei, posandogli una mano sulla guancia.
-Sì, Tekharia.- rispose lui, mettendo la mano sulla sua. -La divina Makal mi ha concesso il perdono per tutte le vite che si sono spente lungo il nostro cammino. Ora, possiamo proseguire.- affermò, permettendo la fuga di una lacrima che si perse nell’intreccio delle loro dita.
-Va bene.- disse semplicemente la ragazza, sorridendogli. -Ti seguirò sempre e ti proteggerò, lo scopo della mia vita è questo.- aggiunse, rinnovando la promessa che li aveva uniti tempo addietro.

.:[-----]:.

Seduto su di un grande scranno di legno chiaro, dall’ombra del suo copricapo bianco, l’uomo dal viso gentile continuava a scorgere la verità grazie alla Vista donatagli da Makal, Dea della bontà e della rinascita. Al suo fianco, si ergeva la sua unica difesa, leggermente malferma sulle gambe che erano state ferite molti anni prima, la ragazza dagli occhi rossi come il sangue e corti capelli neri, non più macchiati dalle malevole mani del divino Khan.
Il vento caldo del deserto smuoveva le tende leggere, che con pigrizia non si opponevano al suo volere, lasciando entrare quel consueto e dispettoso ospite. Quel soffio odorante di sabbia si aggirò in ogni angolo del candido castello, finché non raggiunse gli abiti scuri orlati d’oro e d’argento dei suoi due abitanti. Risalì le loro gambe, un lembo di stoffa dopo l’altro e carezzò il viso del veggente, scostandogli una ciocca castana.

Di nuovo, è tempo.










E così finisce.
La guerra è terminata, Farhiad ha finito il suo viaggio e ha potuto iniziarne un altro, con Tekharia sempre al suo fianco.
Mi è stato ordinato chiesto di scrivere altro su di loro, sequel, spin-off, insomma una marea di cose e non escludo che un giorno possa tornare a lavorarci su. Mi è piaciuto davvero molto scrivere di Farhiad e Tekharia, specie di loro due insieme. Infatti, mi è quasi dispiaciuto mettere il punto finale a questa storia, perché mi sono affezionata. È raro che due personaggi (partoriti dalle mie dita) mi prendano così tanto e mi diano tutta questa soddisfazione, perciò sarà un piacere tornare a scrivere su di loro prima o poi.
Per concludere, ringrazio tutti quanti voi lettori, anche quelli silenziosi (dei quali spero di ricevere un parere, che esso sia positivo o negativo, anche tra molti mesi, nessuno sarà mai in ritardo). Ringrazio chi mi ha aiutata nei sei lunghi mesi che sono serviti per la stesura di questa storia, chi l'ha commentata prima e chi la commenta ora con la sua pubblicazione.
Grazie mille a tutti quanti!
See ya!
  
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