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Autore: Belarus    06/03/2015    4 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law{citato}; OC; Charlotte Linlin|Big Mom{citata}; OC.
Note: Ancora turbata dall’ultimo aggiornamento di Oda – e che qualcuno lo salvi da me se succede davvero quello che Mingo pensa di aver fatto – mi sono fatta forza e ho deciso di pubblicare. Forza perché non ne ho e purtroppo non sono proprio riuscita a far prima, prolungando l’attesa più di quanto sia ammissibile. Comunque sia, il capitolo c’è, è particolarmente attivo per Aya e movimentato per gli altri, tra cui vi raccomando il POVdi Shizaru povero traditore della Marina che ha deciso di muoversi per aiutare Aya, ma lo fa in una maniera controversa… Ringrazio come sempre quelle sante giovincelle che mi lasciano pensieri felici come recensioni, chi passa, legge soltanto o se ne va perché non ne può più. Ringrazio tutti perché è giusto così e vi meritate i vostri riconoscimenti per avermi seguita in questa impresa impossibile.
Un bacio e alla prossima! Presto, giuro, presto!






CAPITOLO XXXXXII






Il giorno in cui aveva chiesto a Bepo d’insegnarle qualche mossa di Mae May la sua idea di difesa era basata su un’eventuale attacco della Marina – fatto che probabilmente avrebbe dovuto affrontare se avesse superato quello di giorno – di certo non su una sconosciuta, membro di una ciurma di pirati alleata a un Imperatore, che voleva ucciderla per una gelosia del tutto infondata. Aveva imparato lo stretto necessario, ciò che le sarebbe potuto servire se un marines si fosse fatto venire di nuovo in mente di portarla via contro la sua volontà, lo aveva fatto in così poco tempo da dover sacrificare alcune ore di sonno pur di migliorare almeno un po’ e benché alcuni degli Heart avessero decantato le sue doti naturali nell’apprendere in fretta, Aya era più che convinta di non avere la preparazione adatta ad una situazione come quella. Si era allenata per cavarsela, sopravvivere a qualche attacco senza dover avere necessariamente un aiuto provvidenziale, ma lo aveva fatto sul ponte di un sottomarino giallo con un pubblico, seppur adorabile, a incoraggiarla. Sarebbe stato evidente a chiunque che tra lei e Malineli c’era una disparità in doti grande quanto la Linea Rossa e che se non fosse stata molto fortunata probabilmente ci avrebbe rimesso qualche parte fondamentale del corpo da un momento all’altro. Se avesse avuto innato l’istinto di sopravvivenza si sarebbe data alla fuga, tuttavia le era ormai ovvio dopo aver simpatizzato con ben tre Supernove ed essersi guadagnata l’odio del Governo mondiale che quella dote, connaturata in qualsiasi essere vivente persino il più infimo, in lei latitava felicemente senza darle più di qualche pensiero. Quello che non le mancava tuttavia era il senso del pericolo, quello per chissà quale grazia divina le era stato concesso e con il passare del tempo, specie dopo essere entrata nel Nuovo Mondo, le si era anche acuito. Era consapevole di star rischiando più di qualche osso rotto affrontando quella squilibrata e semmai fosse stato strettamente necessario avrebbe ceduto il passo per cause di forza maggiore, ma in quel momento non aveva alcuna intenzione di farlo.
Aveva promesso a se stessa, a Kidd e persino a Law di non comportarsi da ragazzina debole e aveva tutta l’intenzione di continuare a mantenere quella promessa finché avresse avuto fiato nei polmoni. Era salita a bordo della nave di sua spontanea volontà, esattamente com’era accaduto con la fuga dal mondo che altrimenti le sarebbe dovuto spettare ed era pronta, o quasi, ad affrontarne le conseguenze.
«Non permetterò che vi sposiate! Non lascerò che tu lo prenda in giro!» le urlò una volta ancora addosso Malineli, obbligandola ad indietreggiare rischiando d’inciampare nei suoi stessi passi.
La lama del coltello sibilò di fronte al suo viso in una scia cupa che a fatica riuscì a vedere nitidamente e alcuni dei suoi riccioli caddero inanimati sul legno maculato del ponte. Vi lanciò appena un’occhiata, conscia che distrarsi per una cosa del genere sarebbe stato come scavare la propria tomba e tornò a sollevare lo sguardo.
«Io non prendo in giro nessuno! È tutta opera sua, non lo conosco neanche, perché dovrei sposarlo?!» domandò retorica, spostando istintivamente la spalla sinistra indietro per ruotare il busto ed evitare il coltello che le era stato lanciato dritto al torace.
Lo schioppo dell’ennesima fessura nel legno le fece stringere i denti attorno al labbro, ricordandole che si trovava lì per portare al sicuro la nave non per rovinarla e sbuffò fuori l’aria incamerata nell’azione, decidendo che fosse l’unico momento in cui le era possibile contrattaccare, anche se ne avrebbe volentieri fatto a meno. Vide l’altra scagliarglisi contro nell’istante stesso in cui il manico del coltellaccio smise di vibrare e sollevò l’avambraccio di fronte al seno afferrandola per la fascia bianca che copriva il suo quando a distanziarle fu poco più di un metro. Affondò il pugno nello sterno, concentrandosi per avere una presa salda e fletté le ginocchia, caricando il peso sulle spalle per obbligarla a perdere l’equilibrio e scivolarle sopra a causa della spinta, ma la sentì subito poggiare la mano sopra la sua testa. Balzò dietro di lei capovolgendo la situazione e attorcigliando i suoi riccioli rossi tra le dita tirò indietro il polso, strappando ad Aya un verso di dolore masticato.
«Ho faticato per stargli accanto! Ho lavorato sulla sua nave per anni e non mi farò rubare il posto dall’ultima arrivata! Non mi metterò da parte perché tu ti prenda quello che è mio.» ringhiò con una vena di soddisfazione contro il suo orecchio, mentre Aya indietreggiava di un passo per allentare la tensione alla nuca.
Si era resa conto dal primo istante che quella donna era pericolosa, i suoi occhi la puntavano come se dovesse mangiarla da un momento all’altro, era fredda, spietata e subdola. Le ricordava una Nure, si muoveva come se strisciasse, il suo corpo si curvava e tendeva in una maniera raccapricciante e l’essere priva della sua arma non la rendeva meno letale anzi.
«Non voglio proprio niente, vuoi capirlo? Tieniti Nau e anche il resto, non li voglio!» assicurò esasperata, ribadendo una volta ancora la propria versione.
Imponendosi di sopportare il dolore senza lamentele di troppo diede uno scossone in avanti per liberarsi e spostò il gomito accanto alle costole, nella speranza di colpire Malineli ferma dietro di lei. Malgrado vi fosse una certa disparità d’altezze tra loro dato che Aya la superava di almeno dieci centimetri, il colpo avrebbe dovuto sortire l’effetto desiderato battendo sul fianco lì dove le costole terminavano e lo stomaco rimaneva nudo. Malineli tuttavia retrocedette veloce indietro, recuperando il coltello rimasto sul ponte e il Sok di Aya andò a vuoto. Si volse subito indietro per non perderla di vista e si rese conto che da quando avevano cominciato quello scontro insensato non era riuscita a colpirla una sola volta, mentre lei doveva essere in uno stato pietoso.
Non era fisicamente forte né veloce quanto l’altra, non sapeva neanche usare un’arma. Tutto ciò che Bepo le aveva insegnato sul Mae May implicava un contatto ravvicinato ed era evidente ormai che tentarne uno con Malineli non l’avrebbe affatto avvantaggiata. Doveva trovare un altro modo per risolvere la faccenda e doveva trovarlo in fretta o ci avrebbe rimesso più di qualche ciocca di capelli.
«Sei una bugiarda, so cosa volete ottenere tu e quell’idiota di un novellino sfidando Pilar, l’ho capito dal primo momento in cui ti ho vista. Puoi fingere di essere innamorata con il mio Pilar e farti voler bene dalla stupida gentaglia di quest’isola, ma con me ti sbagli di grosso.» precisò accennando con il capo scuro a Yoshi che nel frattempo le si era avvicinato.
«Non avrò pace finché non vi toglierò tutti di mezzo.» sibilò bieca, facendo scivolare il coltello tra le dita per tornare ad impugnarlo per bene e muovere un passo in avanti.
A quel gesto Aya scostò con malgrazia Yoshi contro il parapetto di babordo e sollevò nuovamente l’avambraccio riuscendo per un soffio a deviare l’affondo improvviso dell’altra, ormai piombatagli contro. I suoi occhi faticavano a intercettare ogni attacco, qualcosa in lei però – forse l’istinto – l’aveva resa abbastanza reattiva nei movimenti da salvarle ripetutamente la testa durante quel giorno.
Si mosse veloce tornando ad alzare il gomito verso il mento dell’altra, ma il colpo andò ancora a vuoto e decise di tentare con i calci. Le afferrò il polso cercando di sbilanciarla in avanti e schiacciarle il tacco sulla schiena come aveva in precedenza sperimentato con i marines all’arrivo nello Shinsekai, tuttavia anche questa volta non fu abbastanza veloce da cogliere Malineli di sorpresa. La gamba della mora scivolò rapida tra le sue bloccandole l’articolazione del ginocchio sinistro e il braccio si strinse attorno al suo con una morsa che minacciò di arrestarle l’afflusso di sangue. Si morse la lingua, soffocando il lamento che le era salito alle labbra e afferrò la mano che impugnava il coltello nero, ormai a qualche centimetro di distanza dal suo naso gonfio.
«Credi davvero che questa roba funzioni con me?» le soffiò contro Malineli, esibendosi in un ghigno famelico prima di farvi scivolare in mezzo la lingua quasi a fiutare la salsedine del mare.
«Sarei stata fortunata.» borbottò a denti stretti, sforzandosi di evitare a quella lama di aprirle in due la faccia.
Bastarono quelle poche parole affaticate per spingere la mora a cancellare il ghigno e assottigliare le iridi violacee per l’irritazione. La forza dell’affondo aumentò d’improvviso facendo vibrare il polso di Aya e la gamba che le bloccava il ginocchio si mosse indietro per poi colpirla lì dove sino ad allora era rimasta per metterla carponi sul legno del ponte. Cadde con un tonfo a sedere e il tacco di Malineli la colpì alla spalla con tanta forza da farla urtare contro l’albero maestro a metri di distanza.
«Aya!» urlò preoccupato Yoshi, avanzando di corsa di qualche passo nel tentativo di aiutarla.
«Sei più stupida di quanto pensassi! È una battaglia persa in partenza la tua, sei solo una principiante che non riescie neanche a reggersi in piedi! Non sei degna di avvicinarti al mio Pilar!» la insultò furiosa l’altra andandole contro, mentre lei si metteva a sedere tra le sartie aggrovigliate delle vele ammainate.
Aveva la vista offuscata per l’urto, ma distinse ugualmente Malineli avvicinarsi e solo in quel momento si rese conto di cosa le marchiava il fianco.
Aveva visto quel serpente la prima volta che si era incontrate e le era in qualche modo parso di conoscerlo, di averne già visto una raffigurazione da qualche parte, tuttavia non vi aveva badato più di tanto pensando che tra pirati tatuaggi più o meno inquietanti erano una routine, Trafalgar ne era quasi ricoperto e lei non le sembrava impossibile che una donna non avrebbe potuto averne di tanto visibili. Adesso che vi prestava attenzione però stava realizzando davvero cosa rappresentasse quel tatuaggio e la cosa non le piaceva affatto.
«Quel tatuaggio.» mormorò aggrottando la fronte, mentre l’occhio del serpente pareva quasi puntarla.
A Malineli sfuggì un sogghigno macabro e Aya ebbe la certezza di aver capito bene.
«Può divorare un Re del Mare e sputarne solo le ossa, tu sarai uno stuzzichino a confronto, ma sono certa che apprezzerà ugualmente! Bashe ti strapperà via quella graziosa testolina e ti farà molto, molto male.» previde, passandosi la lingua rosea sulle labbra fermandosi di fronte a lei.
Un aiutante delle cucine una volta le aveva raccontato che prima della costituzione del Governo mondiale, prima ancora che il Grande Blu fosse ciò che i suoi abitanti conoscevano e la leggenda di Amazon Lily, l’inaccessibile isola abitate da sole donne, nascesse esisteva in quella fascia di bonaccia la tana di un enorme serpente di nome Bashe. Era il padrone indiscusso di quelle acque e persino i Re del Mare ne provavano timore giacché, una volta catturati, era capace di divorarli e sputarne le ossa dopo otto anni. Nessuno di coloro che provarono a ucciderlo riuscì nell’impresa, ma un giorno un uomo, armato solo di un arco, lo ingannò. Scagliò sulla sua coda una freccia insignificante, nulla capace di poterlo ferire a morte, che tuttavia spinse Bashe a credere che un altro di quei piccoli umani stesse tentando di arrampicarsi su di lui per colpirlo alla testa. Credendo di poterlo mangiare vivo spalancò la bocca indietro, tutto ciò che trovò però fu la sua stessa coda e morì lì, con i denti affondati nella sua carne. Da quella storia era nata la credenza che le donne di Amazon Lily, armate di arco, avessero stretto un patto con i discendenti di Bashe per difendersi dalla crudeltà degli uomini, ma quelli erano dettagli che poco importavano in quel momento.
Malineli ritirò l’avambraccio armato di lama verso di se per caricare il colpo e tornò velocemente a distenderlo, puntando direttamente alla gola di Aya. L’affondo tuttavia si interruppe contro il bastone utilizzato dai mozzi a bordo per bloccare il timone durante le lunghe traversate e adesso impugnato da Yoshi.
«Non provarci neanche.» la avvisò con volto serio, mentre Malineli serrava i denti furiosa.
«Vuoi morire anche tu idiota?» s’informò, distogliendo per qualche secondo la propria attenzione da Aya.
«Non lascerò che tu le metta un’altra mano addosso!» promise, ignorando la minaccia che gli era appena stata rivolta.
Negli occhi della mora passò l’ombra di una decisione improvvisa e Aya balzò in fretta in piedi, ritrovandosi con i piedi imbrigliati tra le sartie. Vi lanciò un’occhiata veloce e le venne di colpo in mente che l’unico modo per mettere fine a quella follia fosse seguire l’esempio di quell’uomo armato con poco.
«Peggio per te.» sputò fuori Malineli, ruotando il coltello nella mano per scheggiare il legno del bastone e far perdere posizione a Yoshi.
Aya gettò uno sguardo alla vela dell’albero maestro già abbassata e al grumo di corde che penzolavano sino al ponte, pronte ad essere tirate per ammainarla nuovamente e si liberò in fretta di quelle che la bloccavano, lasciandole scivolare oltre i piedi di Malineli, prima di avvicinarsi a lei di un passo e allungare la gamba rasoterra contro le sue caviglie. La vide sbilanciarsi in avanti a causa dell’urto inatteso e ruotare sul suo appoggio instabile per affondarle la lama sulla coscia nuda, ma il colpo finì per tagliare di netto la grossa sartia che Aya aveva sollevato di fronte a se e il tonfo della caduta sul ponte della mora fu soppiantato immediatamente da quello dei contrappesi della vela maestra che si arrotolava su se stessa. Le corde finitele tra i piedi presero a ritirarsi insieme sotto la pressione meccanica innescata e Malineli ebbe appena il tempo di sollevare lo sguardo per capire cosa stesse accadendo, prima di venire trascinata verso l’alto insieme alla vela.
«Khuan thuan!» recitò concentrata, riuscendo per la prima volta in quella giornata a colpirla, proprio quando il suo viso ormai rivoltato si trovava all’altezza del fianco.
Il tacco dell’orrida scarpa datale da Nau le urtò la guancia obbligandola a ruotare il collo senza alcuna volontà e Aya la vide perdere i sensi mollando la presa sul coltello, intanto che le sartie continuavano ad arrotolarsi sino al punto di blocco lasciandola a penzolare a testa in giù. Trasse un profondo respiro, osservandola con un po’ di preoccupazione per qualche minuto nel timore che si riprendesse, ma non accadde nulla e un sorriso soddisfatto le increspò le labbra rosse, mentre Yoshi abbassava il bastone accostandosi a lei con la testa per aria.
«Ma come?» balbettò basito senza sapere esattamente cosa dire, rivolgendole un’occhiata confusa.
«Questa nave è un pericolo mortale se non sai dove metti i piedi.» rivelò con una vena sarcastica, decidendo che semmai qualcuno si fosse azzardato a dirle di nuovo che tutte le storie che le erano state raccontate erano inutili avrebbe avuto modo di ribattere.
A quelle parole a Yoshi sfuggì un sorriso sollevato e Aya non poté che ricambiare, lieta di poter riprendere finalmente fiato da quando era salita a bordo.
«Stai bene? Ti sanguina il naso e... il resto non mi sembra vada meglio.» volle sapere l’altro, piegando la zazzera castana per osservare da vicino il rivolo che le colava giù dalle narici.
«Haii, grazie per avermi aiutata.» mugugnò passando una volta ancora il dorso della mano sopra le labbra per asciugare il sangue e tentare di rimettersi almeno un po’ in sesto.
«L’hai appesa tu, io l’ho solo distratta.» precisò Yoshi, facendo spallucce e strappandole una risata che tuttavia finì troncata quasi subito a causa dello scossone subito dalla nave.
Il ponte vibrò lasciando che il legno lanciasse il medesimo lamento avuto la notte in cui erano stati attaccati e l’intero vascello si arrestò di colpo appena a qualche decina di metri dal pontile dell’isola. Aya si aggrappò all’albero maestro pur di non ruzzolare a terra com’era accaduto in precedenza e Yoshi accanto a lei, tornò a poggiare il bastone alla ricerca della stabilità mancata. L’odore di erba umida investì le narici doloranti di Aya e le bastò quello per capire di star rivivendo ciò che era già successo. Rimase al proprio posto finché il tremore della chiglia non si fu arrestato e solo allora corse al parapetto, sporgendosi verso la distesa di acqua che avrebbe dovuto esserci e che invece era stata sostituita dal tappeto d’erba del vicecapitano di Nau.
«Akala deve essersi accorto di qualcosa, ha bloccato il porto. Non possiamo spostare la nave in queste condizioni…» borbottò greve Yoshi, poggiandosi alla balaustra accanto a lei.
Si mordicchiò il labbro dal sapore ferruginoso per qualche secondo, osservando il proprio piano disintegrarsi davanti ai suoi occhi a causa di un prato che non avrebbe dovuto esserci e si volse indietro, studiando il palazzo di Nau svettare sopra la sua falsa città d’oro.
Le serviva un altro piano.



L’aveva vista distintamente tra un passaggio e l’altro d’informazioni dalle sue sentinelle, mentre scendeva in strada da una casa qualunque in un vicolo anonimo di Arumi. L’aveva seguita lungo il tragitto, aveva osservato il volto dell’uomo che la accompagnava, studiato le loro mosse ed era rimasto in attesa quando al porto erano saliti sulla nave di quel novellino finché lei non aveva cominciato a sciogliere le vele. Lì, gli era stato chiaro che la prima impressione avuta di quella ragazza non era stata errata.
Pilar se n’era invaghito sull’isola degli uomini-pesce incrociandola per la strada ed era fermamente convinto che fosse stata rapita da quella ciurma per chissà quale sporco motivo, ma lui aveva gli occhi annebbiati dal desiderio di farla diventare parte di Redunda. Akala l’aveva conosciuta nel medesimo istante e non gli era stato difficile capire dal modo in cui camminava accanto al biondo mascherato che “rapimento” non era il termine adatto all’occasione. Era rimasto in silenzio in quel momento e aveva continuato a tacere anche quando l’avevano ripescata tra le sue sentinelle insieme all’intera ciurma di pirati. Per il suo Capitano era stata una gioia trovarla una volta ancora sul proprio cammino, lo aveva reputato un segno del destino talmente illuminante da ignorare il fatto che quella donna fosse scappata per due volte da palazzo e Akala non era intenzionato a infrangere le sue illusioni romantiche. Non spettava a lui metterlo alle strette con la realtà, aveva l’obbligo però come vicecapitano e custode della tranquillità dell’isola di tenere quella donna sotto controllo, di provvedere affinché non creasse fastidi e si comportasse come meglio conveniva. Non era rilevante se fosse innamorata di Pilar, quello che importava davvero era che recitasse la parte di devota fino a che il suo futuro marito non si fosse stancato di averla attorno o non si fosse reso conto della verità.
Dato lo stato delle cose quindi, non aveva potuto far altro che impedirle di compiere la sua sciocchezza nel modo più pacifico e allusivo possibile. Era certo che per quanto fosse intenzionata a sparire distruggendo il cuore dell’uomo che l’aveva onorata volendo prenderla come moglie, con quel gesto si sarebbe convinta a non commettere altri inutili colpi di testa e tornare a palazzo.
«Mi sono preso la libertà di bloccare il porto.» confessò con tono piatto, guardando il proprio capitano, mentre pescava distrattamente alcuni chicchi di cacao da una ciotola.
«E perché mai?» lo udì chiedere, con il capo reclinato sul lettino che era stato sistemato sul terrazzo affinché il sole gli scaldasse la pelle durante il riposo giornaliero.
«Semmai a qualcuno venisse in mente di aggiungere trambusto alla calca che c’è in città.» spiegò vago, omettendo sapientemente che quel qualcuno in questione fosse proprio la donna che l’altro stava attendendo da ore ormai.
«Fa come credi, i controlli a Redunda spettano a te, piuttosto quel novellino che fine ha fatto?» chiese tranquillo, rompendo con suoni secchi e improvvisi i chicchi che teneva tra i denti bianchissimi.
Dopo che erano stati avvertiti dell’incendio di Llanos, aveva liberato una quantità tale di sentinelle da ricevere informazioni da ogni angolo dell’isola, per quasi un’ora però di quel pirata dai capelli rossi non c’era stata traccia. Lo aveva cercato nei giardini, lungo la costa, tra le macerie di Barrabas, in città, in tutte le coltivazioni e persino dentro il palazzo nel dubbio che fosse riuscito ad entrarvi in qualche modo, ma nulla. Per un po’ era stato dell’idea che fosse rimasto tra il fumo di Llanos insieme ai suoi uomini, nascosto ai suoi occhi dalla terra arida che circondava quello straccio torrido di Redunda, poi però lo aveva trovato.
«È arrivato al condotto di carico delle piantagioni a nord.» svelò, senza tuttavia sembrare allarmato.
Era piuttosto strano che non fosse riuscito a intercettarlo durante il tragitto da Llanos a quel collegamento a nord, non c’era angolo dell’isola – fatta eccezione che per quel villaggio – su cui il suo frutto non avesse potere.
Sapeva cosa accedeva ovunque, dalla spiaggia più vuota alle case degli abitanti in città, le sue sentinelle crescevano persino sul fondo del mare, attecchivano nelle tubature di scolo, sul tetto del palazzo, sotto gli archi del giardino, ce n’erano persino sulla bandiera che recava lo stemma di Big Mom. Grazie a loro prevedeva qualsiasi evento ancor prima che vi fossero i presupposti perché accadesse, quella volta però c’era stato un vuoto d’informazioni. Sospettava che da Llanos alla città vi fosse una qualche rete di collegamento a cui lui non aveva avuto accesso, qualcosa che magari avesse a che fare con gli introiti di Basque prima del loro arrivo su Redunda, fatto che avrebbe spiegato perché quell’uomo non era ancora rientrato dalla sua ispezione e non se ne avessero notizie. Forse era morto per mano di quel pirata rivelando i suoi segreti, ma quella era una questione secondaria per quanto riguardava Akala, ciò che contava era sapere dove si trovasse quel novellino arrogante e che il vuoto d’informazioni avesse avuto termine così com’era cominciato.
«Bada che non si metta a dar fuoco a quelle. Abbiamo già tardato con i regali dall’isola degli uomini-pesce, non voglio visite spiacevoli da parte di Bobin né un’altra noiosa e petulante chiamata da Tamago.» raccomandò Pilar, tamburellando con le dita sul bracciolo del lettino da sole.
Le piantagioni a nord erano state realizzate appositamente per Mama, affinché ogni mese potesse ricevere doni da uno dei suoi alleati più fidati. Ricoprimavano un intero fianco dell’isola, dando da lavorare a tre quarti della popolazione e Pilar stesso vi si recava quasi ogni giorno per controllare che gli alberi crescessero senza intoppi. I chicchi di cacao prodotti lì erano i migliori di Redunda, quelli più grandi e profumati, dei gioielli con radici che li avevano aiutati ad ingraziarsi quella donna tanto influente. Erano talmente importanti da bloccare l’intera isola quando veniva il momento della raccolta e del trasporto a bordo della Yaxche, non potevano permettersi che andassero in fumo com’era accaduto alle case di quel villaggio avvolto dall’arsura o avrebbero tardato nel tributo mensile e le conseguenze sarebbero state ben più che spiacevoli. Tamago li aveva avvisati della posizione sgradevole in cui si trovavano dopo quella mancanza, peccare ancora nelle richieste di Mama avrebbe potuto rompere l’accordo stipulato. Fortunatamente però non sarebbe accaduto nulla del genere.
«Non è lì per distruggere le colture, sta venendo ad Arumi.» lo rassicurò, attirando l’attenzione di Pilar.
Lo vide aprire gli occhi fissando per qualche secondo la luce diretta del sole e mettersi a sedere sul lettino, lasciando che le trecce scure tornassero a scivolargli sulle spalle larghe coperte dalla camicia.
«Vuole proprio farsi notare quel ragazzo.» notò piatto, spostando la propria attenzione dapprima sui giardini di un verde cupo, tra cui svettavano secondo una logica imprecisa archi di pietra rossastra e poi sulla fetta di città visibile da quella terrazza.
«Roger ha dato inizio a una generazione di terribili sciocchi e lui è appena arrivato nello Shinsekai, sarà ancora convinto che questo sia un gioco che può vincere.» considerò, confermando le parole del proprio capitano.
Pilar fece pressione sui braccioli del lettino, issandosi in piedi e sistemando velocemente i vestiti spiegazzati prima di incamminarsi verso l’interno della stanza che stava alle loro spalle spingendo Akala a seguirlo.
«Temo dovremo spiegargli lo stato attuale delle cose personalmente sta volta.» ragionò a voce alta, decidendo d’interrompere definitivamente la tregua concessa a quel novellino sino a quel momento.



Il sentiero su cui si stavano incamminando era una lingua polverosa dal colore appena più chiaro della terra secca che li circondava. Si districava in mezzo al nulla in curve e rettilinii insensati che Kidd ancora faticava a digerire, ma che a detta di quel Basque erano indispensabili se si voleva trovare la direzione esatta per arrivare ad Arumi, la città che sorgeva ai piedi del palazzo di Pilar. Cominciava dalla base del gigante armato di lancia che sorgeva sulla collina e ne percorreva l’intera figura, essendo esso stesso il gigante. Da lontano si poteva pensare che ci fossero delle pietre a costituirlo, fossati o una qualsiasi escrescenza del terreno, ma da vicino si scopriva non essere altro che un sentiero dalla forma assurda tracciato lontano da tutto per arrivare in un luogo che dal villaggio in fiamme pareva invece distante appena qualche chilometro.
Dopo una scarpinata di quasi mezz’ora e aver visto gli alberi allontanarsi sino a diventare grandi quanto cespugli la pazienza di Kidd, già di per sé scarsa e provata, si era ridotta ai minimi storici e l’idea di ritornare da dov’era venuto, fregandosene dell’effetto sorpresa, aveva cominciato a sembrargli sin troppo allettante. Era stato sul punto di mettere in opera ciò che gli barcamenava per la testa, ma Killer gli aveva rifilato uno scossone al braccio indicando l’orizzonte in cima al sentiero e i suoi nervi si erano in qualche modo calmati alla vista di ciò che più a nord li attendeva. Un muro di contenimento, alto poco più di qualche metro e con uno squarcio irregolare dovuto forse a un crollo, si sollevava proprio di fronte a loro lasciando intravedere file perfettamente disposte di alberi grondanti enormi semi scuri e centinaia di voci si sovrapponevano quasi contemporaneamente, dandogli la certezza che dall’altra parte vi fossero dei contadini a lavoro. Appena oltre si distinguevano i profili sgargianti delle case in città e l’edificio a gradoni rossi dentro cui quel bastardo si era rintanato pensando di potersene stare seduto a sottovalutarlo.
«Molti altri al tuo posto sarebbero andati a chiedere pietà a Pilar. È alleato di un Imperatore, stuzzicare gente della sua risma non è mai un bene. Qualcuno si sarebbe messo al suo servizio per pagare i danni e magari fare carriera come pirata, tu no invece, vuoi vendicarti.» ciarlò il contrabbandiere, proseguendo lungo il terreno battuto con le mani in tasca, come se quella fosse una passeggiata per godersi il paesaggio.
«Non mi piacciono quelli che pensano di potermi fregare.» gracchiò subito dietro di lui Kidd, marcando volontariamente l’ultima parola in un monito.
I contrabbandieri avevano le truffe a scorrere al posto del sangue nelle vene, imbrogliavano, raggiravano ed estorcevano ogni volta che gli se ne dava l’opportunità. Nello Shinsekai poi c’era il mercato nero a coprir loro le spalle, sarebbero stati capaci di rivendere le loro stesse teste pur di guadagnarci e stipularci accordi era come ficcare una fottuta richiesta d’aiuto dentro una bottiglia sperando che qualcuno, preferibilmente affidabile e ben disposto, venisse a salvarti da un pericolo di cui non sapeva nulla. Per questo il patto che avevano stipulato con quel Basque valeva meno di nulla e Kidd era certo che quel tipo al momento opportuno avrebbe fatto la propria mossa per rivoltare tutto a proprio favore.
«E per questo sei disposto a rischiare la testa, molto coraggioso o molto imprudente.» soppesò, scoccandogli un’occhiata che a Kidd piacque meno di ciò che gli era uscito di bocca.
«Stai parlando troppo.» ringhiò, facendo vibrare le placchette di metallo al suo orecchio come minaccia.
«Non vi annoierò più tranquilli, siamo arrivati. Proseguite sempre dritti lungo quel passaggio, non ci sono biforcazioni quindi sarà facile e veloce, ma fate attenzione alle buche, lì dentro non c’è luce. Quando sarete arrivati vi troverete di fianco una grata che da in uno spiazzo della città ed esattamente sopra di voi ci sarà il palazzo di Pilar.» spiegò passando le dita sugli orecchini per tenerli al proprio posto, indicando subito con l’altra mano lo squarcio nel muro di contenimento giallo distante ormai una ventina di metri.
«Tu non vieni?» indagò Killer, superando il contrabbandiere per accostarsi a Kidd.
«Oh no, per quanto la vostra compagnia sia piacevole per me diciamo che il nostro accordo finisce qui. Io ho aiutato voi ad arrivare dove volevate, voi aiutate me facendo il resto.» stabilì sorridente con le mani accanto al viso, strappando a Kidd un grugnito derisorio.
«Hai paura che quel tipo scopra che gli stai voltato le spalle.» sputò fuori, mentre alcuni dei suoi uomini cominciavano ad avviarsi verso gli alberi per controllare che quella non fosse una trappola.
«La paura è una compagna infida Capitano Kidd, se sai quando darle retta ti tira fuori dalla fossa, altrimenti ti ci spinge dentro. Dovresti cominciare ad ascoltarla un po’ anche tu, sei nello Shinsekai ormai, non puoi pensare che tutto sia come dall’altra parte, che sia facile o il Grande Blu ti mangerà pezzo dopo pezzo.» consigliò, scandendo con sin troppa enfasi le ultime parole.
«Tieniti i tuoi consigli per te e sparisci se hai finito, il nostro accordo è terminato, non sono tenuto a lasciarti vivo.» lo avvisò, con la mascella serrata e lo sguardo fisso.
Ne aveva abbastanza di consigli, storie e chiacchiere inutili rifilatigli da gente che credeva di sapere tutto. Era lì per togliere di mezzo quel Pilar, per dargli una lezione capace di fargli rimpiangere il momento in cui si era ficcato in quella fottuta testa di trattarlo come una nullità da pochi berry e non per altro. Una volta risolta la questione avrebbe ripreso il proprio viaggio, difficile o impossibile che fosse, quello che si trovava davanti era solo uno degli ostacoli da superare per avere ciò che desiderava. Avrebbe tolto di mezzo lui come tutti gli altri.
Basque alzò ammirato un sopracciglio, accennando con il capo ad un saluto a quelle parole e volse loro le spalle, incamminandosi lungo la strada su cui li aveva guidati poco prima.
«Sono lieto che tu abbia messo le cose in chiaro… ah! Buona fortuna per l’impresa!» augurò in segno di commiato, scivolando sul fianco polveroso della collina con le sue lucide scarpe a punta.
Kidd gli rivolse un’ultima occhiata scocciata nell’attesa che fosse a qualche decina di metri di distanza e riprese a camminare, deciso a raggiungere gli uomini già entrati nello squarcio della parete per un controllo veloce.
«Lo lasciamo andare così? Se ci avesse imbrogliati? In fondo non ci ha portati a destinazione.» notò Heat, quando lui gli fu passato accanto in silenzio.
«Non aveva detto che l’avrebbe fatto. Il patto implicava solo un’indicazione per la città, niente di più.» ricordò per lui Killer, sistemando le lame ai polsi per un’evenienza qualsiasi e mettendo fine alla questione.
«Qualcuno faccia luce, non ho intenzione di rimanere bloccato in un altro fottutissimo buco!» abbaiò scocciato, calciando via una pietra dall’entrata del tunnel buio.
«Kidd-» lo richiamò alle spalle il biondo, ma a Kidd bastò intercettare il tono con cui era stato pronunciato il suo nome per capire quale sarebbe stato l’argomento della discussione.
«Ci penseremo dopo, adesso devo occuparmi di quel Pilar.» troncò brusco, strappando all’altro un sospiro pesante sotto la maschera striata che gli copriva il volto.
«Non farti prendere la mano, non possiamo permettercelo.» raccomandò quasi paterno, con la luce del sole ormai alle spalle e l’oscurità a riparargli le teste.



Ciò che stava per fare andava contro il regolamento della Marina e contro la sua stessa morale, ma era l’unico modo per poter portare a termine ciò che si era prefisso decidendo di aiutare quel Drago Celeste e il solo momento in cui avrebbe avuto l’opportunità di avere quelle informazioni senza che qualcuno sospettasse delle sue intenzioni. Ufficialmente non era stato classificato come traditore, non aveva una taglia, nessuno gli dava la caccia, era ancora un commodoro della Marina a tutti gli effetti. Forse c’era la possibilità che Vergo-san ne fosse già a conoscenza tramite Kikazaru, ma il resto dei soldati ne era di certo all’oscuro ed era solo una questione di tempo per lui, se avesse atteso oltre anche gli altri sarebbero stati messi al corrente della vicenda, avrebbero dubitato, dato l’allarme e sarebbe di certo finito ad Impel Down senza aver concluso nulla. Il suo sacrificio sarebbe stato vano e quella ragazza avrebbe continuato a navigare per il Nuovo Mondo finché il Governo non l’avesse punita per ciò che non aveva ancora fatto, non avrebbe potuto aiutarla e quello non era ciò che voleva.
Doveva e voleva prendersi cura di lei, darle un’opportunità, una via d’uscita dalla trappola in cui era finita prima che fosse troppo tardi e quello era l’unico modo per poterlo fare.
Ispirò a fondo per raccogliere il coraggio e strinse i pugni sino a far sbiancare le nocche prima di far scattare la maniglia della porta e varcare la soglia dell’ufficio. I due marines seduti alla scrivania continuarono a parlottare tra loro finché Shizaru non ebbe attraversato l’intera stanza, fermandosi davanti alla lunga scrivania colma di fogli, comunicazioni e schedari.
«Mi servono delle informazioni su un ricercato, il mio codice marines è 012704, Shizaru Saru.» recitò rigido, destando finalmente l’attenzione dei due.
Sollevarono entrambi lo sguardo su di lui con espressione quasi scocciata per l’interruzione e solo dopo qualche secondo uno di loro allungò con apatia la mano alle proprie spalle, dando una veloce occhiata all’identificativo che gli era stato comunicato, memore forse di quali fossero le procedure da applicare prima di fornire dettagli.
«Nome del ricercato?» masticò tra i denti, piegando il cappello sgualcito della divisa verso di lui, mentre l’altro soldato giocherellava con una povera Den den mushi assonnata.
«Trafalgar Law.» comunicò secco, senza distogliere le iridi nocciola da quello che sino a qualche ora prima era stato un suo commilitone.



L’oscurità del cunicolo in cui si erano addentrati si schiarì lentamente rivelando le prime ombre del terreno su cui avevano tenuto i piedi sino allora e la curva delle pareti che li custodivano alla vista.
Per dei lunghissimi minuti, tra un’imprecazione e l’altra, Kidd non aveva saputo dove cazzo stesse andando. Non vedeva ciò che gli stava davanti, non vedeva a destra e nemmeno a sinistra, intuiva la presenza di Killer dietro di se e di un paio dei suoi uomini davanti, ma non sapeva quali fossero o a che distanza si trovassero. Avevano provato a far luce con una torcia improvvisata, il cunicolo tuttavia aveva preso fuoco nell’istante stesso in cui era stata accesa e Kidd aveva deciso di azzardare nel buio piuttosto che bruciare vivo. L’aria era stata stantia e quasi irrespirabile sino a pochi minuti prima, adesso però odorava di metallo, ruggine e salsedine, segno che il mare non poteva essere distante.
«Capitano si vede l’uscita!» annunciò entusiasta uno dei suoi e Kidd assottigliò lo sguardo per abituarsi alla luce proveniente dalla grata laterale che si apriva nel cunicolo.
La osservò ricadere a terra dopo un po’ di pressione sulle cerniere alla base e venire accantonata dall’equipaggio per uscire all’esterno.
«Siamo nella città che si vedeva da quel villaggio, quel tipo ci ha dato le indicazioni giuste.» comunicò un altro mozzo, mentre Kidd sgusciava fuori dal tunnel riuscendo finalmente a rimettere la schiena dritta insieme a Wire.
Gli bastò appena un’occhiata disinteressata per capire che quelle che da lontano sembravano proprio case d’oro non erano altro che catapecchie rivestite di latta e che se un raggio di sole le avesse colpite in maniera sbagliata probabilmente tutti quei graziosi alberelli dell’isola sarebbero andati a fuoco come fiammiferi ricoperti di catrame. Un ghignò gli increspò le labbra scure a quel pensiero e soffiò fuori un verso compiaciuto, prima che Heat potesse richiamarlo all’attenzione, distraendolo anche dal raggruppamento di gente immobile in fondo alla strada su cui erano riemersi.
«Il palazzo è lì Capitano, ci si arriva da quel vicolo.» individuò l’ufficiale, accennando con il capo alla loro destra.
Voltò le spalle al gruppo di abitanti pietrificati dalla loro comparsa, decidendo di non aver tempo per cancellare dalle loro stupide facce quelle espressioni personalmente e s’incamminò dando le ultime direttive.
«Heat e Wire venite con me, voi altri andate a prendervi il risarcimento per la nave.» ordinò preciso, imboccando la via con il resto dei suoi uomini a sparpagliarsi in giro per la città di latta.
Il palazzo, esattamente come aveva detto Basque, distava appena pochi metri se si prendeva quella strada e i suoi gradoni rossi svettavano precisi e levigati su una porzione di terreno larga quanto l’intero fianco della collina. Finestre e terrazze erano accessabili a chiunque segno che chi ci abitava dentro non temeva alcuna intrusione esterna e passerelle giallognole si districavano dal perimetro verso un enorme giardino in cui archi rossi sbucavano fuori come funghi in mezzo agli alberi.
«C’è una scala.» lo avvertì Killer con tono pesante, quando la strada fu terminata e uno degli accessi spalancati fu a pochi metri.
Risalirono i gradini senza preoccuparsi di tenere sotto controllo gli uomini in circolazione lì attorno giacché nessuno pareva intenzionato a intervenire, proseguendo nei propri affari e varcarono la soglia del terrazzo, entrando nella sala in penombra. Era una stanza dalle dimensioni spropositate, colonne quadrate sorreggevano il tetto con disegni incomprensibili e teste di animali dalle fauci spalancate penzolavano alle pareti. Una decina di corridoi dall’aria insignificante dipartivano dai lati, in nicchie delle pareti a stento intercettabili in mezzo a tutto il pacciame che riempiva la stanza, ma Kidd non ebbe il tempo di chiedersi se chi cercava fosse rintanato da qualche altra parte, quando Wire mormorò.
«Capitano…» lo chiamò, guardando il fondo della sala.
Spostò la propria attenzione lì dove gli era stato indicato e assottigliò lo sguardo. Un uomo dai capelli bluastri se ne stava in piedi accanto a un altro, seduto placidamente su uno scranno di legno intagliato, con il capo scuro piegato nell’osservazione e le gambe accavallate.
«Eustass Kidd, benvenuto sulla mia isola.» cantilenò sorridente, abbozzando con la mano un cenno teatrale.
«Pilar.» lo riconobbe, esplodendo in un ghigno.





































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Note dell’autrice:
Metto i miei puntini sulle i anche questa volta, su.

- Nure: Meglio nota come “Nure-onna” ovvero donna serpente. È una figura della mitologia nipponica in cui il corpo è quello di un serpente, mentre il volto appartiene ad una donna, spesso bella, ma dalla lingua biforcuta. Un tempo si credeva aggredisse le ragazze dei villaggi di campagna per gelosia verso l’uomo che amava e che non ricambiando l’amore l’aveva portata alla morte, trasformandola in uno spirito maligno. Fa parte di quella categoria di mostri e creature celebri, come kappa e tanuki, chiamati in Giappone “Cento mostri erranti”.
- Sok: è il nome con cui viene identificata la gomitata nel Mae May.
- Bashe: Oh, qui ho parecchio da ciarlare e tenetevi forte perché ho collegato tutto con la nota che seguirà. Bashe è una figura della mitologia asiatica il cui nome scomposto vuol “Il Serpente capace di divorare gli elefanti”, questo proprio grazie alla sua mole spropositata. Si racconta abitasse all’interno di un lago collegato al mare e che torturasse la povera gente della zona, specie i pescatori tra i primi a subire i suoi temibili attacchi; un giorno però venne sconfitto e ucciso da un giovane arciere armato solo del proprio arco e della propria astuzia. In Asia viene ricordato un po’ ovunque, specie nelle filastrocche per allenare la memoria in quanto il suono “Ba” che sta per serpente in molti paesi indica anche altre cose. In una di queste filastrocche viene detto che il lungo serpente nero riesce a ingoiare un elefante e sputarne le ossa dopo otto anni, ecco perché vi è quell’accenno nel POV di Aya. Malineli si riferisce al suo tatuaggio con questo nome e Aya, conoscitrice accanica di quisquiglie varie, non potevano non collegare i pezzi e capire di averlo già sentito nominare. La storia che racconta come avrete capito è una deformazione di quella originale che vi ho riportato sopra.
- Amazon Lily: Probabilmente vi sarete chieste cosa c’entri nella storia di Aya, beh l’ho collegata e sfruttata per rendere il POV meglio inserito nell’originale trama poiché il caro Oda, prima di decidersi a disegnare Hancock come la conosciamo tutti, ne aveva fatta un’altra versione in cui un serpente nero (Bashe) spalancava la bocca vicino al suo occhio. Ora, dato che io sono per la parità tra i sessi e di donne tatuate in One Piece ce ne sono poche, ho deciso di sfruttare quel disegno per creare Malineli. Detto ciò e capendo a chi mi sono ispirata per lei, oltre che all’amante di Cortes, capirete che Amazon Lily rientrava perfettamente anche come collegamento al mito di Bashe giacché le Kuja sono armate di arco e alleate di serpenti, chissà forse discendenti da lui.
- Khuan thuan: altra mossa del Mae May, un calcio frontale dritto al volto.
- Bobin e Tamago: Pilar non li sopporta per una rivalità di ruoli, dato che entrambi sono fedelissimi di Big Mom e non essendo ancora comparsi molto mi permetto di rinfrescarvi senza offesa la memoria. Tamago è l’uomo con la tazzina in testa che Rufy definisce sull’isola degli uomini-pesce “corpo ad uovo”, è quello che si è visto per più tempo insieme a Pekkomon quindi non mi dilungo. Bobin invece è il tipo mascherato che compare di sfuggita quando la Den Den Mushi di Mama riceve la chiamata nell’evento sopra citato. Pare sia piuttosto pericoloso e Pilar non ha alcuna voglia di avere sue visite poiché è l’addetto alle riscossioni forzate, ovvero quelle che non avvengono con il benestare o la collaborazione degli abitanti della zona. L’unica cosa che sappiamo per certo da lui è che ha bruciato un’isola per ottenere ciò che voleva.
- Codice Shizaru: Mi è venuta voglia di darne uno anche a lui dopo il flashback di Law in cui compariva Corazon, quindi nel POV ho sfruttato l’occasione e l’ho inserito, ma non è un codice qualsiasi. In Giappone i numeri hanno delle valenze particolari e in quelli che compongono l’identificativo di Shizaru ci sono degli spoiler, vi sfido a capirli prima che io possa spiegarli per bene.





  
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