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Autore: AnyaTheThief    08/03/2015    1 recensioni
"... Magari lei è tornata" espone la sua teoria ai compagni che lo guardano seri ed in silenzio per tutta la durata del suo discorso, mentre il giovane neo-Moschettiere tenta di esprimere tutta la sua preoccupazione.
Entrambi all'unisono scoppiano in una risata fragorosa.
"E tu hai capito tutto questo da...? Un ghigno sotto ai baffi?" lo deride Aramis.
Il povero D'Artagnan sospira rassegnato, ma anche un poco divertito. E va bene, forse ha esagerato e viaggiato un po' con la fantasia, sicuramente un po' di alcool ha fatto la sua parte.
"Fidati, amico, Athos sta benone." lo rassicura Porthos appoggiandogli una sonora pacca sulla spalla. "Per quanto bene possa stare uno che ha rischiato di morire più volte per mano della moglie che credeva di aver ucciso." aggiunge poi, prima di scoppiare a ridere di nuovo assieme ad Aramis.
Anche D'Artagnan ritorna ad immergersi nell'atmosfera leggera e spensierata, e a sorseggiare dal suo boccale, costringendosi a fingere solo per un attimo che i suoi amici abbiano ragione. Ma lui sa che non è così, ed andrà a fondo in questa cosa.
E poi è davvero tanto, tanto curioso.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sa da quanto sia seduto lì fuori.
Le ore possono correre veloci o trascinarsi lentissime quando ci si è scolati due o tre bottiglie di vino e non si capisce più cosa passi per la propria testa.
Come uno straccio buttato nella terra, con aria sconsolata sembra guardare la poca gente rimasta per le strade, adesso che il sole è calato da qualche ora, o minuto, non sa più nemmeno questo. In realtà sta solo fissando un punto nel vuoto e pare che l'accenno di un sorriso gli passi sulle labbra; un sorriso ironico, che vorrebbe forse essere un pianto.
Le note confuse di una canzone stonata proveniente dalla taverna gli giungono alle orecchie come l'eco di un suo essere che ora non c'è più.
Che fine ha fatto Athos? Che fine ha fatto la sua determinazione, il suo coraggio, o anche solo la sua virilità? Tutto sparito nel giro di una notte, per colpa di una donna: è di nuovo la stessa storia, da capo, un cerchio che si chiude. Forse è lui a cercarsele, a questo punto. Per quanto Liv e Milady possano essere diverse, alla fine lui è ridotto nelle stesse identiche condizioni, quindi il problema a quanto pare risiede nient'altro che nella sua persona.
Ruota il capo in direzione della porta poco lontana da dove è appoggiato lui. Incredibile cosa possa fare la vigliaccheria: non si tratta che di un paio di passi, ma probabilmente sono i più difficili di tutta la sua vita. D'altronde non è la prima volta che sceglie la strada più facile, guardando dall'altra parte, ma pensava che anche quell'Athos appartenesse ormai al passato.
Si passa una mano tra i capelli che gli solleticano il sopracciglio.
Cos'è rimasto di lui?
Niente se non un ammasso di carne e stracci ai lati di una strada. Arreso. Distrutto. Nemmeno il pensiero del suo mestiere lo compiace in questo momento. Un burattino a cui hanno tagliato i fili. Certo, qualcuno presto glieli risistemerà e tornerà alla sua vita da marionetta di tutti i giorni, ma un pezzo di legno è solo e soltanto – appunto – un pezzo di legno senz'anima. Ci sarà sempre un anello mancante nella sua vita.
“Athos!”
Da quant'è che Porthos era lì, accovacciato di fianco a lui? Non l'aveva nemmeno sentito avvicinarsi, ma a giudicare dal suo tono si direbbe piuttosto preoccupato. Athos lo fissa di rimando con aria assente, ma una cosa la nota: le narici del suo amico si dilatano e le labbra gli si contraggono nell'espressione di chi si sta trattenendo dallo sferrare un pugno. E ancora una volta si trova a desiderarlo davvero quel pugno, ma non capisce la ragione per la quale i suoi compagni siano tanto accondiscendenti con lui dal frenarsi in quel modo.
“Eravamo tutti in ansia. Ti abbiamo cercato ovunque.” si limita a dire Porthos in un tono comprensivo che poco gli si addice, poi solleva un braccio e fa un cenno a qualcuno dall'altra parte della piazza. “Si può sapere cosa ci fai qui?” domanda, prima che altre due figure si avvicinino.
Ma Athos non risponde. Fa ciondolare la testa di lato ed osserva D'Artagnan ed Aramis accorrere verso di lui; sa che sono lì perché sono preoccupati, ma gli sembra di essere un animale in mostra al momento. Oltre al danno la beffa: venire compatito da uno che ha messo incinta la Regina. Accenna un ghigno, divertito dall'ironia della situazione, sotto lo sguardo sgomento di Porthos, che ora cerca appoggio dagli altri due.
D'Artagnan sembra il più stupito, forse perché ha riconosciuto l'edificio alle spalle di Athos: il ragazzo sarà ingenuo, ma non è uno sciocco e sa fare due più due. Cerca nello sguardo del Moschettiere ubriaco una conferma, ma non ottiene risposta se non un'occhiata beffarda.
“Che diavolo ti è preso?” Aramis allarga le braccia con aria piuttosto seccata. “Avresti potuto almeno dirci qualcosa, invece di farci vagare per tutta la città. Qualsiasi cosa, anche solo: «Vado a farmi un goccio a... all--»” la voce di Aramis diventa improvvisamente acuta, quando improvvisamente realizza che nessuna insegna è appesa sopra la loro testa, e che quel posto non è affatto un'osteria. Torna a guardare l'amico con espressione molto più grave di prima. “Perché sei venuto qui...?”
Un silenzio cade tra i quattro. Athos ha chiuso gli occhi e continua a sorridere sarcastico; Aramis e Porthos si scambiano un'occhiata altrettanto perplessa, ma quando contemporaneamente volgono la loro attenzione sul giovane guascone, realizzano subito che evidentemente qualcosa è stato omesso nel suo racconto. Non serve un secondo sguardo per capire che nasconde un segreto.

 

 

 




La porta che si richiude alle spalle del fratello la lascia ancora una volta in quelle condizioni nelle quali aveva sperato di non trovarsi mai più. Ma puntualmente si ripeteva, erano delle sorte di piccole vendette che il suo meccanismo di autodifesa metteva in moto per non permettere a Roland di pensare di avere il completo controllo su di lei. Banalità come cucire un bottone al contrario, scostarlo bruscamente quando le si avvicinava, fare rumore quando lui andava a dormire, questa sorta di cose scatenavano in lui reazioni violente, esagerate, che culminavano sempre con un occhio nero o lividi su tutto il corpo. Mai più aveva osato cercare di attirare l'attenzione quando c'era gente in casa, perché l'ultima volta si era procurata una caviglia rotta e non voleva ripetere l'esperienza.
Ma soprattutto non voleva morire.
Dopo tutti quegli anni, dopo aver perso l'uso della parola – anche il non parlare era iniziato come una vendetta, ma si era trasformato in qualcosa di permanente – Liv ancora non si dà per vinta: sa che Ollie è là fuori da qualche parte, e che non si è mai dimenticato di lei. Ormai però pensa che lei se ne sia andata, per questo non è più venuto a casa a cercarla.
Lei lo ricorda ancora come un bambino, non riesce nemmeno ad immaginare come sia diventato ora... E chissà se la sua ferita è guarita. Si chiede spesso se lo riconoscerebbe incontrandolo in giro per caso. E se lui riconoscerebbe lei.
Si è vista cambiare allo specchio in maniera irreversibile, ma non è sicura che questo cambiamento le piaccia poi più di tanto. La cosa positiva è che tutte quelle lentiggini si sono un po' diradate, ma l'ammasso di capelli rossi come il fuoco non ha fatto altro che crescere in maniera sempre più disordinata.
Si alza dal pavimento ancora dolorante, ma con una calma innaturale dopo ciò che ha dovuto sopportare ancora una volta. Perché sarebbe stata l'ultima.
In tutti quegli anni rinchiusa lì dentro ha avuto modo di sperimentare più e più fasi, che a volte tornavano più forti di prima e che mettevano sempre a dura prova il suo autocontrollo.
C'era stata la fase della ribellione, quella della rassegnazione, quella del distaccamento emotivo... Ma alla fine restava sempre lei in quella soffitta, sola. Che lo volesse o meno, le cose andavano così e le possibilità erano due: accettarlo o andarsene. Perché di lasciarsi morire non ne aveva proprio alcuna voglia, anche se ha dovuto affrontare anche quella fase.
Si sistema i capelli come meglio può e si liscia l'abito con le mani, prima di voltarsi verso lo specchio; inclina la testa di lato ammirandosi – per quanto possa vedere su quella superficie rovinata dal tempo – e poi accenna un sorriso. Per fortuna non le ha toccato il viso questa volta. E non potrà farlo mai più.
Apre il baule dove tiene i vestiti e li tira fuori, disponendoli con ordine sul letto. Non ha una grande scelta, e dopo averci pensato un po' li ripiega e ne fa una pila; dal fondo della cassa recupera una vecchia borsa di pelle che era stata di sua madre e la riempie con gli abiti. Trova poi una vecchia Bibbia nel cassetto dello scrittoio: quella gliel'aveva regalata il parroco locale quando gli aveva chiesto come facesse a leggerla così velocemente. Lui le aveva risposto che un giorno anche lei avrebbe potuto farlo, e le ha consigliato di farsi aiutare dal suo amico ad imparare, ma poi non c'era stato più tempo. La sfoglia rapidamente facendo scorrere le pagine sotto il pollice, fino a trovare ciò che cercava veramente: dal libro sporge un foglietto ripiegato che Liv estrae e va a mettere nella borsa già gonfia, assieme ad altri pochi effetti personali.
Tiene stretta nella mano soltanto una spazzola.
“Così puoi darti una sistemata, ogni tanto.” le aveva detto Roland, regalandogliela. E a quale scopo? A chi dava fastidio se aveva i capelli in disordine? Che poi non avrebbe risolto proprio un bel niente, non faceva che incastrarsi tra i ricci e farle malissimo. Non poteva trovare regalo meno adatto di quello, a riprova di quanto poco la conoscesse.
Mentre il suo respiro si fa più pesante ed il suo sguardo più determinato, sebbene perso nel vuoto, stringe il manico dell'utensile così forte che le dita le diventano bianche e le unghie affondano nello stesso palmo. Quell'oggetto inutile per la sua chioma ed insignificante in quanto a valore affettivo trema nella sua mano.
Come il condannato a morte sfila verso il patibolo, con passi lenti e rituali, Liv torna a guardarsi allo specchio. Chiude gli occhi e respira profondamente per alcuni secondi.
Quando li riapre, vede la sua immagine andare in mille frantumi. E poi è un istante. La spazzola a terra, i cocci sparsi sul pavimento, i passi rapidi sulle scale, Roland che urla il suo nome.
Con freddezza Liv si specchia nel frammento di vetro che tiene in mano, un pezzo bello grosso, dal quale un volto inespressivo la fissa senza lasciar trapelare nessun tipo di rimpianto.
Lentamente cammina verso la porta e non appena questa si apre, compie un movimento quasi automatico, come se fosse stato progettato da tempo.
Ode un rantolo, e sente la mano bagnarsi di una sostanza densa e calda, ma lei non distoglie lo sguardo: fissa suo fratello dritto negli occhi, senza mostrare alcuna emozione se non quella dello sforzo che è costretta a fare per spingerlo giù dalla scala.
Liv resta lì a guardarlo. Per una volta è lei che lo può osservare dall'alto al basso. E non prova nulla.
Quello non è suo fratello, non può essere sangue del suo sangue; quell'essere patetico che ora si contorce sul pavimento, cercando di strisciare altrove, non fa parte della sua famiglia. Lei è tutto ciò che resta della sua famiglia.
Serra le labbra mentre si ripulisce la mano dal sangue con un fazzoletto che getta a terra senza nemmeno guardarlo. Gira i tacchi e prende la borsa di pelle, poi scende le scale facendo attenzione a non calpestare le macchie di sangue, né Roland che ancora cerca di articolare qualche parola, guaendo agonizzante.
Liv lo ignora anche quando lui cerca di afferrarle una caviglia, invano. Non deve frugare molto per trovare il posto in cui sono nascosti i risparmi. Roland è un grande chiacchierone, e forse non si è mai reso conto che lei ascoltava tutti i vaneggi che faceva con se stesso. Vorrebbe addirittura ringraziarlo per averle involontariamente comunicato che Ollie è diventato un Moschettiere: lei non avrebbe saputo da che parte iniziare per cercarlo.
Ma invece lo fissa soltanto per alcuni secondi, per l'ultima volta, e non prova più niente. 

  
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