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Autore: The_Rake    08/03/2015    2 recensioni
Haise Sasaki è un cliente abituale del re, e Touka è ossessionata dalla sua somiglianza con Kaneki. Ma se veramente è lui, non dà segno di ricordarsi il suo passato. La comparsa di un nuovo personaggio cambierà la situazione?
Attenzione: spoiler da Tokyo ghoul e Tokyo ghoul: re;
Presenti un OC e libertà nell'inventare particolari di momenti della vita dei personaggi non narrati dall'autore dell'opera principale.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kaneki Ken, Kirishima Tōka, Nuovo personaggio, Takatsuki Sen/Eto
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Il giorno seguente Kamui si presentò puntuale al RE. Ricevette il suo completo da cameriere e iniziò il tirocinio, naturalmente con Touka. La quale non si lasciò sfuggire occasione per rinfacciarle di essere la sua “superiore” e bistrattarlo. Nonostante ciò il ragazzo non avrebbe perso facilmente quel sorriso irritante. Per prima cosa, la cameriera lo portò in cucina e gli mise davanti del caffè, una teiera e un filtro.
“Sai preparare un caffè?” chiese bruscamente.
“Sì, certo. C’è una moka, ad ogni modo?”
La ragazza sbuffò. Voleva una moka. Al suo primo giorno di lavoro. Ma si poteva sapere chi pensava di essere quello scemo? Ma gliela porse; voleva svillaneggiarlo una volta vista la sua incapacità. Vediamo cosa fai, intellettualoide dei miei stivali.
Kamui prese la moka, la riempì d’acqua, mise il filtro e lo riempì di pochissimo oltre al bordo, chiuse la moka e la mise sul fuoco, il tutto con la massima naturalezza. Touka prestò per la prima volta davvero attenzione al fatto che non aveva tratti orientali. Era di etnia occidentale. Però non poteva essere straniero: il suo giapponese era perfetto e privo di qualsiasi accento. Kamui fece la cosa che lei si sarebbe meno aspettata e che più la irritava: si mise a canticchiare. Era una canzone straniera, senz’ombra di dubbio.
“Cosa stai cantando?” chiese con freddezza.
“Oh scusami.” Il ragazzo sorrise imbarazzato. “È che quando non ho nulla da fare canto a bassa voce, ma abitualmente solo quando non c’è nessuno per non dare fastidio.”
“Non mi hai risposto.”
“Era una canzone italiana, Bocca di rosa. Di Fabrizio de André. Una delle mie preferite, se posso dirlo.” La sua mano andò istintivamente al collo, ma si era dovuto togliere la piastrina perché non poteva tenerla con l’uniforme.
“Non sei di qui.” Era un’affermazione.
“No, vivo qui da poco. Due anni, precisamente. Sono nato in un altro paese, ma sono stato adottato da un vecchio di qui.”
Il ghoul restò stupefatto. Nessuno poteva parlare così bene il giapponese senza essere nato in Giappone. Decise di volerne sapere di più, ma fu interrotta proprio dal ragazzo.
“Ti manca qualcuno, vero?”
Come hai detto?
“Sì, da molto tempo. Si vede da come guardi le persone, come se avessero tutto e non meritassero nulla.” Ora era serio. “Era per caso…” la moka fischiò, interrompendo il discorso di Kamui. Touka la prese e si versò una tazzina di caffè per scoprire che era veramente buono. Questo non se l’era aspettato. Posò la tazzina.
“Era buono.” Detto questo, se ne andò quasi di corsa al piano superiore, per poi scendere, toltasi l’uniforme e indossati abiti normali, ed uscire come una furia.
Kamui si versò a sua volta una tazzina di caffè e, mentre sorseggiava il liquido scuro, pensando che i chicchi da cui era stato ricavati non dovevano essere stati granché, considerò l’idea di seguirla per andare a scusarsi, ma aveva un turno da rispettare, per cui, finito il suo caffè, aspettò che Touka tornasse, senza alcun risultato. Riuscì in qualche modo a mandare avanti il locale anche senza di lei - Yomo gli aveva detto, anzi ordinato, di coprire il turno della ragazza, e lui non aveva avuto nulla in contrario né in favore. Uscito l’ultimo cliente della giornata, girò il cartello appeso alla porta da “aperto” a “chiuso”, e procedette a cambiarsi e a chiudere il bar. Senonché sentì una voce attutita provenire da un vicolo nei pressi; sembrava un urlo. E di rimando una voce che strepitava. Avrebbe potuto riconoscerla ovunque: era Touka, e sembrava molto adirata, ma c’era una nota di dolore nella sua voce. Corse nella direzione del rumore.
Tutto Touka era pronta ad affrontare meno che lui. Era un ghoul, smilzo. Nella fattispecie, era lo psicopatico che collezionava toraci per divertimento. Lo chiamavano Torso, le colombe.
“Ma che bella sorpresa, una ragazzina che passeggia tutta sola di sera nei vicoli. Hai un torace davvero bello. Mi piacerebbe molto aggiungerlo a quelli che già possiedo. Ma ci pensi? Un nuovo amante!”
In men che non si fosse detto, le aveva spezzato un braccio con la kagune come se fosse stato un grissino, sorridendo come un pazzo, e l’aveva lasciata cadere a terra guardandola con occhi colmi di follia. Beh, in fin dei conti era pazzo.
Il ghoul gongolava. “Fa male, vero? Il dolore è bellissimo, vero? È qualcosa di divino, vero? È…” si interruppe. Uno schiocco sonoro seguì qualche secondo di innaturale silenzio. Una mano emerse dal suo stomaco con un rumore liquido, per poi ritirarsi con un risucchio che fece rabbrividire Touka. Da dietro Torso si vide Kamui. Aveva gli occhi rossi, le sclere bianche. Uno sguardo da far paura anche alla più esperta delle colombe.
“Cattivo ragazzo… aggredire una ragazza indifesa, di notte, in un vicolo…” sbatté contro un muro il ghoul, che si afflosciò come una bambola di pezza, poi perse interesse, prese un fazzoletto di stoffa e si pulì il braccio insanguinato. Poi prese da terra una sbarra di ferro delle dimensioni di dieci pollici, strappò un pezzo della sua camicia. Il suo sguardo tornò quello di sempre, sereno. “Dammi il braccio, una ferita come quella non guarisce subito.”
Touka lo guardò come istupidita. Poco prima aveva sbatacchiato un ghoul di classe S come un burattino, come se non avesse avuto emozioni, e ora si preoccupava del suo braccio rotto. Ma allora la prendeva proprio in giro. “Senti, non so chi tu sia, ma quello che hai appena fatto non è normale. Comunque, ora sai. Se sei una colomba, devo ammazzarti. Non posso lasciarti andare ora che hai le prove che sono un ghoul.” Si alzò e barcollò per il dolore. “Quindi stai buono mentre ti ammazzo, lurido mezzosangue.”
Kamui la guardò interrogativo; i suoi occhi erano tornati al solito color nocciola. “Non sono un investigatore. Se lo fossi stato, non pensi che ti avrei uccisa invece di preoccuparmi di metterti una stecca? Anche con le tue capacità rigenerative, un osso rotto richiede almeno un giorno o due per risaldarsi.  È rischioso non rimetterlo in posizione, quella è una frattura scomposta. E a giudicare dalle angolazioni che ha assunto il braccio, direi che è anche multipla. Guardati, non riesci nemmeno a tenerti in piedi…”
Touka non poté ribattere a questo. Era vero, aveva le ossa del braccio spezzate in più punti. Come anche era la pura verità, che non riuscisse a reggersi sulle gambe senza che le tremassero le ginocchia. Ma era troppo orgogliosa per ammettere di aver bisogno d’aiuto. Il filo dei suoi pensieri si spezzò quando sentì lontano il suono di una sirena. Merda. Le colombe.
Anche Kamui aveva sentito; perciò decise che la stecca non era più una priorità. Torso era fuori gioco e lo sarebbe stato per un po’: pur avendo una rigenerazione cellulare parecchio elevata essendo un ghoul di tipo rinkaku, un buco in pancia era troppo anche per lui. Ciò implicava che la CCG avrebbe avuto un caso in meno. Senza troppi complimenti, il ragazzo prese Touka in spalla e cominciò a correre verso il RE. Ogni passo gli sembrava troppo corto, ogni metro un millimetro, ma finalmente, dopo dieci minuti di corsa disperata, arrivò al bar. Ringraziò che la ragazza ghoul fosse svenuta, perché di certo non si sarebbe lasciata trasportare in quel modo. Quanto era testarda. Posò a terra Touka, aprì in fretta e furia la porta, la portò a un divanetto, e richiuse l’uscio dietro di sé a chiave. Non era stato scoperto; lei non era al massimo della forma, ma le sue condizioni non erano gravi: con le cure di primo soccorso adeguate sarebbe stata di nuovo in carreggiata entro un giorno e mezzo al massimo. Approfittò del fatto che non avesse ancora ripreso conoscenza per applicarle la stecca, e, appena fatto, si rivolse a Yomo; il ghoul era da un po’ dietro di lui ad osservarlo.
“Poteva andarle meglio.” si limitò a dire il ragazzo, rimboccandosi la manica insanguinata della camicia che indossava.
“Cos’è successo?”
“La CCG avrà un caso in meno a quest’ora. Niente più toraci per la collezione di Torso. E il suo - indicò con un cenno del capo la ragazza - resta dov’era. A pensarci bene, poteva andare molto peggio.” Lo guardò negli occhi. “Ho l’impressione che ci sia molto che dobbiate dirmi.”
“Così suppongo. Anche tu dovresti raccontarci molte cose.”
“Prima c’è una cosa più importante. Anzi, due.”
“Cioè?”
“Una coperta per la ragazza… e una moka di caffè.”
Il ghoul sorrise. Sorrideva molto poco spesso. “Giusto. Fai il caffè.”
Sasaki arrivò di corsa solo per vedere gli agenti addetti alla rimozione dei cadaveri portare via quello di Torso. Gli si avvicinò Akira Mado, la sua diretta superiore.
“Chiunque sia stato, non è umano e nemmeno ha usato una kagune o quinque. La perizia ha evidenziato che il trauma che ha concorso alla morte di Torso è troppo piccolo e irregolare per appartenere a qualsiasi tipo di ghoul che conosciamo attualmente. Ciò significa che è stato ucciso a mani nude. Inoltre aveva la schiena spezzata. È morto lentamente. Non so se può esistere un essere in grado di fare tutto questo. In ogni caso, non abbiamo nulla da fare qui. Va’ a casa.”
“Sissignora.”
Il nome tornò nella mente di Sasaki mentre era nel suo letto, ma stavolta non se ne andò. Kaneki Ken. Chi era? Un suo vecchio amico? Non sapeva rispondere a questo. Non ancora. Ma era contento di essere riuscito a ricordare una cosa qualsiasi della sua vita precedente, anche solo quel nome che per qualche ragione non riusciva a collegare a nessun volto. Non ne avrebbe parlato con Arima. Voleva prima rimettere insieme i pezzi del puzzle.
“Touka…” si sorprese a mormorare quel nome. Chi era Touka? Perché gli era così caro? Lo pronunciava sempre più spesso, e ogni volta era sempre più carico di ricordi che non tornavano e di dolcezza. Come il caffè di quella cameriera, pensò. La sua attenzione non si mosse dal nome, sicuramente di una donna. Era forse sua madre? No, non poteva essere. Non lo sapeva ma lo sapeva. Se lo sentiva, non era sua madre. Lei era… non riusciva a ricordare, per quanto si sforzasse di farlo.
Touka… chi sei?
   
 
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