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Autore: Mary P_Stark    13/03/2015    3 recensioni
Stheta mac Lir è il principe ereditario della casata dei mac Lir, prossimo re di Mag Mell e valente condottiero fomoriano. Il suo essere primogenito è stato spesso fonte di drammi interiori, così come di conflitti con il padre e la madre. L'aver tradito, seppur inconsapevole, il fratello minore Rohnyn, ha causato in lui ulteriori dubbi e ulteriori sofferenze, portandolo a rivalutare concretamente tutta la sua esistenza. E' giusto che il suo popolo sia così chiuso in se stesso, che i sentimenti vengano banditi dalla vita quotidiana? Perché, l'essere come gli umani, è visto come un difetto, quando la vita sulla terraferma pare, ai suoi occhi curiosi, piena di meraviglie? Ciara, suo capitano delle guardie e fidata amica di una vita, è preoccupata dalla svolta pericolosa presa dai pensieri del suo principe, soprattutto quando scorge in lui un interesse sempre crescente per l'umana Eithe, amica di Sheridan. In questo triangolo di interessi sovrapposti, Stheta scopre anche una nuova realtà, creature ancor più mistiche di quanto già loro non siano e che, per ironia della sorte, lo aiuteranno a scoprire le verità che cercava. - 2° RACCONTO SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"- Riferimenti presenti nel racconto precedente. Crossover con ALL'OMBRA DELL'ECLISSI
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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«E’ davvero molto bello, Sheridan. E il tessuto… sembra impalpabile. Ma sei davvero sicura che debba sciogliere i capelli?»

La velata protesta giunse dalla camera matrimoniale, - la porta era aperta - dove si trovavano Sheridan, Lithar e Ciara.

La notte prima, come da consuetudine umana, Rohnyn si era recato da alcuni amici della futura moglie, lasciando alle donne pieno dominio sull'appartamento.

Io e Krilash eravamo rimasti lì con Sheridan, preferendo evitare che qualche nostra gaffe potesse smascherarci.

Entrambi eravamo stati in superficie per un tempo sufficiente a capire le stranezze umane, più o meno, ma tutto poteva succedere.

Era perciò preferibile evitare di esporsi troppo, così da non creare guai a Rohnyn e Sheridan.

Dopo aver dormito su dei letti posticci e aver usufruito del bagno per primi – Sheridan ci aveva consigliato di evitare la cavalleria, quel giorno – avevo iniziato a comprendere il perché di quell'avvertimento.

La futura sposa aveva passato due ore ad arricciarsi i capelli.

Lithar aveva osservato affascinata il movimento di uno strano aggeggio, che avevo poi scoperto chiamarsi arricciacapelli.

Krilash aveva indossato il suo smoking, nel frattempo, divertendosi un mondo a guardarsi allo specchio per una buona mezz'ora.

Di noi fratelli, era sicuramente il più vanitoso.

Fu in quel momento – mentre Krilash si sistemava il risvolto della giacca – che suonarono alla porta e, dalla camera da letto, giunse un ringhio feroce.

Sheridan non voleva essere disturbata.

Ridacchiando, le dissi che me ne sarei occupato io e, a grandi passi, mi diressi verso la porta per scoprire chi cercasse la padrona di casa.

Non appena lo feci, mi ritrovai a fissare quattro facce sconosciute, che parvero altrettanto sorprese di vedere un estraneo alla porta.

La più anziana del gruppo, sorridendomi cordiale, fu la prima a parlare.

«Speriamo di non aver sbagliato appartamento ma, dal suo smoking, penso di no. Io sono Niamh, la nonna di Sheridan.»

Mi stampai immediatamente in faccia un sorriso e, con un leggero cenno del capo, la salutai educatamente, presentandomi.

Ci mancò poco che mi inchinassi come a corte. Cosa da non fare, a meno di non voler attirare troppa attenzione.

Krilash fu subito accanto a me e, con il suo solito modo di fare elegante e faceto, accolse tutti con ampi sorrisi e gesti garbati di mani e braccia.

Era un intrattenitore nato.

«Steve e Kris, è un vero piacere conoscervi» asserì allora la donna anziana, battendo una mano sul braccio di entrambi noi.

Poco alla volta, fummo così presentati a Killian, il nonno di Sheridan, Eileen, la madre, e Fynn, un amico di famiglia.

Quest'ultimo ci spiegò che la moglie e i figli stavano già dirigendosi verso la chiesa, così da non creare guai in casa con la loro presenza.

Li invitai tutti ad accomodarsi e, mentre mi chiedevo se avrei dovuto servire loro qualcosa, Sheridan fece finalmente la sua apparizione in salotto.

La fissai basito, non sapendo che dire.

Era semplicemente splendida.

Il vestito, vaporoso come una nuvola, la abbracciava con delicatezza, rendendo ancor più eterea la sua figura già elegante.

Lo stretto corpetto, su cui splendevano dei brillanti sfaccettati, esaltava le sue linee delicate, mettendo in risalto il fisico slanciato.

Boccoli scuri le ricadevano sulle spalle e la schiena, mescolati a candidi boccioli di rosa, e un diadema sottile splendeva tra quelle masse corvine.

Il trucco era a metà, da quel che potei capire, ma il suo sorriso fu ugualmente radioso, quando vide la sua famiglia.

«Ehi, finalmente!»

Abbracciò tutti, dando poi a Fynn un sonoro bacio sulla bocca.

Rise subito dopo e l'amico, togliendosi il rossetto dalle labbra, la mandò debitamente a quel paese, mentre il resto della famiglia rideva spensierato.

Era chiaro che quel gesto doveva essere consueto, tra di loro.

Se fosse successo a Mag Mell, probabilmente metà delle persone avrebbe gridato allo scandalo, l’altra metà avrebbe commentato inorridita la scena.

Le smancerie si lasciavano alle camere da letto – e ai compagni – e, di sicuro, non si flirtava con gli uomini sposati.

Krilash, invece, non si lasciò sfuggire l'occasione per commentare a modo suo quell’evento per noi davvero più unico che raro.

«Ehi, quasi cognata! Posso avere anch'io lo stesso trattamento?»

Sheridan rise ma si avvicinò a lui, che se ne stava appoggiato al bancone della cucina e, presogli il viso tra le mani, lo baciò con candore e allegria.

Krilash prese un gran respiro subito dopo, rosso come un peperone maturo e, con un inchino, esclamò: «Ora posso vivere felice per altri mille anni!»

«Idiota» mormorò in risposta lei, invitando poi  madre e nonna a seguirla nella stanza matrimoniale.

Lì con noi restarono Killian e Fynn e, a quel punto, non mi restò che fare il padrone di casa, visto che Sheridan ci abbandonò senza dirmi nulla.

Chiesi loro cosa desiderassero e, dopo aver portato un paio di acque minerali a entrambi, notai lo sguardo curioso di Fynn puntato su di me.

Feci perciò un cenno a Krilash, che si mise a parlare a raffica con Killian.

Approfittando di quel momento, uscii sul balcone, dove l’amico di Sheridan mi raggiunse poco dopo.

L'aria di città non mi piacque granché, ma evitai di commentare.

Poggiai le mani sul parapetto in acciaio decorato e, pacato, dissi: «Ho notato qualcosa, nel tuo sguardo. Posso sapere cos'è?»

«Semplice curiosità. Perché non vi ho mai visti a Portmagee, nei cinque anni di lutto di Ronan? O ancor prima, quando Mairie e Ronan hanno vissuto al faro?»

«Sei amico di mio fratello, oltre che di Sheridan. Ora rammento il tuo nome» annuii, consapevole a quel punto dei motivi del suo livore così ben trattenuto, pur se evidente ai miei occhi.

«Quindi saprai perché ho le palle un po' girate... scusa la franchezza.»

Sorrisi, annuendo mio malgrado di fronte a tanta schiettezza.

Nessuno, a Mag Mell, avrebbe mai osato parlarmi con quel tono accusatorio, o senza peli sulla lingua.

Nonostante la sorpresa, mi piacque. L’eccessiva educazione, a volte, era noiosa e fin troppo sopravvalutata.

«Quel che ci tenne lontani da Portmagee, fu Ronan stesso. Non ci volle intorno. I nostri genitori non accolsero di buon grado il suo matrimonio con Mairie, e Ronan pensò di non creare ulteriori dissidi in famiglia. Non voleva che anche noi avessimo a che soffrire di questa tensione tra loro. A volte litigammo aspramente, per questo, perché nostro desiderio era, invece, rimanere al suo fianco… al loro fianco. Ma alla fine ci comportammo come era suo desiderio. Rimanemmo in disparte per il bene di tutti. Quando morì Mairie restammo a debita distanza, attendendo pazienti di poterlo avvicinare. Non ce lo permise mai. Il suo … orgoglio glielo impedì.»

Rammentavo ancora bene quelle lacrime lucide e fredde, sul suo volto scavato dall’angoscia.

Avrei voluto correre in mezzo a quella gente che non lo conosceva, rendergli noto il mio dolore, fargli comprendere quanto, tutti noi, stessimo soffrendo per lui.

Ma sapevo che, all’epoca, non avrebbe mai e poi mai accettato un simile comportamento da parte mia.

Anche grazie a Sheridan, tutto era cambiato. In meglio.

«E perché rifiutaste Mairie, a suo tempo?»

«Nostro padre la rifiutò, così come nostra madre, … ma mai io, o mio fratello e mia sorella. Loro sono molto... all'antica

Fynn mi guardò disgustato, e io non potei che comprendere appieno il suo sentimento. Anch'io, in quel momento, ero propenso a credere che nostro padre fosse un pazzo scriteriato, e nostra madre una donna senza cuore.

Ma, di certo, non potevo dirlo apertamente, o ammettere i reali motivi di quel rifiuto.

«Quindi, suppongo che neppure Sheridan sia quella giusta. Non li vedo da nessuna parte.»

Mi limitai ad annuire, preferendo non proseguire oltre sull'argomento.

Io, di sicuro, non avrei potuto essergli di molto aiuto.

La storia che Sheridan e Cormac MacHugh avevano regalato al mondo, a giustificazione dell’assenza di Ronan, aveva chetato i più.

Non stava a me ingigantirla, complicarla o far porre ulteriori domande agli amici di Ronan.

Dovevo attenermi al copione, e sperare di non incorrere in qualche errore senza che io me ne rendessi conto.

Dovevo ancora troppo sia a Sheridan che a mio fratello, per commettere un’incoscienza proprio ora.

Sapere, però, che mio fratello avesse trovato, tra gli umani, una persona così premurosa e attaccata a lui come Fynn, mi rincuorò.

Era evidente quanto tenesse a lui, e quanto le sue vicende di famiglia lo avessero angustiato.

«Onori mio fratello, preoccupandoti così per lui. Te ne sono grato» gli dissi a quel punto, mettendo nella mia voce tutta la sincerità che provavo nel dire quelle parole. «Purtroppo, il coma di Lisa si protrasse più di quanto avessimo immaginato, e quando finalmente si svegliò, Ronan non volle allontanarsi da lei fin quando non fu certo della sua buona salute. Questo gli permise anche di parlare con i nostri genitori, menzionando così Sheridan ma, da quello che puoi vedere ora, il suo dire non ha sortito gli effetti voluti. Non abbiamo genitori molto comprensivi.»

Lui mi guardò stranito, forse sorpreso dal mio dire, ma annuì.

«Ronan è un bravo ragazzo. E non merita davvero questo ostracismo.»

«Sottoscrivo pienamente. Infatti, noi siamo qui contro la decisione di nostro padre. Ma poco importa. Ronan ha persone fedeli, al suo fianco, e una donna che lo ama. E' questo ciò che conta.»

Fynn si limitò ad annuire, chiudendo così la sua giusta richiesta di spiegazioni.

Sheridan colse quel momento per attirare la nostra attenzione e, dall'interno dell'appartamento, ci fece segno di rientrare.

Semplicemente, sorridemmo ammaliati.

Ora che l'abito e il trucco erano completi, appariva semplicemente radiosa.

La voce trillante di Lithar ci portò poi a voltare lo sguardo verso di lei e, con un sorriso, ammirai mia sorella nel suo completo color cielo.

Intrecciato sotto i seni, scendeva leggero lungo il corpo, e il bolero a maniche lunghe le delineava le spalle diritte e ampie.

Portava i capelli bruni raccolti sopra la testa, trattenuti da un nastro di seta e brillanti.

I suoi occhi, di un curioso color ametista, brillavano deliziati, e io fui felice per lei. Era così raro vederla splendere a quel modo.

Fynn mi guardò sorpreso, esalando: «A quanto pare, l’incidente non ha lasciato strascichi. E’… splendente.»

«Grazie a tutti gli dèi che conosci, sì. Lei è viva e sta bene» assentii, sorridendo a Lithar quando si volse verso di noi per salutarci.

Era divertita all'idea di avere un accompagnatore sconosciuto, alla festa di matrimonio.

Naturalmente, Ronan si era assicurato che fosse un uomo dai modi impeccabili... e, soprattutto, che non avesse strane intenzioni con la nostra sorellina.

Krilash avrebbe pensato a Ciara, mentre io sarei stato impegnato come garçon d’onneur, accompagnando Eithe, un'amica e collega di Sheridan, di cui però non conoscevo nulla.

L'idea di far accompagnare Ciara a Krilash, mi era venuta spontanea.

Sapevo che, con me, Ciara si sentiva sempre a disagio perché ero il principe ereditario, e non volevo che non si divertisse alla festa per causa mia.

Inoltre, per bocca stessa di Sheridan, ero sicuro che Eithe non mi avrebbe causato problemi, evitando così inutili ansie a Ciara.

Stando a Sheridan, era una ragazza a modo e molto timida.

Di certo, non una mangia-uomini. Anche se non ero sicuro di aver capito perfettamente cosa significasse quella parola.

Del tutto preso da mia sorella, che si muoveva vezzosa per l'appartamento col suo abito nuovo, impiegai qualche attimo per rendermi conto dell'arrivo di Ciara.

I capelli, che per la prima volta scorgevo in una pettinatura diversa dal solito, erano raccolti in una crocchia, sulla nuca.

Diverse ciocche erano state lasciate libere di galleggiare attorno al suo viso, delineandolo in maniera molto più che graziosa.

L'abito in stile greco le scendeva fino ai piedi in una cascata di chiffon verde chiaro, che metteva in risalto la sua eccezionale altezza e il fisico perfetto.

Su una spalla, una cascata di brillanti scivolava verso il seno e la schiena, formando arricciature lievi e ombreggiature morbide.

Ma non fu questo a lasciarmi senza parole. Fu la sua incomparabile bellezza e femminilità, di solito nascosta dall'armatura che indossava.

Le ampie spalle e le braccia forti, invece di essere un difetto, la rendevano ancor più perfetta per quell'abito.

La somiglianza con i nostri abiti cerimoniali le impediva di sentirsi a disagio e, al tempo stesso, le permetteva di lasciar trasparire tutta la sua innata eleganza.

Poiché io non riuscii a muovermi, pensò Krilash a fare le presentazioni, sempre stando al fianco di Ciara.

Le parlò ogni tanto all'orecchio, facendola sorridere e, in ogni momento, fu lì per lei.

Mio fratello era veramente più bravo di me, in queste cose e, con Ciara, aveva un rapporto paritario e amichevole che a me mancava.

In un certo qual modo, ne fui geloso.

Mi avvicinai perciò a Lithar, elegante e a suo modo pudica, nel suo abito color cielo, e le sorrisi.

Sapevo che Sheridan aveva scelto, di proposito, un vestito che l’avrebbe fatta sentire a suo agio, evitando scollature accentuate o spacchi.

Non erano davvero particolari ad uso, tra i fomoriani, e lei lo sapeva. Sheridan, pur con il suo carattere pungente, sapeva essere più dolce del miele, quando voleva.

Vedere mia sorella così diversa dal solito, comunque, mi fece uno strano effetto.

E desiderai per un istante riportarla sott'acqua, perché nessuno la guardasse in modo meno che rispettoso.

Era sciocco, perché Lithar sapeva difendersi benissimo anche da sola, ma ero pur sempre il fratello maggiore, e non volevo che le persone la facessero soffrire.

 
***

La cerimonia era stata semplicemente perfetta, la chiesa gremita di parenti e amici, e l'accompagnatore di Lithar il più improbabile tra gli uomini.

A sorpresa, Rohnyn aveva presentato Cormac a nostra sorella, sorridendo all'amico con aria divertita.

L'uomo, dalla pelle bruciata dal sole e i corti capelli brizzolati tagliati a spazzola, doveva avere all'incirca cinquant'anni.

Cormac MacHugh era un pescatore di Portmagee che, per lunghi anni, era stato amico fidato di Rohnyn.

Ed era a conoscenza del nostro segreto, perciò l’accompagnatore ideale per Lithar, che avrebbe potuto parlare liberamente con lui, e senza commettere errori.

La loro amicizia era perdurata, anche dopo la sua partenza dal paese sulla costa e, quando aveva ricevuto l'invito a essere il suo testimone, non aveva esitato ad accettare.

Era evidente quanto Rohnyn lo tenesse in considerazione, e quanto l'uomo lo vedesse alla stregua di un figlio.

Forse, era proprio questo a legarli.

Lithar non ci rimase male per la scelta e, anzi, si vantò con tutti del suo cavaliere che, dopo l'iniziale imbarazzo, si mise d'impegno per farla divertire.

La trattò con gentilezza e premura, e Lithar lo ricompensò con lunghi sorrisi sinceri e strette di mano altrettanto sentite.

Forse, non solo Rohnyn lo vedeva come un padre amorevole, dopotutto.

Sulla pista da ballo dell'albergo, dove si stava svolgendo il rinfresco, la gente danzava allegra, Sheridan e Rohnyn erano sorridenti e lieti e, in generale, tutto sembrava procedere bene.

Persino Ciara pareva divertirsi.

Stava colloquiando amabilmente con Krilash e un paio di amici di Sheridan, accompagnati da due gemelli adorabili, e sembravano rilassati e sereni.

L'unica a sembrare fuori posto era la mia compagna.

Eithe era stata cortese e gentile per tutto il tempo, ma non aveva mai veramente mostrato un sorriso soddisfatto, se non quando si era congratulata con gli sposi.

Ora, sedeva in disparte, accanto a una delle alte finestre che davano sul giardino, e sembrava voler fuggire da un momento all'altro.

Mi chiesi il perché.

L'abito che indossava – identico a quello di Lithar – le stava davvero d'incanto, e sottolineava la sua figura esile e minuta.

I biondi riccioli naturali le scendevano su spalle e schiena in una morbida cascata e, in quel momento, lei ne stava torturando una ciocca, turbata.

I suoi chiari occhi grigi mi parvero pensierosi e, roso dalla curiosità, mi avvicinai per chiedere lumi.

Lei diede l’impressione di irrigidirsi al mio arrivo ma, ligia al suo dovere di damigella d'onore, si stampò in faccia un sorriso di benvenuto e mormorò: «Steve, ciao. Non balli?»

«La mia damigella è qui» sottolineai con un sorriso.

A sorpresa, Eithe reclinò imbarazzata il viso acqua e sapone e si torse le mani, neanche fosse terrorizzata dalla mia presenza.

La cosa mi sorprese. In tutta la mia lunga vita, nessuna donna si era mai comportata a questo modo, in mia presenza.

Soprattutto, quando tentavo di essere piacevole ed elegante.

«Eithe... ho forse detto qualcosa di sbagliato?»

Mi accomodai accanto a lei, sulla panca imbottita sotto la finestra e, senza neppure tentare di sfiorarla, domandai ancora: «Non sono molto esperto sui compiti di un testimone di nozze, ma mi sembrava che, tra i miei doveri, vi fosse anche quello di scortare, e tenere compagnia, alla mia damigella.»

«Oh, sì. E l'hai fatto egregiamente. Ma non sei tenuto a stare con me tutto il tempo. So di essere noiosa.»

Il suo mormorio riuscì a malapena a sovrastare il rumore della musica.

«Non ti diverti, forse? Preferisci che ti accompagni a fare una passeggiata in giardino? Ho notato che è un po' che lo guardi.»

Si irrigidì ancora di più, a quelle parole, ma non seppi come interpretare quel comportamento.

Aveva forse... paura di me?

«Vuoi andarci con qualcun altro? Sono pronto a trascinare qui per i capelli colui che vuoi sia il tuo accompagnatore.»

Non avrei esitato a farlo. Eithe era troppo dolce e tenera, perché qualcuno potesse anche solo minimamente pensare di farle uno sgarbo.

A quelle parole, lei sollevò gli occhi su di me, preoccupata, ed esalò: «Oh, no! Non ce n'è davvero bisogno!»

«Posso sapere, allora, cosa ti turba? Vorrei fare qualcosa per te, se mi è possibile.»

«Perché?»

Era una domanda che piaceva molto, agli umani. Tutto doveva avere un significato, o essere spiegato, oppure finalizzato a qualcosa.

Un po’ come succedeva da noi, ma per motivi decisamente diversi.

Qui c’entravano i sentimenti, non la logica o il pragmatismo.

Non si poteva, semplicemente, desiderare di aiutare per il solo gusto di farlo.

Mi alzai, allungando una mano verso di lei, e dissi semplicemente: «Sei amica di Sheridan e Ronan, perciò sei anche amica mia. E io aiuto gli amici. Né più, né meno.»

Le mie parole dovettero convincerla, perché afferrò la mia mano e si alzò, annuendo.

La presi sottobraccio, pur se un po’ goffamente – ero davvero molto più alto di lei – e, dopo aver aperto una porta-finestra, ci lasciammo alle spalle la cacofonia del salone.

Subito, Eithe parve rilassarsi e, quando si trovò in mezzo alle alte siepi di bosso, il suo sorriso comparve lucente e sereno.

«Non ti piace la confusione, vero?» ipotizzai, camminando lentamente assieme a lei lungo la passeggiata lastricata e i lampioni a forma di fiore di calla.

Scosse il capo, ridacchiando contrita.

«Per niente. Sherry lo sa, per questo non l'hai mai vista venire da me per insistere perché ballassi, o partecipassi ai giochi. Mi conosce. Anche per questo ha scelto questo posto. Sapeva che mi ci sarei sicuramente rintanata, prima o poi.»

Era difficile credere che, una creatura così bella, non desiderasse l'attenzione delle altre persone, ma nelle sue parole era racchiusa la verità più pura.

Le battei una mano su quella che riposava – ora più tranquilla – sul mio avambraccio, e chiosai: «Se non ti è di disturbo la mia presenza, ti terrò compagnia in questo magnifico giardino.»

Arrossì gradevolmente, e scosse ancora il capo.

«Non mi disturbi. Solo, penso ti annoierai a morte, stando con me. Là dentro, ci sono un sacco di donne che vorrebbero danzare con te, e tu le stai deludendo tutte, rimanendo qui con me.»

«Onoro la promessa fatta a Sheridan. Prendermi cura di te» replicai ampollosamente, liberandomi in un frivolo inchino corredato da sorriso scanzonato.

Mi sorrise maggiormente, pur se con aria timida, e annuì. «Sherry proteggerebbe anche il Papa, se glielo chiedessero.»

«Sa essere molto determinata, sì.»

Rise sommessamente, passandosi una mano tra i capelli per sistemare un ricciolo ribelle, e io ammirai quelle dita sottili e dalle unghie laccate di rosa pallido. Erano perfette.

Eithe stessa, sembrava essere stata creata dalle abili mani di un mastro cesellatore.

«E' la mia migliore amica, e non sarei mai mancata al suo matrimonio... ma davvero non sopporto la confusione. Mi piacciono i luoghi isolati, dove non c’è confusione, temo. E sono molto, molto noiosa. Un tono da biblioteca, o qualcosa di molto simile.»

«I topi sono creaturine sgradevoli, e non mi sembri appartenere alla categoria» sottolineai, compiacendomi di vederla nuovamente ridere, e con maggior vigore rispetto a prima. «Inoltre, io amo la cultura nei suoi molteplici aspetti, e trovo che passare del tempo sui libri non sia mai sciocco, o superfluo.»

Mi indicò una panchina in pietra, e lì ci accomodammo.

Dopo essersi sistemata le pieghe dell'abito, levò i suoi occhi chiari a scrutarmi in viso e mi domandò: «Steve non è il tuo vero nome, vero?»

Quella domanda mi spiazzò. Con tutto quello che avrebbe potuto chiedermi, quello proprio esulava da ciò che mi sarei potuto aspettare.

La fissai dubbioso, senza sapere cosa dire, e lei sorrise contrita.

«Scusami. E' che tuo fratello ha continuato a usare un altro nome per parecchio tempo, durante il banchetto, e... beh, non ho potuto non sentirlo.»

E io non me ne sono minimamente accorto, abituato come sono a sentire il mio vero nome, pensai tra me, dandomi dell'idiota.

A Krilash lo avrei dato a tempo debito.

Mi passai una mano tra i capelli, che avevo slegato non molto tempo prima, lasciando che le mie onde castano rossicce scivolassero sulle spalle.

Dispiaciuto, mormorai: «Dovrebbe rimanere più o meno un segreto, sai?»

Sgranò un poco gli occhi, sorpresa dal mio dire. Un lampo di preoccupazione passò nei suoi occhi chiari, ma svanì immediatamente, come se me lo fossi solo immaginato.

«Oh, ma... oh, giusto. Sì, io sono una giornalista, quindi dai per scontato che stia facendo...»

Ridacchiò nervosamente, non terminando la frase, e a me non rimase altro che aspettare di capire cos'avrebbe detto.

Alla fine, prese un bel respiro e mi fissò con una strana forza nello sguardo.

«Non voglio “ficcanasare”,...» asserì, mimando le virgolette attorno all'ultima parola. «... ma mi è parso strano che Kris usasse un nome diverso dal tuo. Come mi è parso strano il comportamento di Ciara. E' evidente che qualcosa la lega a te, e non è la semplice amicizia. Ti sta proteggendo

Fesso,… avresti dovuto immaginare che una giornalista avrebbe notato certe cose, pensai ancora tra me, allungando la lista di insulti da propinarmi a tempo debito.

«Lo fa con molta discrezione, ma mi è parso chiaro. Oppure, è gelosa di me. Ma di questo dubito seriamente.»

Ciò detto, scoppiò a ridere sommessamente, trovando più che assurdo che lei mi potesse trovare interessante.

O che io potessi trovarla interessante.

Me ne chiesi il motivo. Io la trovavo interessante, e glielo dissi.

La notizia parve sorprenderla non poco, e la portò a ridere nuovamente, con maggiore enfasi.

Storsi il naso. Non ero abituato a donne che mi snobbavano a quel modo.

Mosse una mano come per farsi aria e, con le lacrime agli occhi, esalò: «Non prenderla... come un'offesa... sono io che so di non essere interessante.»

«Come?» esalai, trovando quell'affermazione completamente assurda.

Tornando seria, Eithe mormorò: «Nessun uomo mi ha mai detto di trovarmi interessante, Steve. O devo chiamarti Stheta

Non seppi cosa dire.

Di sicuro, avrei strangolato Krilash, ma per quel sordido piacere avrei dovuto aspettare un po'.

Prima, dovevo chiarire un paio di punti con quello strano concentrato di apparente ingenuità ed efficiente acume che era Eithe.

«In privato puoi chiamarmi Stheta ma vorrei che, con gli altri, continuassi a usare il nome Steve.»

Lei si limitò ad annuire, ma non parve ancora del tutto convinta. Non mi aveva detto tutto, il che la diceva lunga sulla sua capacità di osservazione.

E quel lampo negli occhi…

Ora, era ancora più evidente, come se la sua mente, a dispetto delle sue parole, stesse lavorando alacremente alla ricerca di una risposta.

Era tutt’altro che ingenua, e molto lontana dall’essere una donna superficiale.

«Fai parte della protezione testimoni, per caso?»

Strabuzzai gli occhi, a questo punto, perché non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando. E la mia sorpresa dovette metterle la pulce nell'orecchio, perché aggrottò la fronte.

Ma non si era detto di non attirare l'attenzione?

Forse, mi ero perso quel passaggio, durante la giornata.

«Non sai neanche di cosa sto parlando, giusto?»

Imprecai tra me prima di afferrare le sue mani, stringerle tra le mie e guardarla in quei fumosi occhi grigio perla.

Potevo fidarmi di lei? Sheridan era la sua migliore amica, dopotutto. E Rohnyn aveva confidato il suo segreto a Cormac, perciò…

Onestamente, non mi andava di mentire a quegli occhi così carichi di  intelligenza e profondità.

«Non sei chi dici di essere. Neppure lontanamente. E così pure la tua famiglia» terminò di dire Eithe, mordendosi il labbro inferiore, pensierosa. «In principio, pensavo fosse solo Ronan, ma Sheridan mi pareva così tranquilla, che non vi ho dato molto peso. Ma tutti voi… non siete coloro che sembrate essere. E comincio a chiedermi quanto Sheridan sappia. E quanto io possa fidarmi di voi.»

Mi fissò con il dubbio negli occhi, e qualcosa di molto simile al sospetto. La sua ultima frase, poi, il suo desiderio di fidarsi di noi, di sapere Sheridan al sicuro, mi spinse ad agire.

Potevo espormi, con lei? E anche quanto, potevo andare oltre con le menzogne, visto quanto sapeva essere percettiva?

Deglutii, presi coraggio e infine esposi la verità nel modo più semplice che trovai.

«Il mio vero nome è Stheta mac Lir. Ti dice nulla?»

Il mio fu poco più di un sussurro, ma bastò a farle spalancare gli occhi, irrigidirsi appena e, infine, accigliarsi non poco.

Tentò di scostarsi, di allontanarsi da me, forse pensando la stessi prendendo in giro, ma io la trattenni.

«Non sono così idiota come potrei sembrare, e mi basterà lanciare un urlo bello forte, perché arrivi qualcuno qui. Vorrei la verità, o ti riterrò un pericolo per me e la mia amica. E allora, che saranno guai.»

Alla minaccia, più che reale, seguì un gran respiro, come se si preparasse a urlare, ma io la bloccai sul nascere.

La afferrai alla vita e la avvicinai a me, baciandola per istinto e sì, anche per desiderio.

Era tutto il pomeriggio che volevo assaggiare quelle labbra di rosa.

Quel gesto la chetò immediatamente, forse la sorprese più del concepibile, ma almeno non urlò.

Quando mi scostai da lei, mi fissò come se non avesse piena coscienza di sé, e questo mi compiacque.

Non avevo mai lasciato scontenta una donna, dopo i miei baci, e fui lieto che anche un'umana fosse di quell'avviso.

Perciò non mi aspettai che, un secondo dopo, mi giungesse uno schiaffo in faccia.

Uno schiaffo ben dato, tra l'altro.





____________________________
Note:
 Direi che, se volevano rendersi invisibili, non ci sono davvero riusciti. Ma è realmente stato solo il nome di Stheta, a insospettire Eithe, o ci sarà qualcosa d'altro? Di sicuro, Eithe non pare intimorita dal nome altisonante di Stheta, e neppure particolarmente sconvolta.

  
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