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Autore: LoveStoriesInMyHead    14/03/2015    6 recensioni
*Questa storia è ambientata nel Medioevo*
Avanzò verso di me, costringendomi ad indietreggiare. Le mie spalle toccarono il muro freddo di cemento e Federico era ormai a pochi centimetri da me. Sentivo il suo respiro sul mio viso. Le sue dita si intrecciarono ai miei capelli corvini. Le sue labbra sottili si incontrarono con le mie rosee e carnose. Non potevo crederci. Il ragazzo che amavo mi stava baciando in una cella nel sotterraneo! Le mie mani corsero lungo il suo addome, per poi tastare il suo petto e risalire per il collo. Raggiunsi la nuca e lo tirai a me, non volevo che se ne andasse o che questo bacio voglioso e passionale finisse. Migliaia di sensazioni attraversarono come frecce il mio cuore e la mia mente. Ansimai staccandomi da lui, per riprendere quel fiato che quel diavolo di passione,di calore e di sensazioni mi aveva portato via e che,sperai non fosse l'unico a esser rubatomi...
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Attraversai a passi sicuri il ponte levatoio con la mia borsa sulle spalle. Appena dentro, lo stupore mi travolse. Vedevo contadini scambiare alimenti e vivande con le donne della cucina, soldati intenti ad affilare lance e punte di freccia. Alzai gli occhi al cielo e vidi le imponenti torri di osservazione. Il mio sguardo corse lungo tutte le mura di cinta che circondavano il castello. Da quel giorno in poi, il castello sarebbe stato la mia casa. Mentre io mi ero perso nella meraviglia architettonica che mi stava intorno, una ragazza mi urtò. Portava una grossa botte per il vino, che dava l’aria di essere molto pesante. Vedendola affaticata, lasciai la borsa in un angolo della piazzetta e mi offrii di aiutarla a portarla nelle cucine. 
“Salve fanciulla, il mio nome è Riccardo” mi presentai con un sorriso.
Lei ricambiò il gesto e si presentò a sua volta; il suo nome era Angelica. 
Attraversammo il portone e ci ritrovammo nella piazzetta principale del castello. Davanti a me c’era una lunga scalinata, che poi si biforcava per salire ai piani superiori dei nobili. Notai che altri ragazzi erano appena arrivati al castello, sicuramente erano lì per il mio stesso motivo. Qualche mese fa era giunto nella contea in cui vivevo un uomo incaricato dal generale delle truppe del castello. Egli richiamava a raccolta tutti i giovani uomini che volessero entrare a far parte dell’esercito. Dopo il messaggio io decisi di andare e così adesso ero nel nucleo del castello, pronto per essere arruolato. 
Seguendo la ragazza, mi ritrovai nelle cucine. Appena entrai, notai oche, maiali, conigli pronti per essere cucinati. Appoggiai la botte a terra e mi guardai intorno. C’era un grosso tavolo al centro con sopra spezie, uova e frutta. Attaccato al soffitto vi era una gratella in legno per appoggiarvici il pane appena uscito dal grande forno che stava sulla mia destra. 
“Scusa, mi potresti indicare dove si trova l’alloggio per i soldati?” chiesi non avendo la benché minima idea di dove fosse ubicato.
Dopo un attimo lei mi rispose, facendomi un segno con la mano :
“Certo, seguimi."
Io le sorrisi e cominciai a camminarle dietro. Su una delle pareti della cucina si trovava una piccola porta in legno, che lei aprì. Mi chinai lievemente e oltrepassai l’uscio. 
La stanza era molto grande, con letti disposti a fila lungo tutto il muro. Dalla parte opposta, un lungo tavolo in legno, completo di panche nel medesimo materiale, faceva da padrone. C’erano armi appese ovunque, ed un grosso camino, che stava vicino ad un letto, che molto probabilmente sarebbe toccato al generale. La stanza non era vuota, c’erano già un paio di ragazzi seduti sui letti a disfare le loro borse. Smisero di parlare e i loro sguardi si poggiarono su di me. 
"Salve, signori" li salutai abbozzando un leggero sorriso. Loro si alzarono e avanzarono verso la mia direzione. Angelica era rimasta accanto alla porta titubante. Quando furono abbastanza vicini, mi sorrisero e si presentarono. Iniziammo a parlare, sembravano persone abbastanza socievoli. Mi voltai un attimo per ringraziare la ragazza, ma era già scomparsa. Sospirai e tornai dagli altri. Poco dopo, la stanza cominciò a riempirsi di ragazzi provenienti da tutte le provincie del regno. Alla fine, entrò il generale, un uomo dall'aspetto severo ed autoritario. Aveva i capelli castani e degli occhi verdi stupendi. Rimasi stupito dal suo aspetto, indossava la divisa ufficiale ed in mano reggeva una borsa. Riconobbi quell'oggetto, era il mio. L’avevo lasciato sulla piazzetta per aiutare Angelica. Sollevò il braccio in cui reggeva la borsa ed esclamò:
“Di chi è?”
Mi alzai dalla panca in cui ero seduto e risposi, reclamando l’oggetto che mi apparteneva.
“Non dovresti lasciare la tua roba in giro” mi riprese con quella voce roca e profonda. 
“M-mi scusi” balbettai afferrando la borsa. 
Tornai al mio posto ed un ragazzo, accanto a me, si avvicinò per parlarmi all'orecchio.
“Non preoccuparti, lui fa così con tutti. Non farti ingannare dal suo aspetto” mi disse con un sorriso malizioso.
“Tu lo conosci?” chiesi incuriosito dalle sue parole.
“Si. Da tre anni ormai” disse scrollando le spalle, “non ci crederai mai, ma lui ha solo due anni in più di te” rise.
“Cosa? Ha solo 21 anni?” chiesi alzando il volume della voce.
“Shh” mi azzittì subito. “Non urlare.”
“Scusa” dissi, trattenendo le risate a stento.
“Comunque si, ha 21 anni” rispose sorridendo a sua volta.
Non avrei mai pensato che fosse così giovane. Rimasi sbalordito. 
In quel momento le campane suonarono, avvertendoci che era già mezzogiorno. 
Ci sedemmo intorno al tavolo, in attesa del nostro pranzo. Pochi minuti dopo entrò una donna grassottella, con un grosso pentolone tra le mani.
“Buon giorno ragazzi” ci salutò calorosamente, “buon giorno anche a te Federico” si rivolse poi al generale. Federico. E così era questo il suo nome.
La donna porzionò il cibo e lo divise tra di noi. Poi tornò in cucina e iniziammo a mangiare. 
Sarà fantastico vivere qui pensai.
***
Passò una settimana da quell'affermazione e non avevo alcuna intenzione di ricredermi. La vita al castello era sempre più interessante e piena. Le giornate passavano e gli allenamenti erano sempre più duri ed estenuanti. Ogni giorno che passava scoprivo sempre qualcosa in più del generale. Era sempre una sorpresa notare quante cose interessanti lo riguardassero. Era l’ultimo di cinque fratelli, tutti arruolati nell'esercito, come il padre. Gli altri ragazzi mi avevano raccontato molte cose su di lui, ma ogni volta che i miei occhi si incontravano con i suoi, sentivo che non era tutto. C’era ancora qualcosa che non sapevo e volevo capire cosa fosse. 
Poco tempo dopo, mi accorsi che questa curiosità nei confronti di Federico si era trasformata in qualcosa di più. Un sentimento più forte e passionale mi aveva completamente travolto. Non comprendevo ancora questa emozione, ma una sera finalmente capii perché sentivo il mio cuore stretto in una morsa così soffocante. 
Ero rimasto in cortile ad allenarmi con la spada. Dall'angolo vidi spuntare Federico. Continuai ad esercitarmi, ma fu difficile ignorare i suoi occhi, dannatamente belli e penetranti. Mi voltai, nel tentativo di scacciare pensieri poco casti su di lui. Mi sentivo strano, non mi era mai capitato prima di quel momento. Ero stato con un paio di ragazze, ma nessuna di loro mi aveva fatto sentire in quella maniera. 
Sentivo le mie guance avvampare ed il mio cuore stava letteralmente impazzendo, sembrava volesse uscirmi dal petto. L’agitazione aumentò quando lo sentii avvicinarsi a me. I suoi passi si facevano sempre più vicini, fino a quando la sua ombra, creata grazie alle torce che ci circondavano, non si fuse alla mia.
“Devi muoverla in questo modo” mi disse poggiando la sua mano sulla mia e dettandomi i movimenti da seguire.
Le gambe mi tremarono per un istante a sentirlo così vicino. Trattenni il fiato involontariamente, nell'attesa di una sua prossima mossa.
L’avevo capito. Finalmente avevo inteso quello che il mio cuore cercava di dirmi da molto tempo. Quello che provavo per il generale non era semplice ammirazione o stima, era qualcosa di più, molto di più. Amore. Ecco cosa provavo per lui. Scoprirlo fu una pugnalata al cuore. Non era normale che un ragazzo fosse attratto da un altro ragazzo. Era uno scandalo. Non era ammissibile questo tipo di sentimento. Dovevo dimenticarlo. Riporlo in un angolino buio del mio cuore e scordarmelo. Era la cosa migliore.
“Mi lasci” farfugliai con un grosso nodo alla gola.
Scivolai via dalla sua presa e mi allontanai. Delle lacrime calde scendevano libere lungo le mie guance ancora rosse. Lui si accorse del mio pianto e cominciò a seguirmi. 
"Riccardo che succede?" quasi urlò. Era la prima volta che pronunciava il mio nome.
Non risposi, semplicemente continuai a scappare, come facevo sempre di fronte ai problemi.
“Riccardo!” mi richiamò velocizzando il passo. Mi raggiunse e si pose dinanzi a me, intralciandomi la strada.
Rimase in silenzio, ad osservare le lacrime sgorgare dai miei occhi rossi. Sollevò la mano e passò il suo pollice sulla mia guancia, asciugandomela. Mi sentii attraversato da migliaia di scariche elettriche. Nonostante sapessi che se mi fossi dichiarato tutto sarebbe andato storto, sentivo che di lui potevo fidarmi. Gli accarezzai la mascella, perfettamente scolpita. Il mio respiro era pesante ed esitante. Aspettavo un suo gesto, una sua parola, qualcosa che mi facesse capire almeno un po’ cosa pensasse.
All'improvviso mi prese per il polso e iniziò a tirarmi verso le scale che portavano ai sotterranei. L’unica cosa che vedevo era la sua schiena e le sue spalle, estremamente larghe e possenti. Le sue dita erano strette intorno al mio polso, quel contatto mi faceva girare la testa. Arrivammo alla prigione sotto il cortile centrale del castello. 
“Dove mi state portando?” chiesi con voce tremante.
La sua bocca non lasciò uscire nemmeno una parola in grado di far sparire la mia ansia e la mia preoccupazione.
Percorremmo lo stretto corridoio, evitando le torce accese ai lati. Entrò in una delle ultime celle e mi ci tirò dentro. Spostò la pesante porta di legno e se la chiuse alle spalle. Non riuscivo a comprendere cosa stesse per fare. Tornò a fissarmi con i suoi occhi, che in quel momento mi parvero talmente trasparenti che avrei potuto incontrare uno sguardo blu notte, così acceso dalla passione, dalla perplessità e dal bisogno che mi avrebbe ferito: il mio. Avanzò verso di me, costringendomi ad indietreggiare. Le mie spalle toccarono il muro freddo di cemento e Federico era ormai a pochi centimetri da me. Sentivo il suo respiro sul mio viso. Era più alto di me di un paio di centimetri, ma nonostante questo, mi sentivo davvero minuscolo vicino a lui. Il suo busto si abbassò ed i nostri visi si avvicinarono sempre di più. Le sue dita si intrecciarono ai miei capelli corvini. Le sue labbra sottili si incontrarono con le mie rosee e carnose. Non potevo crederci. Il ragazzo che amavo mi stava baciando in una cella nel sotterraneo. Qualche mese fa non avrei creduto a niente di quello che mi stava accadendo. Le mie mani corsero lungo il suo addome, per poi tastare il suo petto e risalire per il collo. Raggiunsi la nuca e lo tirai a me, non volevo che se ne andasse o che questo bacio voglioso e passionale finisse. Migliaia di sensazioni attraversarono come frecce il mio cuore e la mia mente. Ansimai staccandomi da lui, per riprendere quel fiato che quel diavolo di passione,di calore e di sensazioni mi aveva portato via e che,sperai, non fosse l'unico a esser rubatomi. Le mie labbra bruciavano, come il mio cuore. Volevo quell'uomo tutto per me, nessun altro avrebbe dovuto toccarlo, baciarlo o solo guardarlo nel modo in cui lo facevo io.
“Ti amo” sussurrai poggiando la mia fronte alla sua. 
Lui continuò a baciarmi, questa volta in modo più dolce e lento, quasi volesse assaporare quel momento il meno velocemente possibile. Mi morse il labbro inferiore, scatenando un gridolino di dolore da parte mia. Lui sorrise leggermente, per poi disgiungere le nostre bocche.
Mi rivolse un ultimo sguardo. Uno sguardo che non riuscivo a decifrare. Un misto tra desiderio e tristezza e rimorso. Sapevo che quello che avevamo appena fatto era sbagliato, ma il bisogno di amarlo era molto più forte.
Mi lasciò da solo, senza dire parole. Avevo ormai capito come fosse il suo carattere, ma dopo quello che era successo, una parola da parte sua me la sarei aspettata. 
Piansi un’altra volta, seduto in terra, con solo la luce fioca della torcia ad illuminare l’ambiente.
Probabilmente l’aveva fatto solo perché voleva, non di certo perché provava qualcosa per me.
I giorni passavano, e con essi anche la speranza che quell'episodio si ripetesse un’altra volta. Era tornato ad essere quell'uomo distante e freddo che avevo conosciuto il primo giorno che venni al castello. 
Ogni tanto mi sembrava di rivedere lo stesso sguardo che quella sera mi rivolse, ma era tutto un’illusione, si stava prendendo gioco di me. Dovevo farmene una ragione al più presto. 
“Riccardo cosa hai?” mi chiese Angelica vedendomi vagabondare per il cortile.
“Non preoccuparti, non ho niente” risposi evitando il suo sguardo. Mi ero ridotto in quella situazione da un po’ ed Angelica se n’era accorta. 
“Dimmi la verità” mi implorò prendendomi le mani. Schiusi la bocca per risponderle, ma una voce mi fermò:
“Il castello è stato assediato. Tutti i soldati si tengano pronti ad un eventuale attacco!” strillò un uomo. Urlai ad Angelica di correre nei sotterranei per stare al sicuro, poi mi guardai intorno. I miei compagni indossavano già l’armatura ed impugnavano le armi per contrastare i nemici. Carlo, un ragazzo conosciuto durante la mia permanenza al castello, mi lanciò uno scudo, un elmo ed una spada. Li indossai e mi preparai al contrattacco. Gli arcieri tentavano di allontanare i soldati dell’esercito avversario, ma invano, visto che erano già riusciti a buttare giù il ponte levatoio. Entrarono urlanti, agitando le spade al cielo. Strinsi la mia e corsi contro di loro. Cominciai a battermi, ma quell'uomo era decisamente più grosso e più forte di me. Non potevo farcela e la fatica iniziava a prendere il sopravvento.
Mi guardai attorno, i nostri erano in netto svantaggio. Molti dei ragazzi con cui avevo legato, adesso erano distesi sul suolo, sporchi di sangue. Il dolore cominciò a stringermi il petto in una morsa asfissiante. Le lacrime erano prossime, ma non potevo permettermi di piangere ancora. 
“Riccardo!” mi chiamò qualcuno, spostandomi violentemente verso destra. Mi ci vollero una manciata di secondi per capire cosa era appena successo. Federico mi aveva colpito al fianco per salvarmi da un colpo che mi avrebbe sicuramente ucciso. Lo guardai riconoscente e gli sorrisi. Lui fece lo stesso, ma non appena sollevò i lati della bocca, un rivolo di sangue gli colò lungo il mento. I suoi occhi erano umidi ed il suo viso era rilassato come a dirmi ‘Sei salvo’. Mi accorsi della spada che lo trafiggeva al centro dell’addome. Il sangue colava abbondantemente, macchiando la sua maglia. Il soldato ritrasse la spada, facendo gemere di dolore Federico, che cadde a terra. A quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime, che sgorgarono generose dai miei occhi. Ero scioccato, non riuscivo a credere ai miei occhi. La tristezza fu scacciata via da un altro sentimento, più forte ed intenso: rabbia. Mi avventai contro quell'uomo, combattendo con tutta la forza che avevo in corpo. Urlavo ad ogni colpo che gli infliggevo e quando l’uccisi, gettai la spada e tornai da Federico. Caddi a terra e lo sollevai leggermente da terra, sorreggendolo con le mie braccia.
“Federico…” dissi singhiozzando.
Era ancora cosciente, ma vedevo che i suoi occhi si stavano piano piano spegnendo. Avevano perso la luce che li attraversava ogni volta che mi guardava. Mi ero promesso che l’avrei dimenticato, ma ero certo che non ci sarei riuscito. 
“Federico, ti prego non lasciami” lo supplicai. 
Lui mi sorrise rassegnato. “Mi dispiace” sussurrò con la sua voce roca.
“No, scusami tu. Sono un incapace” ribattei cullandolo avanti ed indietro.
“Ti amo Riccardo.”
Mi mancò il respiro. Avevo desiderato così tanto sentirgli dire quelle parole, ed adesso che me le aveva finalmente dette, io non avrei potuto stargli accanto. A volte la vita è davvero ingiusta. 
“Allora perché quella sera mi hai lasciato in quel modo?” chiesi.
“Non volevo che soffrissi a causa mia. Io ti ho amato dal primo momento che ti ho visto, e sapevo che avresti provato dolore nello starmi accanto” mi spiegò accarezzandomi una guancia.
Io gli poggiai la mia mano sulla sua e risposi:
“Non c’è dolore più grande che non starti vicino. Sopporterò il dolore se necessario” singhiozzai con le labbra imbevute di lacrime calde e salate. 
“E’ troppo tardi, mi dispiace” disse esalando l’ultimo respiro.
“No. No, Federico. Apri gli occhi” urlai stringendolo a me. 
Federico non fu l’unico a morire. Quel giorno, qualcosa dentro di me si spezzò. Non sarei più stato capace di amare qualcun altro. Lui era l’uomo della mia vita, del mio destino, lo stesso destino che me lo aveva strappato via…
Mi svegliai di colpo, impregnato di sudore ed ansimante. Mi guardai intorno, non ero più nel castello, bensì in una camera da letto, la mia camera da letto. Ero coperto da delle lenzuola di cotone. Mi voltai verso la mia sveglia. Le 6:27. Guardai verso la finestra, il sole era appena sorto ed un fascio di luce attraversava la stanza. Ripensai al sogno appena concluso con un filo di amarezza. Era stato davvero terribile. Scrutai la parte opposta del letto e fui felice nel vedere Federico ancora sognante di fianco a me. Mi sentii sollevato nel vederlo con me e soprattutto vivo. 
Sorrisi e mi avvicinai a lui, lasciandogli un leggero bacio sulle labbra.
“Ti amo Federico.”
   
 
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