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Autore: Melabanana_    15/03/2015    2 recensioni
SPY ELEVEN AU. Spinoff, Gazel-centric.
Gazel è un ragazzo cupo e disilluso, senza famiglia, né amici. Quando uno sconosciuto gli offre un posto in un centro d'addestramento per ragazzi "speciali", Gazel accetta perché non ha nulla da perdere, ma questa decisione potrebbe rivelarsi molto più di una semplice svolta. È un punto di rottura: la sua vita sta per cambiare per sempre. Rating arancione per: tematiche delicate, violenza.
Autrice: Roby
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Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era stretto intorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Ahah, non ho avuto tempo di betare il capitolo. Spero che non ci siano errori(?).
Buona lettura!


Act.2 – Wounded
«I will never feel anything else until my wounds are healed.»
(Somewhere I belong - Linkin Park)
 
Le pareti della stanza erano nude, umide e minacciose; sembravano incombere su di lui non appena apriva gli occhi. Gazel aveva la sensazione che potessero chiudersi sul suo corpo da un momento all’altro, e allora il centro d’allenamento sarebbe diventato una buia catacomba.
Non erano dei bei pensieri con cui cominciare una giornata.
-Te l’hanno mai detto che ti agiti nel sonno?- chiese Afuro all’improvviso.
Gazel girò lievemente il capo e vide la sua testa bionda spuntare oltre la sbarra del letto superiore.
-No- rispose mentre si metteva a sedere. –Non avevo compagni di stanza all’orfanatrofio.
-Ah, beh… Ti agiti nel sonno, ora lo sai.
Gazel non commentò. Sbadigliò, si stiracchiò come un gatto e scalciò via le coperte per non inciamparci mentre scendeva la scaletta.
Afuro era già in piedi e si stava vestendo: aveva già indossato un paio di jeans neri e stretti e gli stessi stivaletti del giorno prima, e di quello prima ancora. Sembrava che per lui l’idea di mettere delle scarpe da ginnastica non fosse neanche contemplata. S’infilò una maglia a righe grigie e dorate, poi buttò fuori dal colletto i capelli che vi erano rimasti impigliati e li lasciò ricadere come una cascata sulle spalle. Gazel lo osservava con interesse.
Ogni tanto, si scopriva a pensare che non sarebbe stato male essere così – Afuro sembrava avere una sicurezza in se stesso sconfinata, intaccabile, e Gazel non poteva negare di esserne invidioso. Non che a lui interessasse il giudizio degli altri, ma a volte gli veniva spontaneo chiedersi come si facesse ad apparire così spensierati. Osservando i gesti lenti, sicuri e sereni di Afuro, Gazel aveva l’impressione che l’altro non avesse nessun problema nella vita, che fosse completamente libero. E Gazel era avido di libertà. Era avido di sicurezze.
All’improvviso Afuro scoppiò in una mezza risata; Gazel si riscosse dai propri pensieri, sbatté un paio di volte le palpebre e, mettendo davvero a fuoco il compagno, si rese conto che anche l’altro lo stava fissando.
-Ehi, so di essere bellissimo, ma dovresti darti una mossa- gli fece notare Afuro, mite.
Gazel aggrottò la fronte, imbronciato per il fatto di essere stato beccato in un momento di distrazione. Distolse rapidamente lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli spettinati per mascherare l’imbarazzo; poi si mise a frugare tra le coperte del proprio letto nella ricerca dei vestiti che il giorno prima aveva tolto e buttato là alla rinfusa: era sempre così, le giornate d’allenamento lo sfinivano al punto tale che si trascinava in camera come uno zombie e non faceva mai veramente caso a dove metteva le proprie cose. E, per dire la verità, non era nemmeno cose sue. Benché fosse passata già una settimana i vestiti tardavano ad arrivare e Afuro continuava a prestargli abiti che non gli stavano mai giusti, sempre troppo stretti intorno alle spalle o troppo larghi sul torace.
Finalmente trovò la maglia nera e i bermuda e se li infilò in fretta. Afuro si ficcò le chiavi in tasca e si appoggiò alla porta; aveva indossato un gilet marrone sulla maglietta e sembrava già pronto ad uscire, tuttavia lo stava aspettando, come tutte le mattine. Al contrario degli altri ragazzi, che perlopiù lo ignoravano, il biondo non aveva mai mostrato altro che cordialità nei suoi confronti. Gazel non riusciva a non pensare che fosse strano e lottava costantemente verso la piccola parte di sé che si compiaceva di quelle attenzioni.
-Hai finito?- domandò Afuro senza impazienza.
Gazel si piegò ad afferrare i sandali, li calzò rapidamente e poi annuì. Afuro aprì la porta, aspettò che lui uscisse e la richiuse alle loro spalle. Le chiavi tintinnarono contro la serratura e Gazel le fissò; oltre ai vestiti, ancora non aveva avuto il suo mazzetto di chiavi, ma ne aveva già memorizzato i colori. Li ripeté in mente, per calmarsi e per riempire il silenzio mentre lui e Afuro risalivano le scale a chiocciola.
Giallo, stanza.
Verde, mensa.
Azzurro, sala addestramento…
-Ehi, buongiorno!- Una voce allegra lo interruppe, facendogli perdere il filo. Gazel non aveva bisogno di alzare lo sguardo per sapere chi l’avesse chiamato; non si poteva dire che Endou non si facesse notare, visto che parlava sempre ad un volume eclatante, terribilmente fastidioso. Il ragazzo stava davanti alla porta della mensa e, subito dopo che aveva finito di parlare, accanto a lui comparve anche Kiyama. Quei due erano inseparabili.
-Buongiorno!- Afuro rispose al salute, mentre Gazel e Kiyama si limitarono a fare un cenno col capo. Kiyama gli sorrise, ma Gazel non ricambiò.
All’interno della mensa, il resto dei ragazzi si era già riunito per la colazione e, dalle facce stanche e tramortite di alcuni, era evidente che il programma di allenamento di Chang Soo non sfiancava soltanto lui – Gazel si sentì lievemente rincuorato da questo pensiero.
Passò tra Endou e Kiyama, si avviò verso il tavolo in fondo, ancora deserto perché Chang Soo non aveva ancora portato la colazione, e prese un vassoio dalla pila che troneggiava al centro dell’incerata a quadri. Quando si girò, inciampò e per un soffio non fece cadere il vassoio, riuscendo a stento a restare in equilibrio; si guardò intorno per vedere cosa lo avesse fatto cadere e i suoi occhi si posarono, indifferenti, su due ragazzi che conosceva di vista.
-Cosa succede, novellino? Non riesci neanche a stare in piedi?- esclamò il più basso, che si chiamava Hepai. Aveva la pelle color caffè (Gazel aveva sentito dire che aveva una qualche discendenza indiana) e capelli violacei, ondulati, che gli arrivavano fino alle spalle. Il ragazzo a fianco a lui, che lo accompagna sempre, era alto e largo il doppio e portava i capelli legati in una treccia laterale; dietro di loro c’era anche Eun-Young, che lanciò a Gazel un’occhiata aggressiva: sembrava dispiaciuto che non fosse caduto.
Sicuro al cento per cento che Hepai gli avesse fatto lo sgambetto di proposito (la sua espressione divertita non lasciava dubbi), Gazel gli diede subito le spalle, deciso ad ignorarlo.
Hepai, insoddisfatto dalla sua mancanza di reazioni, continuò a parlare alle sue spalle, attento a tenere un tono abbastanza alto perché l’interessato potesse sentire.
-E ti pareva, non sia mai che il signorino “Cuore di ghiaccio” mostri dei sentimenti! Ammesso che ne abbia… Un robot fatto e finito. Si saranno anche dimenticati di dargli un cuore…- disse, facendo ghignare Eun-Young e l’altro ragazzo di cui Gazel non ricordava il nome.
-Falla finita, Hepai- sbuffò Afuro, intromettendosi nella conversazione (se così si poteva chiamare, visto che Hepai stava facendo tutto da solo). Era comparso all’improvviso al fianco di Gazel e aveva anche lui un vassoio in mano - dalla sua espressione sembrava volerlo usare più come arma che non come piatto. Pareva che, per qualche motivo che Gazel ignorava, tra Afuro e Hepai non corresse buon sangue.
Il ragazzo dai capelli viola rivolse ad Afuro un sorriso tanto innocente quanto falso.
-Farla finita? Ma io non sto facendo niente. Non è colpa mia se il tuo amico non si regge in piedi…- smise di parlare non appena vide Chang Soo e Jo Jung-Soo (lo skinhead che spesso aiutava la Spy Eleven a svolgere lavori in cucina) entrare con un pentolone di riso bianco bollito e un carrello colmo di altre pietanze e tazze di ceramica azzurra.
Hepai gettò un’ultima, intensa occhiata maliziosa verso Afuro, poi si voltò e andò a sedersi con i suoi compagni. Afuro alzò gli occhi al cielo e borbottò un paio di parole in coreano prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione verso Gazel; gli afferrò un gomito e iniziò a tirarlo verso il tavolo più in fondo, dove si erano già seduti Kiyama, Endou e Nagumo (quella sembrava essere diventata la loro disposizione standard).
-Devi stare attento a quella gente. Non gli stai simpatico- disse Afuro.
-Ma dai?- ribatté Gazel ironico. Strappò il braccio alla presa dell’altro e aggiunse, brusco:- Non sono affari tuoi. Non immischiarti. Se dai peso alle loro stupidaggini, è anche peggio.
-Cercavo solo di aiutarti- fece notare Afuro, accigliato.
-Beh, non farlo. Non mi serve il tuo aiuto- affermò Gazel, si sedette sul ciglio della panchina a fianco a Kiyama e lasciò cadere il vassoio sul tavolo senza alcuna delicatezza.
Nagumo, che era seduto di fronte a lui, fischiò tra i denti.
-Qualcuno si è svegliato di umore radioso, stamattina- commentò. Gazel gli rivolse appena un’occhiata e tornò a fissare il vuoto. Nagumo fece schioccare la lingua contro il palato in un gesto di stizza: non gli piaceva essere ignorato. Aveva un’attitudine egocentrica, arrogante e saccente – proprio il genere di persona che Gazel aveva sempre cercato di evitare.
-Robot non è un soprannome così poco azzeccato, dopotutto- aggiunse Nagumo. Afuro, che stava seduto vicino a lui, gli diede una gomitata sotto il braccio. Gazel non ci fece caso; non gli importava come lo chiamavano, o cosa pensavano di lui. L’unico motivo per cui aveva deciso di rimanere era che non aveva altro posto dove andare, e poi era curioso di sapere quali piani avesse Chang Soo per lui.
Il coreano chiamò il suo nome in quel momento, invitandolo a venire avanti col vassoio per farsi riempire lo stomaco. Gazel districò le proprie gambe da quelle del tavolo e si avvicinò a lui; mentre spiava di soppiatto i movimenti del coreano, che stava riempendo le tazze di riso bianco e uova al tegamino, si ritrovò a chiedersi quante indagini Chang Soo avesse svolto su di lui e quanto sapesse della sua vita. Era andato a scavare nel suo passato, aveva scoperto di quell’incidente… E poi? Cos’altro sapeva di lui?
Chang Soo gli porse di nuovo il vassoio, a cui oltre al riso con uova era stato aggiunto un piatto di verdure varie. Il suo sorrisetto enigmatico era anche terribilmente irritante: gli dava l’impressione che avesse scoperto molte più cose sul suo conto di quante ne sapesse lui stesso. Gazel borbottò un ringraziamento, prese il vassoio pieno di cibo e tornò indietro. Al suo passaggio sentì mormorii e risatine sollevarsi dal tavolo di Hepai, ma fece finta di non sentirle.
Kiyama fu l’ultimo ad essere chiamato, dopodiché Chang Soo rientrò nelle cucine. Approfittando dell’assenza della Spy Eleven, subito si alzarono voci dai tavoli.
-Ehi, Kiyama, ti fa ancora male il braccio? Scusa, non ho controllato bene la forza, non dirlo a tuo padre, eh!- esclamò un ragazzo. Il sarcasmo nella sua voce era a dir poco irritante, però Kiyama non parve dargli peso. Gazel si chiese se non ci fosse abituato.
Aveva saputo da Afuro che Kiyama era figlio di una delle Spy Eleven giapponese e sembrava che per qualche motivo (nonostante Kiyama non ricevesse alcun favoreggiamento per la sua posizione) questo non andasse proprio giù ad alcuni ragazzi.
Vedendosi ignorato, il ragazzo che aveva parlato incalzò:- Che c’è, Kiyama? Aver perso contro di me ti ha scioccato al punto tale che non puoi più parlare?
Gazel lo squadrò di sottecchi, attento a non mostrare troppo interesse: il ragazzo che aveva parlato portava una bandana rosa pallido legata sul mento e aveva i capelli corti, rasati ai lati e dritti in testa come una spazzola. Kiyama ignorò anche la seconda provocazione, mentre Endou scattò in piedi.
-Hai vinto soltanto perché hai barato!- esclamò, sbatté le mani sul tavolo e arricciò le labbra in un broncio. –Chang Soo ci aveva detto di non usare i nostri poteri, e tu invece l’hai fatto!
-Endou, lascia stare- mormorò Kiyama, afferrandogli un braccio, ma Endou non si lasciò tirare giù.
-Ma, Hiroto…!- protestò animatamente. –Avrebbe potuto farti male sul serio!
-Oh, scusa, scusa, non avrei mai voluto rompere il braccio al cocco delle Spy Eleven!- ribatté il ragazzo con la bandana. Eun-Young sghignazzò.
Endou sembrava sul punto di ribattere, ma Jung-Soo s’intromise.
-Baek-Yeon, smettila. Le tue provocazioni sono sciocche ed infantili. Non so se hai barato o meno, ma hai vinto: continuare ad infierire sul tuo avversario non ti fa onore- Lo skinhead parlò in tono mite e serio, era una delle poche persone, in quel posto e in generale, per cui Gazel provava rispetto. Anche Baek-Yeon doveva pensarla così, perché tacque immediatamente; il ghigno non sparì del tutto dal suo volto, ma ebbe almeno la decenza di mostrare un po’ di vergogna sotto lo sguardo severo di Jung-Soo.
Kiyama tirò di nuovo Endou, e questa volta il castano si rimise a sedere.
-Non dovresti dargli corda- disse il rosso, staccando le bacchette. Endou si riempì le guance di cibo per la frustrazione e borbottò una risposta a bocca piena, incomprensibile.
-Apprezzo il pensiero- convenne Kiyama, arrossendo un pochino. –Ma non serve a niente ribattere, o lamentarsi. Le cose si cambiano con i fatti, non con le parole, e lo farò a modo mio.
Endou annuì e deglutì rumorosamente.
-Va bene, ma lui comunque ha barato- esclamò, prese un uovo con le bacchette e se lo infilò in bocca tutto intero. Gazel, che stava spiluccando svogliatamente il riso, osservò con disgusto il suo modo disordinato di mangiare; i suoi pensieri furono distratti da Afuro.
-Finisci tutto ciò che c’è nel vassoio- disse. –Sei scheletrico, devi mangiare di più…
–Smettila. Non sei mica mia madre- brontolò Gazel, cupo. –Non ho fame.- Fece per allontanare la tazza da sé, ma Afuro gli bloccò un polso.
-No, senti, davvero… devi mangiare. Sei così magro che fai spavento.
-Se vuole morire di fame, lascialo fare- intervenne Nagumo, annoiato. –Non capisco perché ti preoccupi tanto per uno come lui, Afuro. Ovviamente non è reciproco, sembra che ti odi. Anzi, secondo me ci odia tutti.- I suoi occhi dorati si sollevarono su Gazel, ardenti.
–Il modo in cui ti atteggi a superiore mi fa venire da vomitare.
-Che coincidenza- replicò Gazel, gelido. –Potrei dire lo stesso di te.
Nagumo lo fulminò con lo sguardo. Non aveva mai mostrato particolare simpatia per Gazel, e il ragazzino si chiese se non dovesse prepararsi a fare a botte. Per un attimo considerò l’ipotesi: probabilmente avrebbe avuto la peggio, dal punto di vista fisico, ma poteva batterlo giocando d’astuzia, perché l’altro non sembrava particolarmente intelligente.
Nagumo ringhiò sottovoce, come se avesse in qualche modo intuito i suoi pensieri. Strinse le dita convulsamente attorno alle bacchette e strinse i denti.
-La prossima volta- sbottò –se capitiamo insieme all’addestramento, ti darò una lezione.
Gazel sbatté lentamente le palpebre, tutt’altro che intimorito.
-Non vedo l’ora- disse, indifferente. Ignorò l’occhiata preoccupata di Afuro. Non aveva bisogno di quello; non aveva bisogno della compassione di nessuno.
 
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Solo un’ora più tardi, stavano tutti in fila al centro del campo di addestramento, aspettando gli ordini di Chang Soo. Alcuni, come Nagumo ed Endou, fremevano di impazienza, ma i più avevano un’aria tranquilla e seria. Kiyama era, come al solito, distaccato e attento a non mostrare i propri sentimenti, mascherandoli con sorrisi cordiali ed educati, mentre Afuro sembrava distratto, perso in chissà quali altri pensieri. Si era messo un po’ in disparte, lontano da Gazel – il ragazzino si chiese se non dipendesse dal modo in cui l’aveva trattato prima, ma scacciò subito il pensiero. Non avrebbe dovuto interessarsi: lui e Afuro erano solo compagni di stanza, non amici. Gazel non aveva amici e si era convinto che sarebbe stato così per il resto della sua vita. Odiava le persone. Non voleva avere sentimenti, non voleva sentire nulla…
-Bene, ci siete tutti, vedo… Oggi ho in serbo per voi un test speciale- esclamò Chang Soo. Camminava su e giù davanti alle sue reclute, con le braccia incrociate dietro la schiena ed un’aria pacifica che Gazel considerava piuttosto pericolosa. Quando Chang Soo era calmo, significava che stava architettando qualcosa di serio; l’ultima volta, risalente a poco meno di due giorni prima, aveva deciso di farli combattere in due contro uno e, benché Gazel avesse evitato di restare schiacciato tra Ju Jung-Soo e Eun-Young, aveva ancora parecchi lividi a ricordargli l’esperienza traumatica. Gazel inspirò a fondo, senza sapere cosa aspettarsi questa volta. C’era sempre una certa malizia, nelle assegnazioni dei partner per il combattimento e Chang Soo sembrava non vedere l’ora di dare a Eun-Young una nuova chance per fracassargli le ossa, visto che aveva fallito già due volte.
-Nessun combattimento per oggi- annunciò Chang Soo. Il silenzio intorno a lui si fece immediatamente teso e sconcertato.
-Nessun… combattimento?- fece eco Nagumo, stupito. Chang Soo gli sorrise.
-Sì, Haruya, sono lieto che tu abbia fatto attenzione- confermò, sarcastico, e il ragazzo diventò dello stesso colore dei propri capelli per la vergogna.
-Oggi testerò i vostri poteri. Ho preparato una piccola prova per voi- continuò il coreano. –Una cosetta facile facile, ma se non ci riuscirete dovrete sottoporvi ad un allenamento alternativo. E non vi assicuro che ne uscirete integri. Tutto chiaro?
Qualcuno deglutì, tutti fecero un cenno d’assenso col capo. Chang Soo ghignò, uscì dalla sala e ritornò con un carrello su cui era poggiato un lenzuolo bianco. Gazel lo fissò, scettico: quando era bambino aveva assistito ad uno spettacolo di magia ad un compleanno e ora si aspettava quasi che Chang Soo sollevasse il telo e facesse apparire delle colombe.
Invece, sul carrello c’era soltanto un bicchiere d’acqua.
-Dalle vostre facce intuisco i vostri dubbi; ebbene, non indugerò oltre nello spiegarvi l’essenza della prova. A turno, vi chiamerò a coppie e dovrete usare il vostro potere sul bicchiere. Naturalmente, anche il vostro compagno farà lo stesso, e voi dovrete impedirglielo- Chang Soo parlò in modo chiaro e lento, scrutando i loro visi, attento ad ogni minimo cambiamento di espressione. –Non potete toccare fisicamente il bicchiere. Non potete usare il vostro potere per far del male al vostro compagno. Dovete soltanto impedirgli di usare il suo potere, e un’infrazione sarà pagata amaramente da entrambi. Non ci sono altre regole.
Gazel ebbe l’impressione che Chang Soo avesse guardato Kiyama, ma i suoi occhi neri si soffermarono su di lui per appena pochi secondi prima di tornare nuovamente a osservare tutti i suoi ragazzi. Kiyama abbassò il capo: per la prima volta, sorprendentemente, sembrava nervoso. Ma Gazel non ebbe il tempo di pensarci troppo.
La sua mente era completamente assorbita dalla prova. Non aveva la minima idea di cosa fare. Lui non aveva nessun dono, benché Chang Soo pareva esserne convinto; e se anche il coreano avesse avuto ragione, se anche Gazel avesse avuto un qualche potere speciale, non sapeva come tirarlo fuori, o come usarlo.
Immobile, dimenticandosi quasi come respirare, ascoltò blandamente quando Chang Soo chiamò i primi due nomi e Afuro e Hepai fecero un passo avanti.
I due ragazzi si fissarono torvi, separati soltanto dal carrello.
Gazel si rese conto solo in quel momento di non aver mai assistito a niente del genere: quello non sarebbe stato un semplice spettacolo di magia, nessuno avrebbe fatto apparire colombe o fazzoletti colorati o conigli da un cappello. L’atmosfera seria e tesa lasciava intendere che stesse per accadere qualcosa di incredibile.
-Cominciate- disse Chang Soo.
Nessuno dei due ragazzi si mosse.
Lo sguardo di Gazel era fisso sul bicchiere, concentrato al massimo, in modo da notare ogni singolo cambiamento. Anche se si aspettava che sarebbe successo qualcosa, non poté evitare di sussultare quando vide l’acqua tremare e tingersi di color terra: inizialmente era un leggero beige, poi diventò ocra, marrone, e così via, sempre più scuro, sempre più torbido. Gazel alzò lo sguardo e vide che i due ragazzi erano ancora immobili, ma un sorriso di trionfo si era stampato sul viso di Hepai. Quindi, era lui – benché in apparenza non stesse facendo nulla, con maggiore attenzione si poteva distinguere un bagliore irradiarsi dal suo corpo e accendergli gli occhi grigi. Alcuni ragazzi, tra cui quello con la treccia che stava sempre con Hepai, cominciarono a mormorare e fischiare in segno di assenso; tuttavia, c’erano anche persone, come Nagumo e Kiyama, che non sembravano per nulla impressionate. Gazel si voltò a spiare l’espressione di Chang Soo, tuttavia il coreano era indecifrabile come al solito.
L’acqua nel bicchiere aveva raggiunto una sfumatura molto scura quando Afuro parlò.
-Non farlo- disse, in tono chiaro e deciso. –Falla tornare normale.
Gazel si accigliò. Cosa diavolo credeva di fare? A giudicare dal modo in cui Hepai lo fissava, irritato e astioso, non avrebbe di certo obbedito.
-Non farlo, Hepai- ripeté Afuro. La sua voce, più forte e più alta di prima, risuonò nella stanza. Hepai strinse i denti e i pugni, ancora più irritato; la fronte, lasciata scoperta dai capelli, era madida di sudore, come se il suo corpo stesse affrontando un enorme sforzo.
Gli occhi di Afuro guizzarono per un attimo sul bicchiere, poi tornarono a fissarsi su Hepai.
-Hepai En- proseguì, impietoso, calcando ogni sillaba del nome.
-Fai tornare l’acqua normale.
Con grande sorpresa di Gazel e la delusione dei più, Hepai socchiuse gli occhi e con un’espressione svogliata e sofferente cedette: il bicchiere ebbe un fremito e l’acqua cominciò a schiarirsi, fino a depurarsi completamente. Afuro e Hepai si fermarono entrambi a guardare il liquido ora cristallino, l’uno con soddisfazione, l’altro con rabbia.
Chang Soo batté le mani.
-Bene, basta così. Afuro, ottimo lavoro, puoi tornare tra i tuoi compagni- affermò. Il biondo annuì, allegro, e tornò a mettersi in linea, mentre Chang Soo si rivolgeva all’altro ragazzo.
-Hepai, sai usare bene il tuo dono, ma devi avere un controllo più fermo sulla tua volontà. Hai resistito abbastanza contro il tuo avversario, ma l’ultima volta ci hai messo almeno un minuto in più a cedere. Hai fatto un passo indietro- disse, severo. –Puoi tornare al tuo posto.
Il ragazzo indiano fece un cenno mogio col capo e rientrò nel gruppo, non senza scoccare un’occhiata astiosa verso Afuro. –Te la farò pagare- sillabò.
-Che paura- ribatté il biondo sottovoce, ironico.
Nagumo si sporse verso di loro e disse qualcosa che suonava come “Avresti dovuto costringerlo a gettarsi l’acqua in faccia”, facendo ridere Afuro e avvampare Hepai. Quando Nagumo si voltò di nuovo, i suoi occhi incrociarono quelli di Gazel e, per un attimo, parve sorpreso, come se avesse notato qualcosa d’inaspettato. Gazel distolse immediatamente lo sguardo e tornò a concentrarsi su Chang Soo.
Chiamò il suo nome, insieme a quello di Jung-Soo.
Gazel si costrinse a muoversi, gli sembrava che ogni passo fosse pesantissimo, quasi come se le sue scarpe fossero di piombo. Aveva il respiro corto, ma si sforzò di mantenerlo regolare; a costo di dover far finta di inspirare ed espirare, non avrebbe mostrato la propria debolezza, la propria paura. Non si era mai sentito tanto in soggezione e il panico gli stringeva la gola.
Muovendosi per inerzia, arrivò davanti al carrello e si fermò. Jung-Soo era di fronte a lui e non dava cenni di nervosismo.
-Cominciate- disse Chang Soo. Era solo a pochi metri da loro, tuttavia alle orecchie di Gazel la sua voce suonò lontanissima; tutti i rumori erano ovattati, inghiottiti dal rumore del cuore che gli martellava nel petto. Provò rabbia e odio verso Chang Soo, che l’aveva gettato in quella situazione senza chiedergli il permesso: lo aveva messo all’angolo. Ora Gazel non aveva scelta se non provare a fare qualcosa. Ma cosa? Cosa avrebbe potuto fare? Il pensiero che dentro di lui potesse esserci un potere nascosto e misterioso era tanto spaventoso quanto elettrizzante. Gazel non aveva proprio idea di cosa aspettarsi. Respirò a fondo, giusto per ricordarsi che poteva. Mentre fissava l’acqua, impotente, in lui si accese la debole speranza che il “dono” di cui parlava Chang Soo esistesse veramente.
L’acqua nel bicchiere cominciò a tremare, formando cerchi concentrici sulla sua superficie, e Gazel si irrigidì. Non sentiva nessuna energia scorrere dentro di sé. Alzò gli occhi su Jung-Soo e lo vide concentrato, determinato. L’acqua si sollevò in un mulinello e danzò sopra il bordo del bicchiere, minacciando di traboccare; misteriosamente, però, riuscì a restare nei bordi, il mulinello vorticava su se stesso veloce e torbido, agitandosi come un animale in gabbia.
-Basta così- disse Chang Soo. Il mulinello si fermò e ricadde nel bicchiere con un tonfo, qualche goccia schizzò fuori e macchiò il lenzuolo bianco ancora poggiato sul carrello. Jung-Soo aggrottò la fronte e spostò lo sguardo dal bicchiere a Gazel, poi a Chang Soo: sembrava sorpreso e nei suoi occhi c’era un’implicita domanda. Ma, dal momento che Chang Soo li rimandò a posto senza dire nulla, Jung-Soo capì che l’argomento era delicato ed evitò commenti, cosa che Gazel apprezzò molto.
Il ragazzino si trascinò in avanti, passò in mezzo al gruppo senza guardare nessuno e si appoggiò alla parete di vetro. Non voleva pensare. Si accorse a stento che Endou e Nagumo erano stati chiamati, poi Kiyama e tutti gli altri, e capì che la prova era finita solo quando Chang Soo gli si avvicinò e gli prese un braccio.
-Vieni con me- disse. –Dobbiamo parlare.
Gazel esalò un respiro tremulo.
 
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Dopo l’allenamento gli altri ragazzi erano andati come al solito verso le docce, tutti tranne Gazel, che era stato costretto da Chang Soo a seguirlo nel suo ufficio; il coreano non disse nulla mentre lo trascinava con sé. Doveva trasportarlo praticamente di peso, perché Gazel sentiva ancora le gambe pesanti, molli per la tensione.
Quando finalmente arrivarono alla stanza, Chang Soo lo spinse dentro, entrò e poi richiuse la porta alle proprie spalle. Fece il giro della scrivania e si sedette dietro un cumulo di fogli scritti.
-Immagino che tu sappia perché sei qui- cominciò dopo un paio di minuti di silenzio.
Gazel, in piedi in mezzo alla camera, rimase a fissare il pavimento con il viso chino; invece di rispondere, si morse il labbro inferiore e stette in silenzio.
Chang Soo continuò:- Entrambi sappiamo cosa è successo questa mattina. Quello che vorrei chiederti è se sia stato volontario o meno. Stai protestando contro qualcosa?
-Sta insinuando che l’ho fatto apposta?- Gazel non poté fare a meno di sbottare, incredulo.
-Cosa crede, che io sia stupido? Chi mai vorrebbe umiliarsi così davanti a tutti?- esclamò. L’espressione di Chang Soo, priva di emozioni, gli faceva montare una rabbia sorda, violenta. Avrebbe volentieri preso uno ad uno i suoi libri, avrebbe voluto strapparli e poi gettarne i pezzi sulla scrivania, davanti a lui, qualunque cosa pur di scatenare una reazione.
-Ma soprattutto cosa lo fa essere così sicuro che io abbia qualcosa di speciale? Cosa sa lei di me? Cosa diavolo vuole che faccia?- La sua voce rimbombò nel silenzio nonostante non avesse urlato. Gazel si fermò a riprendere fiato, e mentre ansimava strinse i pugni così forte che le dita gli facevano male.
-Vorrei che tu ti sottoponessi alla prova alternativa, dopodomani- affermò Chang Soo, tranquillo, come se quella fosse stata una conversazione normale.
-Ammetto di aver pensato che stessi nascondendo qualcosa. Credevo che, mettendoti all’angolo, avresti tirato fuori il tuo potenziale. Evidentemente, però, mi sbagliavo- aggiunse, abbozzando un sorriso costernato. –Ti porgo le mie scuse; tuttavia, non devi sentirti umiliato in alcun modo. È normale trovarsi di fronte a situazioni difficili.
Ma in quella situazione mi ci hai messo tu, testa di cavolo, pensò Gazel, irritato. Non se ne faceva niente delle sue scuse e, sicuramente, Chang Soo sapeva come la pensava. Gazel avrebbe voluto insultarlo, invece si sforzò di restare calmo e scrollò le spalle, apparentemente indifferente.
-Cos’è questa prova alternativa? Cosa devo fare?- chiese.
-Oh, è un semplice percorso ad ostacoli. Con un po’ di allenamento ci riuscirai senza problemi.
-Sbaglio, o oggi ha detto che avremmo potuto non uscirne “integri”?
Chang Soo non smise di sorridere.
-Direi che questo sta a te e alle tue capacità- rispose. –Oggi pomeriggio, invece di prendere parte all’allenamento con i tuoi compagni, ti allenerai da solo su quello. Ora puoi andare alle docce, dopo pranzo ti farò vedere di cosa si tratta.
Gazel gli diede le spalle e uscì senza esitare: era dal primo momento in cui era cominciata quella conversazione che non vedeva l’ora di esserne congedato. Chiuse la porta e s’incamminò nel corridoio. Non aveva voglia di vedere nessuno, perciò non andò alle docce, né in mensa; per un momento fu tentato di tornare in stanza e mettersi a letto, ma anche quello avrebbe voluto dire passare in mezzo alla gente.
La grotta era piena di corridoio umidi ed inesplorati e, arrivato ad un bivio, Gazel s’infilò in un cunicolo stretto, senza uscita. Il ragazzino si accovacciò a terra, tirò a sé le ginocchia e ci affondò il viso, respirando piano – non era cambiato nulla da quando stava in orfanatrofio. Si sentì stupido per aver sperato, anche solo per un attimo, di poter essere speciale; come al solito, era stato velocemente disilluso.
La luce sembrava ancora lontana, evanescente, inafferrabile più che mai – Chang Soo aveva ragione, non l’avrebbe mai catturata, perché i suoi occhi non riuscivano a vederla. Gazel si strinse nelle ginocchia e affondò le dita nei lembi della maglia che non era sua. Anche in quel momento, con un dolore lancinante al petto, non riusciva a piangere.
Un robot fatto e finito, si ripeté, un robot. Chiuse gli occhi.
 
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso, ma se i gorgoglii prodotti dal suo stomaco erano un’indicazione, l’ora di pranzo doveva essere passata da un pezzo. I muscoli gli facevano male per essere stato tanto tempo nella stessa posizione, accovacciato e rannicchiato su se stesso. Gazel non aveva la minima voglia di muoversi.
Sbatté lentamente le palpebre e mise a fuoco la galleria vuota e silenziosa; doveva essersi appisolato senza rendersene conto. Si sentiva più stanco che mai, sia fisicamente che mentalmente.
Un rumore di passi lo colse di sorpresa e lo fece sussultare. Gazel si girò verso la figura che era comparsa alla bocca del cunicolo, e che ora si avvicinava a lui camminando con la schiena china e i capelli che le cadevano in avanti, sulle spalle e sul volto.
-Ah- mormorò Afuro, sollevato. –Finalmente ti ho trovato.




 
**Angolo dell'Autrice**
Buon pomeriggio c:
Questo capitolo ha fatto abbastanza male - un po' perché scrivere su una persona così disillusa fa venire tristezza anche a me, e un po' per la situazione in sé. Insomma, in questo centro d'addestramento malelingue, pregiudizi e battibecchi sono all'ordine del giorno (per ora Nagumo e Gazel non vanno tanto d'accordo, ma il loro rapporto migliorerà, giuro XD). Hepai è un personaggio abbastanza rompiscatole in questa fic e causerà dei guai anche nei prossimi capitoli; il ragazzo con la treccia che è sempre con lui è Ares (entrambi sono giocatori della Zeus in IE). Ju Jong-Soo, Eun-Young e Baek-Yeon sono giocatori della Fire Dragon, la nazionale coreana di IE. Ci sono un sacco di nomi coreani in questa storia, so già che finirò per confondermi (lol) :'D
Per la prova del "bicchiere d'acqua" mi sono ispirata al test che si svolge in HunterxHunter per stabilire le categorie di nen.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio vivamente le persone che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie anche a tutti quelli che hanno aggiunto la fic tra le preferite o seguite <3
Alla prossima! 
               Roby 
   
 
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