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Autore: La Setta Aster    16/03/2015    1 recensioni
Vi è mai capitato, scrutando il cielo, di sentire dentro di voi la sensazione che altri occhi come i vostri siano puntati al firmamento in cerca di risposte? E se vi è capitato, avete provato a parlare con le stelle? Aster, una ragazza aliena di Neo Cydonia, e James, un giovane terrestre come voi, a distanza di anni luce hanno in comune un cuore sempre in fuga dal mondo, in direzione dell'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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La scuola era ormai finita da tre giorni. Il giorno che James stava vivendo in quel momento era un venerdì, e il sabato seguente avrebbe dato una grande – per così dire – festa a casa del suo amico fraterno Graziano, con tutti i suoi – pochi – amici e la band, con la quale avrebbe suonato nel giardino, dopo aver ottenuto il permesso del comune. Ma non era ancora detto che quel momento di gioia e divertimento sarebbe giunto: venerdì, il giorno degli scrutini, era arrivato. In un lasso di tempo che andava dalle due alle quattro del pomeriggio, il telefono avrebbe potuto portare, insieme a quel suono terribile, la notizia della sua bocciatura. Erano le tre, il periodo più asfissiante dell’attesa, quello in cui le telefonate agli sventurati erano più frequenti. Jim guardava il telefono di casa come se fosse una feroce bestia sanguinaria, pronta a dilaniarlo. La massacrante attesa, un’angoscia viscerale, che non lasciava spazio ai pensieri positivi. La testa pulsava, le mani erano gelide, nonostante fosse giugno. Ma era un freddo che le coperte non potevano riscaldare, quello della paura. Le mura di quella casa parevano una quarantena autoimposta, strette corde; avrebbe voluto sbottonarsi il colletto di quella casa per respirare, ma non poteva, dovunque andasse gli occhi del telefono lo seguivano, e l’ansia s’era insediata in ogni molecola di ossigeno di quella casa. Le orecchie stavano allerta come quelle di un gatto spaventato, o di un cieco che cammina in una selva tenebrosa, in una notte di nebbia autunnale. Come un fantasma, l’immagine, la sensazione che il telefono potesse squillare da un momento all’altro lo tormentava, perseguitava. Si sentiva come un uomo bendato, con le spalle a un muro crivellato, in attesa solo dell’ordine, detto ad alta voce. Ogni altro rumore era attutito, dissipato, come ascoltato da sotto una coperta d’acqua; un vicino cantiere, una sega elettrica, cani che abbaiano, un aereo, le macchine…  la speranza era ancora accesa, ogni attimo che passava senza quel suono stridulo e agghiacciante del telefono era un attimo in più di vita, un attimo in più di ansia. Forse non sarebbe mai squillato, forse sarebbe andato tutto per il meglio. Ma fino alla conferma di questa speranza, le orecchie ascoltavano attente e tormentate, gli occhi avevano paura di guardare, quindi lanciavano fugaci occhiate all’aggeggio, senza fissarlo troppo, per non provocarlo, per non svegliarlo. Jim nemmeno si muoveva, se doveva passare davanti al telefono di casa lo faceva con estrema cautela. Il suo supersenso – parte del cervello collegata alla credenza del sovrannaturale – gli suggeriva che quell’ammasso di plastica e circuiti era suo nemico, un terribile nemico che ora stava dormendo. Nella mente di Jim passavano pensieri di un futuro fragile, un sogno funambolo, la delusione data ai suoi genitori, la certezza di non avere certezze. Dopo un lungo e atroce scambio di sguardi fra i due avversari, Jim decise che non poteva star lì ad aspettare. Indossò il suo cappello, si infilò le scarpe, prese la sua amaca e uscì di casa. Fece tutto ciò in fretta e furia, per paura di quel suono maledetto. Anche mentre si allontanava temeva in ogni istante di poter udire un colpo alle spalle, il suo nemico che si era accorto della fuga di Jim. Ogni passo che lo allontanava da casa gli donava sempre più pace. Mentre dentro Jim si muoveva un verme di ansia che gli contorceva il ventre, la giornata pareva volerlo aiutare, accarezzandolo con un caldo sole estivo. La potente luce solare non urtava gli occhi del ragazzo: quella luce, quel calore, erano ciò di cui aveva bisogno. Iniziava a sentirsi meglio. Le mani da fredde, umide ed intorpidite si stavano riprendendo. Anche il freddo pian piano svaniva. Quando vide le verdi e sinuose fronde degli alberi del bosco, anticipate dalla bassa brughiera, sì sentì libero dal terrore. Si addentrò subito nel fitto della foresta, dove non poteva passare nessuno, lontano dalla strada battuta. Si diresse nel luogo dove lui e Graziano erano soliti andare per rilassarsi, lo stesso angolo di bosco dove qualche notte prima avevano cantato e riso dopo una bevuta tra fratelli. Era il luogo perfetto per il suo intento: il sole, attraverso le foglie delicate delle fronde, creava un’atmosfera gradevole, immersa in un verde naturale che conferiva serenità agli animi e dolcezza ai corpi. Jim trovò due alberi alti e robusti; si arrampicò circa a metà di uno, e legò ad un ramo una cima dell’amaca, e poi ripeté l’operazione anche con l’altro albero e l’altra cima. In questo modo, poteva stendersi e rilassarsi, riposare nella maniera che piaceva a lui: coi piedi ben lontano dalla terra. In breve tempo, prese una matita e il suo diario, dove spesso scriveva, parlava con se stesso, appuntava versi di canzoni, descrizioni di ciò che vedeva. Era il momento più rilassante che aveva da molto tempo, e doveva essere solo suo. Scrisse fiumi di grafite, incise almeno una dozzina di fogli di diario, fatto a mano e rilegato con carta di Bucarest raffigurante, tramite un disegno ad inchiostro di mare, una nave in mezzo a una tempesta. Esorcizzò le sue paure scrivendole, per poi passare a descrivere l’immensa pace che provava nel trovarsi a quattro metri dal suolo, immerso nella natura.

Mi sento un po’ stupido a preoccuparmi della scuola, se penso che la bellezza di questo bosco potrebbe essere rimpiazzata da un orrendo hotel pronto ad accogliere uomini grassi e ricchi. Comprendo i tuoi sentimenti. Ma senza un titolo di studio come potranno gli altri umani seguirti e fidarsi di te nella lotta per questo pianeta? Suppongo tu abbia ragione. Che io abbia ragione. Ma per cosa combatteremo se siamo a un passo dal distruggerci? Sono come un ratto che vuole abbandonare la nave prima che affondi. E questa nave sta affondando. Ci uccidiamo per il petrolio o per qualunque altro insulso motivo. Quando finirà saremo rimasti in pochi, e che faremo senza il nostro prezioso petrolio? La nostra intera civiltà ora si basa su quello. Finiremo miseramente? Quali speranze abbiamo? Avete la speranza di chi combatte ancora. Come te, come i tuoi amici. Quando salverete la vostra scuola di musica sarà la dimostrazione che si può vincere. Prima salvate la musica, metaforicamente, e poi aprite gli occhi al mondo. Questo è ciò che dovete fare, la vostra, la tua missione.

 Proprio mentre era immerso nei suoi pensieri, una voce giunse dal basso.

“Jim” lo salutò Graziano “che ci fai lassù?” gli domandò sorpreso.

“cerco pace per i miei sensi, tu che ci fai qui? Cioè, mi fa piacere vederti, ma ti hanno chiamato?”

“nah, ho quattro debiti”

“cazzo, forse era meglio la terza bocciatura”

“tu hai avuto oggi gli scrutini, vero?”

Jim impallidì, quando la morsa della paura lo riprese. Controllò il cellulare. Maledetta tecnologia, non si è mai al sicuro, con te! Annuì.

“vedrai, terranno conto del tuo talento nella scrittura”

“e se così non fosse? Mi spieghi che futuro avrei io? Tre bocciature, nessuna esperienza di lavoro, solo tanti sogni”

“a volte bastano quelli! Vedo nel tuo futuro soldi, fama, e tante donne nude intorno a te che si fanno accarezzare i seni”

“addirittura? Accarezzare i seni?” rise l’amico.

Graziano riuscì a distoglierlo dal suo terrore, e a fargli dimenticare della chiamata finché non furono le quattro e dieci, e Jim fu al sicuro. Festeggiarono con un abbraccio, dopo che Jim fu sceso, e poi si salutarono per tornare ognuno a casa propria. Ora non dovevano fare altro che attendere la folgorante serata nel giardino di Graziano, l’unico luogo abbastanza lontano dalle altre case da consentire ad una rock band di sfogarsi. 

ANGOLO DELL'AUTORE
Signori, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché di Hanck ha solo la supervisione stilistica, e in principio era una 'scena tagliata' negli appunti, ma ora abbiamo deciso di proporvela, in tutta la sua ironia. Si è capito, vero, che la scena deve essere comica? Insomma, qualcuno di noi ha provato veramente quelle sensazioni, e noi crediamo che qualche lettore ci si possa addirittura immedesimare, ma, diciamocelo, paragonare il telefono a un mostro pronto a divorare Jim, e tutta quella ansia così atroce era tanto esaltata da voler suscitare il sorriso... beh, se invece vi siate totalmente angosciati, tanto meglio, vuol dire che siamo stati bravi a descrivere le emozioni di Jim :-D grazie per essere arrivati fin qui nella lettura!
ps: abbiamo migliorato carattere e distanze fra i paragrafi, appena avremo tempo faremo questa modifica anche agli altri capitoli. 
  
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