Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    17/03/2015    5 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Innanzitutto mi volevo scusare per essere sparita per due settimane, ma purtroppo studio una materia a suo modo 'imprevedibile' e, per quanto i miei programmi siano accurati, certe volte non funzionano. Spero che non accadrà più. Purtroppo ho anche ricominciato i corsi e ancora devo recuperare i commenti, ma cercherò di rimettermi in pari con tutto prima di lunedì prossimo, quando ci vedremo con il capitolo 11. Grazie tantissime a tutte le persone che stanno leggendo, a quelli che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/da ricordare, e soprattutto a chi commenta, sia da parte mia che da parte dell'autrice. Ma bando alle ciance e buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: questo capitolo è stato estremamente difficile da tradurre, perchè lungo e delicato e io sono anche terribilmente stanca. Spero non ci siano troppissimi errori T_T... tra l'altro c'è stata anche la poesia che mi ha richiesto parecchio... in origine era tutta in rime baciate, ma, a parte il fatto che ci avrei messo 4 anni per farla nello stesso modo, penso che in italiano sarebbe risultata un po' troppo come una filastrocca. Comunque ho cercato di fare del mio meglio con le reminescenze di letteratura studiata al liceo xD Come sempre, qualsiasi consiglio per migliorare è ben accetto!


The 6th ward
CAPITOLO 10: Ymir

4 mesi, 17 giorni

Levi, sotto sotto, stava scherzando, quando aveva affermato che sarebbe stato ubriaco per più di una settimana, dopo essere stato intossicato dagli imbecilli del reparto sei, ma solo per finire con lo scoprire, che quell’affermazione non poteva poi dirsi un’esagerazione. Si era trovato costretto a prendersi qualche giorno libero in più, per fare in modo di non tornare a lavoro come se fosse stato rapito, seviziato e lasciato in un vicolo abbandonato, ancora sotto l’effetto dei sonniferi. Dare spiegazioni era l’ultima cosa che voleva fare, dunque aveva optato per attingere dalle sue giornate di ferie per poter restare a casa ancora un po'.

Era preoccupato dal fatto che potessero staccare la spina ad Ymir prima del suo ritorno, allora, durante il suo periodo di guarigione, Hanji aveva spiato ogni movimento del reparto sei, per assicurarsi che Levi non si sarebbe perso la dipartita della ragazza. Fortunatamente, non era stata programmata prima di qualche altro giorno. Hanji aveva tenuto d’occhio il reparto sorprendentemente bene, durante la sua assenza. Sembrava quasi che fosse eccitata all’idea di qualsiasi cosa che somigliasse allo spionaggio o altre attività di dubbia legalità.

Prima di andare a lavoro quella mattina, Levi si fece un giro dal ferramenta. Il negozio non era, nello specifico, lungo la sua solita strada, ma la fatiscente mostruosità che utilizzava come auto, era riuscita ad arrivarci comunque. Un ragazzo gentile lo aveva aiutato a trovare un kit per una targa fai-da-te. Sembrava abbastanza semplice: tutto quello che dovevano fare era miscelare il cemento con dell’acqua, metterlo nello stampo e incidere quello che volevano prima che l’impasto si asciugasse. Levi non voleva che Ymir se ne andasse prima che avessero avuto l’occasione di fare la placca per l’alberello di Giuda, che ora occupava uno spazietto nel bosco dei pazienti del giardino nord. Lo avevano piantato tutti assieme, dunque era ovvio che dovevano dedicargli qualcosa tutti insieme. Non era mica che si era affezionato ai ragazzi… il suo era semplicemente buon senso. Ecco tutto.

Al momento del suo arrivo al reparto, fu accolto da uno scroscio di applausi entusiasti. Connie gli diede dato una pacca sulla spalla, annunciando allegramente: “L’eroe trionfante è tornato!”

Levi lo aveva guardato scocciato. “Voi idioti mi avete quasi ammazzato.”

Ma Sasha respinse le sue lamentele, cambiando discorso: “Avresti dovuto vedere la faccia del Dottor Smith quando è entrato nella stanza. Senza prezzo.”

“Be’, considerando che non potevo effettivamente vedere il Dottor Smith attraverso l’annebbiamento dovuto ad una quantità di liquore valida per cinque feste, dovrò usare la mia immaginazione.” rispose sarcasticamente Levi.

“Stai bene però, no?” chiese Bertholdt impacciatamente. “Non abbiamo fatto troppi danni, vero?”

Levi fece un sospiro profondo. “Sopravvivrò.”

“Ho sentito che tu ed Eren avete fatto un pigiama party.” disse Ymir, in tono malizioso.

“Già.” rispose Levi brevemente. Non sarebbe stato al loro gioco di dispetti inutili. Sapeva già come sarebbe finita.

“Come è stato?” chiese Connie, muovendo le sopracciglia su e giù.

Levi non riuscì a resistere. “Stellare. Il sesso fantasma è ancora meglio di quanto si dica,” rispose con espressione seria, e senza battere ciglio, nemmeno mentre recuperava le cartelle dalla saletta delle infermiere, lasciandoli tutti a chiedersi se aveva detto sul serio o meno. Era così facile prendersi gioco di loro.

Alla fine, raccolse le cartelle e si immerse nella sua routine mattutina, che consisteva nello scrivere sempre gli stessi identici dati sulle loro schede, indicando che sì, erano tutti ancora in grado di respirare, ma comunque mezzi morti. Eren era nella sua stanza e alzò lo sguardo con aria d’attesa quando Levi aprì la porta.

“Ancora ubriaco?” sorrise.

“Assolutamente.” rispose Levi con leggerezza. Iniziò a scrivere numeri e note vaghe sulla cartella di Eren, assicurandosi che tutto fosse a posto. E lo era, come al solito. Il ragazzo lo stava guardando con vago interesse, e Levi si ricordò della placca che aveva comprato prima quella mattina. “Ah, ho dimenticato di dirlo agli altri mocciosi, ma ho recuperato i materiali per fare la targa per l’albero, oggi. Sai, prima che Ymir venga dimessa e tutto.”

Eren annuì pensierosamente. “Sì, è stata una buona idea. Non sarebbe stato bello se lei non ci fosse stata.” Poi gli si mise alle spalle, guardando Levi muovere la penna sui fogli. “Cosa stai scrivendo su di me?”

Levi lo guardò. “Che adori le lunghe passeggiate sulla spiaggia, i tequila sunrise, e trovarti sotto i temporali improvvisi.” Eren sbuffò con frustrazione. “Ohi, datti una calmata. Sto solo mettendo per iscritto che sei, di fatto, ancora quasi del tutto morto e che, incredibilmente, non ci sono stati cambiamenti di sorta. Vai semplicemente avanti così.” aggiunse.

Eren pungolò la guancia del suo corpo mortale con fare disinteressato. “Stupido inutile corpo morto.” mormorò.

“Dovresti riunire tutti nella camera di Connie e decidere cosa volete scrivere sulla placca,” disse Levi, girandosi per uscire dalla stanza di Eren. “Dopo che avrò finito con le cartelle potremmo decidere cosa fare. La stanza di Connie è quella con la ventilazione migliore.”

Eren annuì, seguendo Levi verso la porta. Si stavano allontanando in direzioni opposte, quando Levi lo richiamò: “Ah, comunque potrei aver inintenzionalmente lasciato credere a tutti che abbiamo fatto del sesso selvaggio mentre ero ubriaco.” Eren si girò di scatto su sé stesso, le sue guance di un rosso fuoco. Era così facile da prendere in giro. “Rilassati, moccioso. Sappiamo tutti che ero troppo ubriaco per distinguere il mio cazzo dal mio naso. Divertiti!” rise Levi, lasciandolo lì impalato, praticamente fumante d’imbarazzo.

Una parte di lui sperava che gli altri gli avrebbero dato molto filo da torcere sull’argomento. Certe persone sono genuinamente divertenti da prendere in giro. Ma, sfortunatamente, Levi aveva anche l’impressione che questa cosa in particolare gli si sarebbe torta contro in futuro. Comunque, ne era valsa la pena.





“Be’ io credo che dovremmo tutti firmare la placca.” disse Connie testardamente.

“Connie,” cercò di farlo ragione Sasha. “Levi verrebbe portato dritto dritto in psichiatria. Non possiamo fare qualcosa che possa metterlo nei guai. Tutti crederanno che è stato lui a fare la placca.”

“O che sono stati dei fantasmi,” ribadì Connie. “Ed è molto suggestivo.”

“Magari potremmo semplicemente firmare il lato della targa che sarà poggiato sul terreno.” suggerì Bertholdt.

Reiner annuì pensieroso. “Sì, in questo modo l’avremo firmata, ma non se ne accorgerà mai nessuno. Poi potremmo mettere qualcos’altro sulla parte che sarà in vista.”

“Va bene, va bene,” concesse Connie. “Ma comunque non abbiamo idea di cosa mettere sul lato davanti.”

“Potrebbe semplicemente stare scritto ‘Reparto sei’.” propose Jean.

“Ah, ma quello è ovvio,” disse Connie. “Ma deve essere anche qualcos’altro. Qualcosa di speciale. Capite cosa voglio dire, vero?”

Tutti annuirono con comprensione. Se doveva essere l’ultima testimonianza della loro esistenza sulla terra, oltre il confine dei loro letti di ospedale, vi doveva essere una qualche sorta di ultimo messaggio. Ma nessuno sembrava essere in grado di immaginare cosa avrebbe potuto dire. Furono proposte un paio di idee, ma, per la maggiore, furono bocciate dopo una serie di discussioni e dissapori. Levi non si sentiva particolarmente paziente, dunque andò a prendere una brocca d’acqua nella stanza delle infermiere e iniziò a mescolarla con il cemento nello stampo.

“Che stai facendo?” chiese Eren, inginocchiatosi al suo fianco mentre mischiava l’acqua nella polvere di cemento, creando una pasta dura nella piccola forma quadrata.

Levi fece spallucce. “Non sono un tipo paziente. Ho immaginato che se mi fossi portato avanti e avessi iniziato a mischiare il cemento, voi sareste stati costretti a decidere qualcosa per la targa.” Levi batté le mani per far cadere la polvere in eccesso e annunciò ai litigiosi mocciosi: “Il tempo sta scorrendo.”

Un nervoso silenzio cadde tra i pazienti del reparto sei come se l’immediatezza della loro decisione avesse bloccato i loro pensieri. Levi alzò un sopracciglio, guardandoli uno per uno, con un’espressione impaziente che li fece agitare sul posto. Poi, dal momento che la miscela era del tipo che si asciugava in fretta, Levi decise di prendersi la responsabilità di fare qualcosa. Con il suo indice tracciò la scritta ‘PAZIENTI DEL REPARTO SEI’ in lettere maiuscole. Tutti si raggrupparono intorno a lui, osservando i suoi movimenti sicuri, come se fossero la verità rivelata di Dio in persona. Levi fece una pausa dopo quella prima frase, e sedette sulle sue ginocchia doloranti, pensando ad un messaggio appropriato per quel gruppetto di ragazzini quasi morti, che gli stavano con il fiato sul collo. Loro non dissero nulla, allora lui lo interpretò come un permesso per fare come preferiva.

“Va bene se scrivo qualcos’altro?” chiese loro con voce sottile. Ci fu un mormorio di consensi, ma la stanza ritornò silenziosa non appena posò nuovamente il dito sul cemento fresco, per continuare a scrivere con movimenti gentili. Levi divenne fastidiosamente conscio del fatto che tutti stavano trattenendo il respiro, come se, se qualcuno di loro si fosse mosso, lui e la placca si sarebbero distrutti in mille pezzi.

Infine, si alzò e permise al gruppo di guardare i frutti del suo lavoro. “C’è ancora tempo per cambiare, se volete.” aggiunse.

Tutti fissarono le parole con un tale silenzioso stupore, che Levi si sentì leggermente a disagio.


PAZIENTI DEL REPARTO SEI
2013

“Tra la vita e la morte,
non ci aspettiam di trovare,
minor volontà di una vita proseguire,
se non nella nostra stessa fantasia.

Quassù tra le stelle, sediamo,
ma sordida vista restiamo.
E, conduciamo le nostre esistenze,
in orrida transitorietà,
come se morti non fossimo.

Quassù tra le stelle sediamo,
ma queste, son troppo gentili per dirci:
non appartenete al cielo, e neanche alla terra,
e a nessun altro luogo.”


- Anonimo, 2007




“Chi l’ha scritta?” chiese Eren dolcemente.

“Non sai cosa vuol dire anonimo?” grugnì Levi, mentre si alzava per andare a lavarsi le mani. “Col diavolo che lo so. Belle parole, però.”

“E’ quasi perfetta,” rifletté Connie. “Ma credo di sapere cosa manca.” disse, per poi piegarsi a terra e incidere un’altra parola nell’angolino più in basso della targa, ma in grandi e definite lettere maiuscole.

CECOSLOVACCHIA

“Per essere sicuri di non dimenticarlo,” spiegò, con un sorrisone in volto. “Noi e nessun altro.”

La tensione lasciò la stanza non appena tutti si sciolsero in una risata accorata, mentre Reiner dava una serie di affettuose pacche sulla schiena di Connie. Tutti si congratularono con gli altri per il lavoro fatto, e iniziarono a discutere piani sull’andare a spiare cosa c’era scritto sulle placche degli altri reparti, per assicurarsi che la loro fosse la migliore. Connie, addirittura, si offrì di sabotare le placche degli altri con una serie di scritte oscene. Levi interruppe il loro chiacchiericcio per istruirli di venire a chiamarlo nella saletta delle infermiere dopo un’ora, in modo da poter girare la placca e incidere i loro nomi sul retro.

Prevedibilmente, Eren seguì Levi, dopo essersi congedato dagli altri. Ormai sembrava essere diventato la sua seconda ombra. Sbrigandosi per raggiungere Levi, i due si trovarono a camminare con lo stesso tempo dopo solo un paio di passi. “Quella è davvero una bella poesia,” disse Eren seriosamente. “Mi piacerebbe sapere chi l’ha scritta.”

“Che importa?” chiese Levi con disinteresse. “Le parole sono parole, e non importa di chi sono. Una volta che sono state scritte, appartengono a tutti.”

Eren camminò silenziosamente al suo fianco un paio di minuti, prima di chiedere piano: “L’hai scritta tu?”

Levi fece spallucce. “Non importa. Sono le vostre parole ora. Tue e del resto dei mocciosi.”

“Però le hai scritte tu, vero?” insisté Eren.

“E se dicessi di no?”

Eren sorrise. “Non ti crederei per un secondo.”

Levi gli fece un sorrisetto a sua volta. “Allora non importa cosa dico.”





Un’ora dopo, Sasha andò a chiamare Levi, in modo che potesse rigirare la targa e tirarla fuori dallo stampo. Teoricamente, avrebbe potuto farlo uno dei mocciosi, ma erano tutti troppo spaventati dall’idea di romperla. Però, Levi la rigirò con facilità, posando la parte asciutta sul pavimento mentre, quella che ancora doveva asciugare, era ora rivolta verso di loro.

“Grazie papà.” rise Connie.

“Prova solo a chiamarmi così un’altra volta,” disse Levi minacciosamente. “Provaci.”

Tutti iniziarono a litigare per firmare per primi, ma Annie li zittì tutti con uno sguardo severo, guadagnandosi il combattuto primo posto. La sua firma era piccola, chiara e senza pretese, lì sola sulla grande placca vuota. Lei annuì soddisfatta, e si mosse in modo da lasciare spazio al prossimo. Reiner incise una firma a lettere capitali, seguito dalla firma scribacchiata e slanciata di Bertholdt. Jean aveva una bella firma, ma quelle di Connie e Sasha erano grandi e plateali. La firma di Ymir era lunga e unica mentre quella di Eren era uno scarabocchio seghettato che, a modo suo, completava la placca. Tutti annuirono contenti, di fronte collezione di firme messe insieme a caso, come se fossero degne della Monna Lisa stessa.

Annie interruppe la loro affettuosa venerazione, dicendo lentamente: “Anche Levi dovrebbe firmare.”

Sasha annuì energeticamente. “Sì, forza Levi, firmala anche tu.”

Levi agitò la testa in segno di diniego. “Io non sono un moccioso deceduto. Sarà per la prossima volta.”

Eren gli lanciò uno sguardo scettico. “Credo che sai meglio di me che non ti lasceremo uscire da questa stanza fino a quando non avrai firmato.”

Diamine, Eren aveva probabilmente ragione. Levi era troppo stanco per mettersi a discutere, dunque si abbassò, e scrisse il suo nome con grafia chiara in un angolino della placca. “Contenti?”





Quella sera, l’intero reparto sei seguì Levi nel giardino nord, in una stramba processione formale per posizionare la – ora completamente asciutta – targa davanti al piccolo albero di Giuda. Gli spiriti erano alti e Levi non riuscì a fare a meno di sentirsi almeno un po’ contento per il gruppetto di ragazzi morti. Ma solo un pochino.

Tutti guardarono mentre incastrava la pesante placca di cemento davanti all’albero, seppellendo le loro firme nel terreno. Connie fece un ultimo appunto sul fatto che avrebbe voluto che le loro firme fossero state visibili, se non per loro stessi, perlomeno per spaventare chiunque avrebbe visto la placca. Ma, a parte quello, nient’altro fu detto. Tutti rilessero la targa un altro paio di volte nella loro mente, godendosi l’aria pungente delle serate d’autunno, e la leggera brezza che li aveva graziati della sua compagnia.

Come la notte in cui avevano piantato l’albero, tutti se ne andarono in momenti diversi. Sasha e Levi furono lasciati da soli, impalati davanti all’albero fino a quando Levi non decise che era ora di andarsene a casa e farsi una dormita. Mentre si voltava, Sasha gli afferrò un braccio, e, quando si rigirò verso di lei, la ragazza lo lasciò con imbarazzo. “Ehm, grazie,” balbettò. “Non sei per niente uno stronzo.” Levi la guardò sconcertato. “Ah… ehm, merda. Non era quello che volevo dire. Solo – ”

Levi alzò una mano per fermare i suoi discorsi sconclusionati. “Non ti preoccupare. Vai a dormire un po’ o a fare qualsiasi cosa facciate voi ragazzi morti durante la notte.”

Mentre se ne andava, sentì Sasha richiamarlo: “Non sei Bruce Willis!”

Levi rise tra sé e sé. “Non serve che me lo dici.” rispose senza girarsi.





4 mesi, 14 giorni

Sembrava strano, ma i pazienti del reparto sei erano rimasti di sorprendente buonumore durante gli ultimi giorni prima della morte di Ymir. Be’, non che fosse proprio come morire, perché – se era per quello – lei l’aveva già quasi fatto del tutto. Era più come una partenza. Levi sospettava che la cosa avesse a che fare con l’atteggiamento di Ymir, perché lei ne parlava come se se ne stesse andando a fare un viaggio, più che come la fine della sua vita. Ma, non avere a che fare con un gruppetto di ragazzini morti in lacrime, non gli andava poi così male, e, anzi, era grato che lei l’avesse presa così elegantemente.

Quella giornata era inusualmente calda per l’autunno, con una fresca brezza che soffiava attraverso le finestre per tutto il reparto, e caldi raggi di sole che illuminavano tutte le stanze. Il padre di Ymir si presentò durante il pomeriggio e Christa arrivò giusto poco dopo di lui. L’intero reparto sei era chiuso nella stanza della ragazza per aspettare il suo commiato. E, anche pochi momenti prima della sua inevitabile morte – o qualsiasi altra cosa fosse – erano tutti sorprendentemente allegri. Circa una mezz’oretta prima che Erwin venisse ad aiutare il padre di Ymir a staccare la spina, un paio di ospiti inattesi si era presentato alla piccola celebrazione nella stanza. Tre poliziotti in uniforme, fortemente decorati, si erano permessi di entrare, stretti nelle loro vesti da cerimonia.

Notando la confusione dei suoi amici, la ragazza spiegò: “Ero un agente di polizia, sapete? Un frammento di pallottola in una sparatoria mi ha ridotto il cervello in pappa. Immagino che il distretto abbia voluto dare un mimino di supporto a mio padre. Sapevo che sarebbero venuti al mio funerale, ma diavolo se non sono sorpresa del fatto che si sono presentati anche qui. Un bel gruppo di persone,” disse con riconoscenza. “Mi fanno sembrare molto più figa di quanto sia mai stata.”

Jean la occhieggiò sospettosamente. “Sei sicura che non eri una spia internazionale o roba simile? Quelli sono ufficiali di alto rango.”

Ymir gli rispose con un sorriso. “Non ho assolutamente nulla da ridire se la vuoi pensare così. Anzi, credo che sia meglio. Molto meglio della mia storiella sull’essermi fatta friggere il cervello da un teppistello che spacciava erba e ha fatto partire per sbaglio una colpo.”

Eren sembrava perturbato dall’atmosfera che regnava nella stanza. “Com’è che siete tutti – ”, gesticolò vagamente, “Tutti – ”, si fermò di nuovo, aggrottando le sopracciglia mentre tentava disperatamente di trovare le parole per esprimersi. “Siete tutti così contenti.” disse infine, sembrando decisamente sbigottito.

Un baluginio di compassione passò nello sguardo di Ymir, mentre ripensava alle sue parole. “Eren, sono stata morta per un bel po’ ormai. La devi smettere di pensare a questa cosa come se stessi morendo.” Eren la stava ancora guardando poco convinto, e lei sospirò, mentre cercava di trovare un modo diverso per esprimersi. “E’ come … lo sai com’è? E’ come se fossimo in un aeroporto: ci siamo tutti presentati qui per prendere un aereo, ma lo abbiamo perso, ed ora siamo bloccati ad aspettarne un altro. Non possiamo andare a casa ma non possiamo neanche salire sull’aereo. E gli aeroporti vanno bene,” si chiarì lei, “Ho incontrato un sacco di gente stupenda in questo aeroporto, al punto che sono persino riuscita a divertirmi un po’. Ma sono qui per imbarcarmi, non posso rimanere in aeroporto per sempre. Non è la mia casa, ma solo un punto di passaggio.” Eren stava cercando, con un certo successo, di trattenere la tristezza, e Ymir gli sorrise. “Il mio aereo è qui Eren. Non è la fine del mondo. Abbiamo perso un volo, ma ce ne sono sempre degli altri.” poi rise, all’espressione sul volto di lui. “E diciamocelo: alla lunga gli aeroporti scocciano.”

Eren annuì. “Ma questo è un gran bell’aeroporto.”

“Il migliore in cui sia mai stata.” rise lei. Poi fece spallucce. “Per quanto ne rimanga sempre uno. Il cibo faceva schifo. E i dipendenti erano fin troppo maleducati.” aggiunse, sorridendo a Levi, che le sorrise di rimando, prima che qualcuno potesse notarlo.

Ma Eren aveva un’ultima domanda per lei. “Hai paura?”

Ymir annuì. “Sarei stupida a non averne. La prima volta che viaggi hai sempre paura.”

Erwin si presentò di lì a poco, un’espressione di quieta comprensione sul volto. Ma non era pietà, e Levi fu grato che non lo fosse, perché, a quanto pareva, Erwin era abbastanza bravo con questo tipo di cose. Il dottore, spiegò gentilmente quali bottoni il padre di Ymir doveva premere per spegnere il respiratore e le restanti macchine del supporto vitale, e, questi sembrò abbastanza in pace riguardo all’intera situazione. Anche Christa era calma, e Levi dubitò che si sarebbe mai più trovato in una stanza di ospedale più calma di quella di Ymir in quel momento.

Era strano, ma Levi si era sempre aspettato un gran finale quando qualcuno doveva morire – fuochi d’artificio o una musica plateale o qualcosa, ma, alla fin fine, non andava mai così. Il padre di Ymir spense i bottoni e tenne la mano della figlia nella sua mentre la linea delle sue funzioni vitali si appiattiva. I tre ufficiali in uniforme rimasero bloccati in una posa rispettosa da una parte della stanza, mentre Christa teneva l’altra mano di Ymir dall’altro lato del letto. Il tutto durò meno di trenta secondi. Un attimo Ymir era lì, in piedi di fianco a suo padre, con una mano sulla sua spalla, e il successivo non c’era più. Non scomparì all’improvviso, né sparì piano piano, come se la sua forma spirituale stesse svanendo lentamente. Era più come se non fosse mai stata lì. C’era e poi non c’era più, il tutto in un batter d’occhio.

Per credito del reparto sei, si doveva dire che nessuno aveva pianto. Addirittura, Reiner e Bertholdt avevano sorriso quando Ymir aveva cessato di esistere in un quel battito di ciglia. Levi aveva immaginato che la cosa avesse a che fare con il fatto che loro capivano quanto fosse frustrante rimanere in supporto vitale così a lungo. Probabilmente lo capiva anche Annie, essendo una dei pazienti affidati allo stato.

Erwin fece nota dell’ora del decesso e Levi dovette affrettarsi a scriverla, quasi avendo dimenticato che era lì come testimone e impiegato, e non come amico. Dopo, se ne andarono tutti, e tutti i pazienti del reparto sei tornarono nelle loro stanze, come per cercare di trovare un senso tra i loro pensieri. Levi rimase lì, bloccato a seguire tutte le procedure, scribacchiando annotazioni delle informazioni che Erwin gli mormorava. Prima di andarsene, l’ufficiale più decorato donò al padre di Ymir il distintivo della ragazza.

L’uomo sorrise alla vista dell’oggetto, rigirandoselo tra le mani. “Era molto fiera di questo,” spiegò, a nessuno in particolare. “E credo di poterlo essere anche io.” Stava per metterselo in tasca, ma ci ripensò e lo porse a Christa. “Probabilmente avrebbe voluto che lo conservassi tu.” le disse affettuosamente. Christa lo accettò e i due se ne andarono insieme.

Quando rimasero solo lui ed Erwin in stanza, questi sbloccò le rotelle del letto e lo spinse fuori dalla stanza, probabilmente dovendolo portare nella sala mortuaria. Levi fu lasciato solo nella stanza.





Quella sera, Levi si addentrò nel giardino nord dell’ospedale, trascinandosi il tubo della pompa dell'acqua attraverso il boschetto dei pazienti. Rimase in piedi di fronte all’albero del reparto sei, per poi posarsi contro il suo sorprendentemente massiccio tronco, lasciando che l’acqua cadesse a fiotti sul terreno. Fissando la placca, pensò a quanto Ymir gli era sembrata contenta, nelle ore precedenti la sua dipartita. I ragazzi morti erano strani.

Levi guardò in cielo e vide un aeroplano lasciare una scia tra le nuvole che si stagliavano sui colori della prima serata, tracciando delicatamente il suo passaggio. “Buon viaggio.” disse, e, probabilmente, in qualche strana maniera, lei riuscì a sentirlo.

   
 
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