Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: lilac    14/12/2008    1 recensioni
Central Maze City, una metropoli come tante dove la corruzione e le ambizioni dei potenti sembrano dettare legge. Le uniche strade per sopravvivere sono l’indifferenza, il cinismo e il disprezzo per i propri simili. Ma, probabilmente, nemmeno queste cose bastano più. L’unica persona in tutta la città che sembra non avere a cuore niente e nessuno si troverà invischiata, suo malgrado, nelle mire del più malvagio e potente criminale istituzionalizzato del paese e, soprattutto, in un disegno ben più grande di lui, che pare coinvolgere l’intera umanità. Tra personaggi misteriosi e misteriosi poteri, scoprirà ben presto qual è il suo destino. Eppure, lui ne è convinto... I supereroi non esistono.
Piccolo Avvertimento: questa storia contiene alcune scene di violenza e linguaggio a tratti colorito.
Genere: Drammatico, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


CAPITOLO UNO:
Indifferenza.


Central Maze City, Hell’s Court West.
22 Dicembre, 1:43 p.m.
Vent’anni dopo.


“Ecco... Mi secca chiedertelo, ma...” L’anziana donna si bloccò esitando per un momento, evidentemente in imbarazzo.
“Ma?” la invitò a proseguire il ragazzo con noncuranza. Affondò nuovamente il cucchiaio nel barattolo che teneva indolente in una mano e se lo portò alla bocca. Poi la scrutò distrattamente, dal basso verso l’alto, mentre si appoggiava con nonchalance allo stipite della porta, gettando leggermente indietro la testa a scostare una ciocca di capelli dalla fronte. Lei esitò ancora, soffermò per un momento lo sguardo sulla t-shirt sgualcita, sui jeans logori e infine sui piedi scalzi di lui, incrociati comodamente sul pavimento gelido del pianerottolo come non sentissero minimamente il freddo. Il giovane sembrava assolutamente a suo agio, continuava a magiare la sua marmellata di fragole, servendosi direttamente dal vasetto con generose cucchiaiate; e pareva prestarle la minima attenzione.
“Senti, Jason” sospirò la vecchietta stringendosi nella giacca. “Il fatto è che io avrei bisogno dell’affitto. Sono tre settimane di ritardo. Sai che non ho problemi, normalmente, ma è Natale...”
S’interruppe di colpo, leggermente confusa, quando il ragazzo incrociò per un momento il suo sguardo all’improvviso. L’aveva guardata, apparentemente, con la stessa naturalezza con cui aveva affondato nuovamente il cucchiaio nella marmellata, ma lei si era sentita strana.
“Già. Però, lei non vuole proprio i miei soldi” replicò lui in tono tranquillo.
“N... No... Infatti” rispose lei, quasi bisbigliando, aggiustandosi nervosamente il vestito. Stava serrando istintivamente la presa sulla borsetta, ma non se ne accorse.
“Non abbia paura, signora Parker.” Il ragazzo sorrise gentilmente tornando a guardarla negli occhi. “Non ci penso proprio ad andarmene; anche se non dovessi avere più i soldi per pagarla.”
La vecchietta gli rivolse improvvisamente un sospiro sollevato. “Oh, beh, sono molto felice di sentirtelo dire, Jason.” L’imbarazzo sembrò sparire del tutto, si lasciò andare persino a una risata liberatoria. “Sai, ormai ho una certa età. E non si trovano spesso inquilini educati come te in questo quartiere. Per l’affitto non preoccuparti, caro.”
Agitò una mano, a sminuire la questione, e lui si limitò a ricambiare nuovamente il sorriso, attendendo che se ne andasse senza farle fretta.
Due occhi vivaci, intanto, che lo osservavano di nascosto dalle scale, alle spalle dell’anziana padrona di casa, lo trapassarono con un’espressione indispettita di rimprovero. Jason li incrociò per un momento e sollevò impercettibilmente lo sguardo al cielo, esasperato.
“Naturalmente, appena potrò, passerò in banca e le farò avere i soldi.” puntualizzò con una tonalità lievemente scocciata, sottolineando marcatamente l’intenzione di farlo con tutta calma.
“Certo! Certo, caro!” La donna sorrise di nuovo, avviandosi nella direzione opposta da cui era venuta. “E poi passa a prendere la crostata di fragole!” Il sorriso si allargò ulteriormente. “Ora ti saluto, prima che faccia tardi. Molly è da me, oggi.” aggiunse, ormai a metà della rampa di scale, sbottando in un’altra risata allegra e un po’ confusa e continuando a parlottare qualcosa tra sé e sé.
Lui rimase sulla porta. La seguì con lo sguardo, mentre scompariva svoltando nel pianerottolo inferiore. Fece per affondare di nuovo il cucchiaio nella marmellata, ma qualche pensiero lo bloccò, manifestandosi un secondo dopo in un’espressione infastidita. Lasciò andare il cucchiaio nel barattolo con un gesto stizzito e sollevò appena lo sguardo in direzione della rampa di scale che portava al piano di sopra. Quando vide che la ragazzina si era alzata e stava scendendo verso il suo appartamento, fece per darle le spalle e tornarsene in casa.
Lei lo raggiunse in due balzi e s’intrufolò dietro di lui con un’aria tra il divertito e il severo. “Beccato!” Lo rimproverò chiudendo la porta dietro di sé; ma il ragazzo non si era girato nemmeno a guardarla, limitandosi ad appoggiare il barattolo di marmellata sul tavolo.
“Mi avevi promesso che con mia nonna non avresti usato i tuoi poteri, Jason! Sei proprio uno stronzo!”
“E tu mi avevi promesso che saresti stata alla larga da me e da casa mia, Molly” replicò lui gelido, voltandosi finalmente a squadrarla con fare intimidatorio. “E invece mi ritrovo quest’affare ridicolo e ingombrante fra i piedi. Ti avevo espressamente detto che non ne volevo sapere.”
La ragazza osservò maliziosa il grosso albero di Natale in un angolo e ridacchiò un momento, cercando a stento di trattenersi. “Uffa, Jason. È Natale! Tutti hanno un albero di Natale in casa.”
“Io no” rispose lapidario.
Lei si sedette al tavolo della cucina e ammirò soddisfatta le decorazioni che aveva allestito con cura. Seguì Jason con lo sguardo, mentre oltrepassava il basso divisorio tra la cucina e il salotto e si gettava a sedere sul divano. “Non ti piace?” domandò a voce alta, alzandosi in un gesto esasperato e andandogli dietro.
“Per niente. E non mi piace che entri di nascosto in casa mia. Quell’affare deve sparire. Adesso!” Accese la televisione senza guardarla. “E fai compagnia a tua nonna, invece di perdere tempo con me.”
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore leggermente in imbarazzo, fece qualche passo e si sedette sulla poltrona a lato del divano. Lui si voltò appena, continuando ad ignorarla del tutto un secondo dopo. Seguitò a cambiare canale finché non trovò un notiziario e alzò il volume, come invitandola implicitamente a levarsi di torno.
“Così, la nonna ha paura di restare da sola...” disse lei a voce bassa, quasi in un sussurro, mantenendo gli occhi sulle dita che teneva intrecciate in grembo e che avevano preso a giocherellare nervosamente. Il giovane le osservò di sfuggita le mani, poi tornò a guardare la tv. Sentì per un momento i due occhi verdi fissi su di lui, poi percepì il movimento del suo sguardo verso lo schermo.
“Sai, Jason” esordì all’improvviso, con un tono deciso. “Dovresti usare i tuoi poteri per aiutare la gente! Questo quartiere... Questa città fa schifo!” Lui si voltò a squadrarla con l’espressione esasperata di qualcuno che aveva sentito quella frase ormai troppe volte. “Potresti essere un vero supereroe!” aggiunse lei, per niente intimidita e con crescente entusiasmo. Lo fissò, occhi negli occhi, quasi a sfidarlo. “Potresti usare i tuoi...”
“Devi smetterla di leggere quei fumetti da quattro soldi. E soprattutto smettila di rompere con questa storia, non ne posso più!”
“Smettila tu di essere così cinico!” proseguì lei con rinnovato impeto. “I fumetti non c’entrano nulla. Tu li hai veramente dei poteri speciali!”
“E tu hai quindici anni.”
“Che vorresti dire?” replicò piccata.
“Che i supereroi non esistono.”
“Vaffanculo!”
L’altro rispose senza scomporsi minimamente. “Che altro vuoi da me, Molly?”
“Voglio vivere in una città meno pericolosa e vorrei che Oliver Shark non fosse il mio padrone!” pontificò la ragazza, con l’aria furbescamente infantile di chi aveva appena segnato un punto a suo favore.
Jason si limitò a squadrarla con una smorfia beffarda. “Lo stai chiedendo alla persona sbagliata, credimi. E poi basta, non voglio parlarne più.”
“Ma tu potresti fare qualcosa, se solo volessi!”
Ma tu... non hai qualcosa di meglio da fare che passare i pomeriggi qui? Non hai delle amiche della tua età? Non devi andare a comprare i regali?” Quell’ultima domanda in particolare suonò satura di sarcasmo e disprezzo.
Lei si alzò dalla poltrona con aria offesa e scrutò per qualche istante l’espressione impenetrabile di lui, che era tornato a guardare la tv. “Certo che ho delle amiche!” Incrociò le braccia al petto imbronciata, in un moto di rivalsa. “Ho anche un fidanzato, se è per questo” puntualizzò poi puntigliosa.
L’espressione del giovane mutò leggermente, mentre si voltava di nuovo a scrutarla dal basso verso l’alto. Inarcò un sopracciglio vagamente perplesso, prima di rivolgersi di nuovo a lei in tono piatto. “Ma davvero. E chi sarebbe?”
Lei sorrise, lo sguardo le s’illuminò nuovamente, attraversato dall’emozione e dal divertimento per la reazione dell’altro. “Un mio compagno di scuola, si chiama Martin. Mi ha chiesto un appuntamento.” rispose quasi d’un fiato. “E dopodomani andiamo a pattinare allo Shark Center.”
A Jason sfuggì una sorta di sorriso, mentre osservava l’espressione radiosa e infantile di lei, che non riusciva a nascondere la sua eccitazione all’idea. “E come mai sei qui a rompere e non sei a casa a scegliere cosa metterti?”
“Spiritoso.” abbozzò lei ironica. “Non sono quel tipo di ragazza, io” precisò ridendo. “Però...” Si fece seria, riflettendo su qualcosa. “Devo comprargli un regalo, secondo te? In fondo dopodomani è la vigilia...”
“Compragli un paio di occhiali. Così si accorge della racchia a cui ha chiesto di uscire.” rispose serio.
Lei lo ignorò, seguendo le sue riflessioni. “Sì, forse gli compro qualcosa; un pensierino. Altrimenti pensa che non m’interessi.” Poi si avviò verso la porta. “Ti saluto, Superman!” esclamò a voce alta, in tono canzonatorio. “E, a proposito...” Quando era ormai sul pianerottolo, si affacciò alla soglia mostrandogli il dito medio. “Crepa!”
Non appena sentì sbattere la porta, Jason si alzò con calma dal divano, recuperò il barattolo di marmellata di fragole dal tavolo in cucina e ricominciò a servirsi. Osservò distrattamente l’albero di Natale e si avvicinò per staccare le luci. Notò solo allora il pacchetto sotto l’albero, seminascosto. Si spostò verso la finestra, appena in tempo per intercettare la ragazza che correva per strada e la seguì con lo sguardo lungo la via.

C’erano poche persone che potessero nascondergli qualcosa. Gli bastava un semplice sguardo e l’intimità più inviolabile di ogni mente, per lui, diventava limpida e chiara come il sole. Indifesi, nudi, le loro paure e qualsiasi loro segreto inconfessabile, lui li teneva in pugno come fossero giocattoli. Le stesse persone diventavano giocattoli, burattini nelle sue mani; poteva farne ciò che voleva, tutto ciò che voleva. Avrebbe potuto torturarle, perfino ucciderle. E non aveva rimorsi per averlo fatto, in passato. Aveva avuto le sue vendette. E ora li usava semplicemente come fossero strumenti, quando ne aveva bisogno. Le persone non erano altro. Ma l’unica cosa che contava davvero, per lui, era poter vivere in pace. Quella piccola casa a Hell’s Court, il quartiere in cui era cresciuto, un lavoro che gli permetteva di sopravvivere, abbastanza lontano da quello schifo che si spandeva a macchia d’olio in tutta Central Maze; probabilmente in tutto il mondo. Lontano. Era solo questo che voleva, starsene lontano da tutto e da tutti. Il mondo ormai non gli faceva alcuna paura; semplicemente, era lontano.
Osservò il gatto della signora Parker che si aggirava quatto sotto la sua finestra, quasi certamente aveva percepito la presenza di un topo e si muoveva piano, i sensi all’erta.
La sua mente s’insinuava strisciando silenziosa nei pensieri altrui, muovendosi come quell’animale; il minimo movimento della sua preda ed era pronto a scattare, a ghermirla con i suoi artigli e a farla a pezzi. Poteva liberarsi di quella ragazzina petulante in meno di un secondo, eppure non l’aveva mai fatto.
C’erano poche persone che potessero nascondere qualcosa a Jason Shandler. E la maggior parte di esse erano soltanto persone su cui lui aveva semplicemente deciso di non usare i suoi poteri. Fra queste, Molly Parker era l’unica che poteva dire in giro di essere anche sua amica.



Deserto, 140Km a ovest di Central Maze, laboratorio sotterraneo di ricerca della Shark’s Tech & Applicatons.
In quello stesso momento.


Jack Fellon aveva aspettato quel momento da tutta una vita. Certo, non era esattamente così che se l’era immaginato, ma non aveva neanche la minima intenzione di mettersi a sottilizzare. Era appena diventato il responsabile tecnico del progetto Fearless, uno dei più rivoluzionari e importanti del secolo; ecco cosa contava. Denaro, fama, potere e probabilmente un posto di primordine sui libri di scuola, un giorno. Alcuni non ci riuscivano nemmeno in sessant’anni di carriera; lui aveva ottenuto tutto questo a soli quarantatre!
Era stato sicuramente un colpo di fortuna, ma non era stato solo quello; ne era certo. Sapeva bene che il suo predecessore avrebbe commesso un passo falso prima o poi. Il dottor Russell era un grande scienziato, ma era fin troppo legato alla vecchia scuola. Continuava a porsi troppi dubbi e non faceva altro che ostacolare il progetto e creare inutili dissapori tra l’equipe e i finanziatori. Negli ultimi tempi, poi, aveva davvero esagerato; stava rischiando di mandare all’aria sette anni di lavoro!
Lui aveva saputo aspettare pazientemente il suo turno, invece, era stato al suo posto e l’aveva seguito come un’ombra tutto quel tempo, imparando e lavorando a testa bassa da vero stacanovista. Aveva avuto ragione; e si era trovato al posto giusto nel momento giusto. E, perdio, se l’era meritato!
Certo, Shark si sarebbe preso quasi tutto il merito; poco ma sicuro. Ma Shark non era uno scienziato e, nel mondo accademico, il vero trionfatore sarebbe stato lui e lui solo, il futuro uomo di scienza più ricco e famoso del mondo. Era a tanto così dall’evento più straordinario che avrebbe mai potuto sognare, era questo il punto; e non riusciva a smettere di pensarci.
Nella sua stanza, mentre riordinava le sue cose in attesa di trasferirsi nell’ufficio dell’ex-capo, si era concentrato principalmente su simili pensieri e sui primi dati dell’esperimento, alternando una concentrazione quasi ossessiva sui tracciati cerebrali del paziente alle fantasie più sfrenate sugli effetti immediati che la notizia avrebbe prodotto. Si era peraltro sforzato di ridimensionare le sue aspettative con non poca fatica, in realtà.
Il progetto Fearless, data la natura dei committenti e lo scopo per cui era stato ideato, avrebbe continuato ad essere top-secret ancora per molto. Il mondo non era pronto per quello che ne sarebbe derivato, ne era perfettamente consapevole. Ma era proprio questo che lo eccitava maggiormente; l’idea di aver travalicato la storia, di aver trasformato il futuro in realtà, lì, in quel laboratorio. E il giorno in cui sarebbe stato reso noto a tutti, lui ci sarebbe stato a prendersi gli applausi. Cazzo, se ci sarebbe stato!
Erano esclusivamente queste le riflessioni su cui lo scienziato si era focalizzato nelle ultime ore. Quasi inconsciamente, infatti, aveva evitato di ripensare al modo in cui erano andate le cose, come se sperasse in qualche modo di dimenticare. Ancora pochi minuti e ci sarebbe riuscito, d’altra parte. Non era stato poi così difficile. Ancora pochi minuti e avrebbe cancellato definitivamente dalla sua mente Oliver Shark e i suoi continui scontri con il Dottor Russell; avrebbe cancellato quell’ultimo, violento litigio, le minacce e Russell che afferrava il portatile e faceva per abbandonare il laboratorio. Tutto; la telefonata di Shark alla sicurezza, quell’energumeno di Morris e i sui compari che immobilizzavano il povero dottore, la siringa ipodermica che faceva tacere le sue urla e i suoi strepiti. Pochi minuti e avrebbe ricordato solo la voce di Oliver Shark, che in quel momento l’aveva fatto trasalire. Fellon, da adesso è lei a capo del progetto. Non mi deluda. E quell’espressione non l’avrebbe ricordata più così agghiacciante.
Ancora un po’ e Jack Fellon si sarebbe definitivamente convinto che tutto era andato com’era giusto che andasse; che il suo mentore ed amico, Teo Russell, aveva reso solo un servigio alla scienza e che, adesso, alla luce dei primi risultati che cominciavano ad arrivare, tutti i suoi dubbi e le sue perplessità sarebbero stati completamente fugati. Sarebbe potuto persino arrivare a credere che lui, Russell, ne sarebbe stato contento. Proprio lui, il soggetto Alfa. A quel punto, man mano che i dati continuavano ad arrivare, Jack Fellon era ormai persuaso che ce l’aveva fatta.
Sarebbero bastati solo pochi minuti ancora.

L’allarme, in realtà, risuonò improvviso nell’edificio con un tempismo perfetto e la deflagrazione nella zona ovest percosse i nervi dello scienziato non meno violentemente delle fondamenta del laboratorio. Fellon rimase impietrito per un tempo indecifrabile in preda ad uno stato di disorientamento, finché la telefonata di Oliver Shark, tempestiva come un colpo di grazia, finì per intimidirlo a morte in modo definitivo; ancor più delle grida spaventate fuori della stanza e delle continue scosse, che si susseguivano violente a ritmo irregolare e che sembravano sul punto di far crollare l’intero edificio.
Nel mio ufficio! Subito! Che cosa sta aspettando, che mandi qualcuno a prenderla?! Click.
Raggiunse l’ufficio quasi in trance, mentre i boati si facevano più lievi e meno frequenti, riuscendo a malapena a tranquillizzarsi. Ma un altro terremoto, ben peggiore, si abbatté su di lui appena oltrepassata la porta, nelle sembianze dell’uomo più potente del paese e del suo sguardo sinistro e glaciale... e in qualcosa di molto più grande di lui.
“Dove accidenti era, Fellon?! Si può sapere che cosa stava facendo?!”
“Ec... ecco. Io...”
“Lasci stare! Abbiamo un grosso problema qui. Russell, o come diavolo dobbiamo chiamarlo adesso, è riuscito a scappare!”
“Come sarebbe è riuscito? Non... I dati sembravan...”
“La smetta di farfugliare idiozie, Fellon! Dobbiamo fermarlo prima che combini qualche disastro. Si rende conto di che cosa potrebbe accadere se il dispositivo fosse distrutto?! O peggio, se cadesse nelle mani sbagliate?!”
“S... sì, certo.”
“Si muova! Dobbiamo trovare il modo di riacchiapparlo senza fare alcun danno al circuito integrato. E in fretta! Quel bastardo è dannatamente veloce.”
“Certo, ma io, cioè noi... che possiamo fare contro...”
“Ho già mandato una squadra, non si preoccupi. Ma mi serve il suo aiuto; potremmo dovergli espiantare il congegno a tempo di record, non so se mi spiego... Non posso fare tutto quello che mi pare, Fellon, nemmeno se sono il padrone della fottuta città! ... Che diavolo sta facendo ancora qua?!”
“M... mi dia un minuto. Prendo l’indispensabile.”
Sarebbero bastati solo pochi minuti ancora e Jack Fellon avrebbe scordato proprio tutto, persino i dubbi di Russell su quegli effetti collaterali.


CONTINUA...



taisa: I ruoli s'invertono e la cosa fa molto ridere XD. Cercando di essere seri, piuttosto, ti ringrazio per la recensione e per i complimenti^^. Mi fa piacere essere riuscita a rendere una certa atmosfera e, soprattutto, sono contenta che si noti che Jason sia un tipo un po' particolare fin da bambino ^_*. Per placare la tua ansia XD ho aggiornato in fretta, come vedi. Grazie ancora^^.

E un grazie, come sempre, a chi sta seguendo questa storia^^.


  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: lilac