Anime & Manga > Kuroko no Basket
Segui la storia  |       
Autore: Rota    17/03/2015    1 recensioni
Gli è capitato di tornarci alcune volte, in quei giorni, come se la sua mente si ritrovasse non troppo per caso a ripercorrere determinati percorsi fino a trovare ciò che cerca con insistenza soltanto nel profumo dei fiori di quella serra. Lo ha infastidito, anche se non abbastanza per ammetterlo.
Anche in quel momento intravedere quel ragazzo dalla capigliatura scura chino sopra i fiori, con l'innaffiatoio tra le mani e un'espressione indefinita per colpa della distanza.
Accanto a sé, si ritrova vicino una presenza amica, che non gli crea nessun disagio e nessun disturbo. Himuro gli sorride quando viene guardato in viso, con l'espressione rassicurante di sempre.
-Tatsuya, sai chi è quello?
Fa cenno con la testa verso il cortile, e anche l'altro ragazzo si sporge per vedere a cosa si riferisce.
-Taiga, sei interessato a Kuroko- kun?
Si ritrae e non incrocia neanche le braccia al petto, abbastanza disinteressato – gioca, piuttosto con i ciuffi scuri della propria frangia troppo lunga, scoprendo di poco le lunghe ciglia dell'occhio nascosto.
-È solo un ragazzo strano, si prende cura dell'aiuola delle rose.

[Fandom!Au Revolutionary Girl Utena // Principalmente KagaKuro]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Taiga Kagami, Teikou, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Take my Revolution'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

*Secondo capitolo*

But if the two of us should get split up
By whatever means, let go of me

 

 

 

Le palpebre del ragazzo si schiudono pian piano, sotto la carezza leggera dei raggi di luce che filtrano dalle persiane abbassate in malo modo sulla finestra. Tetsuya ritrova la sensibilità della nuca contro il cuscino morbido, delle gambe sotto le coperte calde, delle mani che stringono mollemente il lenzuolo liscio. Il corpo, abbandonato per diverse ore al sonno, ritrova il poco vigore che è solito usare, muovendosi piano e allungando nell'aria il suono di un fruscio basso, discreto.
Il suo sguardo si perde sul soffitto, per qualche istante, a guardare i movimenti liberi di una particella di polvere, che danza tra il buio e la luce, a seconda di quanto forte lui respira.
Viene convinto ad alzarsi da un profumo che gli arriva da lontano, e dal rumore di stoviglie mosse.
Ritrova, ordinate, le pantofole ai piedi della scala di metallo del letto a castello e i vestiti per la scuola sullo schienale della sua sedia, piegati e riposti come non ricorda di averlo fatto da sé.
Si veste lento, anche quando la fragranza del cibo gli arriva più chiara e distinta – come l'imprecazione di Kagami per un coltello che gli è scivolato di mano e lo schizzo di olio che gli ha toccato il polso.
Esce dalla stanza da letto dopo aver aperto la finestra, almeno di un poco, venendo subito accolto dal suo cucciolo tutto festante e ben contento di vederlo. Si abbassa verso terra per dargli una carezza sulla testa, quindi guardandolo mentre scappa via verso la propria ciotola.
E quando arriva in prossimità della cucina di quella piccola abitazione condivisa solo da loro due, Taiga nota subito i suoi capelli arruffati e la sua maglietta messa male, l'aria assonnata racchiusa nelle sue occhiaie e lo sbadiglio trattenuto dalle labbra sottili, rosee. Il ragazzo più alto sbuffa, rivolgendosi a lui brandendo una pentola su cui continua a far saltare delle uova perfettamente dorate.
-Siediti, che è pronto.
Il tono è scorbutico, anche a tratti spiccio, ma Kuroko pare ricevere più la cura di una tavola apparecchiata per due e i posto messi vicini, l'uno accanto all'altro. Anche la presenza di tè verde, quello che lui abitualmente beve, e i due sacchetti del pranzo già impacchettati in un angolo del banco dei fornelli, non troppo distante da entrambi loro.
-Buongiorno anche a te.
La sua espressione non muta di niente, prende posto e aspetta la sua colazione: riso, pesce e una zuppetta che Taiga ha preparato personalmente – le uova, come le salsicce e il pane imburrato, sono solo per Kagami, che ha uno stomaco capace di digerire quell'ammontare di grasso spropositato, con colesterolo e zuccheri aggiunti. Se dovesse provare a mangiare altrettanto, con ogni probabilità morirebbe nell'arrivare a metà del tentativo stesso.
Kagami è rumoroso persino quando si siede accanto a lui e comincia a masticare forte, con gli occhi socchiusi. Sa che dovrà affrontare un'altra giornata di scuola e l'umore non è proprio dei migliori, come al solito.
In più, c'è quella preoccupazione che ultimamente si è aggiunta al piegarsi delle sue sopracciglia che Kuroko conosce bene e non può, davvero ignorare. Per questo motivo, come tante mattine precedenti e seguenti, mostra quel briciolo di interesse che serve per cambiare, di poco, le cose.
-Hai dormito bene, Kagami- kun?

 

La Spada di Dios è una palla tonda e perfetta, dai colori brillanti, e Kuroko Tetsuya il suo custode – con una formula precisa e il diritto di pronunciare quelle parole, lui è il solo in grado di evocare un tal giudice imparziale perché i duelli tra gli sfidanti possano avere inizio.
Per riuscire ad assumere questo concetto come verità indiscussa, Kagami ha dovuto passare attraverso diverse fasi, non tutte molto indolori né molto veloci.
Vivere con un estraneo non è mai stato un problema, almeno a livello concettuale: andando all'estero, in un collegio scolastico, già l'idea viene incamerata e resa implicita, quindi non è quello il punto della questione. Potrebbe esserlo, forse, il fatto di abitare in un appartamento isolato, troppo vicino a quelli altrettanto lussuosi e belli del concilio studentesco, o abitare sotto lo stesso tetto di qualcuno le cui prime parole a suo indirizzo, con quell'espressione disadorna in viso che tanto gli è incomprensibile, siano state riguardo dettagli come “sposo” e “fiore”, messe all'interno della stessa frase.
Kagami non sa decidere se essere imbarazzato o arrabbiato, e nel dubbio è entrambe le cose contemporaneamente.
Ha preso coscienza di quando i membri del concilio siano pericolosi e determinati – perché se prima Kise poteva rappresentare solo il dubbio, Midorima è stata la sua netta conferma – ma continuano a sfuggirgli particolari davvero significativi, quali per esempio lo scopo o il traguardo di tutto quello.
Non si dà risposta, e questo lo rende frustrato, imprigionandolo in uno stato emotivo dove la sola arma di difesa può essere una finta indifferenza.
Almeno fino all'arrivo di Aomine Daiki all'interno della sua vita.

 

Occhi che scintillano, per la terza volta, davanti a lui, di quel profondo e di quel selvaggio che non lo lascia insensibile neanche a volerlo.
È risaputo che Aomine Daiki sia paragonabile a una bestia, quando gioca – mai una definizione è stata più precisa, nella mente di Taiga, se non quella – che muove la palla come se fosse un'estensione del proprio corpo e corre sul campo come se non facesse mai altro.
Ghigna, quando gli arriva addosso, scaraventandolo a terra quasi solo per la sua presenza. Poi si fa indietro, con il pallone nel palmo della sua mano più lontana, e un altro guizzo forma la scia del suo sguardo e del suo viso che spariscono alla vista, passando di lato.
Le braccia di Kagami sono in alto, nel tentativo stupido di porre una qualche tipo di difesa, come se sia possibile mettere un freno a tutta quella furia, in un modo o nell'altro. L'impotenza di essere non solo inutile ma pure privo della giusta motivazione per la vittoria è lo smacco più grande, quando dietro di sé, come un suono che viene dal futuro e non dalla propria sensibilità, gli arriva persino l'eco di un pallone già in rete, di un punto già fatto.
Il senso dell'orgoglio infantile di Kise sfuma, come quello dello sdegno geniale e autoritario di Midorima, come labili impronte di qualcosa che non gli appartiene neppure.
Aomine ha vinto, e si è preso il suo sposo.

 

Tatsuya si è quasi rifiutato di rivolgergli la parola, dopo averlo visto così fiacco.
Ha passato gli ultimi due giorni a cercare di farlo mangiare, o anche solo di vederlo reagire in qualche modo che non fosse un mugugno contrariato e distante oppure un'occhiata sfuggevole – si è persino arrabbiato con lui a un certo punto, e tremava di rabbia che si è implicitamente rifiutato di comprendere e di vedere realmente come tale, troppo preso da se stesso.
Non concepisce colpa nella mancanza di appetito, e non ha intenzione di interrogarsi a tal riguardo: non è un problema, dal suo punto di vista, né mai potrebbe esserlo davvero. Come non lo è per Himuro, ma anche chiedersi come mai il caro amico prenda tanto a cuore proprio quella questione lo infastidisce fuor di misura e lo rende ancora più intrattabile del solito. E Tatsuya non è così forte da sopportarlo questo suo sentimento negativo, preferendo nella propria fragilità una irritazione riflessa.
Kagami sente un quantitativo di rabbia, dentro il petto, che non crede di aver mai provato prima di questo momento. Lo sfoga in urli selvaggi e improvviso, fatti in mezzo a corridoi e in luoghi pubblici di normale vita scolastica, dove scaturiscono dall'intimità del suo petto e si propagano in una condizione uniforme di sorpresa generale, senza trovare alcuna resistenza o alcun ostacolo per una perfetta rappresentazione dell'inutile. Nel momento rado in cui trova riposo la notte, viene accompagnato da sogni agitati dove si allungano ombre e luci particolari, che si accendono e si spengono all'improvviso, come fanali di un'auto impazzita dal conducente ubriaco.

 

La campanella di fine lezione suona, in lontananza, rimbalzando tra i muri dell'edificio scolastico.
C'è brezza fresca tra i lembi dei suoi vestiti, e un vento leggero spettina i ciuffi verdi dell'erba lasciata crescere da troppo tempo. Il profumo dei fiori è distante, meno concreto persino del ricordo.
Le palpebre di Taiga si mantengono aperte in modo stanco, verificano il passaggio delle nuvole senza troppa voglia – lui mastica un rametto secco, per occupare la bocca e le labbra.
Quando un'ombra definita si frappone tra lui e la luce del sole, ha già piegato l'espressione a una smorfia contrita.
Midorima Shintaro tiene tra le dita fasciate della mano destra una piccola ranocchia con la bocca aperta e la lingua di fuori; se non fosse per quel particolare, gli risulterebbe ancora più fastidioso, più o meno pungente come il tono della sua voce.
-Non pensavo che fossi così stupido.
I muscoli di Kagami si contraggono, in risposta. Gli monta un'insofferenza acida a livello dello stomaco, fin troppo velocemente, che gli pizzica in viso e rende sgradevoli le sue parole.
Non vuole accettare lezioni da uno sfidante sconfitto.
-Cosa hai detto?
Neanche Midorima si lascia scomporre dalla sua insolenza, e dopo essersi sistemato di nuovo gli occhiali sottili sul naso, togliendosi da davanti la vista la frangia più lunga, torna a guardarlo male.
Lui non è mutato, dopo l'incontro con cui si sono sfidati, e questo è piuttosto visibile. Kagami non sa dire se per testardaggine o altro, e se fosse in altre condizioni psicologiche potrebbe anche essere toccato dalla cosa.
-Il tuo orgoglio non vale nulla, se è così debole.
-Stai forse cercando di farmi arrabbiare?
Si alza a sedere sull'erba, pronto a issarsi sulle gambe. Midorima fa un solo passo indietro, per non dovergli togliere gli occhi di dosso. L'indignazione rimane palese.
-La tua reazione non mi provoca in alcun modo. Per me, tu sei soltanto ridicolo.
Taiga quasi abbaia un insulto, rimanendo però fermo dove si trova. Si sente fiacco, quasi all'improvviso, e non ha tanto voglia di ascoltare l'ennesimo rimprovero, specialmente da uno come Shintaro. Non si rende conto che con quei sentimenti sgradevoli cerca soltanto di allontanare anche quell'ennesimo tentativo di aiuto, e il dolore che sente è abbastanza forte da annichilire qualsiasi tipo di timida razionalità.
Midorima non è disposto, però, a lasciarsi impietosire dalla sua debolezza. Non per niente, fa ancora parte del concilio studentesco, ed è uno dei pochi aventi il diritto ad accedere al campo dei duelli.
-Con che coraggio pronunci determinate parole, Kagami? Il tuo spirito è fiacco, hai perso tutta la tua vena combattiva.
-Parli tu, che sei stato sconfitto da me?
-Parlo io, che so cosa significa essere sconfitti.
Uno scintillio, che ricorda tanto la luce della Zone, negli occhi verdi di lui. In realtà è solo impressione, fermento, una voce ferma e autoritaria che viene guidata dal senno pur nell'impeto della passione morale.
-C'è vergogna nella disfatta, ma c'è ancora più vergogna nella mancanza di onore.
-Onore? Piuttosto antiquata, come cosa.
-Chiamalo come vuoi. Il concetto non cambia.
Abbassa al fianco il proprio oggetto porta fortuna, con calma non studiata.
Gli occorre chiudere gli occhi qualche secondo per ricordarsi i propri sentimenti e le proprie intenzioni – il loro duello e il suo desiderio, Kuroko con quegli occhi grandi e il castello di Dios sopra le loro teste. Lui si è battuto per uno scopo, e questo lo rende per definizione migliore di quello.
Apre di nuovo gli occhi, con l'intera propria figura statuaria.
-Per cosa hai combattuto fino a ora, Kagami? È questa la vera domanda. Il tuo amico è preoccupato per te, hai perso lo Sposo della Rosa. Non pensi che tutto questo valga la pena di una risposta?
Kagami si vergogna, dopo due secondi di rabbia cieca: per la testardaggine, per la stupidità, per un'altra serie lunga di cose. Si sgonfia come un pallone bucato e ritrova una sorta di calma interiore, domando la propria indole distruttrice e ammansendola come una belva educata.
Kagami si alza in piedi lento, con lo sguardo torvo, e prima di dire qualcosa di davvero imbarazzante e sconsiderato, fuori luogo, riesce persino a trovare le parole giuste.
-Grazie, Midorima.
L'altro non gli concede neanche un sorriso, per premura di non farlo scambiare per becera pietà.
-Non ringraziarmi. Fai in modo che la mia perdita di tempo non rimanga infruttuosa.
E ha ragione, ancora una volta.

 

Per troppo tempo ha permesso che il proprio combattere fosse privo di alcun significato. Si è lasciato trasportare dalla foga del momento, dal senso di piacere nato dalla prospettiva di una sfida succulenta che gli gonfiava l'ego e gli mandava scariche di adrenalina eccitante, per mandare fuori di senno la propria testa.
Il divertimento in sé non è qualcosa di sbagliato, e questo pensiero non è una giustificazione atta a perdonare in anteprima tutto ciò che è stato fatto, a priori: la constatazione che magari, di partenza, non c'è stata malizia, può aiutare ad accettare il fatto di aver sbagliato poi.
Perché Kagami ha capito di aver errato non una sola volta, ma diverse, in successive circostanze.
Non ha sbagliato per altri che per se stesso: non per Midorima, non per Kise, non per Himuro, e neppure per Kuroko, perché il sentimento che lo lega a questo parte dal proprio cuore e dal proprio cervello, e quindi la responsabilità della cosa gli appartiene tutta.
Così come anche le conseguenze della tale.

 

È appresso ai fornelli, con due pentole sul gas acceso e il bollitore dell'acqua calda appena spento. Le sue mani non riescono a trovare pace, si muovono in ogni dove e prendono oggetti a caso, giusto per non rimanere ferme.
Un rumore capta la sua attenzione, e lui si volta subito in direzione dell'entrata della cucina.
Guarda in basso e nota il cucciolo di cane, festante, che saltella nella sua direzione – non fa nulla per impedirgli di avvicinarsi a lui, per quanto un leggero brivido di terrore lo fa tremare tutto.
Guarda in alto e vede lui, sempre stanco e sempre spettinato.
-Buongiorno, Kagami- kun.
Eccolo lì, il suo motivo.
Il suo orgoglio integro.
La sua volontà completa.
La normalità che vuole raggiungere a tutti i costi.
Borbotta, con una felicità appena rosea sulle guance.
-Buongiorno, Kuroko.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroko no Basket / Vai alla pagina dell'autore: Rota