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Autore: bambi88    15/12/2008    9 recensioni
Prima classificata al contest Metal di Laly e Hipatya
Kankuro, una finestra spalancata e una porta sempre chiusa.
Kankuro e una famiglia che va in pezzi.
Kankuro e la debolezza di non volersi salvare.
L’anta della finestra sbatté di nuovo, ricordandogli, nonostante tutto, che era ancora marzo, e che a marzo era ancora inverno.
Riuscì a sollevare il braccio intorpidito, sfiorandosi la fronte sudata e i capelli sporchi.
Puzzava di fumo ed alcool e gli abiti della sera prima erano accatastati ai piedi del letto, gettati senza riguardo.
Se quella era diventata davvero la vita di Sabaku no Kankuro, posato fratello mezzano della ricca famiglia Sabaku, nonché promettente studente di ingegneria meccanica, allora aveva ragione a smettere di viverla.
E lui ci stava provando disperatamente da mesi.
La storia è stata divisa in piccole parti.
Spero di avervi incuriosito.
Un bacio
Roberta
Genere: Malinconico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari, Altri
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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contest metal 3
VIII Atto

Wake up

Due cornetti, uno alla crema e l’altro alla cioccolata.
Kankuro non ci mise molto ad indovinare il contenuto del sacchetto lasciato sul tavolino della cucina, abbandonato tra un biglietto scritto con la solita fretta e un fazzolettino sporco di rossetto rosa e cioccolata.
Si lasciò quasi sfuggire un sorriso, scostando la sedia con un piede.
Gli sembrava di vedere quasi Temari entrare in cucina, ondeggiando sui tacchi alti. Poteva immaginarla urlare un saluto e forse sussurrare un insulto a mezza bocca.
La sentiva quasi lì, accanto a lui, quando si accasciava, prendendosi la testa tra le mani, passandosi le dita affusolate nei capelli umidi e chiedendosi ancora e ancora dove avesse sbagliato, lei.
E poteva quasi toccarla mentre tirava su col naso, afferrando il cornetto dal sacchetto, e, con gli occhi socchiusi, quasi ad affrontare un nemico epico, morderlo avidamente.
Aveva quasi la certezza che poi fosse balzata in piedi, guardandosi sconsolata attorno e con un – benvenuta, fame nervosa – essersi pulita le labbra con il fazzoletto.
Kankuro spostò il sacchetto con un dito, osservando la scia di rossetto sul foglietto di carta.
Aveva smesso di chiedersi perché Temari si truccasse sempre così pesantemente da ragazza e perché, ora, avesse ricominciato a farlo.
Ci sono ferite che nessuno stupido ragazzino dalla camicia sgualcita poteva sanare.
Afferrò il cornetto alla crema con uno strattone, quasi a voler cacciare il pensiero che gli si era affacciato alla mente.
Iniziò a masticare lentamente, mentre il sapore dolciastro e caramelloso della crema si diffondeva nel palato, lasciandogli la stessa, solita e amara, sensazione di deja vu.
-    mi è pure passata la fame – biascicò poi, risollevandosi sulle gambe malferme.
Il mal di testa gli colpì le tempie con la forza di una fucilata, costringendolo ad arretrare ed a colpire con un fianco il tavolino.
Quanto avesse bisogno di un po’ d’oblio solo lui poteva saperlo.
Ma ancora è troppo presto, si disse con un sospiro, tra poco potrò riprovare.
Fu allora, che, come sempre, i sensi vennero meno, costringendolo a ricadere sulla sedia.
E l’oblio tornò.
E stavolta aveva il volto dell’ultima cosa bella che valesse la pena di ricordare.



IX Atto

You wanted to
Why'd you leave the keys upon the table?


Tre tempi:

Primo tempo:

Kankuro si infilò le monete nella tasca del jeans usurato, cercando, invano, di infilarle tra il mazzo di chiavi e il pacchetto di chewing gum.
- fanculo – disse poi, mollando i pochi spicci nel cestito delle mance, non senza un moto di stizza.
La cameriera ammiccò felice, volteggiando nel completino rosso e bianco dell’autogrill.
Kankuro seguì interessato la curva del seno, afferrando il cornetto dal tovagliolo e mordendolo rapace.
- serve altro? – chiese la cameriera, la lunga coda bionda poggiata sulla spalla.
- nah – ribadì Kankuro, strappando un morso con vigore – niente di quello che potresti darmi da là dietro, almeno… –
La bionda storse le labbra, un sorrisetto malizioso nello sguardo – sei il solito porco, lo sai, Kankuro? –
Il castano rise nuovamente, osservandole l’anello che le avvolgeva l’anulare – …e niente che Kiba approverebbe, comunque –
Si voltò sullo sgabello, riprendendo ad osservare la gente che, a quell’ora di mattina, trafficava alla pompa di benzina.
L’orologio segnava le sette e trenta.
Perfetto, gli rimanevano venti minuti per arrivare all’università e un quarto d’ora per svignarsela dalla prima lezione.
Magari in compagnia di Kiba, tanto quello non seguiva una lezione a pagarla oro.
- Ino ti saluto – biascicò poi, finendo il cornetto e pulendosi la bocca con il palmo della mano.
La bionda, indaffarata tra due cappuccini e un paio di paste in equilibrio sul braccio, gli rivolse un cenno sbrigativo di saluto, ignorando anche che il solito perfetto ciuffo si fosse piegato dietro l’orecchio.
Imperdonabile distrazione, pensò Kankuro, aprendo la porta a vetri.
- stronzo! Cazzo –
Il castano si voltò, osservando divertito la scena del distributore nove.
Una ragazzina, adolescente e in piena turba adolescenziale, si agitava frenetica tra uno sgangherato motorino arancione e la pompa, imprecando adorabilmente.
Kankuro si puntò una mano sui fianchi, sghignazzando divertito.
Se quella non era grinta…
Osservò impensierito la sua Volvo d’annata, parcheggiata poco distante dal motorino e chiedendosi, con un certa preoccupazione, se la Furia della benzina arrivasse a scalciare fino a lì.
Dopo una breve analisi concluse che gli rimanevano solo due possibilità: o fuggire, evitando ogni possibile motivo di screzio con la Belva, o rischiare la sorte e toglierle dalle mani quella pompa.
Kankuro sorrise, con quello strano ghigno che stava diventando un vizio di famiglia.
Lui adorava le sfide.
-    serve un mano?- chiese circospetto, avvicinandosi cauto alla ragazzina dai corti capelli castani.
Lei gli scoccò un’occhiata di fuoco, mollando un nuovo calcio alla carrozzeria scassata del motorino.
-    questo coso non funziona – sbottò infine, quasi tra sé – la mia lezione è già iniziata, avevo il compito di greco e rischio il debito –
Kankuro, già pronto ad una sfuriata o ad un testardo silenzio ostinato, la guardò sbigottito, cercando di immagazzinare la miriade di informazioni che la ragazzina gli aveva rovesciato addosso.
Se aveva il compito di greco doveva essere almeno alle scuole superiori.
Strano, le aveva dato si e no dodici anni.
-    sai che sei piccolina per la tua età? – disse infine, dimentico della più elementare diplomazia.
-    E sai che tu sei un brutto cafone? – rispose lei, vagamente agitata – se vuoi aiutarmi sbrigati, altrimenti me ne vado a piedi, tanto per quel che mi importa –
Kankuro rise, afferrandole il bocchettone di mano.
-    piacere, Kankuro –
La mora si lasciò sfuggire un sorriso impaziente – Matsuri, ma tanto sto per essere uccisa dalla mia professoressa, quindi cancellami dalla tua lista di contatti –
Il ragazzo infilò la banconota da dieci nel distributore, infilando senza difficoltà il bocchettone nel motorino.
-    ok, Matsuri




Secondo tempo:

Kankuro la vide stringere le mani alla sua maglia, lasciandosi sfuggire un singhiozzo a mezza voce.
Le passò le labbra sul collo, sentendola fremere appena, quando arrivò a sfiorarle il lobo dell’orecchio.
Lei sussurrò una frase che sapeva di “non smettere” per poi socchiudere la bocca e gemere ancora, più forte.
Kankuro la vide inarcare la schiena, per poi ricadergli accanto, abbracciata a lui sul divano, la divisa scolastica sollevata sulla pancia piatta e gli slip con i fiorellini che gli premevano lungo il dito.
Lei aprì i grossi occhi castani, fissandolo con lo sguardo vacuo – grazie di aspettare ancora, Kankuro –
Il ragazzo ritirò il dito bagnato e caldo, inchiodandola poi sotto di sé – non dirlo mai, Matsuri – per poi ricominciare a baciarle l’incavo della spalla, nudo sotto la camicia a righe.
Se c’era qualcosa di giusto nella loro storia, Kankuro non avrebbe davvero saputo dirlo.
Lei era una studentessa liceale di appena sedici anni.
Lui un secondo anno di ingegneria, e piuttosto maturo per la sua età.
Lei ascoltava le canzoni di uno di quei gruppi da adolescenti.
Lui era già tanto che provasse ad accendere una radio commerciale.
Lei sognava di fuggire col principe azzurro.
Lui alle favole aveva rinunciato da tanto tempo.
Lei aveva ancora il suo diario nascosto sotto al letto, scritto fitto di quel ragazzo grande con cui voleva fare l’amore.
Lui sognava di fare sesso con lei, ma ogni giorno la sentiva più distante.
Lei viveva la sua storia con l’eccesso della ragazzine innamorate.
Lui temeva ogni sguardo indiscreto, reo di qualche mese che la divideva ancora dalla maggiore età.
Matsuri gli si accoccolò meglio tra le braccia, lasciando che i capelli sottili gli andassero a solleticare il collo scoperto.
-    mi dispiace, davvero, amore – disse poi, la vocina sottile – io voglio tanto fare l’amore con te ma…-
Il ragazzo socchiuse gli occhi, avvertendo quell’usuale calore tra le gambe al semplice sentirle dire “fare l’amore con te”.
-    Matsuri, ne abbiamo parlato – replicò poi, cercando di contenere l’ansito del respiro – tu sei ancora troppo giovane anche solo per pensarle, certe cose –
La ragazzina rise, leggera, e il suono trillò nelle orecchie del castano – hai solo qualche anno più di me, non esagerare – disse poi, sollevando gli occhi verso il suo viso – ma tu sai dirmi quello che può fare una ragazzina della mia età? –
Kankuro le passò una mano tra i capelli, divertito, osservandola sbuffare quando un ciuffo le si parò davanti al naso – può prendersi le mie coccole e non lamentarsi –
Matsuri storse il naso, divincolandosi dal suo abbraccio – pensavo ad altro – disse poi, accarezzandogli la cinta già slacciata.
Kankuro provò a mormorare un no, già smorzato sulle labbra quando le dita della ragazza si infilarono sotto la stoffa e del tutto dimenticato quando la bocca di lei gli sfiorò l’erezione.
Socchiuse gli occhi, il peso della coscienza che svaniva d’un tratto, lasciando il posto a quella sensazione indefinita, quella che per lei aveva iniziato a cercare di domare.
Senza alcun successo.

Era in quei momenti che il bisogno di oblio gli pulsava nelle vene.
E non sarebbe stata Matsuri a placarlo.


Terzo tempo:

La ragazza bionda ondeggiò il ciuffo chiaro, ammiccando - perché io valgo – mormorò poi, mentre il marchio “l’Oreal” invadeva lo schermo quadrato.
Nero.
Kankuro la vide avvicinarsi dal riflesso del televisore, la borsa colorata a tracolla.
-    credevi che non me ne sarei mai accorta? – chiese Matsuri, gli occhi che saettavano alla schiena del compagno.
Lui la vide nella camicia larga, i pantaloni a vita bassa che le sfioravano la pelle nuda dei fianchi.
E la rivide poco più che ragazzina, quando, con ancora addosso la divisa scolastica, corta sulle gambe, gli si gettava al collo, mentre i capelli corti gli solleticavano le guance.
- è? Allora?-
E la rivide nuda, sdraiata sul suo letto, mente rideva e gli diceva che quell’esame di maturità non lo avrebbe mai passato e che quel professore non smetteva di torturarla con quella cazzata di trigonometria.
E lo diceva ridendo e ridendo, passandogli una mano sull’addome sudato.
Senza smettere di ridere.
- io sono venuta a letto con te! – urlò lei, gli occhi in fiamme – da quanto lo fai, è? –
Kankuro non si voltò, abbassando gli occhi – non è come credi – replicò solamente, cercando di reprimere il solito demone.
Quello che gli aveva sempre detto che ciò che non si poteva avere con la diplomazia lo si poteva ottenere comunque.
Sempre e comunque.
Quel demone che aveva ereditato anche Gaara.
E anche lui aveva perso la sua sfida.
- Matsuri, sta zitta – sibilò il castano, cercando di contenere il mal di testa portandosi una mano alla tempia – sta zitta –
La ragazza tremò nella sua giacca lunga e colorata, la fascia annodata al collo che ondeggiava.
-    dimmi solo se – il respiro le mancò – se hai mai rischiato di…ammalarti –
Kankuro sollevò nuovamente lo sguardo sull’immagine riflessa – lo chiedi per me o per te? – chiese infine, pentendosene subito dopo.
Appena, almeno, la luce negli occhi dell’altra venne meno, sostituita da un lucido opaco – una volta entrambi avremmo detto noi – chiuse i pugni lungo i fianchi – come ti è venuto in mente di drogarti? – sussurrò, sperduta.
Kankuro la vide portarsi una mano tra i capelli, il corpo totalmente immobile – non potresti mai capire –
-    non ti davo quello che volevi? – chiese ancora lei, gli occhi ancor più vuoti.
E i suoi sogni di ragazzina cancellati con un colpo di spugna.
- ero davvero così inutile? –  continuò, riprendendo a giocherellare col nastrino colorato che pendeva dalla borsa hippy.
Davo.
Volevi.
Ero.
Già parla di noi al passato.
-    nessuno può darmi quello di cui ho bisogno – replicò Kankuro, nascondendo il braccio tumefatto sotto la manica della camicia.
Perché non ho capito da cosa scappo.
E perché ho fatto di tutto per perderti, Matsuri.
- non posso salvarti, vero? – chiese d’un fiato la ragazza, cercando gli occhi verdi dell’altro.
Con un sussurro che poteva dire tanto.
Ma anche: liberami, Kankuro.
Io così non posso più vivere.
Lui reclinò la testa sul divano, chiudendo gli occhi.
-    no, Matsuri – biascicò – la verità è che io non voglio –
Avvertì nel buio un singhiozzo e un cuore che si spezzava.
E un respiro che si allentava.
Sei troppo giovane per farti condividere tutto questo.
Non lo meriti, Matsuri.
-    addio, Kankuro –
Il ragazzo serrò le palpebre, trattenendo il respiro.
Ma nulla gli impedì di ascoltare il suono delle chiavi di casa sua che lei lasciava cadere sul tavolo.
- addio, Matsuri -


X Atto

Wake up


Ogni volta che si svegliava, ogni volta che si svegliava e si ritrovava a piangere, allora capiva che qualcosa stava andando nel verso sbagliato.
Capiva che stava passando troppo tempo da vivo e che aveva bisogno di tornare nel mondo dei morti.
Lì dove ogni ricordo era una pennellata di colore, perché era lui stesso ad essere solo un’ombra.
Si asciugò le lacrime dalla guance, ignorando quel viso pallido riflesso allo specchio, quello stesso viso che un giorno lontano gli aveva giurato di amarlo.
Quello stesso viso che lui aveva giurato di amare.
-    forza, Kankuro, è solo questione di non pensarci – si mormorò, passandosi una mano tra i capelli ancor più stopposi e sporchi.
Aveva sudato ancora e i vestiti gli aderivano umidi agli avambracci scoperti.
Per un attimo tremò di repulsione al pensiero di specchiarsi nuovamente, poi scosse le spalle, indifferente.
Se aveva imparato una cosa era che era meglio non gettare acqua sul fuoco.
Doveva solo tornare a far finta di non soffrire.
A farlo era sempre stato bravo.
Si asciugò il naso colante con la mano stretta a pugno, guardandosi attorno con gli occhi annebbiati.
Il mal di testa continuava, ancora e come sempre, ma il suo suono martellante era appena ovattato.
Peccato fosse una risata argentina di ragazza a coprirlo.
E un dolore sordo al petto che lentamente sostituiva quello tartassante alla tempia.
Tum Tum.
Tum.
Provò a rialzarsi, guardando senza molto desiderio il mezzo cornetto al cioccolato, per poi sollevare lo sguardo all’orologio.
-    l’una e trentadue – ghignò con sguardo spento – più che altro è ora di pranzo –
Tum Tum.
Si avvicinò al frigorifero, più per abitudine consolidata negli anni, che per vero languore.
La droga nel tempo gli aveva detto molto di sé.
E la mancanza di appetito era uno dei suoi argomenti migliori.
Tum.
Per non parlare dell’umore tetro e delle tachicardie notturne.
La droga sapeva riempirti le giornate con le sue chiacchiere, se sapevi ascoltarla.
TUM TUM TUM.
Kankuro si voltò, la bottiglia del latte che cadeva a terra, rovinando sul tappeto.
TUM TUM TUM.
Non ci aveva messo molto a capire che questa volta il rumore non proveniva dalla sua testa.
Il cardine della porta tremò nuovamente, accompagnato da un tossicchiare infastidito.
Il ragazzo strinse il pugno lungo il fianco, chinandosi lentamente.
Non ci aveva messo molto neanche a capire chi fosse dietro quella porta.
-    Kankuro, apri – tuonò una voce maschile, bassa e profonda.
L’altro si limitò a gettare il latte nel frigo e a chiudere la portiera con un calcio ben assestato.
-    mi ha mandato Temari, devo solo controllare che la tua carcassa non stia marcendo da qualche parte –
Kankuro si lasciò cadere sulla sedia, attendendo in silenzio che l’altro si allontanasse.
-    me ne vado – sibilò la voce, infastidita – io non sono Temari, Kankuro, non puoi ignorarmi ancora –
Il castano lanciò un’occhiata in tralice alla porta, infastidito, ascoltando i passi lenti che si allontanavano.
È una vita che riesco a ignorarti, Gaara.
Più o meno.
Chiuse gli occhi, poggiando la testa sul tavolo.
Forse stavolta il mal di testa sarebbe passato.


XI Atto
Father, father, father, father
Father into your hands, I commend my spirit


Il cimitero era un po’ isolato rispetto al centro della piccola Suna, un paesino sperduto in quella regione assolata e perennemente troppo calda.
Kankuro si guardò attorno vagamente annebbiato, cercando di ricordarsi perché il taxi l’avesse scaricato proprio davanti l’imponente cancello settecentesco, dalle inquietanti guglie di ferro.
Si infilò le mani in tasca, proprio nell’istante in cui il naso riprendeva a bruciargli, vittima della sniffata di qualche ora prima.
Cosa l’avesse portato a farlo in quella camera di hotel, però, non lo ricordava affatto.
Sapeva solo che lui nella casa dei genitori non era voluto andare.
Ma ogni certezza si perdeva lì.
Si incamminò per il sentiero lastricato, lanciando, di tanto in tanto, occhiate annacquate e vaghe alle grosse tombe monumentali.
Ricordava che anche la sua famiglia doveva averne una, da qualche parte.
La ricordava imponente, con qualche statua dai volti severi e persino un’enorme cripta per pregare.
Ma l’ultima volta che vi era entrato era stato a sette anni.
Poi anche lo zio era morto e nessuno andava più a visitare sua madre.
Scalciò un sassolino, ritrovandosi inconsciamente a seguire il suono di una litania confusa, proprio nell’angolo più lontano del cimitero.
E fu solo quando i suoi occhi si posarono sul nugolo scarno di persone che circondava la bara scura, che ricordò perché si trovasse lì.
Incrociò lo sguardo vuoto di Temari, osservando il ragazzo dai capelli scuri stringerle la mano.
Era ancora un ragazzino, con quello stupido codino sulla testa.
Sfuggì agli occhi di Gaara, che lo fissavano penetranti.
E cercò di non vedere il viso smagrito della ragazza castana che gli era affianco, pallida.
Perché Matsuri si era attaccata a quel fratello triste del suo ex e se c’era qualcuno a cui volesse stare accanto in un momento così duro…
Kankuro avanzò lentamente, pregando di avere in tasca una sigaretta superstite alla notte insonne.
Da un po’ non gli mancava davvero nessun vizio.
O forse era quel “il fumo uccide” ad attirarlo tanto.
- Kankuro, sei arrivato –
Il castano annuì, ancora vagamente stordito.
Suo padre era morto.
-    e sono arrivato persino dopo Gaara, finalmente lo batto in qualcosa –
Almeno so che lo disprezziamo allo stesso modo.
-    stai bene? – gli sussurrò Temari, lasciando la mano del ragazzo moro, che portò gli occhi stanchi al cielo.
Kankuro tossì, l’ondata di emicrania che tornava a spaccargli la testa.
-    si – disse, mentre la cassa veniva calata nella cripta – certo –
Suo padre era morto.
Sbatté le palpebre pesanti, cercando di cancellare la sensazione fastidiosa che tutti lo stessero guardando, insistentemente.
Ascoltò il ragazzo di Temari sussurrarle una frase nell’orecchio, quel poco che servì ad allentarle la tensione ed a farla nuovamente voltare verso la tomba.
-    potete portare i fiori – disse poi, rivolta agli inservienti, il tono di voce arrochito.
Kankuro rimase immobile, mentre la folata di profumo dolciastro gli entrava nelle vene, troppo forte per essere naturale.
Ondeggiò appena, stordito, un secondo prima che un volto severo gli tornasse alla mente, con la stessa intensità dell’odore di fiori.
Un volto scuro, inquieto, accigliato.
Un volto che gli ricordava il suo, seppur invecchiato.
L’immagine di suo padre.
Quella stessa immagine che aveva temuto e adorato.
Non pianse Kankuro, quando la corona di fiori venne posata sulla cassa scura.
E non pianse neppure quando la mano di Matsuri si intrecciò a quella di Gaara o quando Temari soffocò un sospiro nella felpa del suo ragazzo.
Kankuro fissò la scena con distacco, muto in quella sensazione di dolore misto a sollievo.
Quella stessa sensazione che i tre fratelli stavano silenziosamente condividendo.



Ancora manca parecchio! XD
Cavolo non la ricordavo così lunga.

E qui c'è MatsuKanku. Perchè Leti può capire *blink*

E nel prossimo...c'è un'altra coppia. Indovinate?! XD

Lascerò le risponste ai vostri gentilissimi commenti nell'ultimo capitolo.

Un bacio!

Roberta
  
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