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Autore: Eleonoruccia    26/03/2015    1 recensioni
La vita di Lexie Evans si intreccia con quella di uno sconosciuto dal quale è attratta e al contempo infastidita. Se cercate una storia d'amore, non è quello che troverete. È piuttosto un incontro-scontro tra due estranei, vittime di un'incoercibile attrazione. Ipnotica. "Non ho mai amato gli spazi angusti. Non che la redazione di una testata giornalistica così importante avesse degli ascensori angusti, intendiamoci, ma la gente a volte sa essere terribilmente ingombrante". Assaggio di una divina tossicità o di un infernale sublime?
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
 
 
 
 
 
“Un ultimo scatto. Così.” Alle tre del pomeriggio poso finalmente la mia Nikon nella custodia, per l’ultima volta quel giorno. Esausta. Non credevo che per un semplice trafiletto di cinque righe in fondo al quotidiano avrei faticato così tanto. Avevo immaginato un clima molto sobrio, e invece la mostra si era rivelata un evento di Haute Couture cinofila. E sì, ero riuscita a sentirmi inadeguata anche in quella situazione, in cui anche i cani sembravano snob.
Amo gli animali, molto più degli uomini ad essere onesta, ma quel Chihuahua ha quasi tentato di staccarmi un arto quando ho tentato di fargli un primo piano.
La padrona, una certa Mrs. Robins dai capelli cotonati color platino e una manicure rosa shocking che avrebbe fatto invidia a Barbie in persona, se fosse esistita, è inorridita quando ho tentato di rassicurare il cane con Pilù, il pupazzetto che avevo comprato per l’occasione dall’ambulante all’angolo di Wiker Park. Così ho abbandonato l’idea di fare l’animatrice per cani e mi sono limitata a fare ciò per cui sono stata assunta: Foto a quegli adorabili, piccoli, assassini isterici. ‘Non essere cattiva’.  Lily, la mia vocina buona, interviene a riportarmi sulla retta via.
 
Quando avevo otto anni, i miei compagni di scuola avevano incominciato a etichettarmi come Quella ragazzina strana. Questo perché avevo cominciato a parlare con Lily e Savannah, la voce della mia coscienza l’una, e quella della spietata schiettezza che a volte s’impossessava di me, l’altra. Nella mia fantasia, la prima era un angioletto biondo vestito di azzurro e con candide ali bianche, responsabile della mia affabilità e dell’immagine dolce che mi aveva sempre portata ad essere quella ragazzina amabile che tutti adoravano; Savannah invece era tutt’altro che celestiale. Una ragazzina indisponente dai capelli rosso fuoco e lo stile punk che inneggiava all’anticonformismo e al sarcasmo pungente e provocatorio che rendeva la mia lingua tanto tagliente quanto acuta, a dispetto di Lily.
Così, all’età di dodici anni, mi dissero che ero ormai troppo cresciuta per avere degli amici immaginari e, mio malgrado, tacqui l’esistenza di quelle due creaturine.
A distanza di anni, ancora oggi mi ritrovo a combattere con la vocina di quei due esserini, veterani della semplicità della mia primissima giovinezza. Segno della mia grande maturità, non c’è che dire.
 
E’ insolitamente caldo, per essere un pomeriggio di metà dicembre qui a New York City, e questo tepore mi offre un senso di calma e soddisfazione dopo la lunga ed estenuante mattinata di lavoro. E’ allora che lo vedo. Un raggio di sole illumina i suoi occhi cerulei, ed io mi perdo in quel mare azzurro. Dura solo una frazione di secondo, il tempo di realizzare che quell’adone biondo con indosso un paio di Jeckerson slavati e la t-shirt Tommy Hilfiger, che sta sorseggiando una Diet Coke seduto vicino al resto della mia attrezzatura è lo stesso individuo arrogante che ieri mi ha fatto fare la figura dell’imbranata nell’ascensore.
Seccatamente, mi dirigo verso il mio armamentario. Onestamente, avrei volentieri fatto a meno di questa vicinanza, ma, giacché costretta, mi armo della mia miglior faccia lavata e, sicura di me, comincio a smontare il cavalletto, pronta a rispondere a qualsiasi eventuale battutina.
Studio l’uomo con la coda dell’occhio. Più che un uomo, lo definirei un ragazzo. Dal suo aspetto, non gli darei più di trent’anni, anzi, sicuramente anche meno. Eppure ieri mi era parso così maturo. O forse ero io a sentirmi una ragazzina.
Lui intercetta il mio sguardo. Arrossisco, colpevole di essere stata scoperta a osservarlo. Sento il suo sguardo scrutarmi dentro, ma dev’essere stata solo un’impressione perché i suoi occhi immediatamente passano oltre, come se non mi avesse riconosciuto.
Un misto di risentimento e irritazione mi pervade. Non saprei neanche io il motivo; in fondo è stato un semplice scambio di battute, durato per altro pochi minuti, ma mi sento attratta da quello sconosciuto come una falena è attirata dalla luce. E la sua indifferenza solletica quella punta di orgoglio quanto basta per farmi sentire una completa idiota a causa della consapevolezza dell’importanza eccessiva che sto attribuendo a Mr. Presunzione.
In fretta raccolgo la mia roba, e mi avvio verso la fermata della metro, giusto in tempo per evitare un acquazzone. 
 
 
 
  
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