Film > Le 5 Leggende
Segui la storia  |       
Autore: Applepagly    26/03/2015    1 recensioni
Nessuno ti vuole vedere.
Nessuno ti vuole parlare.
Nessuno ti vuole ascoltare.
Vista, voce, udito. Tutto ciò che ho sempre avuto per gli altri; tutto ciò che gli altri non hanno mai avuto per me.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
La gabbia d'oro
 
  - Riesci a camminare?
Gli ho già posto undici volte la stessa domanda, nell'arco di poche ore; e lui ha sempre risposto affermativamente. Ma mi rendo conto del fatto che non riesca a camminare.
- Sì.- replica infatti. Ha un'aria sconvolta. - Perché continui a chiedermelo?
  Beh, è difficile da ammettere, - Non c'è un motivo particolare.- ma per una volta mi pento di ciò che ho fatto. E' malnutrito, sporco e porta ancora segni evidenti delle ultime frustate. Quelle non gliele ho impartite io. - Cos'hai intenzione di fare, ora?- domanda, cercando di sedersi su un gradino. E' molto difficile per lui mettere a fuoco le immagini; ha passato troppo tempo nella più completa oscurità... come me, del resto.
 - Mi pareva di avertelo già detto. - insisto. Lui scuote debolmente la testa. - E a me pareva di averti già detto che è folle. Non fuggirò. Ormai non ho più alcun motivo per farlo.
Non capisco. Tutto ciò mi provoca una grande sensazione di fastidio; e di rimorso... - Invece è proprio quel che farai, Jack! Non vedo dove sia il problema.- anche se so benissimo quale sia.
Il Guardiano sospira, sconsolato. Lo osservo, e realizzo una cosa.
Sì, proprio come quando realizzai il vero motivo per cui la Madre mi prese con sé, mi impedì di stringere legami con chicchessia, di vedere la luce... Quando lo capii, rimasi sconcertata per qualche istante; subito dopo mi ci abituai, quasi fosse stata la cosa più naturale del mondo.
 Quel ragazzo, quel ragazzo che mi sta davanti, stanco, non è Jack Frost.
Da quel che mi si raccontava, Jack Frost era un individuo dalla peculiare indole birbona, scaltra ed infantile. Quando lo portarono nelle segrete del castello e lo conobbi, rispecchiava perfettamente quella figura che era stata dipinta nel credo popolare: insolente, sbruffone, sempre con un sorriso arrogante stampato in volto.
Ora non è più così. Ora è una persona rassegnata, e la cosa peggiore è che sono stata io, a renderlo così.
- Dentolina non c'è più.- afferma in un soffio. Non lo dice per rivangare la cosa, quanto più per farsene una ragione. - Non ho un motivo valido per cui azzardare una fuga. Chi c'è, là fuori, ad aspettarmi? I miei compagni?- ride amaramente. - No... Se gli fosse importato qualcosa di me, mi avrebbero già trovato da un pezzo. - forse dovrei dirgli della guerra che li sta tenendo impegnati. - Non c'è più nessuno, per me - prosegue. - e non sono abbastanza in forze da poter tentare di scappare. Non ho nemmeno il mio bastone.
- A quello posso provvedere io.- asserisco. Lui ride di nuovo. - Ecco, un altro problema sei tu.
Io? Un problema? - Se fuggissi, saprebbero subito di chi è la colpa; e lo hai detto tu: per voi fate, il tradimento è il peggior peccato. - spiega. Si sta preoccupando per... me? - Ti ucciderebbero.
- Questa dovrebbe essere una motivazione più che valida, non credi? Potresti vendicarti.- non so perché lo stia cercando di convincere. Ma, forse, farla finita sarebbe la cosa migliore. Non farei più male a nessuno, e magari un giorno potrei essere perdonata. Ora mi guarda negli occhi.
E' l'unica persona a cui permetta di farlo, a parte la Madre.
- Tu non meriti la morte. - ecco perché questo, non è Jack Frost. Se avessi ucciso la sua amata anni fa, la prima cosa che avrebbe fatto, una volta messo in libertà, sarebbe stata venire a cercarmi. Sgozzarmi nel sonno, darmi in pasto ai cani. - Non ho bisogno della tua commiserazione. Non è per questo che ti ho portato nella gabbia d'oro.- replico, seccata. Lui sbianca subito; deduco che la visione lo abbia profondamente turbato. - E allora perché?
  Già, perché? Perché mostrargli il luogo dove ha avuto inizio il mio incubo?
Forse avevo bisogno di essere compatita, forse volevo solo spaventarlo ulteriormente; forse volevo renderlo consapevole di cosa sono capaci le fate, forse volevo che capisse.
Oppure, semplicemente, forse avevo bisogno di parlare.
- Non è cosa che ti riguardi.- sibilo. - E comunque, non è affar tuo, quel che mi accadrà quando te ne sarai andato; anzi, non capisco perché ti importi così tanto. Sono solo una sconosciuta che ha passato gli ultimi Inverni a torturarti.
- Come tu non capisci perché mi importi "così tanto", io non capisco la ragione per cui tu sia disposta a correre rischi per la mia libertà. Oppure entrambi la conosciamo, - filosofeggia. - ma nessuno vuole crederci.
...Cosa sta insinuando?
- Non penserai che possa provare qualche sentimento,- tento di dissuaderlo. Tutto ciò mi mette alquanto in soggezione. - oltre all'odio e alla rabbia. Hai visto, tu hai visto; di conseguenza sai.
Di nuovo, il suo viso è attraversato da un lampo d'inquietudine.
 
  - Riesci a camminare?
Quella volta, non annuì subito. Riusciva a camminare, ma non vedeva nulla, come nella sua cella; con l'unica differenza che ivi perorava un modesto tanfo di carogna.
Le loro voci rimbombavano, perciò doveva trattarsi di un ambiente ampio e spazioso; eppure, Jack non riusciva a fare a meno di sentirsi soffocare. - Sì.- riuscì a rispondere. - Anche qui è tutto buio.
Il buio gli ricordava una sua vecchia conoscenza, e questa vecchia conoscenza aveva a che fare con la paura.
E infatti. - I primi giorni li trascorsi così, nelle tenebre, a tremare per il freddo. Avevo appena trenta Inverni. La Madre mi aveva portata qui perché, come ho scoperto molto tempo dopo, così avrei sviluppato maggiormente le mie capacità sensoriali ed avrei affinato quelle tecniche e spirituali. - cominciò a spiegare Areta. Non lo aveva mai raccontato, non ai vivi, almeno. Scoprì che, in un certo senso, fosse liberatorio. - Non c'era nessuno; eravamo solo io e i miei pensieri. Io e le mie paure. Io e la mia solitudine.
  Jack non avvertì una nota di dolore, nel racconto. Non avvertì niente di niente, implicito nella voce della fata, diversamente da ciò che chiunque altro avrebbe fatto; semplicemente, lei stava riportando quanto accaduto, senza provare la benché minima emozione. Oppure aveva sofferto così tanto, che ormai nulla faceva più differenza.
- E... quest'odore?- domandò, temendo la risposta. - Perché tenerti in queste condizioni?
- Oh, quello è venuto dopo, quando iniziò il mio addestramento al buio.- rispose soltanto.
Jack non comprese, - Vuoi che faccia luce?- ed ebbe paura a risponderle di sì.
 

  E' solo un'eco lontana, eppure io la sento distintamente, come fosse vicina.
- Prendi la mia mano. - gli tendo il braccio. Lui non capisce.- Fa' come ti dico.
Dobbiamo, devo sbrigarmi, altrimenti nessuno dei due sarà libero; stanno già arrivando. Non avranno trovato il prigioniero e nemmeno la sua aguzzina. Due più due fa quattro e i pesci non volano.
  Sento la sua mano scheletrica aggrapparsi al mio avambraccio sinistro; trema. E' una sensazione pessima, soprattutto perché le sue dita sono fredde, ed io odio il freddo.
- Così una folata di vento ti porterebbe via.
Non è da me, fare dell'umorismo; però temo potrebbe mollare la presa, con le poche forze che ha.
- Ma che succede?- chiede frastornato, mentre da dietro lo afferro per il busto. Subito si irrigidisce e mi viene da ridere. - Succede che o ci affrettiamo, oppure questa sera saremo parte della collezione di teste della Madre.
  Mi alzo in volo e faccio mente locale delle direzioni che potrei intraprendere; ma ciascuna di queste sarebbe facilmente rintracciabile. Tranne una, forse.
- Jack, se non ricordo male, avevi un amico umano.- da quel che mi pare, aveva un legame con un bambino, tempo addietro. Era stato di grande aiuto, durante la battaglia contro il Padre.
- Jamie...- lo sento sussurrare. - Sì, ma ormai sarà un adulto e non ricorderà più nulla di me e degli altri Guardiani... Perché?
- Perché le fate odiano i bambini umani e non possono avvicinarsi troppo a loro. - rifletto. Lui mi guarda allibito. - Ho sempre creduto che le fate li amassero.
Possibile che non abbia ancora capito nulla? Le fate non sono le creature buone e servizievoli che tutti credono; non più, almeno. - Comunque, non so cosa tu abbia intenzione di fare, ma mettimi giù.
- Non se ne parla.- dico subito. - Ora ti porto via. E' a ovest di qui, giusto?
  Ormai non ha nemmeno più la forza per provare a farmi cambiare idea. Annuisce. - Cosa ne sarà di te?
Già, cosa ne sarà di me? Subito mi balena in mente un'idea.
- Vedremo. Quel che conta, ora, e scappare da questo castello maledetto.- mi volto solo un attimo.
Eccola là, la radura dove sorge la sua reggia. Il luogo dove sono stata imprigionata per trecento Inverni, alla mercé di una pazza, perché quella donna è pazza.
La progenitrice di tutte le fate; lei, insieme al Padre, il mostro. La combinazione peggiore di tutte.
Entrambi odiavano i Guardiani e, laddove lui ha miseramente fallito, lei sta perorando. Li ha quasi sconfitti e, dopotutto, mancano di due membri; ma sono sicura che un giorno riuscirò a riscattarmi.
Perché adesso ho capito il mio errore; e non posso dare la colpa solo alla Madre, che ha voluto che crescessi come una macchina di morte. Sono stata io a portare avanti il suo progetto, spesso anche provandone piacere.
  Ora, portandoti via da me, Jack, inizierà il mio processo di purificazione.
Ricordo di aver detto, una volta, nella quiete della gabbia, di amarti. Puoi crederci?
Sì, dissi di amarti, dissi che saresti stato solo mio; ma tu non sarai mai mio, e così dev'essere. Così doveva essere... Il mio non era amore, solo una semplice ossessione.
- Sai, - dice flebilmente, mentre sorpassiamo fitte boscaglie in volo. - non mi hai mai detto il tuo nome.
 E non so che tipo di sentimento sia quello che ora mi corrode il petto, non l'ho mai provato prima; so solo che è terribile e stupendo al tempo stesso, e mi chiedo come abbia fatto a viverne senza per tutto questo tempo. - Il mio nome...
Vuoi sapere il mio nome o come vengo chiamata...? - Non è quello, vero?- continua. - Ho sentito alcune guardie chiamarti così. Areta.
Arguto. - No,- scuoto la testa. - il mio vero nome è Atarassia.
Lo sento ripeterlo un paio di volte, in un sussurro, come se stesse facendo chissà quali congetture mentali. - Credo che ti si addica, in questo momento.- sorride poi. - Certo, è un po' pesante.
Ridiamo insieme; e di nuovo, quella voce fragorosa e gentile viene fuori. Ecco com'era Atarassia, trecento Inverni orsono. Ho passato la mia vita in solitudine; ma ora qualcuno mi vede, mi parla e mi ascolta. Non sono più sola.
- Jack. - lo chiamo; si sta assopendo. Non so se riuscirò davvero a fare quel che ho in mente, dopo averlo lasciato a questo fantomatico Jamie. - Ti chiedo - è difficile da dire. - di perdonarmi.
Lui annuisce un po' di volte, e non capisco se sia già addormentato o meno. - Jack, ascoltami.- lo scuoto.
Niente da fare, dorme come le fate appena nate che vidi una volta; piccole e delicate, come i petali di fiore su cui il soffio della Madre e del Padre le aveva poste. - ... Il bastone!- esclamo a voce alta.
  Devo tornare indietro.
- Non fa niente.- dice, in un momento di lucidità. - Non voltarti.
Già; non voltarti, Atarassia. Guarda avanti, sei quasi arrivata. Un forte sospiro proviene dalle labbra dischiuse di Jack, ed è la prova che sta definitivamente dormendo.
Sono fredde, ma questa volta non voglio che sanguinino.
E' un lieve bacio, un bacio d'addio; un bacio che non esiste.
 
  Inizialmente fu abbagliato da tutta quella luce, e avrebbe preferito restare così.
Alzò lo sguardo. Cadaveri in via di decomposizione erano appesi alle sbarre più alte di una gabbia d'oro; alcuni parevano umani, altri erano fate, altri ancora erano irriconoscibili, tanto erano sfigurati.
La maggior parte dei corpi era mutilata o sventrata.
- Arrivavano qui ne buio ed iniziava lo scontro. La mia vita o la loro, - spiegò Areta. - e io ovviamente  preferito la mia. Avevano coltelli, sciabole,- proseguì, senza notare l'orrore negli occhi del Guardiano - armi di ogni genere, che puntualmente si ritrovavano puntate contro.
La figura di una giovane donna, fissava Jack con un'espressione spaventosa. - Ecco perché, benché fossi in grado di accendere la luce, ho sempre preferito il buio.
Questa gabbia d'oro è una presa in giro. Tutto lo è.

 
 
Angoletto tutto mio:
Ed eccoci qua! Buonasera a chiunque non sia morto dalla noia.
Lo ammetto: il capitolo non è stato pieno d'azione e probabilmente vi sarete stufati di leggere. Ma mi era necessario.
La complessa personalità di Atarassia (in origine, lei non doveva avere anche un altro nome) viene un poco a galla, come ciò che ha subito durante l'infanzia; il fatto che solo alla fine venga fuori il suo reale nome sta ad indicare il piccolo o enorme cambiamento avvenuto dentro di lei (grazie al nostro lovely Jack ).
E... che altro dire? Sono contenta di aver finalmente pubblicato questa cosa che giaceva sepolta e dimenticata! Riguardo alle fate, la loro nascita, il Padre ( che penso abbiate capito chi sia) mi sono inventata tutto, ma una spiegazione logica c'è, e credo che presto arriverà un'altra breve long in cui verrà chiarito ( perché io muoio dalla voglia di far muovere Pitch!).
Ora vi saluto; fatemi sapere se avete trovato la storia almeno apprezzabile, se avete rinvenuto qualche orrore grammaticale... Insomma, ditemi la vostra!
Alla prossima longy!
TheSeventhHeaven
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Le 5 Leggende / Vai alla pagina dell'autore: Applepagly