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Autore: lilac    20/12/2008    2 recensioni
Central Maze City, una metropoli come tante dove la corruzione e le ambizioni dei potenti sembrano dettare legge. Le uniche strade per sopravvivere sono l’indifferenza, il cinismo e il disprezzo per i propri simili. Ma, probabilmente, nemmeno queste cose bastano più. L’unica persona in tutta la città che sembra non avere a cuore niente e nessuno si troverà invischiata, suo malgrado, nelle mire del più malvagio e potente criminale istituzionalizzato del paese e, soprattutto, in un disegno ben più grande di lui, che pare coinvolgere l’intera umanità. Tra personaggi misteriosi e misteriosi poteri, scoprirà ben presto qual è il suo destino. Eppure, lui ne è convinto... I supereroi non esistono.
Piccolo Avvertimento: questa storia contiene alcune scene di violenza e linguaggio a tratti colorito.
Genere: Drammatico, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TRE (PRIMA PARTE):
Diffidenza.


Hell’s Court, appartamento di Jason.
24 Dicembre, 3:56 a.m.


Il dolore alla testa era quasi insopportabile. Fu quel pulsare ritmico alle tempie che lo riportò lentamente alla realtà, come se quelle fitte fossero capaci di ricordargli che apparteneva ancora ad un mondo concreto. I sensi offuscati cercarono pian piano di liberarsi da quello che vagamente gli era sembrato un sogno, particolarmente bizzarro, in cui si era sentito trascinare in balia di una strana corrente di emozioni contrastanti. Aveva vagato letteralmente in una dimensione rarefatta, in cui l’assoluto e soverchiante controllo che gli era parso di esercitare sul mondo che lo avviluppava sembrava anche un potere che proveniva da lontano, molto lontano; da un luogo in cui non era mai stato. Quando riaprì gli occhi, tentando di mettere a fuoco il posto in cui si trovava, si sentì immediatamente stanco, quasi stremato, e piuttosto confuso. Gli ci volle qualche istante per rendersi conto che era sul divano di casa sua.
“Ho appena fatto il caffè; sempre che questa sottospecie di brodaglia tu abbia l’ardire di chiamarla tale.” La voce profonda e quieta che giunse dalla cucina lo costrinse a sedersi e a voltarsi in quella direzione. Notò la sagoma di un uomo, nascosto dallo sportello del frigorifero e chinato a osservarne il contenuto, i cui capelli biondissimi s’intravedevano appena. “Mai sentito parlare di torrefazione da queste parti, vero?” proseguì la voce da dietro il battente, in tono calmo e lievemente sarcastico. “Espresso? Certo che no, ovvio” proseguì senza attendere una replica. “Mai sentito parlare nemmeno di qualcosa di commestibile che non sia yogurt alla fragola, marmellata di fragole o... fragole...” L’inflessione sarcastica si accentuò appena.
Jason si trovò per un istante a osservare il suo frigo, incapace di replicare.
“A proposito, la crostata è veramente squisita. I miei più sentiti omaggi alla tua amica Molly.”
Seguì con lo sguardo la mano dell’uomo che richiudeva lo sportello e sentì un moto d’irritazione farsi strada dentro di lui, al di là della sorpresa, mentre quel nome veniva pronunciato con tanta familiarità. Un secondo dopo, si ritrovò a fissare due occhi chiarissimi che gli si rivolgevano affabili.
“Una ragazza assolutamente deliziosa, proprio come le sue crostate.” commentò ad alta voce l’uomo, avvicinandosi a lui e porgendogli una tazza di caffè fumante.
Jason ignorò di proposito quel gesto. “Chi sei?!” Chiese brusco.
Non aveva mai visto quell’individuo e di certo aveva un aspetto che si sarebbe ricordato. I capelli biondissimi pettinati all’indietro e quegli occhi così azzurri, che sembravano quasi trasparenti nel contrasto col suo abbigliamento scuro, ne facevano un individuo piuttosto particolare di per sé; ma non erano l’unica cosa che avrebbe attirato la sua attenzione, in altre circostanze. Quell’uomo, apparentemente sulla trentina, era vestito in modo eccessivamente ricercato per essere uno di Hell’s Court e anche le sue maniere non sembravano quelle di uno qualsiasi; nemmeno i pezzi grossi della SITS riuscivano ad apparire così a loro agio tra le loro lussuose scrivanie di mogano e i loro soprammobili di valore inestimabile. Quell’uomo ci riusciva in un modesto appartamento di periferia, nonostante la sua giacca di pelle valesse probabilmente da sola quanto sei mesi del suo affitto. Lo osservò, in attesa di una risposta, e notò che non si era minimamente scomposto di fronte alla sua reazione; si era limitato ad appoggiare delicatamente la tazza sul tavolinetto accanto al divano e a sedersi con tutta calma sulla poltrona di fianco a lui, sorridendo appena. Anche il modo in cui lo guardava aveva qualcosa di strano, non riusciva ad afferrare appieno la sua espressione.
“Tranquillo, le ragazzine di quindici anni non sono propriamente il mio genere.” puntualizzò l’uomo mettendosi comodo e prendendo un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca.
Jason insistette, lievemente irritato. “Si può sapere chi sei?” Esitò solo un momento, quando notò, per la prima volta da che aveva aperto gli occhi, il gatto della signora Parker, che si era accucciato ai piedi di quell’individuo e faceva rumorosamente le fusa. “Che ci fai in casa mia?”
L’uomo si accese una sigaretta e inspirò una profonda boccata, espirando lentamente mentre allungava una mano per accarezzare l’animale. “Il mio nome è D. ed è un piacere fare la tua conoscenza, Jason.”
“Come conosci il mio nome?” si ostinò l’altro, non senza una certa perplessità.
Lo strano ospite rispose laconico, sogghignando appena. “Diciamo che sei sufficientemente famoso dalle mie parti.”
“Che razza di nome è D.? E, soprattutto, quali sarebbero le tue parti?” Jason si limitò a replicare senza scomporsi, ma per un momento ebbe l’impressione di sentirsi leggermente a disagio, quando l’altro si lasciò andare a una risata divertita, per poi farsi improvvisamente serio un secondo dopo.
“Mettiamola così... ” parlò questi a bassa voce. “Ho motivo di credere che tu abbia domande più interessanti da rivolgermi, non ho ragione?” Pronunciò quella che sembrava maggiormente un’affermazione senza guardarlo. Si limitò a scuotere la sigaretta nel posacenere, sul basso tavolinetto di fianco a lui; poi sollevò lo sguardo, come si fosse ricordato qualcosa. “Non ti dispiace se fumo, vero?” domandò cordialmente, ritrovando un’espressione amichevole.
Jason rispose senza pensare, dopo aver afferrato la tazza e bevuto una lunga sorsata. “No, fai pure.” E l’altro sembrò impercettibilmente approvare quell’atteggiamento.
“Com’è il caffè?”
“Ottimo” ammise controvoglia il ragazzo, senza riuscire a nascondere la sua irritazione crescente. Tuttavia, sembrò ritrovare quasi subito la calma seguendo qualche pensiero.
Quel tizio aveva ragione, c’erano un mucchio di domande che gli stavano frullando in testa. Qualunque fosse il suo nome, la sua presenza lì non era meno incomprensibile di ciò che gli era accaduto.
“Sei stato tu a...” Non riuscì a finire la domanda. Le ultime cose che ricordava erano ancora una nebulosa confusa d’immagini e sensazioni e si sentiva stremato. Era una stanchezza inusuale, sembrava espandersi sorda per tutto il corpo a partire dalla testa.
“Sì e no” rispose ancora una volta telegrafico il suo misterioso interlocutore. “Sono stato io a ricondurti qui, se è questo che vuoi sapere” precisò dopo aver inspirato un’altra boccata. “Tuttavia, normalmente non occupo il mio tempo aiutando le vecchiette ad attraversare la strada.” Sorrise fra sé. “Diciamo che mi trovavo nei paraggi. E che questa è una circostanza del tutto particolare... A proposito” aggiunse sovrappensiero, “i soldi che hai sottratto alla East Mayhem Bank sono sul tavolo. Ci sono tutti, non preoccuparti.”
Jason non riuscì a nascondere un moto di assoluta sorpresa, a cui l’altro rispose con un’espressione divertita. “Non sforzarti, Jason.” lo anticipò. “I tuoi poteri non hanno alcun effetto su di me. E, dopotutto, immagino che sarai ancora piuttosto provato.”
L’espressione ancora più sbalordita del ragazzo, mista ormai ad una palese circospezione, sembrò divertirlo ulteriormente.
“Come fai a sapere dei miei poteri?!”
“Te l’ho detto.” rispose l’uomo con tutta calma, aspirando l’ennesima boccata. “Sei piuttosto conosciuto dalle mie parti.” Per un momento Jason esitò, fissando quegli occhi glaciali apertamente con aria di sfida. “E sembrerebbe anche che quello che si dice su di te non siano solo chiacchiere.” aggiunse in tono vagamente compiaciuto.
Il giovane padrone di casa appoggiò la tazza sul tavolino e sembrò riflettere ancora per un istante. Per qualche strano motivo, l’idea che quelle parole fossero una sorta di apprezzamento nei suoi confronti non gli era sembrata per niente gradevole e non poteva fare a meno di sentirsi diffidente.
“Chi era quello?” chiese dopo un momento di silenzio, sforzandosi di ignorare tutto quello che cominciava a passargli per la testa.
“Un tempo era il Dottor Theodore Russell, neuropsichiatra; nonché biochimico molecolare ed esperto nel campo dell’Intelligenza Artificiale.” D. spense la sigaretta ancora non del tutto consumata con fare distratto e accarezzò nuovamente il gatto, che continuava a rumorosamente a dimostrargli il suo affetto acciambellato ai suoi piedi. “Attualmente, tuttavia, potremmo definirlo più precisamente come un esperimento mal riuscito.”
“Un esperimento di che tipo?”
“Mai sentito parlare di Oliver Shark?” Jason si limitò ad annuire. “Già, certo che sì” proseguì il suo interlocutore. “Probabilmente sei anche a conoscenza del fatto che Shark finanzia da tempo una serie di progetti di ricerca per il governo... Dipartimento della Difesa.” precisò dopo un momento.
“Posso solo immaginarlo.”
“In realtà si tratta di ricerche che coprono vari campi, dall’informatica alla nanotecnologia, robotica, biochimica...”
“Armi.”
“L’idea è quella.” annuì l’altro. “In altre parole, ha sul suo libro paga una serie di esperti che lavorano a tutto campo per sviluppare armamenti di qualsiasi natura.”
“Tipo quelle che aveva con sé quel soggetto alla sede della SITS.”
D. osservò il ragazzo con un sogghigno compiaciuto. “Decisamente, ciò che si dice in giro su di te corrisponde a verità.” Ma questi si limitò a fissarlo in silenzio con un’espressione impassibile, invitandolo implicitamente a proseguire.
“Un paio di anni fa, una delle loro ricerche nel campo della nanotecnologia ha prodotto quello che definiresti un prototipo di microprocessore bio-molecolare. Sai di che parlo, giusto? Te la cavi piuttosto bene con i computer, non è vero?”
Il ragazzo annuì nuovamente. “Così ci sono riusciti.”
“Hanno fatto molto di più.” confermò l’altro. “Il suo nome è Fearless” proseguì, ignorando apparentemente il lieve contrarsi dei muscoli facciali dell’interlocutore, nel sentire pronunciare quel nome. “Ed è in grado di interfacciarsi con la corteccia prefrontale mediale e con... Aree del cervello capaci di controllare la paura e altre emozioni primarie.” precisò tagliando corto, dopo aver notato le perplessità dell’altro. L’espressione al contempo assorta di lui, tuttavia, sembrò suggerirgli che le cose cominciavano ad essergli familiari. “In altre parole, sono riusciti a creare un dispositivo capace di spegnere letteralmente tutti gli interruttori cerebrali che attivano le emozioni, soprattutto la paura.”
“Soldati perfetti” commentò a mezza voce Jason, senza una particolare inflessione.
“Macchine, più che soldati, giacché Fearless non fa distinzione sul tipo di emozioni che vengono neutralizzate.”
“Ma come possono farlo? Cioè come possono fare questo a degli esseri umani senza che...”
“Naturalmente non possono.” ammise l’altro con un’espressione indecifrabile. “La commissione etica ha sospeso il progetto ormai diversi anni fa.”
Jason si trovò involontariamente a osservare con interesse quella strana espressione. Per un momento gli sembrò di intuire che l’etica non fosse propriamente il suo principale interesse, per non dire il suo stile di vita.
“Tuttavia, ovviamente...” aggiunse l’uomo con un certo sarcasmo. “Shark non aveva la minima intenzione di gettare al vento i suoi soldi, così ha pensato bene di continuare a finanziare il progetto Fearless in segreto, in attesa di venderlo al miglior offerente.” Si passò una mano fra i capelli sovrappensiero. “Quello che hai avuto il piacere di conoscere è il suo primo esperimento su un essere umano.” Poi tornò a incrociare le dita, appoggiando i gomiti sui braccioli della poltrona in una posa rilassata. “Diciamo che lo stimato Dottor Russell aveva un po’ troppo in simpatia la commissione etica e Shark ha creduto di poterlo persuadere in modo definitivo.”
S’interruppe per un momento, scrutando la reazione quasi inesistente dell’altro. “Ora cominci a capire il perché non hai potuto fare molto con lui?”
Jason si limitò a fare le sue deduzioni in silenzio, ignorando la sensazione sempre più consistente e inquietante che quel tizio sapesse fin troppo sul suo conto.
“Ovviamente il progetto Fearless ha ancora qualche inezia da mettere a punto, come l’attivazione incontrollata di un’aggressività fuori del comune e alcuni effetti di tipo paranoico e schizoide.” Concluse D. palesemente ironico, dedicando nuovamente la sua attenzione all’animale, che continuava a fare le fusa.
Jason non poté evitare di rispondere con un tono simile. “Già, l’avevo intuito.”
L’altro sorrise appena. “Ad ogni modo” sembrò concludere, “gli effetti collaterali e il fatto che Russell lo voglia morto sono l’ultimo dei problemi di Shark, al momento. Se l’esistenza di Fearless dovesse diventare di dominio pubblico, le leggi federali sarebbero una passeggiata di salute in confronto a come reagirebbero i suoi aspiranti clienti.”
“Non capisco. Che cosa voleva da me quella specie di cyborg?”
“Assolutamente niente” ammise candidamente D. “Probabilmente ti ha scambiato per uno degli scagnozzi di Shark, che, come immaginerai, attualmente non sono sulla sua lista per gli auguri di Natale. Eri solo nel posto sbagliato al momento giusto.”
Jason lo fissò con aria interrogativa.
“Sono io che voglio qualcosa da te.”
“Tu?”
“Più precisamente, quelli per cui lavoro.”
“Già, appunto. Perché mi stai dicendo queste cose?” Il caffè cominciava a fare un certo effetto e quella strana stanchezza aveva iniziato a svanire. “Lavori per Shark o cosa?”
L’uomo si rivolse a lui con un’espressione velatamente incupita. “Direi che sarebbe più appropriato sostenere che è lui che lavora per me, ma devo confessare che mi secca parecchio essere costretto ad ammetterlo” riconobbe con un certo fastidio, in tono lievemente esasperato.
“Allora che vuoi da me?!”
“Ok, Jason.” D. lo fissò improvvisamente serio, ignorando la sua insofferenza. “Cercherò di arrivare al punto.” rispose in tono pacato. “Mi piacerebbe che tu uscissi da questo stato di apatia incondizionata verso il tuo mondo e cominciassi a darti da fare. Tutto qua.”
La risposta così schietta e diretta lo colse del tutto di sorpresa. Per un istante il ragazzo non riuscì a fare a meno di dubitare, come se non avesse compreso appieno le parole dell’altro.
“Naturalmente, mi piacerebbe anche pensare che, nel momento in cui tu ti decidessi ad usare le tue abilità, Oliver Shark e il potere che ha su questa città diventerebbero automaticamente uno dei tuoi passatempi preferiti.” proseguì l’uomo evidentemente controvoglia. “Non hai idea di quanto mi secchi dovertelo chiedere, ma ahimè non posso esimermi; sono ordini superiori.”
“Aspetta.” Jason si decise a interromperlo, vagamente confuso. “Come sarebbe? Tu non sei uno di loro? Non hai detto che Shark lavora per te?”
“Non ricordarmelo” sospirò l’altro. “La sola idea che quell’uomo si bei nella convinzione di essere dalla mia parte mi dà la nausea.”
Il suo interlocutore sembrò riflettere per un istante. “Insomma, io faccio fatica a capire. Tu sei dalla parte dei... cattivi?” D. annuì impercettibilmente. “E vorresti che io, ammesso che faccia quello che mi dici, visto che non ho idea del motivo per cui dovrei...” precisò in tono diffidente. “Mi schieri contro di te e i tuoi fantomatici amici? E solo perché Oliver Shark ti sta antipatico?”
“Non è esattamente così, ma volendo riassumere la questione in modo sintetico...”
“E si può sapere perché? In fondo l’hai detto tu. In teoria non saresti un mio nemico? Voglio dire, io detesto Oliver Shark e quelli come lui...”
“Appunto” lo interruppe l’uomo.
Jason si lasciò sfuggire una smorfia beffarda. “Da quando in qua Joker offrirebbe gentilmente un caffè a Batman pregandolo di darsi da fare contro di lui? E, tanto per sapere, dove è finita la mia batmobile?”
D. si lasciò andare ad una risata sinceramente divertita. “Si vede proprio che i fumetti non figurano tra le tue letture preferite, Jason. Però, su una cosa mi stupisci...” E la risata scemò in un sogghigno beffardo. “Pensavo che credessi che i supereroi non esistano.”
Quella frase lo colpì per un istante, ma l’assurdità di quello cui si trovava di fronte gli sembrò solo in quel momento realmente tangibile. “Dio, mi sembra di essere nel cartone animato di qualcuno che si è appena fumato un etto di crack!” commentò esasperato, rivolgendo lo sguardo al soffitto e sprofondando nel divano. Il suo interlocutore si limitò a sogghignare vagamente e ad elargire una carezza al gatto, che non si muoveva dalla sua posizione.
“Ok. Dimmi solo questo” ragionò ad alta voce Jason. Ormai la stanchezza era quasi del tutto svanita e quell’uomo lo incuriosiva, in un modo che non riusciva spiegarsi. “Cosa sono questi ordini superiori? Fai parte di una specie di organizzazione mafiosa?”
Un’altra risata divertita gli giunse in risposta. “No, nella maniera più assoluta.”
“Beh, allora direi che ti conviene essere un po’ più chiaro.” insistette con tutta calma. “Non vedo che cosa c’entro io con queste cazzate e ti assicuro che non basta offrimi un caffè per farmi cambiare idea.”
“Ok, mi sta bene.” D. ritrovò un’espressione pacata. “In realtà, a questo punto ero preparato a farlo. E immagino che, dopotutto, tu debba saperlo.”
Jason si limitò a bere un’altra sorsata di caffè e a concentrarsi sull’uomo. Questi sembrava assolutamente a suo agio, comodamente seduto sulla sua poltrona. Sembrò riflettere per un momento, poi cominciò a parlare.


CONTINUA...



taisa: Mi fa piacere che i cattivi risultino realistici. In realtà, sono personaggi un po' "classici" del genere, come da bando, e ammetto che è una delle cose che mi sono divertita a rendere secondo le tradizioni (o almeno a provarci), ma ho cercato comunque di dare loro certe peculiarità. Ti ringrazio per averlo notato. Come vedi, i gatti non sono l'unica cosa strana con cui Jason si trova a che fare XD o, meglio, anche loro hanno un perché dopotutto. Ormai mi tocca... Grazie mille^^.

Auguri di Buon Natale a chi per sbaglio passa di qua^^.


  
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