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Autore: hirondelle_    04/04/2015    3 recensioni
[Ristesura di "Destiny"]
[Alla luce di quanto mi è pervenuto dalle vostre gradite recensioni, ci tengo a specificare che questa NON È una storia romantica, ma la descrizione di un ABUSO (come ho voluto indicare nelle avvertenze). Grazie dell'attenzione!]
-§-
Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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DESTINY IV
 
Il mattino arriva caldo e puntuale, lo sveglia con i suoi primi raggi e i tenui cinguettii degli uccelli. C-117 alza il capo dalla tavola, è ancora insonnolito. Le ferite gli fanno male e le catene pesano da morire, ma è abituato a tutto ciò, non ha paura di soffrire.
La cucina è immersa nel silenzio, tutto è cupo e privo di fascino. Reize guarda fuori dalla porta: le contadine sono già al lavoro, statue eterne che, nella sua immaginazione, hanno la stessa effimera bellezza delle farfalle. Sta sognando? No, eccola lì, china insieme a tutte le altre, eterea nel suo vestito di luce. Gli rivolge un sorriso dolce, sembra felice. I capelli sono lunghi e  vaporosi: sembra una dea, tanto è diafana. Gli tende la mano, Reize vorrebbe afferrarla. Ma non può, si rassegna all’idea di essere incatenato al suolo, impotente: non ha più la forza per divincolarsi dalla stretta delle manette. Urla, vuole raggiungerla: “Mamma”, ruggisce, cerca di attirare la sua attenzione. Poi si accorge che la donna non guarda lui: guarda oltre. C-117 si volta di scatto, ha paura, perché sua madre ha sempre sorriso a tutto, persino alla morte. Quello che vede, però, non è morte, non terrore: è qualcosa di diverso, qualcosa di umano. Volge lo sguardo sull’uomo che si è materializzato alle sue spalle, la pelle scura come l’ebano e gli occhi di vetro. Sorride anche lui, guarda sua madre. Le va incontro, gli sfiora una spalla senza notarlo. Cammina, nel suo vestito color pece, i piedi nudi piagati dai segni delle catene. Cammina, e sorride. Avanza piano, C-117 lo segue silenziosamente con lo sguardo: teme il momento in cui varcherà la soglia e scomparirà davanti ai suoi occhi. E invece non continua a camminare verso sua madre: lei allunga tutte e due le braccia, lo accoglie nella sua stretta. C-117 fissa ammutolito quel contrasto, il nero accanto al bianco, come se volessero fondersi e formare un unico essere.
Uno sparo squarcia l’aria. La creatura si macchia di sangue.

Reize sussulta, apre gli occhi di scatto: le sue gote sono bagnate di lacrime. Natsumi è china su di lui, una mano sulla sua spalla, il viso distorto dalla preoccupazione. Atsuya invece è in piedi, fermo e vicino alla porta, lo guarda penetrante. – Sei sveglio?
Reize annuisce, gli fa male la testa e gli bruciano gli occhi. Per quanto tempo ha pianto? Per quanto tempo ha dormito? Si appoggia allo schienale della sedia, fissa un punto dritto davanti a sé. Il pensiero di non aver raggiunto quelle due persone lo divora, ma chi erano realmente? C-117 non se lo ricorda. Ma ricordare fa male, ricordare uccide. Non vuole sapere, non può sapere. 
- Tutto bene? – gli chiede Nelly appoggiandogli una mano sul capo. Reize chiude gli occhi e annuisce lentamente. Le ferite bruciano davvero, ma non vi dà peso e si alza: deve fare il tè, preparare il vassoio con i biscotti, prendere il latte. Non può fermarsi, non può cadere. Non ora.
Si annoda meglio la mantellina al fianco, poi prende la teiera dalla credenza. Lo travolge un inquietante senso di quiete: non ha pensieri, non sente dolore. Se uno schiavo comprende di provare dolore non ha più speranze di sopravvivere. E Reize lo sa. 
- Sicuro?
Non risponde, si limita ad afferrare i biscotti di Natsumi, in una dimensione a sé stante. Prende lo zucchero, le tazzine, i cucchiaini. In meno di un minuto il vassoio è pronto, ma da qualche parte, lì nel suo cuore, piange ancora e trema nell’incrociare gli sguardi che gli vengono rivolti.
Sparisce dietro la soglia, sale i gradini facendo attenzione a mantenersi in equilibrio, trascinando le catene su per le scalinate coperte dal velluto rosso. Sente il rumore del metallo, i dolori delle ferite brucianti, il salato delle lacrime che di nuovo riprendono a scivolare lungo le sue guance e s’infrangono sulle sue labbra.
Il corridoio è buio, non vi sono candele: i quadri sono confusi, non sono riconoscibili. Ma C-117 non deve perdere l’orientamento, non può permettersi di inciampare e cadere: aiutato dalla flebile luce che proviene dalle finestre, trova la camera del Lord e si ferma davanti per pochi attimi, il tempo di asciugarsi le gote.
 Bussa una volta, poi un’altra. Il padrone non risponde, non sente il suono del pianoforte. Esita, come sempre, come al solito, quindi entra piano, schiudendo appena la porta. Il suo cuore batte fermo e regolare. 
Lo trova ancora sotto le coperte, il suo corpo si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro. È bello il letto del Lord, così piccolo, a baldacchino, con quel stile così antico e vissuto, le decorazioni su ogni colonna di legno, le lenzuola blu scuro. C-117 avanza nella stanza, si guarda attorno, avanza verso il Lord e appoggia il vassoio sul comodino. Le sue catene fanno troppo rumore, è impossibile che sia ancora addormentato. Eppure non si alza, sta ancora sotto le coperte e non si muove. C-117 vede solo un po’ dei suoi capelli rossi spuntare tra le lenzuola bianche, un contrasto che lo fa letteralmente rabbrividire, tanto lo riporta al suo incubo. 
Si allontana verso le finestre e tira le tende: il sole non è ancora sorto del tutto, non c’è abbastanza luce. Si perde a guardare l’orizzonte, quella sottile linea arancione che separa il cielo dalla terra come una lama invisibile capace di fendere l’oscurità. Ora che è uscito dalla sua gabbia non c’è buio, non c’è luna, eppure nulla è cambiato. Ma che si aspettava, del resto, da un destino come il suo?
D’un tratto rabbrividisce: il Lord lo abbraccia da dietro, prepotente e caldo. C-117 può sentire il suo profumo: odore da uomo, di tabacco, di cuoio, d’inchiostro, di trappole. Può sentire il suo calore, denso come l’aria, il suo respiro calmo e regolare sul collo, le sue labbra che sfiorano la sua pelle in un muto sorriso di compiacimento. – Ma come siamo belli quest’oggi. Forse un po’ turbati?
C-117 alza il capo, lasciando che il Lord scivoli per tutta la lunghezza del suo collo. È una sensazione strana, ambigua e spiacevole, umida e cattiva. Ma uno schiavo deve ubbidire anche agli ordini più segreti e impliciti. 
Il padrone lo afferra, lo stringe a sé in una morsa famelica: non c’è più il contatto dolce di poco prima, le sue mani si artigliano ai suoi polsi come a frantumarli: Reize soffoca un brivido, immagini terribili corrono davanti ai suoi occhi spaventati: dita grassocce, anelli d’oro, liquido rosso. Buio, scarafaggi, topi, pidocchi. Luna, freddo, caldo, malattia, fame. 
E la sua voce, così suadente e al contempo cattiva al suo orecchio: - Lascia che ti mostri il trattamento che riservo ai miei schiavi. Ti va? 
Quasi agonizza, mentre sente la mantellina rossa cadere per terra e il corpo del Lord premuto contro il suo. Gli tremano le gambe mentre lo strattona: lo allontana a forza dalle finestre, lo butta sul letto. Sulle labbra ha un sorriso maligno e perfido che non  ha nulla a che fare con la sua dolcezza abituale. Reize lo ha già intuito: Lord Kira ama le trappole. Ha paura, e inizia a trattenere i singhiozzi, cerca di mantenersi lucido: il terrore lo assale, gli divora il cuore, lo sventra lasciando in fin di vita. Soffre un panico indescrivibile che non ha mai provato fino ad ora, così vivido da far male. 

Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Improvvisamente è tutto calmo. Le mani del Lord scivolano lente sui suoi fianchi, un sorriso bugiardo, i primi raggi del sole entrano dalla finestra e distruggono le pareti vuote come lame taglienti. Reize è tranquillo, il suo cuore batte piano e a ritmo regolare. Mentre il Lord lo tocca e lo bacia guarda il soffitto, gli accarezza piano i capelli rossi, abbandonandosi completamente a lui, le loro gambe si intrecciano in una complicità conosciuta e senza bisogno di ordini. 
E all’improvviso Reize gli tira i capelli. Forte. E lo fa con tanta rabbia che sente appena il lamento dell’uomo, ma non dice niente e continua a guardare in alto. Gli tira i capelli e gli fa male, e in attimo le sue mani sono già artigliate sui suoi polsi per smorzare ogni singolo gesto di replica. Reize abbassa lo sguardo sul suo padrone, incredulo e gli occhi sbarrati, poi sorride. - No – ripete semplicemente, e gli dà un calcio forte fra le gambe. In un attimo è già su di lui e lo picchia, un pugno sulla mascella, un altro all’altezza dell’orecchio. Prova una certa soddisfazione nel farlo, un sorriso gli si dipinge sulle labbra. Ma l’ebbrezza dura poco, perché il padrone è molto più forte di lui e, con maggiore ferocia, reagisce a quell’imprudente vendetta senza trovare resistenze.
I pugni si susseguono senza fine, il ghigno dell’uomo lo fa impallidire e piangere. C-117 si fa pestare per un po’, poi inizia a mordere e a scalciare: pensa ai topi, al buio e agli scarafaggi, pensa al dolore delle catene e la loro pesantezza, pensa alle torture, ai sogni, agli incubi. Urla, ringhia, graffia, è una belva e non si riconosce più.
È il padrone  a vincere, alla fine. Lo sbatte forte sulla testiera del letto e lo schiavo si accascia con uno spasmo, si porta una mano alla nuca e se la ritrova macchiata di rosso, quasi non riesce a vederla tanto è rintronato. La voce del Lord si fa lontana e indistinguibile in mezzo alla moltitudine delle altre voci: quella è forse di Fuyuka? C’è anche quella di Atsuya. C-117 non capisce più nulla.
- Forse non abbiamo ben capito chi è che comanda, qui.  
Lo schiavo sente il suo respiro farsi mozzo, la vista annebbiarsi, il sangue salirgli alla testa. Pure la figura del Lord si fa sfocata e irriconoscibile, sagoma perlacea in mezzo alla penombra. Si staglia nel nero del suo animo, malefica, ombra assassina della lucidità. 
Il dolore che ne consegue gli strappa un urlo atroce. 

Atsuya ha sentito il grido. Alza la testa, s’immobilizza, ma non sente altro. Anche Natsumi si fa attenta, è ferma sulla soglia della cucina e guarda tetra in alto, consapevole che ciò che sta avvenendo sul letto sfatto del Lord è una cosa che si ripete. Da anni.
Fubuki non si scompone. Resta immobile e dopo un po’ fissa Natsumi negli occhi. Nessuno dice nulla. Entrambi sanno e sapevano, tacciono pervasi dai sensi di colpa. La donna avanza e prende in mano lo  straccio che Atsuya tiene mollemente nella mano, si mette a pulire il corrimano al posto suo, senza dire nulla, abbassando lo sguardo. L’uomo pensa con lei, ma non si muove: è forte ora. Ha imparato a superare il dolore: stavolta non se ne andrà, non scapperà in cucina a piangere lacrime amare come ha sempre fatto. L’urlo era quello di Reize, non più quelli di S-144.
Scosta bruscamente la donna e gli strappa lo straccio dalle mani: - Vai a preparare il pranzo, forza.
Natsumi lo guarda, ma non dice nulla. Rimane immobile, e lo osserva salire per le scale lucide. 
- Tutti gli volevano bene. – sussurra infine. – Tutti, anche lui.
- Lui è un politico bastardo, uno dei tanti. Ha amanti sempre diversi, e non se ne ricorda nessuno. Con una semplice parola sarebbe capace di lasciarci tutti quanti sul lastrico, Natsumi. No, Lord Kira non gli voleva bene. Non vuole bene a nessuno.
Lei sa che il collega ha ragione. Distoglie lo sguardo e sospira, ammirando il bel tappeto orientale che copre tutto l’atrio tanto è grande. Il lampadario di vetro proietta ombre scure sul pavimento, maligne e pronte ad azzannarli, terribili nella loro innocuità. Niente spaventa Natsumi più del suo posto di lavoro.
Si volta e torna in cucina. Sente un singhiozzo, due, ma non si volta per guardarlo in viso, non ne ha il coraggio. Scoppierebbe a piangere pure lei, se solo fosse nella sua natura farlo. 
Si chiude la porta della cucina alle spalle, giusto in tempo per sentire un altro grido, più flebile del precedente. Natsumi prende il suo cesto di vimini e tira fuori la verdura fresca, cercando di mantenere la calma con piccoli gesti, mentre le urla si susseguono piangenti, stridono nella sua mente come unghie trascinate sulla lavagna. È soltanto il cigolio sinistro della porta.
Alza gli occhi, e la vede: davanti a lei, Fuyuka la fissa con occhi vuoti e spettrali. Sembra apparsa dal nulla, avvertendola della sua presenza con pochi rumori percepibili.  Natsumi non si stupisce più di nulla.
- Hai fame? Ti prendo qualcosa. – mormora stancamente. La schiava annuisce, non parla, del resto non l’ha mai sentita pronunciare parola da quando è morta. Non fa più caso alla sua presenza spettrale, inconsistente come una visione: quando le prepara da mangiare il piatto rimane sempre vuoto. 
- Soffre.
Natsumi si volta, guarda gli occhi vacui e spenti del fantasma. È la prima volta che sente la sua voce dopo anni, quindi sa che il bisogno che la preme è urgente. A chi si riferisce? A Reize, ad Atsuya?
- Soffre. – ripete Fuyuka, come una cantilena. – Soffre più di quanto immagini. 
- Chi? – chiede lei. – Chi soffre? Atsuya, Reize? Lo so, anche io soffro.
L’anima fa cenno di no con la testa, enigmatica. – Non solo voi. Soffre anche lui. 
Natsumi sembra capire, è esterrefatta dalla rivelazione dell’anima. Fuyuka non sembra voler dire altro, ha finito di parlare: si alza, le catene tintinnano lievi, poi avanza verso la porta dandole le spalle: Nelly può vedere le orme che lascia, nere come l’inchiostro, assorbite prontamente dal pavimento di legno scuro e d’un tratto inesistenti.
 Un tempo erano state amiche. Ora sono l’anima e la donna.
- E… non vuoi mangiare? – chiede dunque piano senza sapere cosa dire.
L’anima si volta, è già sulla soglia pronta a sparire nel giardino. Il vestito di tulle è mosso leggermente dalla brezza mattutina. La guarda incerta, un sorriso ebete e trasognato, lo stesso di sempre. – Non ho fame. – si limita a dire semplicemente, ed esce accompagnata dal suono orrendo. 
Natsumi sente l’impulso di correrle dietro, ma quando si affaccia verso l’esterno la ragazza è già sparita. Ill giardino è deserto. E  Fuyuka non c’è, inghiottita dai raggi del sole.
Lo spettro se n’è appena andato quando il grido di Atsuya le fa accapponare la pelle. Le urla di aprire la porta, e fa appena in tempo ad ubbidire che l’uomo si precipita dentro, un corpo di sangue e carne viva tra le braccia, seguito da una scia rossa che Nelly non riuscirà più a dimenticare.

C-117 sente dolore. Vasto, parte dal ventre e si dirama per tutto il corpo, fino alla testa, alle dita, alle gambe. Non riesce a muoversi, sente lontana la voce di Atsuya che gli dà dell’idiota. Eppure sente un’infinita pace, un incredibile senso di tranquillità che non si sarebbe mai aspettato. 
- Idiota. – gli ripete il compagno per l’ennesima volta, schiaffandogli il panno umido che ha usato per pulirlo sugli occhi che non riesce ad aprire. – Che ti aspettavi eh? Che cosa pensavi di fare? Non ricordavo che educassero così gli schiavi di Pierre.
E così, lui è uno schiavo di Pierre. Che cosa strana. Apre gli occhi, la luce lo acceca, forse è già pomeriggio. Ha fame, gli brucia la gola. Sente in bocca il gusto del sangue. 
- E mi hai pure imbrattato tutte le scale, razza di stronzo. – continua sbuffando Fubuki. – Hai idea di quante volte ho dovuto ripassare, stamattina? Tre. Tre volte tutta la lunghezza delle scale. Per non parlare delle lenzuola, erano più rosse che bianche. Hai idea di come si faccia il bucato? Un giorno ti farò ingoiare tutto quanto, così imparerai a fare il creti-
Reize allunga il braccio debole, raggiunge la sua bocca e vi appoggia sopra il palmo, a zittirlo. Poi passa a sfiorargli una guancia, è umida. – Hai pianto.
Segue un silenzio fatto di sguardi, entrambi tacciono segreti. Poi Atsuya si riprende, alza le spalle e lo guarda torvo: - Non certo per te.
Reize si chiede allora per chi altri.
 Si guarda attorno, si trova in una stanza sobria e sconosciuta. Ci sono pochi oggetti: uno specchio rotto, una foto sbiadita attaccata alla parete con un chiodo, uno sgabello sul quale ora Fubuki è seduto, una finestrella, e il letto dove ora giace, incapace di muoversi. 
- E’ la mia stanza, nel caso te lo stessi chiedendo. – borbotta Atsuya. C-117 ora pensa che, nonostante non lo voglia dare a vedere, è una persona molto generosa. 
- Che ore sono? – chiede piano, sente la lucidità riportarlo lentamente alla realtà.
- Le sei del pomeriggio.    
A quelle parole C-117 prova ad alzarsi sui gomiti e ricade con un tonfo fra le lenzuola. Guardandole con la coda dell’occhio vede tracce di sangue.
- Eri vergine, vero? 
Reize lo guarda, non riesce a decifrare la sua espressione. – Dipende da che cosa significa. – sussurra solo. Gli gira ancora la testa.
Fubuki non gli risponde, volta lo sguardo verso la foto. A quella distanza, con la vista appannata, Reize non riesce a vederla bene. Si sorprende quando l’uomo bisbiglia qualcosa a denti stretti, ma le sue parole non sono rivolte a lui. – Pezzo di merda, lui e quelle dita che si ritrova. 
Allo schiavo ci vuole un po’ di tempo per capire che sta parlando di Pierre. Si rilassa sul letto di Atsuya, è morbido anche se piccolo e rozzo. Forse, se ci pensa, non sono così diversi come pensava: anche lui sa un sacco di cose che agli schiavi tocca sapere.
- Oh sì, è un grande figlio di puttana. – sussurra in risposta. – Ma ti abitua facilmente ad essere schiavo. Io ho imparato da lui.
- Non hai imparato abbastanza, a quanto vedo. – osserva acido l’altro guardandolo torvo. – La prossima volta non fare cazzate, che poi mi tocca pulire.
Reize sorride: sa che dietro quelle parole c’è molto altro. 
- L’hai visto il Lord?
- No, è partito per il ministero stamattina presto.
- Gli ho cacciato un pugno in un occhio. Dubito che il livido scomparirà facilmente.
Atsuya lo fissa, rimane muto. Guarda il sorriso sornione e sfrontato dello schiavo e non può fare a meno che pensarlo e dirlo: - Scemo. - Poi ride, e vorrebbe farlo anche Reize ma non ne ha la forza. Il domestico esce dalla stanza, scuotendo la testa. Forse lo schiavo ha davvero battuto la testa. – Sei proprio scemo.

   
 
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