Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Horror_Vacui    06/04/2015    1 recensioni
Primo settembre, Londra, stazione di King's Cross, binario nove e tre quarti.
Come sempre, anche in quel giorno, la vita dava dimostrazione della sua crudele indifferenza allo scorrere del tempo e alle persone che erano state strappate via dal giardino del mondo.
Il sole continuava a sorgere, il vento a soffiare forte, la pioggia a cadere incessante, mentre a soli pochi mesi di distanza si era consumata la tragedia della Seconda Guerra Magica.
Il dolore avviluppava nelle sue spire scure le anime scucite dei superstiti, mentre i cuori sanguinavano per le ferite inferte dalle perdite subite.
Eppure eccoli lì, riuniti sul binario che aveva sancito il loro ingresso nel mondo degli adulti, gli studenti che avevano combattuto quell'ultima battaglia, pronti a concludere il percorso iniziato insieme anni prima, inconsapevoli della nuova minaccia che si profilava all'orizzonte.
Genere: Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3. Debiti

Aveva sempre trovato affascinanti i colori del fuoco morente, l'amalgama cangiante di rosso, nero e argento che rilasciava gli ultimi sprazzi di luce e calore; e così, mentre tutti andavano via, lei amava restare a guardare quei piccoli tocchetti carbonizzati ridursi in cenere. La aiutava a riflettere, schiarire le torbide acque dei propri pensieri senza doversi sentire in dovere di parlare, un momento solitario che non aveva mai condiviso con nessuno.
Pensò all'ultima volta in cui era rimasta sveglia davanti alla brace, quando suo fratello era ancora vivo e il mondo sembrava avere un senso. Era alla Tana, sua madre stava lavorando ad uno dei suoi caldi maglioni di lana, seduta sul vecchio divano, mentre i biscotti per la colazione cuocevano in forno rilasciando un dolce profumo di latte e vaniglia.
Quella sera, dopo la lite con Harry, aveva atteso che tutti si addormentassero e poi era scesa in Sala Comune. Nonostante i colori sgargianti, non riusciva a trovarla accogliente come il salotto vecchio e rattoppato di casa sua, i ricordi che le suscitava avevano l'odore della gelosia e del fallimento.
Prese due cuscini dal divano, li sistemò sul tappeto per potersi mettere comoda e si gettò addosso la coperta, poi mise alcuni rametti nel braciere solo per il piacere di sentirli scoppiettare.
Per quanto si sforzasse di apparire forte, c'erano delle crepe nella sicurezza ostentata con cui affrontava il mondo. E tutte quelle crepe erano in qualche modo collegate a lui.
Harry.

Un chiodo piantato a fondo nel petto, che le faceva sanguinare il cuore da anni, rendendola sempre più vulnerabile, sempre più fragile. Si era innamorata di lui sin dal primo momento, era stato come un caldo raggio di sole in un giorno di pioggia e, come tale, si era fatto desiderare per intere stagioni. Presente ma allo stesso tempo irraggiungibile, non avrebbe mai potuto sostituirlo con nessun altro.
Eppure...
Il rumore di passi giù per le scale la riportarono bruscamente alla realtà. Con la coda dell'occhio notò la figura immersa nella penombra e si appiattì verso il pavimento, calando la coperta il più possibile sulla testa, nel timore che fosse una sua compagna di stanza venuta a cercarla. Aveva chiesto alle sue amiche di lasciarla in pace, ma chi avrebbe potuto prevedere le mosse di un gruppo di adolescenti dramma-dipendenti?
Era vicina, la sentiva respirare mentre la rabbia le montava dentro. Esasperata uscì allo scoperto, gli occhi spiritati, le narici dilatate e la bocca spalancata pronta ad urlare improperi, quel che vide, però, la sgonfiò come un triste palloncino babbano.
Stava lì, in piedi come un pinguino, incapace di trovare un giusta sistemazione alle mani, che vagavano incerte tra i capelli, gli occhiali e l'orlo del maglione, gli occhi tristi e colpevoli e l'aria sorpresa di chi era stato beccato con le mani nella marmellata.
Perso il cipiglio, lo squadrò con gelida indifferenza e tornò sedersi. Harry non le rivolse la parola ma si appoggiò alla mensola del caminetto, il più lontano possibile da lei.
Si meritava una spiegazione, gliela doveva, anche se questo avrebbe significato donargli l'ultima parte di se stessa, quella che credeva di poter celare per sempre alla vista di chiunque.
«Non è colpa tua» disse con la voce arrochita dalle tante ore di silenzio.
Il ragazzo la stava guardando con una tale intensità da metterla a disagio, lo stesso che aveva provato nei primi tempi, quando lui era l'amico di Ron e lei la piccolina di casa Weasley. Deglutì a fatica, ma continuò a fissare le fiamme danzanti, raccogliendo i capelli spettinati in uno chignon abbozzato.
«Il problema sono io, che non riesco ad accettare di avere delle debolezze. Tra noi due tu sei sempre stato quello timido e tenero» sorrise alle ultime parole «mentre io la ragazza tosta, coraggiosa... e stronzate del genere.»

Era convinta di avere un bel discorso pronto - lo aveva ripetuto molte nella sua mente -, ma, quando era arrivato il momento di parlare, si era perso in una serie di frasi confuse dalle lacrime e dai singhiozzi.

«Harry, mi dispiace ma non posso più essere forte anche per te, io sono a pezzi e ho paura e non so cosa fare...» disse, mentre un singulto più intenso degli altri le squassava il petto.
Lui, che non aveva detto o fatto nulla fino a quel momento, si inginocchiò e la abbracciò.
«Ginny, ti prego, ascoltami. So di non essere perfetto, ma questo non significa che tu debba esserlo per me. Ti ho messa in pericolo e, negli ultimi tempi, ho pensato che forse sarebbe stato meglio allontanarmi da te e...» a quelle parole lei trasalì e scosse la testa. Era disorientata, passata da presunta carnefice a vittima nella frazione di pochi secondi. Si sarebbe aspettata di tutto, ma non un discorso del genere, non da lui, non dal suo Harry.
Eppure...
«Sei uno stupido!» lo scansò, alzandosi in piedi «Io ero qui a struggermi per te, mentre tu pensavi ad un modo carino per lasciarmi!»
Harry la seguì a ruota e poi accolse in silenzio il primo schiaffo, il secondo e infine i pugni sul petto, finché Ginny, ansimante e scarmigliata, non abbassò le braccia in segno di resa.
«Egoista e vigliacco, ecco cosa sei» lo superò dandogli le spalle.
«Hai ragione!» disse allora lui «Sono uno stupido egoista.»
La attirò a sé con decisione e le baciò la fronte, le palpebre, la punta del naso e, infine, le labbra. Aveva avuto molti ragazzi, ma nessuno l'aveva mai baciata come Harry. Non c'era fretta né irruenza, era come lasciarsi cullare dalle onde in una barca alla deriva e, anche in quel momento, mentre la stritolava in un abbraccio soffocante, si sentì nel posto giusto, perfettamente incastrata nel suo petto, cuore contro cuore.
Eppure... non bastava.
«Che significa?» gli disse una volta recuperato il controllo di sé.
«Quando Ron è partito ho creduto che starti accanto fosse ancora rischioso e...»
«E non ti è importato conoscere la mia opinione» gli carezzò una guancia «Harry, mi renderai mai partecipe di una tua decisione?» non era una domanda, ma un'implicita richiesta.
«Non è facile, non ho mai amato nessuno come amo te,» provò a difendersi «e non riesco a smettere di pensare che, se non avessi chiesto aiuto a tua madre quel giorno alla stazione...»
«Harry!»
«...probabilmente la tua famiglia sarebbe stata molto meno coinvolta nella guerra» continuò imperterrito distogliendo lo sguardo.
Aveva provato ad immaginare una vita senza Harry, soprattutto dopo la morte di Fred. Tutto sarebbe stato diverso, ma non in meglio, ne era certa. Forse i Weasley sarebbero rimasti solo la numerosa famiglia di un addetto all'ufficio per l'uso improprio dei manufatti babbani, senza infamia e senza gloria, o forse il destino li avrebbe comunque portati verso quella strada, fatta di sangue e di morte. Erano maghi purosangue, erano Grifondoro da generazioni ed erano parte del loro mondo, lo stesso minacciato da Voldemort.
L'incontro con Harry aveva profondamente condizionato la vita di qualcuno, ma non la loro. Era giunta a quella conclusione a cena, quando l'aveva vista seduta al tavolo, abbandonata e smarrita in una moltitudine di persone estranee, e si era sentita una sciocca.
Aveva dubitato delle buone intenzioni di Harry, accecata dal dolore e dalla paura di perderlo, ma non si era resa conto di quanto Hermione fosse in realtà sola.
«Smetti di mentire a te stesso. Il problema non è più la mia sicurezza e tu non puoi continuare a fingere che sia così.» Gli prese il viso tra le mani «Allontanarti da me non risolverà la situazione, lei non riavrà la sua famiglia e Ron non tornerà indietro. Credi davvero che Hermione sarebbe contenta sapendo che tu hai rinunciato a me, a noi, a causa sua? Quale senso potrebbe avere?»
Era spaventata, incapace di prevedere la reazione del ragazzo, ma quando lo guardò negli occhi vi lesse gratitudine e tristezza, lo sguardo che aveva sempre riservato solo a lei.
«Mi è sempre stata accanto, ci ha salvati innumerevoli volte e, anzi, sono convinto che senza di lei non avrei superato nemmeno il secondo anno, ma non è questo il punto. Siamo amici, lei è la mia migliore amica, la sorella che non ho avuto e adesso ha bisogno di me. Io ho bisogno di Hermione, tanto quanto ne ho di te per voltare pagina.» Era il discorso più lungo che le avesse mai rivolto e avvertì dal fremito della sua voce quanta fatica dovesse aver richiesto.
«Tutte quelle morti...» sussurrò infine dopo una lunga pausa.
«Harry, mi dispiace non averlo capito prima.»
«Ginny...» la strinse di nuovo, con molta meno grazia, nascondendo il volto nell'incavo della sua spalla «Ti prego, perdonami tu, perché io non riesco a perdonare me stesso».

*

I pallidi raggi lunari rischiaravano appena le fronde degli alberi che la circondavano e una fitta nebbia candida saliva svelta ad oscurarle la vista.
Era certa di non essere mai stata in quel posto, ogni cosa però le sembrava familiare: il boschetto alla sua sinistra, le alte canne ingiallite poco distanti e il terreno argilloso sotto i piedi nudi.
Una folata di vento fece svolazzare la leggera vestaglia che indossava e allora sentì arrivare il freddo. Non poteva rimanere lì ferma a morire assiderata, non era da lei arrendersi, così si fece coraggio e prese ad avanzare.
Come spinta da una forza superiore, si inoltrò nel canneto un passo dopo l'altro, e camminò a lungo, per quelle che le sembrarono ore, senza trovare una via d'uscita. Cercò d'istinto la bacchetta, confidando di trovarla attaccata al fianco, ma non l'aveva con sé. Colta dal panico iniziò a correre facendosi largo con le mani, incurante dei tagli che le piante secche le procuravano. Il fango era sempre più vischioso ed era sul punto di cedere, quando sbucò all'improvviso in uno spiazzo occupato da uno stagno. Riprese fiato ed asciugò le lacrime. Non era ancora salva, ma almeno riusciva a vedere il cielo e le stelle sopra la sua testa.
Lo stagno era un placido specchio d'acqua privo di piante e animali. Si inginocchiò sulle sue rive per guardarlo più da vicino, ma si rese conto che non rifletteva nulla, nemmeno la sua immagine.
Si accorse che però qualcosa stava affiorando sul pelo dell'acqua. Inorridita comprese che si trattava del corpo di un uomo. Le dava la schiena e non riusciva a vederlo in volto, così, sperando fosse ancora vivo, d'istinto si allungò in avanti per trascinarlo fuori. Cadde svariate volte all'indietro, mentre il corpo dell'uomo scivolava via, ma non si diede per vinta e tentò ancora. Alla fine, con il fango alle caviglie, riuscì a portarlo sulla riva e si stese stremata accanto a lui.
Ancora non aveva idea di dove si trovasse né perché, ma sapeva di aver compiuto una buona azione. Si mise a sedere e poggiò una mano sulla schiena dell'uomo per verificarne il respiro, ma era immobile e duro come un sasso.
Di nuovo quella strana sensazione di urgenza la colse e il bisogno di conoscere l'identità di quello sconosciuto superò il freddo e la fatica. Raccogliendo le ultime forze, si puntellò sulle ginocchia e lo girò. Occhi vitrei e bocca spalancata, un volto pallido devastato da una smorfia di dolore, l'ultima, prima che la morte calasse la falce su di lui.
Ron.

Un urlo squarciò il silenzio del dormitorio femminile di Grifondoro, così prolungato e agghiacciante che molte studentesse si affacciarono fuori dalle loro stanze. Le sentì scalpicciare allarmate fuori dalla propria porta, ma era troppo sconvolta per poterle rassicurare.
Era madida di sudore e respirava a fatica mentre il cuore galoppava veloce. Scostò le coperte con un gesto deciso e abbandonò il calore asfissiante del letto.
Ogni notte la stessa storia, tutte le sue peggiori paure prendevano forma in terribili incubi e, spesso, l'ambientazione era proprio la sera in cui Ron l'aveva lasciata sulla soglia di casa.
Era buio e lei stava dormendo quando dei rumori provenienti dalla stanza accanto l'avevano destata. Senza neanche mettere le scarpe era corsa giù per le scale, diretta verso la porta, e l'aveva raggiunto appena in tempo per vederlo smaterializzarsi, lo zaino in spalla e la testa bassa. Non un bacio o un abbraccio, non gli aveva potuto dire addio.
Perché? Si chiese guardandosi allo specchio del piccolo bagno in camera.
Non poteva contattarlo, il regolamento non prevedeva l'invio di lettere e altre “distrazioni” alle reclute. Lui era di proprietà del Ministero fino alla fine dell'addestramento e la fase del distacco dagli affetti familiari era tra le più importanti dell'intero corso.
Ron aveva solo deciso di giocare d'anticipo.

*

Da quando era uscito da Azkaban la sua posizione era del tutto compromessa e non c'era luogo o compagnia in cui sentirsi al sicuro. I vecchi amici lo guardavano con diffidenza e sospetto, aveva perso per sempre la loro fiducia, ne aveva avuto conferma durante la notte.
Blaise e Theodore avevano smesso di parlare al suo arrivo in stanza ed erano stati così bruschi e sgraziati da avergli strappato un amaro sorriso. Aveva offerto una sigaretta a Blaise e lui l'aveva accettata a stento, mentre Theodore si era rigirato nel letto.
Lo temevano e, in fondo, doveva aspettarselo.

Quello non era più il Draco Malfoy che tutti conoscevano, il ragazzino vispo e viziato con la puzza sotto il naso aveva perso i pezzi, uno alla volta, fino a disintegrarsi come legno arso dal fuoco.
Persino lui stentava a riconoscersi, lo specchio gli restituiva un'immagine diversa, una pallida imitazione di quel che era stato, una vivida rappresentazione di quel che era. Un uomo? No, un vecchio con la schiena curva, troppo stanco per vivere, ma con ancora troppi problemi a impedirgli di morire. Aveva fatto una promessa a sua madre e l'avrebbe mantenuta a costo di spezzare vite a mani nude.
Il suo piano avrebbe avuto inizio lì, dove tutto era cominciato, dove tutto sembrava finito.
La Sala Grande era il luogo in cui gli studenti si riunivano per consumare i pasti, partecipare a eventi importanti... e scambiare una quantità spropositata di pettegolezzi e maldicenze. Non c'era neppure un avvenimento che passasse inosservato, anche la più piccola inezia poteva trasformarsi in una storia interessante su cui ricamare per ore.
Aveva sempre trovato poco interessante quell'inutile chiacchiericcio, a volte persino irritante e fuori luogo, ma quella mattina era diversa dalle altre. Il ciarlare delle sue compagne di Casa aveva assunto un valore nuovo.
Conoscere ogni pettegolezzo, la fonte, le successive aggiunte, era diventato importante, perché in quella massa di notizie sconclusionate avrebbe potuto nascondersi un'informazione utile. Il problema, però, era passare inosservato, cancellare il segnale di pericolo che pendeva sulla sua bionda chioma.
Fingersi annoiato era una pratica affinata negli anni che lo aveva salvato parecchie volte, da domande scomode, discussioni che non lo riguardavano e gente mediocre. Gli bastava indossare il broncio, tenersi la testa con una mano e rigirare la forchetta nel piatto, di tanto in tanto alzare gli occhi al cielo, sbuffare e il gioco era fatto. In cella aveva imparato ad essere paziente e silenzioso, un letale serpente in agguato in attesa della propria preda. Chi avrebbe mai fatto caso a lui? Forse il primo giorno, magari il secondo e pure il terzo, ma prima o poi i Serpeverde avrebbero smesso di pensare che Draco Malfoy tramasse qualcosa e avrebbero abbassato la guardia, smettendo di schermare la mente o di mormorare sottovoce, e lui avrebbe avuto finalmente campo libero.
Pazienza, devo solo avere molta pazienza...
«Pansy! Pansy! Hai sentito?»
O forse no.
Millicent Bulstrode, la faccia rossa come un peperone e il respiro pesante, arrivò di corsa al loro tavolo, rischiando di schiantarsi sul vassoio dei muffin. Aveva attirato gli sguardi curiosi di molti studenti delle altre Case e, com'era risaputo, ai Serpeverde come Pansy non piaceva essere notati.
«Stupido pachiderma! Che hai da strillare?!» la rimbeccò per questo senza pietà.
La ragazza, abituata agli insulti della compagna, si versò un bicchiere di succo di zucca e, dopo una lunga sorsata, riprese a parlare.
«Prima ero al tavolo dei Corvonero, parlavo con Lisa» trattenne a stento un rutto «sai, Lisa Turpin, siamo amiche da un po'...»
«Sì, chi se ne frega!» la interruppe Pansy alzando gli occhi al cielo «Non hai altro da dirmi?»
Millicent annuì e addentò una fetta di torta al cioccolato come fosse un bignè. Masticò in fretta e furia, tracannò altro succo per mandarla giù e poi, con la bocca ancora piena e impastata disse: «Lisa ha sentito dire da Hannah Abbott che Calì Patil ha detto che qualcuno stanotte ha urlato!»
Draco conosceva abbastanza bene Pansy da sapere che i pugni stretti sul tavolo e le grosse narici spalancate non promettevano nulla di buono.
«Quante volte ti ho detto di non parlare a bocca piena?!» disse infatti a denti stretti, mentre gli occhi a palla minacciavano di uscirle dalle orbite.
«Sì, cazzo, Pansy ha ragione, sei disgustosa!» intervenne Blaise pulendosi il viso dalle briciole sputacchiate qua e là dalla corpulenta ragazza.
«Senti, non abbiamo tempo da perdere. Chi ha urlato e dove?» disse Pansy perentoria.
Millicent, che aveva una cotta per Blaise da anni, si pulì la bocca con un tovagliolo ancora più rossa in viso di quanto già non fosse.
«Nel dormitorio femminile dei Grifondoro, ma non si sa ancora chi è stato!» riferì dopo una pausa imbarazzata.
Risatine e versi di apprezzamento, i volti dei suoi compagni si erano illuminati in contemporanea, come quelli dei bambini di fronte a un pacco regalo. Anche Draco si sentì rallegrato dalla lieta notizia, non solo perché riguardava gli odiati Grifondoro, ma soprattutto perché non sembrava affatto una cosa da poco.
«Uuuh! Vuoi dirmi che scopano anche loro?» ridacchiò Blaise, ricevendo una gomitata da Theo.
«Certo, idiota! Non te ne sei mai fatto una? Sono delle vere belve!»
«Ma no, non quel tipo di urlo! Era più un urlo di terrore.»
Millicent frenò sul nascere l'entusiasmo dei ragazzi, accendendo invece quello delle ragazze.
«La cosa comincia a farsi interessante! Di sicuro era la Weasley, avrà visto Potter nudo, fossi in lei anch'io urlerei» osservò Daphne scatenando altre risate.
«Chi ti dice che a urlare non sia stato proprio Potter?» riprese Theo «Chissà cosa nasconde sotto la gonna la piccola Weasley...»
La discussione era proseguita su quella scia per parecchi minuti finché Pansy non aveva deciso di averne abbastanza di teorie assurde e senza senso e Draco, per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti, si era ritrovato a ringraziarla mentalmente.
«Ascoltatemi, brutti idioti, io so chi è stato» esordì mentre un sorriso maligno le curvava le labbra.
Fece una lunga pausa, aspettando che i compagni recepissero la notizia e, solo quando fu certa di aver catturato l'attenzione di tutti proseguì.
«Per me è stata la Granger.» la sicurezza con cui lo disse fu tale da risultare convincente persino a Draco.
Hermione Granger.
L'aveva vista soffrire, l'aveva sentita gridare, ma non cedere. Per quanto le ore di tortura sembrassero infinite, la Granger non si era piegata, ma aveva avuto persino la forza di mentire.
Quelle urla si erano marchiate a fuoco nella sua mente e, ogni volta che lo sguardo cadeva per caso sulla Grifondoro, tornavano a farsi sentire. Per questo e per altri motivi, nonostante lei e i suoi amichetti gli avessero già salvato la vita, si sentiva ancora tremendamente in debito con la nuova Caposcuola.
Era stata la Granger? A vederla chiunque avrebbe detto di sì. Il viso pallido e tirato, le occhiaie scure, i capelli flosci e le spalle curve. La Sala Grande era troppo impegnata a spettegolare per rendersi conto che la soluzione era a portata di tutti, ma del resto non aveva importanza: una sola parola da parte di Pansy e la notizia si sarebbe sparsa a macchia d'olio.
Sbuffò lasciando cadere la forchetta nel piatto.
Odiava sentirsi in debito con qualcuno.
Odiava sentirsi in debito con la Granger.
Odiava la Granger.

*

La notte peggiore da un paio di settimane a quella parte e non poteva (né voleva) parlarne con il suo migliore amico. Harry versava in uno stato di assoluta grazia, con Ginny vicina a tenergli la mano emanando una nube tossica di cuoricini. Chi era lei per spazzarla via? La scena sarebbe risultata talmente patetica che per rimediare avrebbe dovuto impiccarsi nel bagno di Mirtilla Malcontenta.
Tuttavia non poteva dire di sentirsi ignorata. Aveva peccato di leggerezza dimenticando gli incantesimi di protezione e si era inconsciamente esposta a una bufera di escrementi senza precedenti. Non si parlava d'altro quella mattina: urla orribili, agghiaccianti, terrificanti, provenienti dal dormitorio femminile di Grifondoro! Chi era stato? Una nuova minaccia era in corso?
Il suo nome non era ancora venuto fuori, ma sapeva che prima o poi sarebbe stato associato all'intera situazione, bisognava solo aspettare con calma.
Calì e Lavanda 'lavoravano' senza sosta, saltando come molle impazzite da un tavolo all'altro. Avesse avuto un briciolo di energia in più, probabilmente avrebbe fatto loro delle domande sull'accaduto, depistandole per qualche altra ora, ma non era dell'umore adatto per lanciarsi in sciocche macchinazioni.
Sospirò affranta, incapace di trovare la tolleranza necessaria a sopportare chiunque nel giro di almeno tre chilometri, e sollevò gli occhi dal libro di Rune Antiche. In lontananza Millicent Bulstrode si stava dirigendo verso il proprio tavolo come un bue muschiato davanti all'erbetta primaverile. Lo scoop eccezionale era dunque giunto anche ai Serpeverde? Li vide sghignazzare e parlare in modo concitato, Nott aveva appena dato una spallata a Zabini, mentre Daphne doveva aver fatto una battuta davvero esilarante perché tutti erano scoppiati a ridere.
Tutti, tranne Malfoy.
Era seduto accanto alla combriccola ma non era chiaro se fosse lui ad ignorare loro o viceversa.
Mise a tacere la vocina che le sussurrava all'orecchio quanto la situazione apparisse strana, preferendo affidarsi alla logica. Era normale, dopo tre mesi ad Azkaban chiunque sarebbe uscito trasformato, senza contare i dubbi che ruotavano attorno alla sua scarcerazione. Cosa aveva spinto il Ministero a rilasciare l'erede di Lucius Malfoy, con il padre vivo e in fuga chissà dove?
Si passò una mano tra i capelli e chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie. Non era più compito suo, anzi, c'era un'intera squadra di Auror a controllare la situazione. In fondo sapeva che le lezioni di Difesa erano solo la punta dell'iceberg e lei, per una volta, avrebbe preferito non fare la fine del Titanic.
D'istinto guardò di nuovo nella direzione dei Serpeverde e notò due paia di occhi intenti a fissarla. Pansy Parkinson la stava guardando con maligna soddisfazione, il che non la sorprese troppo, era abituata a quel tipo di occhiate. Ciò che però la sconvolse fu lo sguardo intenso rivoltole da un'altra persona. Gli occhi grigi del nemico. Credeva di aver preso un abbaglio la sera precedente e, invece, Malfoy guardava proprio lei. Che le stesse lanciando qualche tipo di fattura?
Non aveva intenzione di scoprirlo. Mise il libro in borsa e si alzò con tutta la noncuranza che riuscì a racimolare.
«Dove vai?» le chiese Harry preoccupato.
«Ho una riunione con i prefetti prima dell'inizio delle lezioni» si giustificò lanciandogli un'occhiataccia.
Se Harry voleva che le cose tra lui e Ginny funzionassero davvero avrebbe dovuto smetterla di usare quel tono apprensivo!


Una volta fuori respirò con gratitudine l'aria fresca del mattino e guardò il cielo limpido con un po' di malinconia. Non aveva ancora perso del tutto la ragione, sapeva che quegli sguardi in Sala Grande significavano qualcosa, restava solo da scoprire chi dei due Serpeverde l'avrebbe seguita.
La riunione esisteva davvero e non sarebbe sembrato strano a nessuno che Hermione Granger avesse deciso di presentarsi con venti minuti d'anticipo. Il luogo designato era il corridoio principale dove avrebbero dovuto smistare il traffico di studenti del primo anno. Mise una mano in tasca a stringere la bacchetta e si appoggiò ad una colonna, fingendo di guardare fuori dalla finestra di fronte.
Passarono alcuni minuti e poi dei passi pesanti e strascicati risuonarono tra le vecchie mura di pietra. Malfoy girò l'angolo e la raggiunse in poche falcate e, a quel punto, non seppe più cosa aspettarsi. Un attacco in pieno giorno era fuori discussione, era più probabile che la sbeffeggiasse o la ignorasse come aveva già fatto alla stazione.
«Granger» la salutò con un cenno del capo.
«Malfoy» ricambiò il cenno sostenendo lo sguardo minaccioso del Serpeverde.
«Dov'è l'aula di Babbanologia?»
Una domanda secca, priva di sarcasmo o allusioni. Mille congetture gettate alle ortiche da un atteggiamento così normale da risultare atipico. Aprì e chiuse la bocca almeno quattro volte senza riuscire a spiccicare parola, troppo confusa per poter rispondere.
«Caposcuola, ti ho fatto una domanda» la rimbeccò lui sbuffando seccato.
«Bab-babbanologia?» fu l'unica parola che riuscì ad articolare, mentre sentiva la dignità scivolare lentamente sotto le scarpe.
«Esatto!» schizzò fuori un fiotto di veleno «Da quest'anno è materia obbligatoria, dovresti saperlo.»
«Sì, certo che lo so!» mentì spudoratamente, nel tentativo di recuperare un po' della vecchia Hermione.
Si era già trovata a quella distanza da Malfoy, ma in genere era per insultarlo con più efficacia, non per dargli informazioni come fossero due studenti qualunque.
Il profumo di colonia, misto ad un intenso odore di tabacco, le penetrò nelle narici infastidendola. Notò quanto fosse alto e si sentì per la prima volta intimorita dalla vicinanza con il ragazzo.
«Allora? Granger, sei la peggior Caposcuola che Hog...»
«L'aula è al secondo piano, terza porta a destra» interruppe sul nascere le lamentele del ragazzo.
Aveva ragione, una Caposcuola doveva essere preparata ed efficiente, ma lui era pur sempre lui. Come poteva pretendere di iniziare una conversazione civile di punto in bianco?
«Finalmente! Credevo avessi perso la voce stanotte» allargò le braccia in modo plateale.
Hermione non recepì subito il messaggio, ma quando la sua mente riuscì a mettere insieme i pezzi lui era già in fondo al corridoio, così, senza pensarci troppo, lo rincorse e prima che svoltasse l'angolo gli si piantò davanti.
Colto alla sprovvista il ragazzo indietreggiò di qualche passo, mentre un'espressione di puro sconcerto si faceva strada sul suo viso. Dopo essersi guardato intorno con aria circospetta la spinse oltre il muro nel corridoio a sinistra.
«Che vuoi? Sei per caso diventata pazza?!» disse brusco e sulle spine.
Hermione era senza fiato, ma non aveva comunque intenzione di lasciar perdere, perciò mise le mani davanti a sé per fermarlo.
«Spostati, stupida» sibilò allora il ragazzo tra i denti, provando a scansarla.
«Quello che hai detto prima,» fece un respiro profondo e raddrizzò le spalle «a cosa ti riferivi?»
«Merlino, stai perdendo colpi!» ghignò sardonico, ricordandole con chi aveva a che fare.
Lui era lui, le cose non sarebbero cambiate mai, neppure se fossero passati cento anni.
«Mi piacerebbe, ma sono ancora capace di riconoscere le tue frecciatine, Malfoy
«Allora saprai di cosa stavo parlando, Granger; anzi, con l'ultima domanda hai appena confermato le mie ipotesi. Complimenti!» mimò un applauso.
«E comunque,» proseguì avvicinandosi «ti ho regalato la cosa più preziosa di tutte.»
«Che stai dicendo?!»
«Il tempo, Granger» disse in tono neutro «Ti sto dando del tempo per inventare una scusa valida.»
«M-ma io non te l'ho chiesto!» strinse i pugni come una bambina punita ingiustamente.
«Beh, ormai è fatta,» fece spallucce «ora sei in debito con me»
Aveva pronta in canna l'esclamazione più stridula che il mondo avesse mai udito, ma il vociare proveniente dal corridoio principale la distrasse: c'era un mucchio di prefetti confusi in attesa di direttive e un fiume in piena di studenti a cui badare.
La voglia di correre per tutta Hogwarts brandendo un'ascia era forte, ma non poteva venir meno ai suoi impegni.
«Non finisce qui! Hai capito?» strepitò, ma Draco stava già andando via e si limitò a salutarla con un gesto della mano.
Avrebbe ucciso dopo Malfoy, magari a cena, tra una portata e l'altra.

















   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Horror_Vacui