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Autore: rossella0806    07/04/2015    2 recensioni
Piemonte, inizi del 1900.
Adele ha appena vent'anni quando è costretta a sposare il visconte Malgari di Pierre Robin, di quindici anni più vecchio, scelto in circostanze non chiarite dal padre di lei, dopo la chiusura in convento di Umberto, il ragazzo amato da Adele.
I genitori del giovane, infatti, in seguito ad una promessa fatta a Dio per risparmiarlo dalla tubercolosi, non ebbero alcun dubbio a sacrificare il figlio ad una vita di clausura, impedendogli di scegliere una strada alternativa.
Sono passati due anni dal matrimonio e dall'allontanamento forzato da Umberto, e Adele si è in parte rassegnata a condurre quell'esistenza tra Italia e Francia, circondata da persone che non significano nulla per lei, in balia di un marito che non ama, fino a quando, una sera di marzo, giunge a palazzo una lettera di Umberto, che le confessa di essere scappato dal convento di monaci e che presto la raggiungerà per portarla via.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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La domenica dopo pranzo, Adele e il signor Caccia, il cocchiere, erano pronti per accompagnare Angelica in paese, a prendere la diligenza che l’avrebbe riportata dal marito e dai figli.
Francesco si era scusato con la cognata per non poterla scortare di persona, ma doveva assolutamente sbrigare un paio di faccende con il fattore di una delle tenute lì vicino, “ne va del raccolto”, si era giustificato l’uomo, ormai pronto sulla soglia del palazzo, elegantemente avvolto in un completo color terracotta.
Aveva smesso di piovere dall’alba, ma il terreno era ancora imbevuto delle migliaia di gocce che erano cadute per il tutto il giorno precedente, inzuppando le distese di erba e prati coltivati.
Nel cielo, il sole appariva e scompariva, nascosto da grandi nubi solo all’apparenza minacciose.
Le due donne uscirono una mezz’ora dopo il visconte: sembrava che andassero al patibolo, tanto l’espressione disegnata sui loro volti era tesa e funerea.
Non sprecarono parole durante il tragitto di quattro chilometri che le separava dal palazzo al paese, come ipnotizzate dal lento dondolio delle ruote della carrozza, che più di una volta rimase impantanata appena oltre la fine dei campi, dove la campagna coltivata lasciava spazio al terreno brullo.
La voce ferma e severa del signor Caccia che, le redini salde in mano, ordinava ai cavalli da tiro –due magnifici bai bianchi e grigi- di rallentare il passo fino a fermarsi, riscosse dall’apatia Adele e la sorella, torpore in cui, senza alcun apparente motivo, erano cadute.
In realtà, entrambe erano preoccupate l’una per l’altra: la giovane sposa, infatti, temeva che Angelica potesse tradirla con i genitori, raccontando loro del suo amore –per nulla spento- nei confronti di Umberto.
L’altra, invece, non riusciva a togliersi dalla mente l’incontro a cui aveva assistito la mattina di venerdì, due giorni prima, quando Adele aveva insistito per soffermarsi a vedere il banco della signorina Felicita.
Altro che stoffe” aveva commentato tra sé e sé la donna, mentre –rifugiata dietro un pilastro dei portici della piazza principale- spiava la sorella più piccola, come se presagisse che questa le stesse nascondendo qualcosa.
Per tutto il tempo che hanno parlato, la sarta non le ha mostrato nemmeno un misero lembo di tessuto! Che cosa avranno avuto da discutere?!”.
Eppure, la domanda che vorticava continua nella mente di Angelica, era destinata a non trovare risposta, perché ella non riusciva a trovare il coraggio necessario per chiedere delucidazioni ad Adele.
“Siamo arrivate” annunciò con tono incolore la giovane sposa.
Il cocchiere aiutò le due donne a scendere dalla carrozza, lasciando poi che s’incamminassero in direzione della prima diligenza libera, a un centinaio di passi da loro.
“Mi ha fatto molto piacere trascorrere questi giorni insieme a te …” la mano destra guantata di Angelica accarezzò con delicatezza il volto pallido e smagrito della sorella.
“Anche a me. E adesso che stai per partire, sentirò ancora di più la tua mancanza”
La ragazza non attese oltre per rifugiarsi tra le braccia dell’altra donna, l’abito da viaggio color turchese avvolto dalla mantella nera.
Adele respirò profondamente il profumo dei capelli ricci della sorella, raccolti in modo da lasciar fuoriuscire dall’acconciatura un paio di boccoli per parte.
“Vorrei tanto partire con te …” si lasciò scappare la giovane sposa, rimanendo ancora avvinghiata al collo di Angelica.
“Tu ce l’hai già una casa, così come un marito che ti ama e ti rispetta” le rispose testarda l’altra donna, allontanandola da sé “e presto avrai anche un figlio di cui prenderti cura! Non c’è nulla che ti manchi, tesoro” concluse dolcemente.
“Mi manca tutto, invece, perché mi hanno tolto ogni cosa” gli occhi color ambra, troppo grandi in quel viso smagrito, si abbassarono all’istante, timorosi di rivelare le lacrime che stavano cominciando a scendere imprevidenti.
“Adele, ti prego, ricordati quello che mi hai promesso!” la sorella alzò il viso della giovane sposa e, uno sguardo di tristezza misto a disapprovazione, continuò:
“Se ti lascerò in questo stato, non mi farai andare via tranquilla, lo capisci? Te lo ripeto: dimenticati di Umberto, scordati del passato, vivi il presente e, soprattutto, il futuro gioioso che ti attende! Per favore, Adele, dammi retta … ”
La ragazza annuì automaticamente: il tono interrogativo della donna di fronte a lei, era quello di una madre che invitava la figlia a non porsi troppi dubbi, ma a lasciare che fossero gli altri a decidere e a consigliarle.
“Va bene, va bene, Angelica” la accontentò con un sorriso tirato la più giovane  “adesso affrettati, però: la diligenza è ormai piena. Abbraccia tuo marito e i bambini da parte mia! Ti scriverò molto presto, non temere!”
Le due donne si strinsero nuovamente, poi la sorella più grande baciò entrambe le guance di Adele, le strinse le mani nude nelle sue guantate e, finalmente, si arrampicò sulla carrozza, nello stesso istante in cui il cocchiere del visconte - che le aveva seguite a una decina di passi di distanza- caricò il bagaglio.
Un tuono in lontananza spezzò il vociare continuo e indistinto delle persone lì raccolte.
La giovane sposa guardò verso il cielo, poi attese che la vettura lasciasse la piazza, il rumore delle ruote e degli zoccoli dei cavalli che le rimbombava nella testa, negli occhi il sorriso incerto di Angelica.


“Caccia, per favore, fermatevi un momento”
“Ma signora! Non vedete che il tempo sta di nuovo cambiando?! Il vento si sta alzando e …”
“Sì, lo so! Ci sento e ci vedo anche io, ma vi ho appena detto di fermarvi! Solo un attimo, vi prego …” invocò la donna, cercando di addolcire il tono perentorio.
L’uomo scosse impercettibilmente il capo: dove avrebbe potuto arrestare la carrozza senza essere d’impiccio alle altre eventuali che sarebbero passate?
Quella strada era sufficientemente ampia per due vetture,  tuttavia, se bloccava il mezzo, rischiava che l’altra non riuscisse a proseguire, tanto più che tutto attorno c’erano solo campi, nessun percorso alternativo su cui fare affidamento.
Nonostante la totale disapprovazione, il cocchiere obbedì all’inspiegabile richiesta della padrona, pregando in cuor suo di riprendere al più presto il viaggio verso il palazzo.

 

Adele aveva contato fino a cinquanta prima di prendere quella decisione, sicuramente temeraria e forse un po’ folle, ma assolutamente necessaria se non voleva rischiare d’impazzire completamente.
Devo solo trovare il modo per far allontanare questo burattino! Poi, quando lui si sarà distratto, fuggirò e potrò raggiungere il mio Umberto!”
Stava pensando al modo in cui avrebbe potuto compiere al meglio il piano, quando l’uomo le rivolse nuovamente la parola, la carrozza appena fermata sul lato apparentemente più largo e stabile della strada:
“Signora, scusate se insisto, ma non è meglio proseguire verso casa? Se non vi sentite bene, prima arriveremo e prima potrete riposarvi”
“Ho la testa che mi gira leggermente, Caccia. Vi prego di non continuare a disobbedire alle mie richieste, altrimenti dovrò farne parola con mio marito!” cercò di spaventarlo lei.
Poi, abbassando gli occhi, proseguì con tono lievemente allarmante:
“Credo di dover rimettere. Per favore, aiutatemi a scendere … ”
Il cocchiere non se lo fece ripetere due volte e, la divisa nera in contrasto con i folti e ricci capelli più bianchi che grigi, aiutò la padrona a raggiungere il selciato di terra battuta.
“Volete che vada a chiedere aiuto?” domandò preoccupato l’uomo, rendendosi conto dell’inutilità della proposta: lì non c’era nessuna presenza umana a cui rivolgersi.
“No, non è necessario. Mi allontano solo di qualche passo, nel caso dovessi ... sì, insomma, avete capito. Voi aspettatemi qui, così se avrò bisogno, vi chiamerò e potrete sentirmi senza difficoltà …”
Il signor Caccia annuì poco convinto, un’espressione di smarrimento e preoccupazione sul volto leggermente paffuto.
Adele si avviò nel senso in cui era appena arrivata con la carrozza, voltandosi ogni due passi per spiare che il cocchiere non si accorgesse del suo allontanamento che, metro dopo metro, diventava sempre più considerevole.
Si tirò su la gonna verde scuro affinché non inciampasse, e cominciò a contare fino a dieci: terminata la conta, la giovane sposa prese a correre con tutte le forze che le erano rimaste, dimenticandosi di accertarsi che l’uomo dietro di lei non la inseguisse a sua volta.
I campi in parte coltivati e in parte invasi da erbacce, la proteggevano da occhi indiscreti, quasi sembrava la volessero ingoiare e inglobare a loro.
Quando mi verrà a cercare, penserà che sono svenuta da qualche parte, e che l’erba copra il mio corpo! Non penserà minimamente ad un mio allontanamento volontario, così perderà altro tempo ed io avrò già raggiunto la casa di Maria!”
Il sole stava nuovamente scomparendo, mentre il rumore dei tuoni si rifece sentire come una ventina di minuti prima in paese: Adele pregò di arrivare sana e salva alla meta tanto agognata, tutto il resto non le sarebbe importato mai più.


Dopo dieci minuti che le parvero giorni, la ragazza raggiunse l’agglomerato di case al confine con il querceto, dove il fiume finiva di scorrere per tuffarsi nel lago in lontananza.
Si fermò per riprendere fiato, le mani appoggiate ai fianchi: una fitta insistente le colpì il ventre, facendola piegare più per il fastidio che per il dolore.
Ancora una decina di passi e sarebbe stata finalmente salva.
Bussò alla porta di legno, proprio come aveva fatto per la prima volta quasi un mese addietro, speranzosa e timoroso allo stesso tempo.
Dio mio, fa che ci sia qualcuno in casa, ti prego!”
Finalmente, alla quarta noccata, l’ingresso si aprì lentamente, rivelando la figura ormai familiare di Maria.
La donna, decisamente anziana ma dall’età non precisabile, indossava un abito liso color bordeaux. Aveva i capelli candidi come i fiocchi di neve appena depositati sul terreno, gli occhi cerulei, la bocca dalle labbra sottili rimarcate dalle grinze del tempo, così come le mani rugose e dalle vene in rilievo.
Subito il volto le s’illuminò e, stringendo le mani della nuova venuta, esclamò:
“Oh, Adele, cara ragazza! Cosa ci fate qui?”
“Fatemi entrare, Maria. E’ molto importante, per favore”
L’altra annuì convinta, continuando a sorridere entusiasta:
“Umberto non c’è: è andato a vendere le bottiglie di latte che ha munto stamattina! Ma non preoccupatevi, tra poco sarà di ritorno!”
“Posso sedermi?” domandò stanca e spaventata la giovane.
“Certo! Che domande fate! Vi posso offrire qualche cosa?”
Adele scosse il capo sovrappensiero: una volta seduta su una delle quattro sedie attorno al semplice tavolo di legno grezzo, si prese il volto fra le mani e respirò a fondo.
“Vi sentite bene, cara?” Maria le si avvicinò, preoccupata, cingendole le spalle con fare materno.
“Ho bisogno di voi” cambiò discorso la ragazza, guardando in volto la donna ancora in piedi di fianco a lei  “è una questione di vitale importanza!”
“Parlate, sapete bene che potete fidarvi di me!” ribatté l’altra, mentre si sedeva anche lei, un’espressione sempre più tormentata sul viso povero di rughe,.
“Dovete permettermi di stare qui! Sono scappata da mio marito e non intendo cambiare idea. Vi chiedo solamente di ospitare anche me, oltre ad Umberto, almeno fino a quando avremo abbastanza denaro da potercene andare! Ovviamente farò qualsiasi cosa per rendermi utile! Cucinerò, vi aiuterò a stirare, a rammendare! Voi ditemi, Maria, e io obbedirò!”
“Oh mia cara!” riprese la donna più anziana, posando le mani rugose su quelle fredde di Adele.
“Io non ho problemi ad ospitarvi! E poi, impiegarvi in qualche compito, è l’ultimo dei vostri problemi, adesso! Però, siete sicura che sia la scelta giusta? Voglio dire, sbaglio o non avete portato con voi neppure un bagaglio?”
“L’unica cosa che desidero, che ho sempre desiderato, è vivere con Umberto!” la interruppe l’altra, mordendosi le labbra carnose  “tutto il resto non m’interessa, non mi è mai importato! Né il lusso, né i bei vestiti, né la servitù e i gioielli: nulla! Per questo sono venuta solamente con ciò che indosso!”
Il cigolio della porta annunciò l’arrivo dell’uomo per cui la giovane stava rischiando la sua intera esistenza.
“Adele!” esclamò stupito il ragazzo, non appena realizzò con chi era seduta Maria.
“Oh Umberto, finalmente!” lo salutò lei, piombandogli addosso e affondando il viso pallido e smagrito nell’incavo della spalla.
I bei capelli corvini erano leggermente scarmigliati, ma gli occhi grigioverdi erano sempre gli stessi, attenti e luminosi.
Il maglione nero odorava di stalla, e i pantaloni mattone scuro -così come gli scarponcini marroni- riportavano le tracce della sua mattinata tra vacche e pecore.
“Cosa ci fai qui?!” domandò il giovane, stringendola forte.
“Sono venuta per rimanere, amore! Ho finalmente trovato l’occasione per fuggire da mio marito! Adesso più niente potrà separarci!”
“Mio Dio, Adele! Quell’uomo non ti teneva prigioniera? Sono impazzito di rabbia e di angoscia da quando mi hai spedito quella lettera! Giorno e notte studiavo un piano per liberarti da quel palazzo e da quell’uomo! E adesso eccoti qui, davanti a me!” la gioia che trasudava dal bel volto di Umberto, lasciò spazio a un’espressione dubbiosa, che subito si trasformò in parole:
“Maria, voi forse non volete che rimanga? Se così fosse, ce ne andremo, non preoccupatevi …”
“E’ questa la considerazione che hai di me, figliolo? E della riconoscenza per il tuo affetto e per le cure che mi hai donato durante quella maledetta” e qui si fece il segno della croce “polmonite?! Perché, grazie al Cielo, non era tubercolosi, altrimenti non sarei qui con voi! Quindi, certo che potete restare, per tutto il tempo che vorrete! Almeno fino a quando toneranno mio marito e i miei figli, perché allora dovremo stringerci un po’!”
Tutti e tre si misero a ridere: ad Adele sembrò di non essere mai stata più felice come in quel momento.  


Due giorni dopo, Adele era entrata pienamente nel ritmo quotidiano della sua nuova casa.
Aiutava la stiratrice a cucinare, o meglio, tentava di darsi da fare come meglio poteva, perché la sua condizione sociale l’aveva destinata ad essere riverita fin da neonata, ogni cosa volesse.
La cosa che più le piaceva fare, però, era alzarsi con il canto del gallo, e andare insieme ad Umberto nel vecchio fienile, dove lui le mostrava come mungere le sei vacche; poi si spostavano nella stalla attigua, per dar da mangiare ai due ronzini, mentre lui le faceva vedere come strigliarli e, nel recinto riparato da una tettoia di ardesia, come pettinare il soffice manto delle cinque pecore, con cui avrebbero ricavato la lana grezza da vendere.
Infine si spostavano nel pollaio, dove raccoglievano le uova fresche delle tre galline.
La ragazza in realtà non era molto collaborativa, perché Umberto continuava a trattarla con delicatezza e ragguardevolezza: il giovane, infatti, si era accorto del pallore e della magrezza che avevano trasformato la bella figura dell’innamorata, così si era ripromesso di non farla stancare, rimandando l’aiuto materiale a quando si sarebbe totalmente ripresa.
“Sicuramente è colpa di quel bruto del marito! Quell’uomo l’ha tenuta segregata per una settimana, come se fosse una schiava, un oggetto da custodire gelosamente e stupidamente!” si consolava Umberto, non immaginando che il motivo dell’apatia della ragazza fosse da imputare sì a Francesco, ma per tutt’altra causa.
Adele non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare al ragazzo che era incinta, perché era convinta che non avrebbe pensato nemmeno un secondo prima di riportarla da Francesco, dal suo aguzzino, dall’origine di tutte le sue disgrazie.
“Non capirebbe, non riuscirebbe a capire che cosa mi ha spinto a farmi sedurre da quel maledetto! La verità è che anch’io, ancora adesso, a distanza di queste quattro settimane, non riesco a darmi pace, a perdonarmi: per quello che ho fatto non c’è perdono, per questo non posso dirglielo, non adesso, almeno!”

Quello stesso giorno, dopo aver accompagnato Umberto a svolgere tutte le sue mansioni mattutine, Adele era rientrata in casa per aiutare Maria con il pranzo.
La donna si trovava al piano di sopra a stirare gli ultimi due abiti per delle clienti, così aveva istruito la giovane su come preparare un semplice sugo, utilizzando la conserva di pomodoro custodita nella credenza.
La ragazza aveva appena acceso la stufa dove riscaldare il pentolino con l’olio e il soffritto già preparato dall’ospitante, quando sentì due colpi decisi alla porta.
Sicuramente non poteva essere Umberto, perché era andato da poco in paese, come ogni mattina, a vendere le bottiglie di latte munto, perciò ad Adele venne l’improvviso e angosciante terrore che potesse essere Francesco, o il signor Caccia, o magari Villani, il maggiordomo, che avevano misteriosamente scoperto il nuovo rifugio della viscontessa.
Le mani cominciarono a tremarle, mentre le passava nervosamente su un vecchio abito color antracite dall’orlo troppo corto per lei, che le aveva prestato la figlia della vicina di Maria.
Si passò distrattamente le mani tra i capelli ricci e arruffati che, senza le mani esperte di Andreina, la sua cameriera personale, non riuscivano a stare per più di mezz’ora nello chignon creato dalla giovane.
I colpi alla porta si ripeterono per altre tre volte, questa volta con maggiore insistenza.
La ragazza prese coraggio e, facendo un profondo respiro seguito da un altro più breve, si avviò a passi incerti in direzione dell’uscio, i palmi delle mani che cominciavano a bagnarsi di sudore freddo, le tempie che le pulsavano e, di nuovo, come due giorni prima dopo aver corso attraverso i campi, tornò odiosa quella fitta insistentemente fastidiosa alla pancia.
Adele aprì l’ingresso di legno e il tempo sembrò fermarsi: davanti a lei c’era una persona che non avrebbe mai pensato di rivedere.
  


NOTA DELL’AUTRICE:

Ciao a tutti! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Finalmente Adele è riuscita a fuggire da palazzo, e a raggiungere il suo Umberto!
Ma chi è che ha bussato alla porta della casa di Maria?!
E Francesco che fine ha fatto? Si è rassegnato alla sparizione della moglie o la sta cercando?
E, soprattutto, Adele quando rivelerà la gravidanza all’innamorato, lui come la prenderà? Le permetterà di restare, oppure la riporterà a palazzo, dal visconte?
Scusate per i soliti dubbi con cui vi tormento!
Lasciatemi un vostro commento se vi fa piacere, anche una parola!
Grazie a chi legge e recensisce, oltre a chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite!
Mi fa sempre tantissimo piacere leggere i vostri commenti!
Grazie di cuore!!!
A presto!

   
 
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