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Autore: ranyare    11/04/2015    4 recensioni
"It's everything you wanted, it's everything you don't
It's one door swinging open and one door swinging closed
Some prayers find an answer, some prayers never know
We're holding on and letting go
"
Ben e Ray vivono nella loro adorata Londra, finalmente sereni. Lei studia per diventare un poliziotto, lui si sta affermando ad ogni ruolo di più come l'attore fantastico che è. Eppure, in un piovoso pomeriggio di metà estate, un passato che non ha più intenzione di essere ignorato bussa alla loro porta, ricordando ad entrambi che è impossibile fuggire da ciò che ci ha reso ciò che siamo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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base capitoli HOLG

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[Ben]

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Dopo due coppette di gelato alla nocciola, che ho provvidenzialmente recuperato dal freezer nel momento stesso in cui ho sentito la sua voce tremare, Ray mi sembra abbastanza tranquilla da continuare il suo racconto.

-Passai un mese in periferia, facendo da babysitter per qualche famiglia benestante o la lavapiatti a chiamata.- mi spiega, dopo avermi descritto per filo e per segno l'aspetto trasandato, eppure affascinante, dei sobborghi di New York in cui ha vissuto da ragazzina. -Stavo in una stanzetta che mi aveva affittato una vecchia arpia ricca sfondata che possedeva tipo mezzo isolato... era una vera catapecchia, non c'era il riscaldamento e nemmeno l'acqua calda, però costava poco e io ero arrivata lì con soli cinquecento dollari in tasca.-

Scuoto la testa, incredulo. Per me, che non ho mai patito né il caldo né il freddo e che sono cresciuto in un ambiente tutto sommato benestante, quel che mi sta raccontando è quasi alieno. -Dev'essere stata dura.- commento, mentre gli occhi imploranti di King hanno la meglio sul mio buonsenso e mi spingono a concedergli la tazzina di plastica, ancora sporca di gelato, da ripulire; quello, tutto felice, la afferra fra i denti e corre via, con la coda bionda che sventola come una bandiera.

-Non quanto può sembrare.- mi contraddice Ray, posando vaschetta e cucchiaio sul tavolino di fronte a noi e stirando le lunghe gambe sul divano, prima di lasciarsi sprofondare fra i cuscini e appoggiare la testa sulle mie gambe. -La cosa peggiore era essere sempre da sola.- ammette, guardandomi da sotto in su prima di distogliere lo sguardo, pensierosa. -Avevo così tanta rabbia dentro... ero arrabbiata con mio padre, con mia madre, con il mondo intero. Ero sempre stata una brava bambina, una brava ragazza, non mi ero mai ubriacata né ero mai andata a letto con nessuno, non uscivo nemmeno alla sera e non andavo quasi mai in discoteca... avevo persino dei buoni voti a scuola.-

Le accarezzo una spalla, intrecciando le dita dell'altra mano ad una ciocca dei suoi capelli sempre disordinati. C'è così tanta frustrazione, nelle sue parole, che quasi posso sfiorarla, avvertire quel magone di rabbia e di rancore annodarsi appena sotto il velo della pelle di Ray: queste sono ferite che bruciano ancora, che non si sono mai davvero rimarginate...

-Mi faceva così arrabbiare quella situazione... e stavo male, e mi sentivo sola, e tutto questo si accumulava sempre di più.- sospira, voltandosi su un fianco ed abbracciandomi in vita, stringendomi con una forza che deve assomigliare molto a quella con cui, tanti anni fa, stringeva il suo cuscino, là, nella sua stanzetta in periferia. -Quando vinsi la selezione per diventare l'apprendista di Jetta Flores quasi spaccai un braccio al mio avversario, in finale.- ammette, e dall'alto scorgo i suoi zigomi imporporarsi per l'imbarazzo.

-Fu allora che conoscesti Will?- le chiedo, mio malgrado estremamente curioso di sapere, finalmente, come si sono conosciuti i due biondi della mia vita.

-Esatto.-

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-Un ragazzino, Jetta!?- sbotto, incredula, quando la mia datrice di lavoro mi spiega quale sarà il primo povero squinternato che avrà la sfortuna di allenarsi con me.

-Non è un ragazzino, ha diversi anni in più di te.- mi corregge Jetta, divertita, mostrandomi le foto del ragazzo che, dopo un istante, riconosco come il protagonista di uno dei miei film preferiti, “Le Cronache di Narnia”.

ma stiamo scherzando!?

-Ma sembra un ragazzino! Sembra un bambolotto, o il fidanzato di Barbie!- protesto, inseguendo Jetta quando lei, sorda alla mia isteria, si avvia lungo il corridoio che porta alla palestra dove ci alleniamo tutti i giorni. -Cosa dovrebbe imparare, il balletto?- domando, sarcastica, ricordando la faccia innocente e un po' stolida di Peter Pevensie – ma ha davvero più anni di me? Sembra un bambino!

-No. Vuole perfezionare la scherma per un film in cui dovrà recitare.-

Jetta è una santa: ancora non ha capito che, in questi casi, rispondermi equivale a darmi il tacito consenso per continuare a blaterare.

-Quindi lo avremo fra i piedi per chissà quanto tempo. Fantastico.- mugugno, afferrando la spada che uso sempre dalla rastrelliera e provando due affondi senza impegno, per riscaldarmi i muscoli. Quasi subito, però, sono costretta a balzare indietro, schivando per un pelo il fendente rapido e preciso di Jetta.

-Abbassa la cresta, signorinella.- mi avverte, e non posso far altro che ammirare la postura perfetta, tesa ed elegante del suo corpo slanciato, che sembra prolungarsi naturalmente lungo il profilo della spada che stringe in pugno. -Secondo me ti piacerà.- aggiunge, ma io scuoto la testa e mi metto in posizione, sperando di arrivare, un giorno, a possedere almeno una briciola della grazia letale che Jetta emana quando combatte.

-Secondo me, invece, sarà guerra!-

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-E fu guerra?- le chiedo e lei, col viso illuminato dal primo, vero sorriso che scorgo da quando è tornata a casa, annuisce.

-Oh, sì.-
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-Più in alto! William, punta verso le gambe e non tenere le ginocchia rigide!-

Gli ordini secchi di Jetta, per me, appartengono alla bizzarra routine a cui mi sono ormai abituata da quando, tre settimane fa, ho cominciato a lavorare con questa brusca ma geniale spadaccina; ma per William Moseley, il bambolotto semovente che mi sta davanti e che stringe i denti per non darmi la soddisfazione di sentirlo imprecare, i latrati aggressivi di Jetta sono una novità a cui non è di certo facile prendere le misure.

Di persona sembra ancora più giovane di quanto non appaia sugli schermi: ha le guance piene, un taglio di capelli a scodella davvero osceno e le labbra a forma di cuore, proprio come i bambolotti con cui giocavamo sempre io e Sh__

-Ma dove hai imparato a tirare di spada, Ken? Seguendo un corso su Youtube?- sbotto, flettendo le ginocchia e balzando in avanti per prenderlo di sorpresa con un attacco frontale che non si aspettava: il pensiero di mia sorella svanisce nel momento stesso in cui il bacio del metallo stride acuto nelle mie orecchie, assordando il mio udito e i miei ricordi.

Moseley, furente, balza indietro e si rimette in posizione.

-E tu dove hai imparato le buone maniere, in una caverna del Paleolitico?-

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-Avrei dato un polmone per assistere a quegli allenamenti.- ammetto, senza riuscire a trattenere le risate: dev'essere stato uno spettacolo memorabile vedere Will e Ray accapigliarsi come due bambini permalosi – due bambini permalosi e armati, soprattutto.

-Jetta si divertiva quanto te.- ridacchia, Ray, ma negli occhi ha una dolcezza che non scorgo più da molto tempo: quello sguardo colmo d'affetto e di complicità appartiene a William... ma già da diversi mesi lui e Ray, malgrado il rapporto che li unisce, sono stati costretti ad allontanarsi.

So che le manca, so che l'assenza di Will nella sua vita è qualcosa che nessuno può e potrà colmare: si sentono, ogni tanto, ma da quando lei ed Angel hanno interrotto ogni rapporto tutti e due cercano di proteggersi a vicenda, nascondendosi la malinconia che provano nel vivere separati.

-Jetta aveva capito che io e Will eravamo due bombe ad orologeria... e trovarsi davanti una come me fu la cosa migliore che potesse capitargli: ci detestavamo, ma quell'astio lo spinse a migliorare molto in fretta.- mi spiega, ed io annuisco: fin da quando conosco lei e William ho capito che il loro rapporto si basa proprio su quella rivalità antica, che sprona entrambi a dare il meglio di sé pur di poter guardare l'altro dall'alto in basso.

Hanno uno strano modo di volersi bene.

Un brivido attraversa improvvisamente Ray, che serra le dita sul mio fianco e chiude gli occhi, mordendosi nervosamente le labbra mentre le sue guance, già pallide, si fanno ancora più bianche.

-Ehi.- mormoro, sfiorandole uno zigomo con la punta dell'indice.

-Non è niente.- mi rassicura, aprendo faticosamente gli occhi – lucidi – per rivolgermi uno sguardo di scuse. -Solo... è difficile parlarne dopo tanto tempo.- aggiunge, e capisco subito quanto ciò che dev'essere appena riaffiorato fra i suoi ricordi le faccia male.

Mi curvo su di lei per baciarla a fior di labbra, dedicandole il sorriso più caldo e rassicurante che sono in grado di produrre.

-Sono qui.-
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-Occhio, ragazzina!-

La voce aspra del soggetto contro cui sono appena andata a sbattere mi irrita all'istante, ma so di aver torto e quindi ingoio la rispostaccia caustica che mi è istantaneamente salita in punta di lingua – dopotutto, gli sono andata addosso io.

-Scusa! Non volevo, io__- comincio, accorgendomi che lo sconosciuto che ho appena travolto, uscendo di corsa dallo spogliatoio, sta trattenendo il mio braccio contro il suo petto.

Non sono una persona che ama il contatto fisico, a meno che non sia parte di una zuffa. Alzo lo sguardo, pronta a mandare a quel paese questo tizio che non ha nemmeno la buona creanza di accettare le mie scuse e di lasciarmi andare, ma le parole mi muoiono sulle labbra quando mi trovo davanti un giovane uomo che sembra uscito direttamente dall'immaginario collettivo delle adolescenti arrapate di tutto il mondo.

Ha i capelli dello stesso nero intenso e lucido che ho visto solamente nella chioma di Jetta: sono lunghi, sembrano fatti di seta, e sono tenuti insieme da un elastico annodato sulla nuca. Ha dei lineamenti affilati e tanto belli da sembrare finti, la barba di un giorno e due occhi azzurri che potrebbero benissimo essere catalogati come arma di distruzione di massa.

È più alto di me di almeno una spanna, ha le spalle abbastanza larghe ma in generale il suo fisico è asciutto, più slanciato di quello ancora in crescita di Moseley – no, questo è un uomo fatto e finito che sembra essere uscito direttamente da una pubblicità di intimo maschile.

-E tu da quale film sei spuntato!?- esalo, esterrefatta: dev'essere di sicuro un divo del cinema, non può esistere un comune mortale così innaturalmente bello.

Sexyman mi rivolge un'occhiata confusa.

-Scusa?-

-Dai, io ti ho già visto, sembri quasi...- distolgo lo sguardo da questo soggetto altamente disturbante, aggrottando le sopracciglia mentre cerco di ricordare. -Assomigli un sacco ad un personaggio di un libro! Sei affascinante ugua__- mi mordo la lingua, sentendo le guance andare a fuoco quando mi rendo conto dell'epica figura di merda che ho appena fatto.

Il divo di Hollywood inarca un sopracciglio e mi soppesa, divertito, arricciando le labbra in un sorrisetto sardonico.

-Beh, ragazzina, grazie per il complimento, ma mi spiace deluderti. Io sono fatto di carne ed ossa.- mi canzona, stringendo volontariamente il mio braccio contro il suo petto: sotto le dita sento delinearsi le forme di muscoli affusolati, ben proporzionati, e devo fare violenza su me stessa per sottrarre bruscamente la mia mano dalla sua presa ferrea.

-Ah.-

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-Si chiamava Anthony.- mi spiega e, nei suoi lineamenti, affiora una tenerezza del tutto nuova, che curva le sue labbra in un piccolo sorriso malinconico e le riempie gli occhi di dolcezza.

Non mi ha mai parlato di lui, e comprendo quanto sia prezioso questo momento, questa sua decisione di condividere con me un pezzo della sua vita che, per qualche motivo, ha tenuto serbato dentro di sé tanto a lungo.

-Era il nipote di Jetta ed era venuto a trovare la zia durante le vacanze estive.-

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Gli occhi fissi degli spettatori non mi hanno mai dato fastidio, e ho smesso di preoccupami di chi mi guarda mentre faccio qualcosa in cui so di essere brava.

Distendo il braccio sinistro e volteggio su me stessa con una grazia che solitamente non possiedo, parando l'affondo laterale che Jetta sta spiegando a William. Solo quando ha finito di parlare con lui mi azzardo a contrattaccare, lievemente, ed il sorrisetto divertito della mia insegnante è l'assenso che stavo aspettando.

Mi slancio contro William senza preavviso, con tutta la forza che ho – ho imparato a convogliare in questa lama e nelle mie braccia tutta la rabbia che provo, tutta la frustrazione, tutto il dolore: tutto sembra placarsi, in questi momenti, quando il clangore e la furia mi riempiono e mi svuotano allo stesso tempo, donandomi qualche ora di pace dal martirio interiore a cui mi sento sottoposta.

Affondare, parare, scartare e attaccare di nuovo: la scherma medievale non è una danza, come il fioretto, ma un vero e proprio massacro a cui sono sempre felice di sottopormi: non mi spaventano i lividi orrendi che scovo sul mio corpo al mattino, non mi preoccupa lo scontro fisico né il dolore – è tutto così leggero, effimero, in confronto alla dolcezza del bacio dell'adrenalina.

Alla fine dell'allenamento è William, furibondo e stremato, ad abbandonare la palestra per primo. Non m'importa un accidente del suo amor proprio ferito: è qui per imparare, e di certo non si impara niente con le maniere buone. Io lo so bene.

-Ragazzina, da dove la tiri fuori quella furia?-

Faccio un salto incredibile quando la voce di Anthony risuona proprio alle mie spalle e, se avessi ancora in mano la spada, probabilmente il mio primo istinto sarebbe quello di voltarmi e menare un fendente, rovinando per sempre quel bel faccino da divo rompiballe che si ritrova.

-Mi stavi spiando?- sbotto, voltandomi e lanciandogli un'occhiataccia di fuoco che non lo scuote neanche un po'.

-Non avevo niente di meglio da fare.- fa spallucce e io devo fare leva sull'antipatia che mi causa per non ricordarmi di notare quanto sia bello. -Allora? Da quale oscuro baratro dietro quel bel faccino viene tutta quella rabbia?-

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-Anthony era una persona incredibile. Sembrava sapere sempre quale fosse la cosa giusta da dire, da fare...-

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-Ti va una birra, William?-

Mi sta perseguitando, non c'è altra spiegazione. Anche se ha appena rivolto la parola a William, uscito dallo spogliatoio maschile nello stesso momento in cui io abbandonavo quello femminile, io so che è qui per continuare a rompere le scatole a me.

Sarò paranoica, ma so riconoscere un testardo quando lo vedo.

-Con piacere, sono esausto.- risponde William/Ken, sorridendo a Anthony con tutta quell'aria amichevole che, con me, non ha mai modo di dimostrare.

Si accorge di me soltanto quando Anthony, come volevasi dimostrare, sposta il suo sguardo oltre la spalla del biondastro per guardare me.

-Oh. Ray.- mi saluta William, aspramente, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.

-Ken.- replico, ignorando il suo nervosismo: ha tutte le ragioni per detestarmi. D'altronde, dopotutto, io preferisco così: non ho né tempo né voglia di farmi degli amici, e di sicuro non fra gli attorucoli di serie B con troppa boria e sicumera da vendere.

-Ken?- chiede Anthony, confuso, ma William scuote la testa.

-Non chiedere, per favore.- mugugna, e io non posso che ridacchiare quando lo sento tanto contrariato. Di solito sono una persona che non ama i battibecchi, ma devo dire che azzuffarmi quotidianamente con questo ragazzone mi sta dando delle soddisfazioni. -Andiamo?- domanda poi, rivolgendosi ad Anthony. Quest'ultimo, però, torna a guardarmi.

-Tu vieni, ragazzina?- mi domanda, ed io non riesco proprio ad evitare che lo sbigottimento mi si disegni in faccia.

Sta davvero chiedendomi di andare con loro? Ma siamo impazziti?

-O sei troppo giovane per bere con i ragazzi più grandi?- aggiunge, assottigliando le palpebre e facendomi un occhiolino. La voglia che ho di prenderlo a schiaffi è incredibile.

-Ha sedici anni, lasciala perdere!- interviene William, irritato, ma io afferro la mia borsa e mi avvicino a passo marziale a questi due coglioni, sentendo la mia eredità genetica di ubriacona texana ruggire d'indignazione dentro di me.

-Ma chi vi credete di essere tutti e due!?-

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-Quella sera presi la prima sbronza della mia vita.- Ray scoppia a ridere, divertita, mentre io non riesco a far altro che domandarmi come William riesca a fare danni in qualunque posto e in qualunque situazione si trovi.

-A causa di William.- mormoro, scuotendo la testa. -Non poteva essere altrimenti.-

-Fu divertente. Andammo in un bar karaoke e finimmo a cantare le canzoni dei cartoni animati, stonando tutto lo stonabile.- continua a ridacchiare Ray, e non riesco a non unirmi a lei quando immagino lei e quell'altro imbranato abbracciati ad un microfono a cantare a squarciagola vecchie sigle televisive.

Darei anche un rene per poter vedere quella scena con i miei occhi.

-Anthony non bevve nulla. Riportò a casa William e poi mi domandò dove abitassi io, ma mi vergognavo – stavo ancora in periferia, e...- prosegue, arruffandosi i capelli con fare imbarazzato. -Insomma, alla fine mi portò da Jetta, e lei mi ospitò quella sera e per molte altre, in seguito.-
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Morire dev'essere infinitamente meno doloroso dell'hangover.

Alzo debolmente le mani per premerle sulle tempie, tentando di tenere insieme i pezzi della mia testa prima che si spacchi a metà. Il suono di qualcuno che si avvicina allo sconosciuto giaciglio su cui sono sicuramente collassata è tanto sconvolgente da strapparmi un mugolio di protesta.

-Chiunque tu sia, vattene.- mugugno, afferrando un cuscino stranamente morbido e premendomelo sulla faccia; la persona che mi si è accostata, però, me lo toglie di mano, lottando per qualche istante per riuscire a sottrarmelo.

-Tieni, ragazzina.-

Riconosco questa voce all'istante e, sempre all'istante, mi maledico.

L'odore conosciuto del caffè e l'improvvisa consapevolezza di essere in uno stato pietoso davanti all'uomo più bello del creato mi spingono a schiudere cautamente le palpebre, bestemmiando mentalmente contro chiunque abbia deciso di rendere la luce solare tanto tagliente.

-Il caffè è la cura per ogni male. Specialmente per la sbornia.- decreta Anthony, porgendomi un bicchiere di Starbucks che io accetto con circospezione, lottando contro lo stomaco in subbuglio che vorrebbe rinunciare a qualunque contatto con cibo e bevande per un tempo indefinito.

-Abbassa la voce.- ringhio, costringendomi a bere un sorso e tirandomi pesantemente a sedere, guardandomi intorno senza, però, muovere la testa – mi cadrebbe a pezzi se solo provassi a girarmi. -Dove sono?- chiedo, senza riconoscere il bel divano su cui ho dormito e l'appartamento ampio e luminoso – troppo – in cui mi trovo.

-A casa di mia zia.- mi risponde Anthony, sedendosi accanto a me e dedicandomi uno sguardo divertito. -Eri conciata proprio male, eh?- mi canzona ma, lungimirante, io non me la prendo: devo prima scoprire se ho fatto qualcosa di immorale, stupido o illegale.

-Non mi ero mai ubriacata, prima.- ammetto, passandomi una mano fra i capelli e sentendoli tutti annodati e spettinati. Favoloso, chissà che aspetto di merda che devo avere.

-C'è una prima volta per tutto.- sentenzia, ilare, questo bellimbusto, prima di allungare una mano per scostarmi la frangia dalla fronte appiccicaticcia. -Come ti senti?- mi chiede, gentilmente, ma io non riesco a fare a meno di allontanarmi dal suo tocco, sprofondando di nuovo nel divano.

Odio essere toccata.

-Se mi fosse passato sopra un camion starei meglio, credo.- mormoro, e mi godo qualche minuto di silenzio ristoratore mentre il caffè entra in circolo e restituisce un po' di chiarezza al mondo.

-Devo farti i miei complimenti, però.- esordisce, ad un certo punto, Anthony. Lo fisso, senza muovermi da dove mi trovo, e probabilmente riesce a leggermi in faccia tutta la perplessità che sto provando. -Di solito, quando una persona beve troppo, si lascia sfuggire i propri segreti... tu, invece, sei stata zitta come un pesce.-

Non è ancora stato distillato un liquore in grado di scavarmi dentro abbastanza a fondo da strapparmi una confessione.

Non capisco perché Anthony si stia impegnando così tanto per scoprire chi sono e da dove vengo e, sinceramente, mi dà fastidio: non voglio parlare dei miei genitori, non voglio essere guardata con pietà e compassione, non voglio essere affidata a nessun servizio sociale o, peggio ancora, essere riportata indietro.

Jetta è l'unica persona che sa che cosa mi è successo e, in virtù dell'amicizia con il mio vecchio insegnante di scherma, mi ha assicurato che non ne parlerà con nessuno a meno che non sia io a decidere diversamente – sento un fiotto di gratitudine soppiantare, per qualche attimo, la nausea, quando mi rendo conto che Jetta non ha detto niente nemmeno a suo nipote.

-Sono brava a controllarmi.- mormoro, prima di mandare giù quel che rimane del caffè tutto d'un fiato, cercando di ignorare quello che, un attimo più tardi, mi risponde.

-Ma io sono più bravo ad aspettare.-

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-Ti sarebbe piaciuto, sai? Credo che sareste andati d'accordo.-

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La pazienza non è mai stata il mio forte, devo ammetterlo.

È proprio per questo che, quando esco dallo spogliatoio e trovo Anthony di nuovo qui ad aspettarmi, sento l'irritazione raggiungere il punto di non ritorno.

-Oh, insomma, si può sapere che cosa vuoi da me? Perché continui a seguirmi ovunque, non hai qualcosa di meglio da fare!?- sbotto, fronteggiandolo apertamente, ma quello non si smuove nemmeno di un millimetro. Che odio.

-Sei interessante.- replica, e il desiderio di prenderlo a pugni si ripresenta, all'istante, più forte che mai.

-Ma vaffanculo!- sibilo, trattenendomi per puro miracolo dallo strillare. Poi sospiro, dicendomi che non posso esagerare e che, in fondo, lui con me è sempre stato gentile. Stressante, magari, ma gentile. -Senti, davvero, non voglio avere problemi con Jetta o con te, voglio solo fare il mio lavoro ed essere lasciata in pace.- gli spiego, guardando da un'altra parte mentre parlo per non permettergli di capire quanto questa situazione ferisca anche me: vorrei davvero essere una ragazza normale e poterlo conoscere più a fondo, vorrei essere in grado di intessere un rapporto di amicizia con lui come con chiunque altro, vorrei avere la capacità di fingere che gli sguardi penetranti che mi rivolge siano dettati da una bruciante attrazione amorosa.

Ma io non sono una ragazza normale. Io sono una ragazza spezzata che non vuole più affezionarsi a nessuno, che non vuole più sognare, che non vuole più essere né una ragazza né una donna.

-Come preferisci.- mi rassicura, annuendo con un cenno elegante – lui è sempre elegante, in tutto ciò che fa – della testa. -Comunque volevo chiederti solamente una cosa.-

-Cosa?- chiedo, stancamente, dicendomi che, se lo ascolto ora, poi magari mi lascerà in pace.

-Usciresti con me?-

La morsa che mi stritola è talmente repentina da non darmi nemmeno il tempo di prendere fiato per urlare.

Posso avvertire il già poco colore della mia faccia scivolarmi via lungo il collo quando, dai recessi in cui li avevo relegati, i ricordi ed il dolore allungano una zampata che mi squarcia il petto da parte a parte.

Vuoi uscire con un ragazzo? E magari farti anche scopare per bene!

La voce di mia madre mi riempie la testa e spezza, per l'ennesima volta, quel poco che rimane del mio cuore.

Ma sì, vai pure! Tanto sei solo una puttanella che non aspettava altro!

Non è vero, mamma. Non è vero. Non ho mai fatto niente di male, mamma, perché mi fai questo? Perché mi tratti così? Io ti voglio bene...

Non osare rispondermi in questo modo, piccola troia!

-Ray?- è la prima volta che sento Anthony pronunciare il mio nome, ma sono troppo sconvolta per riuscire a registrare la cosa: per me, in questo momento, ci sono soltanto le urla di mia madre, il dolore lacerante che ho provato nel cercare di difendere me stessa e la mia innocenza, lo schiocco degli schiaffi.

Fuori da casa mia!

Chissà poi se sei riuscita a tenerla insieme, quella tua fottuta casa, senza la tua schiava personale a pararti il culo e a farti da sguattera...

-Che cosa sta__- registro le parole di William solo quando pronuncia il mio nome, sbalordito ed allarmato come non l'ho mai sentito: -Ray!-

Si precipita accanto a me, afferrandomi e trascinandomi per terra prima che sia io stessa a crollare: la sua faccia di stupido bambolotto riempie la mia visuale, e tutti i miei sensi impazziti si concentrano istintivamente su di lui.

Ha un'espressione risoluta e tranquillizzante, in volto, che non gli avevo mai visto prima: mi aggrappo alla fermezza in quegli occhi celesti per non affondare, per strapparmi dagli artigli che, dai miei ricordi ancora troppo freschi, sono emersi e stanno cercando di ghermirmi e tirarmi di nuovo giù.

Soltanto nel momento in cui le sue mani si stringono sulle mie spalle riesco finalmente a tirare fiato, recuperando quel minimo di autocontrollo che mi serve per non scoppiare in un pianto isterico davanti a tutti.

Mi tengo stretta ai polsi del biondo con tutta la forza che ho, sbattendo freneticamente le palpebre per ricacciare indietro l'angoscia che mi ha assalita; William non si lamenta, non dice niente... si limita a tenere gli occhi piantati nei miei – e in quell'azzurro scorgo una consapevolezza che mi spaventa più di tutto il resto.

Lui ha capito tutto.

Il mio primo istinto è quello di fare ciò che so fare meglio: scappare.

-Sto bene... sto bene. Davvero. È stato solo un... un calo di zuccheri.- mormoro, cercando di liberarmi dalla stretta d'acciaio di Moseley. Ha visto troppo, ha capito troppo e non posso restare qui, devo allontanarmi da questi occhi che mi hanno scrutata dentro e che hanno visto la ragazzetta patetica che sto cercando di soffocare da troppi, troppi mesi.

-Cosa è successo?-

Jetta. La mia speranza.

-Jetta, non è nulla, non__- comincio, cercando di alzarmi.

-Sembrava un attacco di panico.- risponde istantaneamente William, senza dare il minimo segno di volermi lasciare andare.

-Zitto tu!- sbotto, cercando di spingerlo via, ma lui mi blocca con una facilità impressionante e, per la prima volta – complice il mio cervello che, per riprendersi, cerca qualunque cosa su cui ragionare per non sprofondare di nuovo nella disperazione –, capisco quanta forza abbia nelle mani e nelle braccia e quanto debba essersi trattenuto durante gli allenamenti. Ma perché? Perché combatte contro di me? Perché sono una ragazza? È davvero così stupido?

Jetta osserva la situazione per un istante, spostando il suo sguardo da me a William e poi su Anthony, che si è fatto da parte e che sta attento a non guardarmi nemmeno per sbaglio – sento qualcosa stridere, dentro di me, quando capisco che avei davvero voluto dirgli di.

-Anthony, andiamo a casa.- ordina, infine, con quel tono brusco a cui mi sono tanto affezionata. -Will, rimani con lei e poi portala da me.-

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Ray si raggomitola e si stringe a me, piantandomi le unghie nella schiena, senza più parlare per un bel po'.

Mi sento malissimo, e vorrei poter fare di più che stringerla a me e accarezzarle i capelli.

Non riesco a concepire l'orrore di sentirsi rifiutati dalla propria madre. È qualcosa che non dovrebbe nemmeno esistere.

-Will mi portò in un caffè, pagò il doppio una cioccolata calda perché non era stagione e mi costrinse a raccontargli tutto.- sospira, infine, con il volto nascosto nella mia pancia.

-Tipico di William.- è tutto ciò che riesco a dire, con la voce rauca di chi si ritrova la gola riarsa da qualcosa che non è pietà e non è nemmeno dispiacere ma, piuttosto, un dolore vero e proprio: mi sento uno schifo al pensiero di ciò che ha passato Ray, mi sento impotente perché non posso fare nulla per toglierle dalle spalle questo dolore e, soprattutto, perché darei tutto ciò che possiedo pur di tornare indietro per poter essere lì, con lei.

-Funzionò, però.- ammette Ray, sempre senza muoversi nemmeno di un millimetro, rimanendo stranamente ferma sotto le mie carezze. -Gli raccontai tutto quanto. Lo avevo trattato talmente male, glielo dovevo...- sussurra, ma so anche io che questa non è tutta la verità: Ray, in quel momento, aveva avuto bisogno di contare su una persona – e Will era statoper lei.

Finalmente riesco a capire tante cose che, fino a questo momento, mi sono perennemente apparse poco chiare: Will è sempre stato protettivo nei confronti di Ray – persino troppo, certe volte – ed ha sempre cercato di proteggerla anche quando lei se la sarebbe potuta cavare benissimo da sola...

Will ha visto Ray nel momento peggiore della sua vita e, come la persona splendida che è, ha fatto ciò che gli diceva il cuore: l'ha amata. Non come uomo, non in senso romantico, niente del genere: Will ha amato Ray come si ama una sorella e io so che è una cosa che tuttora non potrà cambiare, mai, nemmeno dovessero passare cent'anni separati l'uno dall'altra.

Non posso che sentirmi sollevato, adesso: Will era con lei e, per Ray, è e sarà sempre uno dei posti più sicuri al mondo.

Ray tira su col naso ed un sorriso incerto le si schiude sulle labbra.

-Diventammo amici. Lui fu il primo vero amico della mia vita.-

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-Anthony è un bravo ragazzo.- mi fa Will, seduto all'altro capo del tavolo del pub in cui abbiamo preso l'abitudine di fermarci a bere qualcosa dopo gli allenamenti quotidiani.

Scuoto la testa, facendo ondeggiare gli orecchini pesanti, rotondi e di metallo, che indosso. Will mi prende in giro a profusione per questo mio modo di vestire “da rocker anni Ottanta”, come dice lui, ma a me piace. Stupido Ken senza senso estetico.

-Non posso uscire con lui, come devo dirtelo!?- gli afferro una mano e la premo sulla mia gola, dove io stessa posso avvertire il martellare furibondo del mio cuore. -Senti? Mi salgono i battiti al sol pensiero!- sbraito, accorgendomi soltanto quando Will scoppia a ridere e mi arruffa i capelli che non mi dà fastidio essere toccata da lui – ed è la prima volta che il disagio non si fa vivo da quando me ne sono andata di casa.

-Questo, raggio di Sole, non è panico. Si chiama libido.-

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[Ray]

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Ben scoppia a ridere assieme a me quando gli spiego quanto imbecille e stupido fosse il William che ho conosciuto in quel periodo: era proprio un coglione, devo ammetterlo, ma io a quel coglione volevo bene e mi ci ero affezionata come non avevo più creduto possibile.

-Will non cambierà mai.- commenta Ben, divertito, ed io annuisco vigorosamente.

-Credo anch'io.-

No, Will non cambierà mai davvero: rimarrà sempre quel bambolotto gigante con un cuore da bambino e tanta di quella bontà, dentro, da riempirci il mondo intero.

-Alla fine accettasti quell'invito?- mi domanda Ben quando l'ilarità scema e la sua curiosità torna a farsi viva.

Avrei dovuto parlargli di tutto questo molto, molto tempo fa.

Non so nemmeno io perché non gli ho mai detto nulla di tutto questo: forse avevo paura – non della sua reazione, perché sono sicura dell'amore e della comprensione di Ben come non lo sono mai stata di niente o nessun altro, ma... forse avevo paura di riportare a galla tutto il dolore che ho provato e che mi ha profondamente, indelebilmente cambiata.

-Più o meno.-

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Io sono una gran vigliacca, Will lo dice sempre.

Io mi arrabbio e protesto ma lui, con quella sua faccia che sarebbe da prendere a pugni dal mattino alla sera atteggiata in un sorrisetto irritante, decreta saggiamente che, se fossi davvero coraggiosa, sarei già andata da Anthony a scusarmi per non avergli più parlato per dieci giorni dopo quello stupido, stupido pomeriggio.

Forse è proprio perché voglio dimostrare a me stessa di non essere una codarda che, adesso, sto correndo a perdifiato giù per le scale della palestra e poi giù in strada, sperando di non aver perso Anthony nella folla che sembra essere onnipresente in questo quartiere di New York.

-Anthony!- chiamo, sollevata, quando lo vedo fermo sul marciapiede, probabilmente in attesa di un taxi e, nel momento in cui si volta e mi sorride, il mio cuore sussulta e il mio stomaco fa una capriola: è sempre più bello, accidenti a lui.

-Stai meglio, ragazzina?- mi chiede, osservandomi con un misto di curiosità ed ilarità mentre io incespico e spintono poco carinamente le persone per raggiungerlo.

-Sì, io...- esito. Come glielo spiego? Accidenti a Will!

Mi mordo l'interno della guancia, sapendo – e maledicendomi per questo – di essere arrossita.

-Volevo scusarmi per la reazione dell'altro giorno, io...- balbetto, ma non mi sento ancora pronta a fidarmi completamente di una seconda persona, non in così poco tempo: voglio dargli il beneficio del dubbio, però, e voglio concedere a me stessa la possibilità di rischiare di essere di nuovo felice.

Quindi opto per dirgli una parte della verità, quella meno compromettente, quella che mi permette di aprirmi un pochino senza, però, sentirmi denudata completamente di tutte le mie difese.

-La verità è che non sono mai uscita con un ragazzo, ecco. Ho qualche problema con tutta quella roba di come vestirsi, di dove andare, dell'imbarazzo e__-

Anthony alza una mano, ridacchiando, mettendo la parola fine al mio sproloquio.

-Facciamo così: se ti offrissi un caffè fra, vediamo, venti minuti, al bar della palestra?-

Una luce nel buio.

-Direi che si possa fare.- sorrido, entusiasta, voltandomi di scatto per lanciare un'occhiata alla palestra, enorme e bellissima, alle mie spalle. -Faccio una doccia e arrivo, puoi aspettarmi lì...?- gli chiedo, incerta, tornando a voltarmi verso di lui. Non mi sono nemmeno lavata dopo l'allenamento, sono subito corsa fuori, sperando di vederlo.

Anthony scuote la testa, sempre con quel bel sorriso un po' canzonatorio sulle labbra.

-Assolutamente no. E se poi tu mi scappassi di nuovo?-

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-Era determinato, il ragazzo.- osserva Ben, inarcando le sopracciglia – come se lui non lo fosse, no? – e guardandomi con quegli occhi scuri e caldi in cui so sempre di poter trovare la mia metà migliore.

-Oh, sì. Era un vero testardo.- annuisco, con più serenità di quanta me ne sarei aspettata: per anni ho provato un vero e proprio terrore al pensiero di parlare di Anthony, di soffrire di nuovo per la sua perdita, di sentire ancora la sua mancanza... invece è così semplice, ora, raccontare a Ben la mia storia, la storia di Anthony. Non so se sia perché è passato abbastanza tempo o perché, molto più probabilmente, parlare con lui è sempre stato facile e meraviglioso come prendere un profondo respiro in alta montagna.

-Anthony fu il mio primo ragazzo, la mia prima volta e il mio primo amore.-

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My space

Ciaone a tutti, so' Paola Marella!

Ignoratemi. Vi prego. Ho il ciclo da nove giorni, non ci sto più con la testa.

Buongiorno a tutti voi! Puntuale come un orologio, incredibilmente, eccomi qua ad aggiornare!

Innanzitutto vorrei ringraziarvi per l'entusiasmo: mi ha fatto davvero un piacere immenso vedere che non vi siete dimenticate di Ben e Ray e che vi ha entusiasmato questo mio nuovo progetto!

Poi, qualche considerazione: Anthony, il primo amore di Ray, era oggettivamente un ragazzo bellissimo. Può capitare, nella vita, di incontrarne di così, no? Okay, Ray ha tutte le fortune di questo mondo, prima quello e poi Ben. Che invidia. Però ci tengo a sottolineare che non è la sua bellezza ad aver colpito lei, ad averla conquistata, ma l'atteggiamento che ha sempre tenuto nei suoi confronti: Anthony è stato una spalla per sostenersi, un punto di partenza, una speranza, per Ray. Questo, più della bellezza di Anthony (che a Ray non importa proprio un accidente), è ciò che l'ha conquistata.

La canzone del titolo di questo capitolo è Kiss the Rain di Billy Myers.

E niente, direi che questo capitolo si spiega da solo! Per qualsiasi cosa (complimenti, insulti, pomodori, critiche costruttive, erroracci che mi saranno di sicuro sfuggiti nonostante le mille riletture) vi invito a lasciarmi un commentino!

Alla settimana prossima!

B.

   
 
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