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Autore: LaraPink777    15/04/2015    3 recensioni
Sono uno scienziato. Sono un mostro. Sono il Re dei Topi. Sono odio. Nella tua sofferenza, troverò la mia vendetta.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Re dei Topi/Rat King, Splinter
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Punto di rottura 3

 

 

Sesta settimana.

PdV di Leonardo

Sete.

Lui è qui? No, non è qui. Sì, la porta si apre. Lui è qui.

Lui porta dolore.

Non voglio. Non voglio. No dolore, no dolore. Scappa, via, vai via. Vai nell’altro posto.

Lui mi ha tirato qualcosa.

Voltati e prendilo, forse ti ha portato l’acqua. Mi senti Leo? Girati, maledizione.

Sì, Raph, lo prendo.

Prendo il sacchetto. Le mani fanno molto male, ma devo aprire il sacchetto. Acqua. Acqua, è acqua. Sete. Svito il tappo.

Non bere tutto d’un fiato! Solo piccoli sorsi! Sei disidratato Leo, bevi lentamente.

Sì, Donnie, bevo piano.

Acqua. Cibo, c’è pure cibo. Ci sono… pillole? Guardo lui. Paura.

“Antibiotici. Prendili.”

Ma che fai, sei pazzo? E se vuole ucciderti? Non prenderli!

Sì, Raph.

Non dire sciocchezze, se volesse ucciderlo non lo farebbe così. Non senti l’odore? L’ustione è infetta. Prendile, Leo.

Sì, Donnie.

Amico, non penso voglia ucciderti così… Insomma, oggi ti ha portato pure da mangiare. Inoltre… Uhm… fratello, credo che ti convenga ubbidirgli, no?

Sì, Mikey.

“Sei sveglio?... Ahi! Ahi! Come si dice?... Ho portato da bere a tuo figlio.” Lui parla. Non parla con me, parla con Sensei. Sensei vede. Non voglio che Sensei vede. Non voglio.

 Mangiare fa male. Lui si siede. Non lo guardo, mangio. Lui sbatte le mani. Paura. Mi cade il pane, lo riprendo. È finito. È poco,ho fame.

Lui mi guarda, adesso si alza e comincia.

No no no.

Vado nell’altro posto.

 

PdV di Raffaello

Appena Donnie sussurra il mio nome dalla porta, sono già seduto sul letto. La sensazione angosciante dell’ultimo incubo è ancora tutta qui, mentre strofino gli occhi.

“Sveglia Mikey, e venite in laboratorio.”

È già scomparso, mentre mi alzo in piedi, traballante. Sto appena iniziando ad essere abbastanza sveglio da chiedermi quello che sta succedendo; getto un’occhiata ai led rossi dell’orologio: sono le quattro e dieci del mattino. Non perdo tempo, vado a svegliare Mikey, che si alza al mio richiamo velocemente come ho fatto io. Neanche lui si è tolto la maschera, ed adesso la raddrizza, sbattendo gli occhi, alzandosi in piedi. Ha un’aria spiritata che credo di avere anch’io.

Nonostante la stanchezza, sono ormai vigile e pronto quando entro in laboratorio, in ansia. Ho sospeso volontariamente tutti i pensieri dalla mia testa; semplicemente, aspetto di sapere perché Donnie e Sensei sono già qui, svegli a quest’ora.

Non ha neanche aspettato che avessimo raggiunto il muro con le foto e le mappe, che Donnie inizia a parlare.

“Forse so dove si trova Leo.”

L’ondata di speranza che mi travolge è così forte che quasi mi toglie il respiro.

Sono così sconvolto, dal sollievo che sento, che mi perdo le parole successive; Donnie ha continuato a parlare, concitato, eccitato, accanto a Splinter, in piedi anche lui vicino al muro, con le braccia incrociate ed il viso basso, ma la postura tesa.

“…Sensei ha visto questi numeri verniciati sul cemento, ed io ho controllato, indicano le zone della città secondo una ditta della fornitura del gas, ed il numero che lui ha visto accanto a questo simbolo – indica una specie di triangolo scarabocchiato a pennarello su un foglio bianco – il numero 37, designa questa zona.”

Batte con la mano sulla cartina.

“Come hai fatto a vedere i numeri?” Mikey anticipa di una frazione di secondo la domanda che volevo fare io.

Splinter alza la testa. “Lui, si è distratto.”

Adesso sento chiaramente il mio cuore. L’eccitazione sta salendo. Ho capito bene. Quel bastardo ha fatto l’errore che aspettavamo da settimane, ha lasciato vedere a mio padre un particolare che ci potrebbe permettere di conoscere dove è tenuto Leo. Il colpo di fortuna che attendevamo. Improvvisamente, non sento più né sonno, né stanchezza; le mani mi iniziano a formicolare d’attesa.

Donnie sbatte la mano ancora sulla cartina, e riprende a parlare. Si vede che ha fretta. Giusto.

“Quindi io credo che potrebbe essere prigioniero da qualche parte sotto questo parcheggio.” Punta un quadratino sulla mappa.

Non capisco. “Come fai a sapere che sia lì? Hai detto che quel numero indica tutta una zona.”

Chiude le palpebre ed annuisce, poi si stringe lo spazio tra gli occhi con due dita. Si volta verso Sensei, che resta impassibile. Capisco che Splinter conosce il discorso, ed adesso posso anche comprendere perché sia lui che Donnie sono in laboratorio a quest’ora della notte. Quel pazzo deve aver chiamato mio padre, e si è lasciato sfuggire dalla sua mente malata un’immagine, Splinter ha svegliato Donnie che ha trovato l’informazione utile. I pezzi quadrano.

Donnie riapre gli occhi, e rilascia un sospiro, prima di continuare. Dalla sua espressione comprendo che quello che sta per dire adesso non mi piacerà.

“Stavo tenendo d’occhio tutte le denuncie e le segnalazioni nella città, nel caso che, insomma, qualche informazione potesse risultarci utile. – Tradotto vuol dire che mio fratello si è introdotto per l’ennesima volta negli archivi informatici della polizia. – Nel piano più interrato di questo parcheggio, una donna un paio di settimane fa ha fatto una segnalazione.”

Sposta il suo peso, a disagio, e si volta verso la cartina.

“Io… Insomma, segnalazioni del genere ce ne sono a centinaia, in tutta New York…  Capitano ogni giorno, e se non fosse stato per il numero del gas che ha visto Sensei non avrei controllato; non si può, controllare tutta la città…”

“Che tipo di segnalazione?”chiedo.

Inghiottisce a vuoto, e la sua voce esce un po’ rotta.

“La donna ha chiamato la polizia perché, mentre riprendeva l’auto dal parcheggio, ha sentito delle urla attutite, come se provenissero da molto lontano. La polizia non ha trovato niente nel parcheggio e tutto è finito là.”

Con la coda dell’occhio vedo Mikey inspirare rumorosamente e portarsi una mano alla bocca.

“Urla…” mormora.

Donatello non aggiunge altro; io non voglio pensare a cosa questo significhi, no, non adesso, non ce la faccio. Ma vedo mio padre stringere gli occhi. Mi giro verso Mikey, che è tornato a tormentarsi il bordo della bocca, e che mi restituisce uno sguardo addolorato e consapevole.

“Sei sicuro che possa esserci qualche collegamento?” chiedo, e quasi spero che non ci sia. Non so se voglio collegare mio fratello a delle urla.

“Sì, abbastanza sicuro. Non ho la certezza assoluta ma credo che ci siano buone possibilità. L’acustica dei piani inferiori del parcheggio agisce come una cassa di risonanza; con un buon udito si potrebbero percepire delle urla dal sottosuolo. Ho visionato alcune immagini dalle telecamere di sicurezza, ed ho notato che i piani interrati sono stranamente infestati dai ratti. Ne ho visti a decine, entrare ed uscire dalle griglie di areazione.”

 

Annuisco, e mi giro a guardare Sensei. Non abbiamo bisogno di altro. Dove ci sono ratti, ci può essere quell’essere schifoso. È la pista migliore che abbiamo trovato in settimane, anzi l’unica pista utile che abbiamo trovato, e sono già pronto ad uscire; aspetto solo un cenno per scattare fuori.

Splinter ci guarda a turno; è serio, determinato, ma con l’espressione sfiancata e angosciata che ormai si trascina da giorni.

“Bene. Andremo tutti. Muoviamoci.”

Donnie alza una mano, esitante, mentre Splinter già si volta per uscire.

“Con tutto il rispetto, Sensei, – gli dice perplesso – non sarebbe meglio se tu restassi qui? Lui può sentirti e…”

Il nostro maestro si ferma, lo guarda per un attimo innervosito, poi prende un respiro e risponde.

“Credo di riuscire a bloccarlo, se resto concentrato. Dobbiamo andare tutti, e fare in fretta.”

Si volge verso di me, e legge nei miei occhi la domanda non pronunciata; distoglie un attimo lo sguardo, incerto se rispondermi, ma alla fine mi guarda fisso un paio di secondi, quindi torna a rivolgersi a Donnie.

“Ho percepito che lui si è stancato.”

Si è stancato.

Per lui torturare mio fratello era un gioco. Il gioco è finito, lui si è stancato. Non ho mangiato nulla, eppure la mia gola sussulta in un conato di vomito. L’immagine di mio fratello come un giocattolo rotto è un pensiero talmente mostruoso che quasi non ce la faccio a concepirlo. Mi sento avvolto da un doloroso calore rosso, la mia vista si appanna per qualche secondo, ed inizio a cercare più aria per i miei polmoni per nutrire la mia rabbia. Mi accorgo di essermi conficcato le unghie nel palmo della mano quando la puntura di dolore mi riporta in me. Abbasso lo sguardo al segno rosso nella mia pelle e poi mi giro verso il muro con gli appunti.

Mikey è lontano da noi qualche passo, voltato ancora verso gli appunti. Non ha sentito o non ha capito quello che ha detto Sensei; più probabilmente sta cercando di non capire. Quando Splinter comanda di muoversi ed esce dal laboratorio, Mikey gira la testa, lentamente, e mi fissa: gli occhi azzurri sono stretti e determinati quando mi rivolge un appena percepibile cenno, e l’ombra sul suo volto è ancora più scura.

 

PdV di Leonardo

Niente.

Qui non c’è niente.

Non c’è alcun qui.

Chi sono io?

Cos’è “io”?

“…”

 

PdV di Raffaello

È proprio una maledetta porta di ferro. Parecchi piedi sotto il parcheggio, è un casino di cunicoli e muri crollati. Se non avessimo saputo che ci poteva essere qualcosa, non avremmo neppure guardato. Anzi, non dovrebbe neppure esserci niente, qui sotto, ci ha detto Donnie. Forse sono vecchi passaggi costruiti all’epoca del proibizionismo, forse qualche rifugio della mafia. Comunque quando Donnie lo diceva non me ne fregava un accidenti. Mi interessava solo raggiungere questa porta. L’ha trovata Mikey, e ha chiamato Splinter che l’ha riconosciuta.

Donnie si inginocchia davanti alla serratura, e veloce armeggia con pinze e ferretti. Mikey si gira da una parte e dall’altra, nervoso. Splinter respira lentamente, con gli occhi socchiusi; sta facendo qualcosa nella sua testa, di quelle sue cavolate spirituali, forse per calmarsi, o per impedire al bastardo di sentirlo, non so; come sempre, rabbrividisco quando penso che è possibile che qualcuno ti entri nella testa, che è qualcosa da cui non puoi sfuggire, e non basta neppure tutta la forza di questo mondo quando il mostro che devi sconfiggere ti sporca con la sua merda proprio dentro di te.

Al click della serratura, sobbalzo. Donnie apre lentamente la porta, e Sensei ci entra per primo; io gli sono dietro ancor prima di pensarci.

Appena faccio un passo nella stanza buia, un fetore nauseabondo mi investe. La porta dietro di me è completamente spalancata, Donnie e Mikey sono subito alle mie spalle, a coprire la lieve luminescenza che entra da fuori. Splinter ha continuato ad avanzare nella semioscurità, mentre Donnie accende la sua torcia.

Il raggio di luce gialla investe il kimono rosso di mio padre, poi si muove nella stanza. Catene. Tubi, legni rotti. Bottiglie vuote, stracci sporchi. Una specie di tavolo, piuttosto un piano su dei supporti.

Su di esso, strumenti insanguinati.

Mio padre si è abbassato.

Davanti a lui, vedo una figura sdraiata a terra.

Leo. È Leo.

Dovrei essere felice, abbiamo appena trovato Leo. Eppure, sono terrorizzato. Quando Donnie mi spintona di lato, per correre ad inginocchiarsi accanto al corpo riverso, sono talmente sconvolto da non riuscire a capire quello che succede intorno a me. Sono un ninja, sono addestrato, eppure sento che sto crollando.

Tenaglie brune per terra, ed una frusta, incrostata di coaguli.

Puzza di escrementi, di sangue.

Sto per vomitare.

Ascolto il respiro pesante di Mikey accanto a me, i battiti fortissimi del mio cuore, e il sussurro angosciato di Donnie.

Eppure, mio fratello è vivo.

Vedo che respira. Mi sono avvicinato; la torcia per terra mi mostra il suo corpo. Mikey inizia a piagnucolare.

Leo è un disastro.

Il suo corpo è tutto una piaga. È più rosso e nero e giallo che verde. Lividi, tagli e ustioni ricoprono tutta la sua pelle, guscio e piastrone sono rotti e scheggiati in più punti. Il suo viso smunto è grigio, e viola di ecchimosi.

Sento girarmi la testa, e devo distogliere un attimo lo sguardo. Sul muro il raggio di luce mi mostra piccoli schizzi bruni e vorrei non aver capito cosa sono.

Il sangue di mio fratello imbratta anche il pavimento. E le catene. Scuro e secco, ricopre il suo corpo quasi completamente. Croste e tagli purulenti si soprappongono su braccia, gambe, testa.

Sapevo che quel mostro stava facendo del male a Leo, lo sapevo da settimane. Non pensavo ad altro, giorno e notte. Ma adesso, vederlo in queste condizioni mi sta dilaniando. Fatico a respirare, non mi sono mai sentito così male in vita mia. Non ho mai provato una rabbia così intensa, che posso quasi sentire, fisica, irradiarsi rovente in ogni mia vena, e farmi male, nel petto, ad ogni respiro.

Questo ai miei piedi, questo corpo emaciato e martoriato, è mio fratello. Una delle quattro creature con cui divido la mia maledetta vita in queste fogne, la presenza che mi accompagna da sempre, lo sguardo che mi dice tutto senza bisogno di parlare, il compagno di giochi, di allenamento, il mio miglior amico.

Eppure, non lo è. Non può essere mio fratello, no, il mio cervello quasi rifiuta di crederci. Perché questo povero essere sofferente accasciato per terra ha due occhi blu velati dal dolore aperti e rivolti verso di me, ma non mi sta guardando.

Leo non si muove, non dice nulla. Quando Sensei lo chiama, non risponde. Quando Mikey lo invoca anche lui, più volte, e gli chiede, stupidamente, come sta, non mostra neanche di aver sentito. Quando Donnie inizia ad alzarlo da terra, dalla pozza fetida di sangue e lordura, tirandolo dalle braccia, Leo non emette una voce, non cambia di una virgola quello sguardo vuoto e vitreo, quell’espressione spenta, con la bocca leggermente aperta, a mostrare i denti spezzati.

Mi abbasso a prenderlo per le gambe, aiutando Donnie ad alzarlo. Non pesa niente. Le sue gambe sono caldissime, viscide di sangue e pus. Temo di fargli male solo a toccarlo, ma Leo ciondola la testa di lato, continuando a fissare il vuoto.

“Donnie, cos’ha? Perché non si muove?”

La voce di Mikey sembra quella di un bambino; risuona di dolore, negazione, paura. Incrinata come uno specchio. Si è avvicinato e mette anche lui le sue mani sotto il guscio di Leo, non che ce ne sia bisogno. Faccio un passo all’indietro, sempre sorreggendo le gambe, e ritraggo istintivamente il mio piede quando calpesto qualcosa di appuntito. Guardo giù, credendo di trovare un pezzo di vetro, e vedo invece, chiaramente illuminato dalla torcia, un pezzettino di guscio.

Ho calpestato un pezzo del guscio di mio fratello, per terra, insieme alla spazzatura.

L’orrore mi sta sopraffacendo, dobbiamo uscire subito di qui.

È catatonico” sentenzia Donnie, in un sussurro.

Io non so neanche cosa voglia dire. Quello che so, quello che capisco, è che questo tra le mia braccia non è più mio fratello. Questo manichino rotto non è più Leo. Non sono come Donnie, non ne capisco niente di medicina, ma non sono stupido. Riconosco quando una cosa è talmente rotta da non poter più essere riparata.

Ci sarà tempo, poi, per piangere. Adesso, dobbiamo portarlo a casa. Per adesso, non penso neanche alla vendetta. Voglio solo andare a casa, riportare Leo dove è giusto che stia, riportarlo da noi. Mikey si è staccato, ci ha preceduto fuori dalla stanza, ci guarda allucinato mentre oltrepassiamo la soglia per uscire da questo buco maledetto; Donnie sostiene il torace di Leo passandogli le braccia sotto le ascelle, ed ha gli occhi lucidi, mentre la sua bocca è tirata in una specie di smorfia, un ringhio congelato d’angoscia.

Si ferma quando Splinter, uscito per ultimo dalla stanza, gli mette una mano sulla spalla.

Guardiamo tutti e tre il nostro maestro.

Sensei abbassa gli occhi verso Leo, gli mette una mano sulla testa, poi gli accarezza piano la guancia gonfia e violacea. Quindi alza lo sguardo e si rivolge a noi. A me.

“Io resto qui.”

Ci metto una frazione di secondo a capire il perché. Gli occhi di mio padre sono spaventosi. Non posso fare altro che annuire piano.

Mentre ci allontaniamo lo vedo in piedi davanti alla porta, risoluto e terribile. Come la morte.

 

PdV d Victor Falco

Sono abbastanza eccitato. Forse più di quanto dovrei esserlo. Non che non avessi mai ucciso qualche animale, prima d’ora: le cavie che hanno visto la morte sotto i miei bisturi sono innumerevoli. Centinaia le stupide scimmie che continuavano ad aggrapparsi fastidiosamente ai tavolini fino all’ultimo minuto.

Ma questa volta è diverso. Il mostro è un essere senziente.

Anche se forse sarebbe meglio dire che lo era.

Quando l’ho lasciato ieri ho riconosciuto chiaramente i segni dell’alterazione psichica. Ci sono volute ben sei settimane, per cedere completamente, anche se avevo notato da un po’ i primi sintomi della psicosi. Se volessi continuare a divertirmi con lui, potrei provare a richiamarlo in sé con la benzodiazepine, ma temo che a questo livello di trauma ogni tentativo di cura sia ormai inutile. Gli ho distrutto non solo il corpo, alla fine. In ogni caso, avevo deciso di smettere.

Ed è da ieri che mi cullo in questa piacevolissima esaltazione per l’atto finale. Mi sento bene, me lo merito; è un piccolo sollievo al tormento della mia vita in cui mi hanno gettato quei mostri. Pregusto il momento in cui avviserò il ratto che farò a pezzi il suo mostriciattolo davanti ai suoi occhi.

Poso il secchio e il sacco ai miei piedi, e riprendo fiato. Non è tanto il telone nel sacco, a pesare, quanto questo dannato secchio; d’altronde temo che trenta litri di acido siano anche pochi, per dissolvere completamente il corpo: ossa e guscio non saranno facili da smaltire. Ho valutato anche se conservare alcuni pezzi, per studiarli meglio, ma alla fine ho scartato l’idea. In fondo, non sono più uno scienziato. Non sono più Victor Falco.

Sono il Re dei Topi.

I ratti intorno a me mi fanno spazio mentre avanzo per aprire la porta. Le loro piccole ottuse menti conoscono ogni mio pensiero, e si preparano ai miei movimenti prima ancora che io li compia. Il potere di poter dominare milioni di piccole zanne affilate, di piccoli artigli, di piccoli corpi sguscianti in tutta la città è qualcosa di inebriante. Sono il Re.

D’un tratto, tramite i loro piccoli occhi, avverto il pericolo; una frazione di secondo prima di accorgermi che la porta non è chiusa a chiave. Poi, avverto anche lui.

È qui.

Qui da me, pochi passi dietro di me.

In meno di un secondo, parecchi pensieri e sensazioni attraversano la mia mente. Innanzitutto, la paura. Lui mi ha battuto due volte, ed ormai sa perfettamente come sopraffarmi: in un corpo a corpo, non ho possibilità. Il maestro ninja batterà lo scienziato senza sforzo. Poi, la rabbia. Come ho fatto a non accorgermi della sua presenza? Come ho fatto a farmi scoprire, nonostante tutte le attenzioni in queste settimane? Ho chiuso la mia mente a lui da tutte le immagini che potevano portarlo a questo luogo, possibile che abbia commesso uno sbaglio? Forse proprio ieri, nell’eccitazione della mia ultima decisione?

Faccio appena in tempo a prendere un profondo respiro, col petto già stretto dall’angoscia; quando lui mi è sopra, e mi sbatte al muro prendendomi per il collo, resta solo la paura.

Il suo arto mutato si stringe intorno al mio collo, io apro la bocca per cercare di prendere aria, ma esce solo un rantolo. Non posso parlare. Tanto, capisco subito che lui non ha intenzione di conversare. Mi fissa negli occhi, e la mia paura diventa terrore: i suoi occhi sono rossi e inumani, infuocati e crudeli come quelli di una belva, anzi di un demone.

È il diavolo, sotto forma di un giapponese mutato, che è alla fine giunto a strappare via la mia anima.

Cerco di divincolarmi, mentre ordino mentalmente ai miei ratti di attaccarlo: so che è inutile, ne ho intorno a me appena una decina,e mentre sto richiamando tutti i topi della città, capisco che non faranno in tempo a raggiungermi. I miei pochi piccoli amici affondano le loro minuscole zanne nelle sue caviglie, nelle sue gambe; io posso sentire tramite loro il gusto del sangue, ma lui non si sposta nemmeno, come se non li sentisse.

Adesso percepisco bene anche i suoi pensieri. Riesco a captare con precisione la sua rabbia feroce, piena ed assoluta. Il suo dolore, talmente grande da sconvolgere anche i miei sensi. La sua anima rotta, tormentata, la consapevolezza di non poter mai più essere la persona che era, di aver perso ormai non solo parte della sua famiglia ma anche sé stesso.

Sento, forte e disperata, rossa e viva, la sua determinazione. Ed avverto, nero e denso, tutto il suo odio, tremendo e distruttivo.

Lui mi ucciderà.

Percepisco, ancora, la lotta nel suo animo, tra il suo vecchio sé, che lo vuole guidare a porre una fine veloce e pulita, per correre il prima possibile al capezzale del figlio, ed il nuovo mostro nato in lui in queste settimane, che invece gli suggerisce suadente di infliggermi parte dei tormenti che ho dato alla tartaruga.

Poi, non riesco a distinguere più niente, perché la mia paura è ormai tanta da stordirmi, mentre lotto per l’aria. Sto per morire. Sto per morire.

Stringo gli occhi, ed una lacrima mi sfugge. Sto per morire.

Che spreco, una mente come la mia. Tutto finito.

Un suono secco rimbomba nella mia testa, e comprendo che alla fine non mi torturerà.

Mi ha rotto la trachea.

Apro gli occhi. Mentre continua a stringere il mio collo, sempre più forte, incontro per l’ultima volta il suo sguardo.

Ed improvvisamente capisco.

Un nuovo sentimento mi invade. Scintille danzano davanti ai miei occhi, la mia visione diventa nera ai bordi. Ma faccio in tempo ad afferrare questo mio ultimo pensiero, ed a stringerlo a me. Lo assaporo, ed è delizioso. Ha il gusto dolce della vittoria.

Lui, Hamato Yoshi, era un uomo buono. Un guerriero leale. Un ninja onorevole. Nel suo cuore vi erano l’amore per i suoi figli, la passione e l’orgoglio per la tradizione trasmessa dai suoi avi, il suo onore forte e profondo. Disprezzava la violenza gratuita, non credeva nella vendetta, neanche verso chi gli aveva ucciso la moglie e rapito la figlia; ed è ridicolo come a volte tentasse di ingannare sé stesso dicendo che in fondo vi poteva essere ancora del buono in tutte le persone. Vi erano in lui le virtù che aveva visto crescere nei suoi quattro giovani mutanti, la lealtà, la forza, l’intelligenza e la compassione.

Ebbene, io ho ucciso quell’uomo. Il mutante rotto davanti a me non è più lui. Sono riuscito a piegarlo, a sconfiggerlo. Ho portato via da lui il suo animo nobile ed ho creato un mostro. Ho distrutto il suo cuore. L’ho annientato.

La mente è un organo meraviglioso. Si può manipolare, plasmare, cambiare. Io ci sono riuscito.

Quando il mio collo si spezza, e la morte mi afferra, sono orgoglioso di me.

Io, Victor Falco, il Re dei Topi, ho vinto il mio nemico.

 

 

N/A Fine! Grazie per aver fatto anche questo piccolo viaggio oscuro con me *si inchina*
Un abbraccio a tutti! A presto, Tartapopolo :*

  
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