Sesta settimana.
PdV di Leonardo
Sete.
Lui è qui? No, non è qui. Sì, la porta si apre. Lui è qui.
Lui porta dolore.
Non voglio.
Non voglio. No dolore, no dolore. Scappa, via, vai via. Vai nell’altro posto.
Lui mi ha tirato qualcosa.
Voltati e prendilo, forse ti ha portato l’acqua. Mi
senti Leo? Girati, maledizione.
Sì, Raph, lo
prendo.
Prendo il sacchetto.
Le mani fanno molto male, ma devo aprire il sacchetto. Acqua. Acqua, è acqua.
Sete. Svito il tappo.
Non bere tutto d’un fiato! Solo piccoli sorsi! Sei
disidratato Leo, bevi lentamente.
Sì, Donnie, bevo
piano.
Acqua. Cibo,
c’è pure cibo. Ci sono… pillole? Guardo lui.
Paura.
“Antibiotici.
Prendili.”
Ma che fai, sei pazzo? E se vuole ucciderti? Non
prenderli!
Sì, Raph.
Non dire sciocchezze, se volesse ucciderlo non lo
farebbe così. Non senti l’odore? L’ustione è infetta. Prendile, Leo.
Sì, Donnie.
Amico, non penso voglia ucciderti così… Insomma,
oggi ti ha portato pure da mangiare. Inoltre… Uhm… fratello, credo che ti
convenga ubbidirgli, no?
Sì, Mikey.
“Sei
sveglio?... Ahi! Ahi! Come si dice?... Ho portato da bere a tuo figlio.” Lui parla. Non parla con me, parla con
Sensei. Sensei vede. Non voglio che Sensei vede. Non voglio.
Lui mi guarda, adesso si alza e comincia.
No no no.
Vado nell’altro posto.
PdV di Raffaello
Appena
Donnie sussurra il mio nome dalla porta, sono già seduto sul letto. La
sensazione angosciante dell’ultimo incubo è ancora tutta qui, mentre strofino
gli occhi.
“Sveglia
Mikey, e venite in laboratorio.”
È già scomparso, mentre mi alzo in piedi,
traballante. Sto appena iniziando ad essere abbastanza sveglio da chiedermi
quello che sta succedendo; getto un’occhiata ai led rossi dell’orologio: sono
le quattro e dieci del mattino. Non perdo tempo, vado a svegliare Mikey, che si
alza al mio richiamo velocemente come ho fatto io. Neanche lui si è tolto la
maschera, ed adesso la raddrizza, sbattendo gli occhi, alzandosi in piedi. Ha
un’aria spiritata che credo di avere anch’io.
Nonostante
la stanchezza, sono ormai vigile e pronto quando entro in laboratorio, in
ansia. Ho sospeso volontariamente tutti i pensieri dalla mia testa;
semplicemente, aspetto di sapere perché Donnie e Sensei sono già qui, svegli a
quest’ora.
Non ha
neanche aspettato che avessimo raggiunto il muro con le foto e le mappe, che
Donnie inizia a parlare.
“Forse so
dove si trova Leo.”
L’ondata di
speranza che mi travolge è così forte che quasi mi toglie il respiro.
Sono così
sconvolto, dal sollievo che sento, che mi perdo le parole successive; Donnie ha
continuato a parlare, concitato, eccitato, accanto a Splinter, in piedi anche
lui vicino al muro, con le braccia incrociate ed il viso basso, ma la postura
tesa.
“…Sensei ha
visto questi numeri verniciati sul cemento, ed io ho controllato, indicano le
zone della città secondo una ditta della fornitura del gas, ed il numero che
lui ha visto accanto a questo simbolo – indica una specie di triangolo
scarabocchiato a pennarello su un foglio bianco – il numero 37, designa questa
zona.”
Batte con la
mano sulla cartina.
“Come hai
fatto a vedere i numeri?” Mikey anticipa di una frazione di secondo la domanda
che volevo fare io.
Splinter
alza la testa. “Lui, si è distratto.”
Adesso sento
chiaramente il mio cuore. L’eccitazione sta salendo. Ho capito bene. Quel
bastardo ha fatto l’errore che aspettavamo da settimane, ha lasciato vedere a
mio padre un particolare che ci potrebbe permettere di conoscere dove è tenuto
Leo. Il colpo di fortuna che attendevamo. Improvvisamente, non sento più né
sonno, né stanchezza; le mani mi iniziano a formicolare d’attesa.
Donnie
sbatte la mano ancora sulla cartina, e riprende a parlare. Si vede che ha
fretta. Giusto.
“Quindi io
credo che potrebbe essere prigioniero da qualche parte sotto questo
parcheggio.” Punta un quadratino sulla mappa.
Non capisco.
“Come fai a sapere che sia lì? Hai detto che quel numero indica tutta una
zona.”
Chiude le
palpebre ed annuisce, poi si stringe lo spazio tra gli occhi con due dita. Si
volta verso Sensei, che resta impassibile. Capisco che Splinter conosce il
discorso, ed adesso posso anche comprendere perché sia lui che Donnie sono in
laboratorio a quest’ora della notte. Quel pazzo deve aver chiamato mio padre, e
si è lasciato sfuggire dalla sua mente malata un’immagine, Splinter ha
svegliato Donnie che ha trovato l’informazione utile. I pezzi quadrano.
Donnie
riapre gli occhi, e rilascia un sospiro, prima di continuare. Dalla sua
espressione comprendo che quello che sta per dire adesso non mi piacerà.
“Stavo
tenendo d’occhio tutte le denuncie e le segnalazioni nella città, nel caso che,
insomma, qualche informazione potesse risultarci utile. – Tradotto vuol dire
che mio fratello si è introdotto per l’ennesima volta negli archivi informatici
della polizia. – Nel piano più interrato di questo parcheggio, una donna un
paio di settimane fa ha fatto una segnalazione.”
Sposta il
suo peso, a disagio, e si volta verso la cartina.
“Io… Insomma,
segnalazioni del genere ce ne sono a centinaia, in tutta New York… Capitano ogni giorno, e se non fosse stato
per il numero del gas che ha visto Sensei non avrei controllato; non si può,
controllare tutta la città…”
“Che tipo di
segnalazione?”chiedo.
Inghiottisce
a vuoto, e la sua voce esce un po’ rotta.
“La donna ha
chiamato la polizia perché, mentre riprendeva l’auto dal parcheggio, ha sentito
delle urla attutite, come se provenissero da molto lontano. La polizia non ha
trovato niente nel parcheggio e tutto è finito là.”
Con la coda
dell’occhio vedo Mikey inspirare rumorosamente e portarsi una mano alla bocca.
“Urla…”
mormora.
Donatello
non aggiunge altro; io non voglio pensare a cosa questo significhi, no, non
adesso, non ce la faccio. Ma vedo mio padre stringere gli occhi. Mi giro verso
Mikey, che è tornato a tormentarsi il bordo della bocca, e che mi restituisce
uno sguardo addolorato e consapevole.
“Sei sicuro
che possa esserci qualche collegamento?” chiedo, e quasi spero che non ci sia.
Non so se voglio collegare mio fratello a delle urla.
“Sì,
abbastanza sicuro. Non ho la certezza assoluta ma credo che ci siano buone
possibilità. L’acustica dei piani inferiori del parcheggio agisce come una
cassa di risonanza; con un buon udito si potrebbero percepire delle urla dal
sottosuolo. Ho visionato alcune immagini dalle telecamere di sicurezza, ed ho
notato che i piani interrati sono stranamente infestati dai ratti. Ne ho visti
a decine, entrare ed uscire dalle griglie di areazione.”
Annuisco, e
mi giro a guardare Sensei. Non abbiamo bisogno di altro. Dove ci sono ratti, ci
può essere quell’essere schifoso. È la pista
migliore che abbiamo trovato in settimane, anzi l’unica pista utile che abbiamo
trovato, e sono già pronto ad uscire; aspetto solo un cenno per scattare fuori.
Splinter ci
guarda a turno; è serio, determinato, ma con l’espressione sfiancata e angosciata
che ormai si trascina da giorni.
“Bene.
Andremo tutti. Muoviamoci.”
Donnie alza
una mano, esitante, mentre Splinter già si volta per uscire.
“Con tutto
il rispetto, Sensei, – gli dice perplesso – non sarebbe meglio se tu restassi
qui? Lui può sentirti e…”
Il nostro
maestro si ferma, lo guarda per un attimo innervosito, poi prende un respiro e
risponde.
“Credo di
riuscire a bloccarlo, se resto concentrato. Dobbiamo andare tutti, e fare in
fretta.”
Si volge
verso di me, e legge nei miei occhi la domanda non pronunciata; distoglie un
attimo lo sguardo, incerto se rispondermi, ma alla fine mi guarda fisso un paio
di secondi, quindi torna a rivolgersi a Donnie.
“Ho
percepito che lui si è stancato.”
Si è stancato.
Per lui
torturare mio fratello era un gioco. Il gioco è finito, lui si è stancato. Non
ho mangiato nulla, eppure la mia gola sussulta in un conato di vomito.
L’immagine di mio fratello come un giocattolo rotto è un pensiero talmente
mostruoso che quasi non ce la faccio a concepirlo. Mi sento avvolto da un
doloroso calore rosso, la mia vista si appanna per qualche secondo, ed inizio a
cercare più aria per i miei polmoni per nutrire la mia rabbia. Mi accorgo di
essermi conficcato le unghie nel palmo della mano quando la puntura di dolore
mi riporta in me. Abbasso lo sguardo al segno rosso nella mia pelle e poi mi
giro verso il muro con gli appunti.
Mikey è
lontano da noi qualche passo, voltato ancora verso gli appunti. Non ha sentito
o non ha capito quello che ha detto Sensei; più probabilmente sta cercando di
non capire. Quando Splinter comanda di muoversi ed esce dal laboratorio, Mikey
gira la testa, lentamente, e mi fissa: gli occhi azzurri sono stretti e
determinati quando mi rivolge un appena percepibile cenno, e l’ombra sul suo
volto è ancora più scura.
PdV di Leonardo
Niente.
Qui non c’è niente.
Non c’è alcun qui.
Chi sono io?
Cos’è “io”?
“…”
PdV di Raffaello
È proprio una maledetta porta di ferro. Parecchi
piedi sotto il parcheggio, è un casino di cunicoli e muri crollati. Se non avessimo
saputo che ci poteva essere qualcosa, non avremmo neppure guardato. Anzi, non
dovrebbe neppure esserci niente, qui sotto, ci ha detto Donnie. Forse sono
vecchi passaggi costruiti all’epoca del proibizionismo, forse qualche rifugio
della mafia. Comunque quando Donnie lo diceva non me ne fregava un accidenti.
Mi interessava solo raggiungere questa porta. L’ha trovata Mikey, e ha chiamato
Splinter che l’ha riconosciuta.
Donnie si
inginocchia davanti alla serratura, e veloce armeggia con pinze e ferretti. Mikey
si gira da una parte e dall’altra, nervoso. Splinter respira lentamente, con
gli occhi socchiusi; sta facendo qualcosa nella sua testa, di quelle sue
cavolate spirituali, forse per calmarsi, o per impedire al bastardo di
sentirlo, non so; come sempre, rabbrividisco quando penso che è possibile che
qualcuno ti entri nella testa, che è qualcosa da cui non puoi sfuggire, e non
basta neppure tutta la forza di questo mondo quando il mostro che devi
sconfiggere ti sporca con la sua merda proprio dentro di te.
Al click
della serratura, sobbalzo. Donnie apre lentamente la porta, e Sensei ci entra
per primo; io gli sono dietro ancor prima di pensarci.
Appena
faccio un passo nella stanza buia, un fetore nauseabondo mi investe. La porta
dietro di me è completamente spalancata, Donnie e Mikey sono subito alle mie
spalle, a coprire la lieve luminescenza che entra da fuori. Splinter ha
continuato ad avanzare nella semioscurità, mentre Donnie accende la sua torcia.
Il raggio di
luce gialla investe il kimono rosso di mio padre, poi si muove nella stanza.
Catene. Tubi, legni rotti. Bottiglie vuote, stracci sporchi. Una specie di
tavolo, piuttosto un piano su dei supporti.
Su di esso,
strumenti insanguinati.
Mio padre si
è abbassato.
Davanti a
lui, vedo una figura sdraiata a terra.
Leo. È Leo.
Dovrei
essere felice, abbiamo appena trovato Leo. Eppure, sono terrorizzato. Quando
Donnie mi spintona di lato, per correre ad inginocchiarsi accanto al corpo
riverso, sono talmente sconvolto da non riuscire a capire quello che succede
intorno a me. Sono un ninja, sono addestrato, eppure sento che sto crollando.
Tenaglie brune
per terra, ed una frusta, incrostata di coaguli.
Puzza di escrementi,
di sangue.
Sto per
vomitare.
Ascolto il
respiro pesante di Mikey accanto a me, i battiti fortissimi del mio cuore, e il
sussurro angosciato di Donnie.
Eppure, mio
fratello è vivo.
Vedo che respira.
Mi sono avvicinato; la torcia per terra mi mostra il suo corpo. Mikey inizia a
piagnucolare.
Leo è un
disastro.
Il suo corpo
è tutto una piaga. È più rosso e
nero e giallo che verde. Lividi, tagli e ustioni ricoprono tutta la sua pelle,
guscio e piastrone sono rotti e scheggiati in più punti. Il suo viso smunto è
grigio, e viola di ecchimosi.
Sento
girarmi la testa, e devo distogliere un attimo lo sguardo. Sul muro il raggio
di luce mi mostra piccoli schizzi bruni e vorrei non aver capito cosa sono.
Il sangue di
mio fratello imbratta anche il pavimento. E le catene. Scuro e secco, ricopre
il suo corpo quasi completamente. Croste e tagli purulenti si soprappongono su
braccia, gambe, testa.
Sapevo che quel
mostro stava facendo del male a Leo, lo sapevo da settimane. Non pensavo ad
altro, giorno e notte. Ma adesso, vederlo in queste condizioni mi sta
dilaniando. Fatico a respirare, non mi sono mai sentito così male in vita mia. Non
ho mai provato una rabbia così intensa, che posso quasi sentire, fisica, irradiarsi
rovente in ogni mia vena, e farmi male, nel petto, ad ogni respiro.
Questo ai
miei piedi, questo corpo emaciato e martoriato, è mio fratello. Una delle
quattro creature con cui divido la mia maledetta vita in queste fogne, la
presenza che mi accompagna da sempre, lo sguardo che mi dice tutto senza
bisogno di parlare, il compagno di giochi, di allenamento, il mio miglior
amico.
Eppure, non
lo è. Non può essere mio fratello, no, il mio cervello quasi rifiuta di
crederci. Perché questo povero essere sofferente accasciato per terra ha due
occhi blu velati dal dolore aperti e rivolti verso di me, ma non mi sta
guardando.
Leo non si
muove, non dice nulla. Quando Sensei lo chiama, non risponde. Quando Mikey lo invoca
anche lui, più volte, e gli chiede, stupidamente, come sta, non mostra neanche
di aver sentito. Quando Donnie inizia ad alzarlo da terra, dalla pozza fetida
di sangue e lordura, tirandolo dalle braccia, Leo non emette una voce, non
cambia di una virgola quello sguardo vuoto e vitreo, quell’espressione spenta,
con la bocca leggermente aperta, a mostrare i denti spezzati.
Mi abbasso a
prenderlo per le gambe, aiutando Donnie ad alzarlo. Non pesa niente. Le sue
gambe sono caldissime, viscide di sangue e pus. Temo di fargli male solo a
toccarlo, ma Leo ciondola la testa di lato, continuando a fissare il vuoto.
“Donnie,
cos’ha? Perché non si muove?”
La voce di
Mikey sembra quella di un bambino; risuona di dolore, negazione, paura.
Incrinata come uno specchio. Si è avvicinato e mette anche lui le sue mani
sotto il guscio di Leo, non che ce ne sia bisogno. Faccio un passo
all’indietro, sempre sorreggendo le gambe, e ritraggo istintivamente il mio piede
quando calpesto qualcosa di appuntito. Guardo giù, credendo di trovare un pezzo
di vetro, e vedo invece, chiaramente illuminato dalla torcia, un pezzettino di
guscio.
Ho
calpestato un pezzo del guscio di mio fratello, per terra, insieme alla
spazzatura.
L’orrore mi
sta sopraffacendo, dobbiamo uscire subito di qui.
“È catatonico” sentenzia Donnie, in un sussurro.
Io non so neanche
cosa voglia dire. Quello che so, quello che capisco, è che questo tra le mia
braccia non è più mio fratello. Questo manichino rotto non è più Leo. Non sono
come Donnie, non ne capisco niente di medicina, ma non sono stupido. Riconosco
quando una cosa è talmente rotta da non poter più essere riparata.
Ci sarà
tempo, poi, per piangere. Adesso, dobbiamo portarlo a casa. Per adesso, non
penso neanche alla vendetta. Voglio solo andare a casa, riportare Leo dove è
giusto che stia, riportarlo da noi. Mikey si è staccato, ci ha preceduto fuori
dalla stanza, ci guarda allucinato mentre oltrepassiamo la soglia per uscire da
questo buco maledetto; Donnie sostiene il torace di Leo passandogli le braccia
sotto le ascelle, ed ha gli occhi lucidi, mentre la sua bocca è tirata in una
specie di smorfia, un ringhio congelato d’angoscia.
Si ferma
quando Splinter, uscito per ultimo dalla stanza, gli mette una mano sulla
spalla.
Guardiamo
tutti e tre il nostro maestro.
Sensei abbassa
gli occhi verso Leo, gli mette una mano sulla testa, poi gli accarezza piano la
guancia gonfia e violacea. Quindi alza lo sguardo e si rivolge a noi. A me.
“Io resto
qui.”
Ci metto una
frazione di secondo a capire il perché. Gli occhi di mio padre sono spaventosi.
Non posso fare altro che annuire piano.
Mentre ci
allontaniamo lo vedo in piedi davanti alla porta, risoluto e terribile. Come la
morte.
PdV d Victor Falco
Sono
abbastanza eccitato. Forse più di quanto dovrei esserlo. Non che non avessi mai
ucciso qualche animale, prima d’ora: le cavie che hanno visto la morte sotto i
miei bisturi sono innumerevoli. Centinaia le stupide scimmie che continuavano ad
aggrapparsi fastidiosamente ai tavolini fino all’ultimo minuto.
Ma questa
volta è diverso. Il mostro è un essere senziente.
Anche se
forse sarebbe meglio dire che lo era.
Quando l’ho
lasciato ieri ho riconosciuto chiaramente i segni dell’alterazione psichica. Ci
sono volute ben sei settimane, per cedere completamente, anche se avevo notato
da un po’ i primi sintomi della psicosi. Se volessi continuare a divertirmi con
lui, potrei provare a richiamarlo in sé con la benzodiazepine, ma temo che a
questo livello di trauma ogni tentativo di cura sia ormai inutile. Gli ho
distrutto non solo il corpo, alla fine. In ogni caso, avevo deciso di smettere.
Ed è da ieri
che mi cullo in questa piacevolissima esaltazione per l’atto finale. Mi sento
bene, me lo merito; è un piccolo sollievo al tormento della mia vita in cui mi
hanno gettato quei mostri. Pregusto il momento in cui avviserò il ratto che farò
a pezzi il suo mostriciattolo davanti ai suoi occhi.
Poso il
secchio e il sacco ai miei piedi, e riprendo fiato. Non è tanto il telone nel
sacco, a pesare, quanto questo dannato secchio; d’altronde temo che trenta
litri di acido siano anche pochi, per dissolvere completamente il corpo: ossa e
guscio non saranno facili da smaltire. Ho valutato anche se conservare alcuni
pezzi, per studiarli meglio, ma alla fine ho scartato l’idea. In fondo, non
sono più uno scienziato. Non sono più Victor Falco.
Sono il Re
dei Topi.
I ratti
intorno a me mi fanno spazio mentre avanzo per aprire la porta. Le loro piccole
ottuse menti conoscono ogni mio pensiero, e si preparano ai miei movimenti
prima ancora che io li compia. Il potere di poter dominare milioni di piccole
zanne affilate, di piccoli artigli, di piccoli corpi sguscianti in tutta la
città è qualcosa di inebriante. Sono il Re.
D’un tratto,
tramite i loro piccoli occhi, avverto il pericolo; una frazione di secondo
prima di accorgermi che la porta non è chiusa a chiave. Poi, avverto anche lui.
È qui.
Qui da me,
pochi passi dietro di me.
In meno di
un secondo, parecchi pensieri e sensazioni attraversano la mia mente.
Innanzitutto, la paura. Lui mi ha battuto due volte, ed ormai sa perfettamente
come sopraffarmi: in un corpo a corpo, non ho possibilità. Il maestro ninja
batterà lo scienziato senza sforzo. Poi, la rabbia. Come ho fatto a non
accorgermi della sua presenza? Come ho fatto a farmi scoprire, nonostante tutte
le attenzioni in queste settimane? Ho chiuso la mia mente a lui da tutte le
immagini che potevano portarlo a questo luogo, possibile che abbia commesso uno
sbaglio? Forse proprio ieri, nell’eccitazione della mia ultima decisione?
Faccio
appena in tempo a prendere un profondo respiro, col petto già stretto dall’angoscia;
quando lui mi è sopra, e mi sbatte al muro prendendomi per il collo, resta solo
la paura.
Il suo arto
mutato si stringe intorno al mio collo, io apro la bocca per cercare di
prendere aria, ma esce solo un rantolo. Non posso parlare. Tanto, capisco subito
che lui non ha intenzione di conversare. Mi fissa negli occhi, e la mia paura
diventa terrore: i suoi occhi sono rossi e inumani, infuocati e crudeli come
quelli di una belva, anzi di un demone.
È il diavolo, sotto forma di un giapponese mutato,
che è alla fine giunto a strappare via la mia anima.
Cerco di
divincolarmi, mentre ordino mentalmente ai miei ratti di attaccarlo: so che è
inutile, ne ho intorno a me appena una decina,e mentre sto richiamando tutti i
topi della città, capisco che non faranno in tempo a raggiungermi. I miei pochi
piccoli amici affondano le loro minuscole zanne nelle sue caviglie, nelle sue
gambe; io posso sentire tramite loro il gusto del sangue, ma lui non si sposta
nemmeno, come se non li sentisse.
Adesso percepisco
bene anche i suoi pensieri. Riesco a captare con precisione la sua rabbia
feroce, piena ed assoluta. Il suo dolore, talmente grande da sconvolgere anche
i miei sensi. La sua anima rotta, tormentata, la consapevolezza di non poter
mai più essere la persona che era, di aver perso ormai non solo parte della sua
famiglia ma anche sé stesso.
Sento, forte
e disperata, rossa e viva, la sua determinazione. Ed avverto, nero e denso,
tutto il suo odio, tremendo e distruttivo.
Lui mi
ucciderà.
Percepisco,
ancora, la lotta nel suo animo, tra il suo vecchio sé, che lo vuole guidare a
porre una fine veloce e pulita, per correre il prima possibile al capezzale del
figlio, ed il nuovo mostro nato in lui in queste settimane, che invece gli
suggerisce suadente di infliggermi parte dei tormenti che ho dato alla
tartaruga.
Poi, non
riesco a distinguere più niente, perché la mia paura è ormai tanta da
stordirmi, mentre lotto per l’aria. Sto per morire. Sto per morire.
Stringo gli
occhi, ed una lacrima mi sfugge. Sto per morire.
Che spreco,
una mente come la mia. Tutto finito.
Un suono
secco rimbomba nella mia testa, e comprendo che alla fine non mi torturerà.
Mi ha rotto
la trachea.
Apro gli
occhi. Mentre continua a stringere il mio collo, sempre più forte, incontro per
l’ultima volta il suo sguardo.
Ed improvvisamente
capisco.
Un nuovo
sentimento mi invade. Scintille danzano davanti ai miei occhi, la mia visione
diventa nera ai bordi. Ma faccio in tempo ad afferrare questo mio ultimo
pensiero, ed a stringerlo a me. Lo assaporo, ed è delizioso. Ha il gusto dolce della
vittoria.
Lui, Hamato
Yoshi, era un uomo buono. Un guerriero leale. Un ninja onorevole. Nel suo cuore
vi erano l’amore per i suoi figli, la passione e l’orgoglio per la tradizione
trasmessa dai suoi avi, il suo onore forte e profondo. Disprezzava la violenza
gratuita, non credeva nella vendetta, neanche verso chi gli aveva ucciso la
moglie e rapito la figlia; ed è ridicolo come a volte tentasse di ingannare sé
stesso dicendo che in fondo vi poteva essere ancora del buono in tutte le
persone. Vi erano in lui le virtù che aveva visto crescere nei suoi quattro
giovani mutanti, la lealtà, la forza, l’intelligenza e la compassione.
Ebbene, io
ho ucciso quell’uomo. Il mutante rotto davanti a me non è più lui. Sono
riuscito a piegarlo, a sconfiggerlo. Ho portato via da lui il suo animo nobile
ed ho creato un mostro. Ho distrutto il suo cuore. L’ho annientato.
La mente è
un organo meraviglioso. Si può manipolare, plasmare, cambiare. Io ci sono
riuscito.
Quando il
mio collo si spezza, e la morte mi afferra, sono orgoglioso di me.
Io, Victor
Falco, il Re dei Topi, ho vinto il mio nemico.
N/A Fine! Grazie per aver fatto anche questo piccolo
viaggio oscuro con me *si inchina*
Un abbraccio a tutti! A presto, Tartapopolo :*