Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Nat_Matryoshka    16/04/2015    1 recensioni
Dal testo;
"Fin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata, Lyanna era sempre stata una ragazza forte, una guerriera più che una lady del Nord. Vinceva tornei (sotto mentite spoglie, è vero, ma un torneo l’aveva vinto), si batteva come un ragazzo, cavalcava, tirava con l’arco… non aveva mai visto né incertezza né paura tenderle i lineamenti, anzi sembrava non esserci posto per quei sentimenti in lei, almeno quando erano insieme. Era la sua lady di Ghiaccio: forte, pura, indomabile.
Fino a quando non aveva scoperto di essere incinta del suo terzo erede."

[What if: e se la Battaglia del Tridente avesse avuto un esito completamente diverso? Se Rhaegar e Lyanna fossero sopravvissuti e avessero avuto la possibilità di incontrarsi di nuovo, insieme ad Aegon e a Jon?]
Storia completamente revisionata!
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXI
 
 
 

“Your mouth is poison, your mouth is wine
You think your dreams are the same as mine.”
 [The Civil Wars – Poison and Wine]
 
 
 
 
 
 
 
Jon Arryn si consumò in pochi giorni, come una candela che, lentamente, esaurisce la cera, sciogliendosi, bruciando fino alla fine lo stoppino che le permette di restare illuminata.

Morì circondato dal Maestro e dagli assistenti che avevano cercato di curarlo, senza che nessuno capisse veramente quale malattia avesse causato il decadimento lento ma progressivo, per quale motivo un uomo apparentemente in ottima salute si fosse, da un giorno all’altro, ammalato tanto da non poter lasciare più il letto.
Si spense in un pomeriggio di sole, dopo aver chiesto al suo buon amico Eddard Stark e a re Robert di poter parlare con loro, rassicurandoli sulla sua salute, anche se entrambi avevano capito benissimo che l’uomo che era stato come un padre per loro era arrivato ormai al limite. Ned non fece più parola del libro che Jon gli aveva affidato, né del diario dell’amico, ma lo sguardo che gli lanciò prima di uscire dalla stanza valeva ogni promessa che avrebbe potuto fare a voce.
 
Il funerale si sarebbe svolto nel Tempio di Baelor, alla presenza di tutta la corte ma non di Lysa Arryn, cognata di Ned e moglie di Jon: la vedova era stata avvertita tramite messaggio della morte del marito, eppure i più dubitavano che avrebbe affrontato il viaggio dalla Valle di Arryn ad Approdo del Re per poi tornare indietro. Quasi la immaginava Eddard Stark, seduta nella sala del trono di quell’enorme palazzo arroccato sulla montagna, lo sguardo smarrito di chi non sa bene come comportarsi dopo la scomparsa di un uomo che, a conti fatti, non conosceva nemmeno bene… ma dubitava che quell’evento l’avrebbe portata a raccogliersi intorno ai fratelli o a chiedere loro aiuto. Lysa Arryn era orgogliosa e testarda come suo padre, dopotutto, e l’inimicizia con la sorella Catelyn non era diminuita con gli anni.
 
Appena i Maestri ebbero annunciato la morte del Primo Cavaliere, il Lord di Grande Inverno non perse un attimo: il suo primissimo pensiero fu per il libro e il diario che gli erano stati affidati e che aveva riposto in un angolo del baule che aveva portato con sé, disposto nell’angolo più lontano della stanza che occupava., al sicuro (o almeno si augurava) da qualsiasi sguardo curioso. Prima di scendere al Tempio per presenziare alla cerimonia insieme a Robert e alla corte, prima ancora di piangere l’amico come avrebbe meritato, si recò nei suoi alloggi per controllare che tutto fosse a posto: fortunatamente, sembrava che a nessun servitore fosse venuto in mente di frugare nel baule di Lord Stark, che fosse per curiosità personale o istigato da qualcuno… la regina non aveva scoperto nulla. Almeno per il momento.
 
La sera prima, quasi mosso da un presentimento, aveva estratto quel libricino per sfogliarlo e leggere qualche altra riga, un tentativo di far luce su quel mistero che Jon non voleva rivelargli ma che sembrava averlo tormentato per lungo tempo: le pagine scricchiolavano, una si era quasi staccata e aveva colpito il suo sguardo, aprendosi davanti ai suoi occhi. L’aveva distesa, gli occhi si erano posati quasi automaticamente sulle parole vergate con l’inchiostro nero sulla pergamena, quasi a graffiarlo.
 
“La bambina gli assomiglia tremendamente: ha i capelli già scuri, per quanto sia poco più di una neonata, e gli occhi dei Baratheon… sua madre mi ha confermato di averla fatta vedere a Robert, ma non sono certa che conosca la sua vera identità. Forse è meglio che non sappia nulla, per lei e per sua figlia.
Ogni volta che il mio sguardo si posa su uno dei figli di Cersei Lannister – perché non hanno il sangue di Robert, questo ormai mi è chiaro – non posso fare a meno di pensare a quanto la corte, a quanto il re possa essere distratto: se avesse rivolto le sue attenzioni a uno dei tanti bambini bastardi che ha generato e che vivono ad Approdo del Re, probabilmente avrebbe capito davvero cosa è accaduto alle sue spalle. Cambierebbe qualcosa? Sicuramente la legittimità del Principe Joffrey come erede al trono verrebbe meno, ma un bastardo…”
 
La pagina si interrompeva, strappata, come se una mano frettolosa avesse interrotto quel flusso di parole all’improvviso, ma Ned Stark già iniziava a raccogliere i pezzi con più chiarezza. Se anche il suo sguardo si era mai posato sui capelli biondi dell’erede al trono (così diversi da quelli dell’amico) era sempre stato distratto, mai indagatore… Jon, invece, aveva raccolto i suoi sospetti. Li aveva analizzati con cura, studiati, cercati tra i libri, confrontati. E poi li aveva affidati a lui, nella speranza che il lavoro continuasse, che qualcuno portasse a galla il segreto che serpeggiava tra le mura di Approdo del Re… un segreto che gli era gravato addosso per anni, forse la causa stessa della sua malattia incurabile.  
In fondo alla pagina spiccava una frase, vergata con calligrafia più frettolosa, leggermente sbiadita.
 
Il seme è forte.
 
Un rumore di passi deciso lo costrinse a rimettere immediatamente il diario nel baule, coprendolo con abiti e parti della sua armatura da cerimonia: una delle guardie di Robert reclamava la sua presenza al Tempio di Baelor per l’inizio del funerale. L’uomo lo seguì, assicurandosi di aver chiuso la porta alle sue spalle, la preoccupazione che si faceva strada nuovamente nel suo cuore all’idea di dover lasciare incustodito quel segreto che ora gli pesava sulle spalle e che – se lo sentiva  - non sarebbe stato semplice da affrontare.
Per un attimo, ebbe la tentazione prepotente di confidare quanto sapeva al re, esporgli i suoi timori e avvertirlo di quanto era probabilmente successo al loro amico, ma una voce dentro di sé lo fermò con altrettanta forza, impedendoglielo. Cersei Lannister era pur sempre la regina, e la sua famiglia non avrebbe preso alla leggera qualunque accusa, specie se presentata senza prove… avrebbe vanificato in un attimo tutto ciò che Jon aveva costruito, non se lo sarebbe mai perdonato. Era il suo dovere di Primo Cavaliere: proteggere il regno, anche a costo di portare dolore al suo migliore amico, ammesso e non concesso che sua moglie stesse davvero macchinando qualcosa.
 
Il senso del dovere degli Stark, rifletté tra sé e sé. Che fardello meraviglioso e opprimente che ci portiamo sulle spalle.
 
Una volta preso posto alla cerimonia, il suo sguardo cadde su Jon, coperto dal drappo degli Arryn: non era riuscito a salvare l’amico, ma ne aveva raccolto l’eredità, se così si poteva chiamare. In qualche modo, avrebbe fatto il possibile perché ciò che era accaduto non si ripetesse.
 
 
 
 
***
 
 

“Dobbiamo andare, bambina. La nave ci sta aspettando.”
 
Mani bianche stringevano la gonna del vestito, le unghie affondate nelle pieghe della stoffa si muovevano frenetiche, assecondando il nervosismo della ragazza. Una brezza leggera arrivò ad accarezzarle una ciocca di capelli biondo argenteo, ma quel giorno la giovane Targaryen non era dell’umore adatto per godersela.
 
“Non sono pronta, Ser Barristan… e non penso nemmeno che sia la soluzione giusta. Perché dobbiamo visitare le Città Libere e convincere la gente che siamo il re e la regina legittimi dei Sette Regni? Perché dovrebbero fidarsi proprio di noi, due stranieri venuti da lontano?”
 
Il cavaliere dai capelli bianchi scosse piano la testa: condivideva quelle stesse perplessità, eppure non se la sentiva di confermare l’insicurezza che attanagliava lo stomaco della sua principessa. Si limitò a porgerle una mano coperta dal guanto di maglia, un gesto affettuoso che lo faceva sentire come un padre che cerca di riportare il sorriso sul viso di una figlia abbattuta dagli eventi. Fu un sorriso sollevato ad accogliere la stretta di Daenerys, che si alzò pronta a seguirlo, rincuorata dalla sicurezza di quel cavaliere che aveva giurato di proteggerla e di servirla dovunque si fosse recata.
 
“Sarebbe meglio non far attendere il principe Viserys, sapete come è fatto… e poi, dovete nascondere le uova. Ser Jorah le ha già chiuse nel baule, ora dovete solo sistemarle in mezzo ai vostri bagagli e portarle in un angolo della nave dove nessuno le vedrà. Ovviamente, la loro collocazione resterà un segreto tra me e voi” sorrise, accompagnandola sulla terrazza inondata dal sole. “Anche se vostro fratello dovrebbe esserne informato, prima o poi… sarà difficile nascondergli tre draghi nel caso si schiudessero, non credete?”
 
Dany sospirò, sistemandosi addosso l’abito azzurro e oro che indossava, più per un riflesso dettato dal nervosismo che per vera necessità. Ancora non riusciva a capire cosa la frenasse dal raccontare del dono ricevuto a suo fratello: forse per paura di una sua reazione indispettita, o perché non voleva che quelle uova tanto preziose venissero esposte come trofei o, peggio, trasformate in strumenti di guerra. Secondo Ser Jorah erano solo dei fossili che non si sarebbero mai schiusi, nulla più di tre belle decorazioni, ma quanta magia antica conosceva da esserne così sicuro?
 
Di una cosa era certa, quel giorno una nave li avrebbe condotti nella più vicina delle Città Libere. Due principi esiliati, vestiti dell’unico abito vagamente cerimoniale che possedessero, poveri eppure in possesso di una nave fornita loro da un Magistro e di ambizioni più grandi dei Sette Regni. Nessuno avrebbe dato loro ascolto… forse solo dei folli, o qualche nostalgico che aveva vissuto nel Continente Occidentale all’epoca dei loro genitori e ancora ricordava il nome dei Targaryen. Erano armati di speranze, nulla più.
Scese le scale quasi meccanicamente, il braccio di ser Barristan che la sosteneva con premura, gli abiti chiari frusciavano morbidi nella brezza del mattino come ali. Poco lontano dalla casa dove alloggiavano si trovava il porto, già pieno di mercanti e marinai che scaricavano casse e si affaccendavano attorno alle navi anche a quell’ora del mattino. Tra loro spiccava un giovane pallido dai capelli argentati, ben vestito e decisamente impaziente, affiancato da Magistro Illyrio e da alcuni uomini che Daenerys non conosceva, forse marinai che li avrebbero accompagnati in quel viaggio.
 
Viserys Targaryen indossava l’abito più bello che era riuscito a permettersi con le sue magre finanze, una mezza tunica di pelle rosso cupo dalle spalle rinforzate sulla quale aveva appuntato una spilla d’argento con le teste di drago, un modo in più per dimostrare la loro autorità a chi avesse nutrito qualche dubbio nei loro confronti. I pantaloni e la camicia sottile erano di fattura umile, ma puliti e cuciti alla perfezione, e un lungo bagno aveva reso i suoi capelli e la pelle lucenti e profumati. Il fratello la salutò con un sorriso compiaciuto, gettando uno sguardo al vestito della ragazza come a voler controllare se anche il suo aspetto esprimesse forza e rispetto, poi le si avvicinò per prenderle un braccio. Daenerys vide Ser Jorah irrigidirsi e il buon Ser Barristan seguirli subito, vicino abbastanza da infondere sicurezza alla sua protetta ma non tanto da irritare il principe. Jorah Mormont colse un’occhiata da parte del cavaliere e si affrettò a far cenno agli inservienti perché caricassero i bagagli nella stiva, bagagli tra cui spiccava la piccola cassa di legno istoriato che conteneva le uova.
 
Viserys è troppo occupato con me per accorgersene.
 
Suo fratello sembrava raggiante, un ragazzino felice che riesce finalmente a realizzare i suoi desideri più ardenti tutti in una volta. Daenerys, appoggiata al suo braccio, non poté far altro che assecondarlo e seguirlo sulla Conquistatrice, la nave fornita da Illyrio che suo fratello aveva subito ribattezzato in onore del loro antenato, Aegon il Conquistatore. Viserys era sempre lo stesso, sorrise tra sé la ragazza.
 
“Sei pronta, cara sorella? Presto la nostra povertà sarà solo un lontano ricordo… quando mostreremo a quegli straccioni che abitano le Città Libere che il drago ha ancora due teste pronte a sputare fuoco, nessuno oserà più considerarci due usurpatori. Sarà il vero usurpatore a pagare… quello che siede sul Trono di Spade. Non pensi anche tu che sia una giornata meravigliosa? Un nuovo re e una nuova regina che rinascono dalla cenere.”
 
“Hai intenzione di dare un ruolo anche a me, nel regno che hai immaginato?” non poté trattenersi dal chiedere la ragazza. Il dubbio che le rodeva il cuore da mesi era difficile da mettere da parte, ma doveva capire se Viserys desiderava davvero recuperare le tradizioni familiari e prenderla come sua sposa… oppure scegliere di usare il prestigio del loro nome per guadagnare qualche alleanza tramite un matrimonio. Non aveva idea di quale delle due ipotesi preferire.
 
Suo fratello sorrise a sua volta, come se quel pensiero lo divertisse, e le accarezzò i capelli argentei.
 
“Ma certo, Dany. I draghi devono sempre regnare insieme, no? È stata la nostra forza per anni e dovrà esserlo anche ora, soprattutto in un momento come questo… un re e una regina legittimi per i Sette Regni, legati dal sangue e dal fuoco, come dice il nostro motto. Non potrei mai regnare senza di te.”
 
Ecco che tornava il Viserys gentile, quello che le sfiorava i capelli e si comportava da fratello affettuoso. Quanto sarebbe durata quella manifestazione di amore fraterno, si chiese la ragazza, quanto avrebbe resistito prima di tornare a minacciarla, di dirle che era di sua proprietà e doveva piegarsi alle sue decisioni?
Stava per chiedergli di più, per sfruttare quel momento di rilassamento per saperne di più dei suoi piani… quando un grido li fece voltare entrambi verso l’entrata delle stive, dalla quale correva fuori un marinaio trafelato, urlando.
 
“Principe Viserys! Principessa Daenerys! Lord Selmy! Scendete immediatamente, le stive hanno preso fuoco!”
 
Una fiammata violenta, furiosa, accompagnò quelle parole: lingue di fuoco rosse e arancioni stavano divorando il legno della nave, spargendosi anche sul ponte, per quanto gli uomini tentassero di domarle. Ser Barristan prese in mano la situazione: spinse fuori dalla nave Daenerys, che dovette faticare per spingervi giù a sua volta anche Viserys, fermo a fissare le fiamme come se fossero un miraggio, o il presagio di qualcosa di più grande. Nel disordine provocato da quell’incidente, tra le grida degli uomini e la corsa disordinata di chi accorreva ad assistere alla scena, la scatola contenente le uova passò in secondo piano: la ragazza se ne ricordò poco dopo, quando vide alcuni degli inservienti di Magistro Illyrio precipitarsi a scaricare tutto ciò che le fiamme ancora non avevano divorato.
 
Le uova.
 
Corse sulla nave incurante della mano di Ser Jorah che cercava di trattenerla, superando marinai e servitori, superando anche suo fratello che osservava la scena dal molo, il viso ancora contorto in una smorfia di preoccupato interesse. Le fiamme erano state praticamente domate: la nave non aveva subito danni così gravi da impedirle di salpare per sempre, ma sia gran parte del ponte che la che la stiva erano punteggiati di macerie e sicuramente anche molte delle provviste che vi erano state accumulate erano andate distrutte. La causa dell’incendio le era ancora incomprensibile: poteva capitare che le imbarcazioni prendessero fuoco così, all’improvviso, anche mentre erano ormeggiate nel molo e il vento non era tanto alto da propagare le fiamme velocemente, cercò di consolare se stessa, ma ciò non cambiava il fatto che la loro unica nave avrebbe dovuto essere riparata prima di poter ripartire. Viserys sarebbe stato furioso, e nella sua furia se la sarebbe presa anche con lei.
 
Avanzò tra le schegge di legno bruciate, pestandone alcune, sporcando di cenere l’abito chiaro, macchie nere che coprivano la bella seta celeste e le inzaccheravano anche i piedi. Tra le casse che i marinai non erano riusciti a portare in salvo riconobbe quella che conteneva le uova, le decorazioni istoriate in metallo contorte e annerite dal fumo, pezzi di legno sparsi ovunque. Cadde in ginocchio, affondando le mani nella cenere calda senza che i tizzoni ancora caldi le bruciassero la pelle: avrebbe voluto piangere, ma non poteva mostrarsi debole agli occhi del fratello, dei suoi fidati consiglieri. L’unico collegamento col suo passato, il suo tesoro, la sua risorsa, probabilmente erano finite in pezzi o cadute chissà dove, o magari ridotte in cenere… erano uova di drago, d’accordo, ma lo erano davvero? Non sapeva nulla di chi gliele aveva mandate, né da dove venissero: magari da qualche parte qualcuno si fregava le mani soddisfatto, felice di aver ingannato una stupida ragazzina Targaryen con tre sassi dipinti e spacciati per uova. Eppure… se anche fossero stati sassi, li avrebbe trovati scoloriti e bruciati, ma interi. Come avevano fatto a sparire del tutto?
 
Non ci mise molto a scoprirlo. Un piccolo sibilo la costrinse a spostare lo sguardo dai resti carbonizzati della cassa a un altro cumulo di cenere poco più in là, dove quelli che sembravano… topi? si agitavano piano, lamentandosi con voci stridule. Daenerys si avvicinò piano, titubante, ma quando uno di loro alzò una protuberanza membranosa verso il cielo, ruggendo, la sorpresa fu tale da farla crollare in ginocchio tra le assi, sporcando ulteriormente gli abiti e anche il viso, quando si portò le mani alla bocca dalla sorpresa.
 
Tre piccoli animali squamosi si agitavano tra la cenere, spiegando le ali, strusciando sul legno le code sottili. Uno era di un giallo dorato, il secondo verde screziato di un arancio caldo come le fiamme, il terzo – quello che sembrava anche il più grande – era rosso e nero e ruggiva, facendo volare la cenere intorno a sé e incitando i fratelli ad agitarsi.
 
Tre draghi.
 
Le sue uova, sollecitate dal calore, avevano dato vita a tre animali vivi, tre animali che non solcavano i cieli dei continenti da millenni.
Daenerys non sapeva come comportarsi. Rimase a terra, le mani tese verso le tre creature, finché uno dei tre animali non le si avvicinò con curiosità e si arrampicò lungo il suo braccio nudo con le piccole unghie appuntite, facendole il solletico, seguito presto dagli altri due.
 
Tre draghi, come le teste del drago della loro casa.
 
 
 

***
 
 
 
“È stata una mossa avventata, Cersei. Lo sai anche tu. Jon Arryn poteva aver scoperto… di noi, ma credi davvero che avrebbe raccontato qualcosa a Robert? E soprattutto, pensi che tuo marito ci avrebbe creduto?”
 
Il funerale era terminato da poco. Cersei Lannister era ancora vestita di nero, un velo posato tra i capelli biondi per indicare il lutto che aveva colpito Robert Baratheon e, per estensione, anche lei, ma sul suo viso non c’era traccia né di dolore né di pentimento: era seccata, come se Jaime fosse stato un semplice nobile venuto a disturbare la sua tranquillità con questioni di nessuna importanza.
 
“Se ho fatto quel che ho fatto, credimi, c’è un motivo. Il nostro Primo Cavaliere aveva girato la città, fatto indagini… se anche non aveva scoperto di Joffrey e dei bambini, credimi, ci è andato molto vicino. Il Maestro Pycelle ha trovato quella Genealogia tra le sue ultime letture, alcuni nostri uomini mi hanno riferito di suoi spostamenti tra i bordelli e il Fondo delle Pulci… Non avrebbe potuto muovere un dito contro la corona, ma un uomo retto e disposto e far trionfare la giustizia riesce sempre a trovare degli alleati. Specie se ha degli amici nella corte” concluse, sedendosi di fronte alla finestra dello studio del marito, che si trovava chissà dove assieme a Ned Stark. Avevano già un nuovo Primo Cavaliere, senza doversi nemmeno scomodare a nominarne un altro.
 
“Sospetti di Stark?”
 
“Stark è solo uno dei nostri possibili nemici… anche se si rivolterebbe più per difendere l’onore di Robert e della giustizia che per accaparrarsi il Trono. Hai idea di quanta gente potrebbe approfittare della situazione, se venisse davvero a galla la storia che Joffrey è nostro figlio, che tutti quelli che la gente crede figli di Robert Baratheon sono in realtà dei Lannister? I nobili potrebbero insorgere da un momento all’altro, Stannis Baratheon imporrebbe a mio marito un erede che venga dalla sua famiglia… o farebbero legittimare uno dei bastardi di Robert, tanto per farci un dispetto. Riesci ad immaginarlo, Jaime?” si alzò dalla sedia, avvicinandosi al fratello e afferrandogli il viso tra le mani con impeto quasi disperato. “Riesci ad immaginare cosa farebbe nostro padre se lo scoprisse?”
 
Si che lo immaginava. Da quando Cersei lo aveva trascinato in quella spirale di segreti e di sotterfugi, la colpa aveva iniziato a bussare alla sua porta sempre più spesso, una costante fastidiosa, insistente. Eppure, era stato lui a farsi trascinare, a sospendere ogni giudizio. Come poteva aspettarsi che la corrente degli eventi lo risparmiasse?
 
La spinse via con più decisione di quanta avesse voluto mettere in quel gesto. Cersei se ne accorse: un lampo di risentimento le attraversò gli occhi chiari, mentre suo fratello si spostava attraverso la stanza.
 
“Potrai anche aver eliminato un ostacolo, ma ce ne sono tanti altri attorno a noi. Non potremmo mai vivere tranquilli col destino che abbiamo scelto.”
 
“Tranquillità? Non ho mai preteso di stare tranquilla, Jaime… una regina non riposa mai. Voglio solo che i nostri figli siano felici e non subiscano la stessa sorte di vessazioni che è toccata a me.”
Gli lanciò un ultimo sguardo, come a volerlo congedare, mentre si voltava verso la finestra e il cielo che imbruniva, la luce aranciata e violetta che illuminava il mare tingendolo come una seta pregiata.
Jaime si voltò e uscì dalla stanza senza aggiungere altro, impedendosi di tendere le braccia verso la sorella e di stringerla, come avrebbe voluto fare. Non poteva assecondarla, non doveva farlo. Non ora che Cersei stava lentamente distruggendo le fondamenta della loro esistenza nel tentativo di proteggere il loro rapporto.
 
È ora che io smetta di seguirla.

 
 
 
 
 


Noticine di Nat
Questa volta sono stata veramente imperdonabile, me ne rendo conto. Dopo la sessione invernale – che si è protratta fino a febbraio – ho avuto quella primaverile, che è finita solo ieri e mi ha tolto praticamente tutta la voglia di scrivere… in pratica ho trascurato questa storia e voi lettori, cosa che mi è dispiaciuta un sacco, anche perché ho praticamente tutta la storia abbozzata in mente, devo solo trovare il tempo di scriverla e ritoccarla un po’. Vi chiedo umilmente scusa e spero di non avervi “perduti per strada” in questa mia assenza Il capitolo è statico, ma consideratela una sorta di ripartenza con la marcia bassa, giusto per ingranare un po’ dopo la lunga assenza. Dopo avervi deliziato (?) con le vicende di Grande Inverno dovevo tornare da Dany (che comunque amo muovere, spero risulti credibile!) e ad Approdo del Re, giusto per continuare a tirare le fila del what if… insomma, in qualche modo l’ispirazione è tornata.
Grazie ancora, graziegraziegrazie per tutte le recensioni, le letture, gli inserimenti tra i preferiti, le seguite e le ricordate: siete fantastici! E siete sempre di più, cosa che mi stupisce e mi rende felicissima!

Nat
   
 
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