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Autore: LaCantastorie    16/04/2015    0 recensioni
Gaston Leroux decise di pubblicare "Le Fantôme de l'Opéra" nel lontano 1910, dopo aver raccolto con solerte spirito investigativo i brandelli di una leggenda che si aggirava entro le mura dell'Opéra Populaire; così facendo, l'autore francese ha creato - ne abbia avuto consapevolezza o meno - un mito immortale, che ancora oggi non smette di affascinare le menti dei lettori e degli spettatori. Questa storia si propone di trasportare l'atmosfera del succitato romanzo gotico ai giorni nostri, in un impossibile ma suggestivo adattamento che rimane in bilico tra reale e sovrannaturale... e cerca di ricongiungere ciò che è stato diviso.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erik/Il fantasma, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Era soltanto una spettatrice. Non una cantante. Avrebbe dovuto rimanere seduta al proprio posto ad applaudire ed elogiare il talento altrui, badando bene a starsene zitta e muta: chi era lei, per permettersi di invadere lo spazio scenico a quel modo? La padrona del teatro, forse?
La settimana precedente, Arielle si era dimostrata davvero presuntuosa: aveva sul serio pensato che aver studiato canto - e per soli tre anni! - l'avesse resa degna di saltare sul palco e pavoneggiarsi di fronte a ... Se stessa? La ragazza scosse la testa, ricordando i continui ammonimenti del maestro Lefevre: "Signorina, la sua voce è de-bo-le! Un po' di carattere, per Dio! E studi i testi, invece di tradurli, non m'interessa che lei li capisca, se non è in grado di CANTARE! Memoria, ci vuole, non fantasia: daccapo!”
Presto la volontà di migliorare, di lottare per seguire “quella passione inconcludente”, come la chiamava la madre, le era venuta meno: perché sforzarsi di vincere una causa persa in partenza? Non era in grado.
Punto.
E intanto era rimasta ancora una volta sola, sola sotto la volta affrescata, sola sotto la luce mille volte rifratta di quel lampadario che rivaleggiava con il Sole: era rimasta ancora oltre l’orario di chiusura, non notata dal personale, una figuretta vestita di rosso nel rosso mare di poltrone in velluto e oro, una ragazzina viziata e senza qualità che veniva dimenticata pure dai buttafuori.
Si fece pietà e si avviò verso l’uscita, a labbra serrate: non si sarebbe lasciata sfuggire un solo bisbiglio, stavolta.
No, nemmeno se in testa aveva un motivetto che le chiedeva insistentemente di dimenticare l’autocommiserazione e di consolarsi grazie alla musica, che da millenni è compagna di pene e trionfi, sventure e successi, sofferenza e gioia, alla musica che lenisce le prime e rende le seconde più radiose...

<< I heard there was a secret chord
that David played and it pleased the Lord,
but you don’t really care for music, do you? >>

 Mentre l’Alleluia di Leonard Cohen echeggiava nel salone, i pensieri della giovane andavano di nuovo al suo ex precettore, al maestro Lefevre: “Cosa vuoi cantare? Robaccia straniera? Non abbiamo una tradizione musicale abbastanza affermata da rivaleggiare con quella di qualsiasi altro paese, signorina!? Non osare mai più chiedere niente di simile! Decido io gli esercizi adatti alle tue corde vocali, e per ora sappi che Frère Jacques è anche troppo!”
La mano sulla maniglia antipanico, la fronte poggiata sull’uscita: Arielle si disse che, non appena avesse udito la presenza di qualcuno all’interno dell’auditorium, si sarebbe precipitata all’esterno, così non ne avrebbe sentito le battute di scherno. Che cos’altro poteva celare, quell’elogio immeritato di qualche giorno prima, se non una beffarda ironia?
Non era affatto brava.

<< …I’ve been here before,
I  know this room, I’ve walked this floor…>>
 
<<… I used to live alone before I knew you >>
 
Arielle raggelò: era la stessa voce che l’aveva spaventata la volta precedente, ed era così vicina!
Voltandosi di scatto, si trovò ad un passo di distanza da lui, l’uomo d’ombra che l’aveva spiata da uno dei palchi laterali quando aveva intonato “Think of me”: era molto più alto di lei, aveva le spalle larghe, una presenza fisica imponente. Non si intuiva nient’altro del suo aspetto: era completamente avvolto da un pastrano nero, un mantello con tanto di cappuccio a mo’ di “la morte sta arrivando”: se voleva apparire rassicurante, non ci stava riuscendo granché.
Spingendo la schiena contro l’uscita di emergenza, Arielle tentò di aprirla, senza per altro riuscire a smuoverla di un centimetro. Era bloccata.
L’uomo incappucciato alzò le mani guantate, come a volersi dimostrare innocuo, ma non accennò a lasciarle libero il passaggio: cosa doveva fare, in una situazione così paradossale?
 
<< I’ve seen your flag on the marble arch
but love is not a victory march,
It’s a cold and it’s a broken
Hallelujah! >>
 
Continuare a cantare, come se nulla fosse.
   
 
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