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Autore: Rosmary    19/04/2015    6 recensioni
(Temporaneamente sospesa)
Al termine della seconda guerra magica, un errore commesso da Hermione ne stravolge la quotidianità, ne muta le aspettative e i progetti e costringe la strega a ricominciare tutto da capo, o quasi.
Lungo il sentiero alieno, Hermione ha modo di riscoprire se stessa e antiche conoscenze sino ad allora costrette in un angolo abbandonato.
“Che ci fai qui? Non è presto?”
“Grazie, Fred, anche io sono felice di vederti,” ribatté con sarcasmo.
“Sempre più simpatica, noto!”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 


Lungo il sentiero alieno


 
Prologo
 
 
La nebbia oscurava il timido cielo mattutino e imbruttiva le graziose villette borghesi di un viale inglese tra i tanti. Chi, costretto dal lavoro o da altre faccende, doveva catapultarsi fuori di casa non perdeva tempo a infilarsi nella propria autovettura, fuggendo alla grigia condensa d’aria che offuscava ogni cosa.
In una delle villette, dal salotto al pian terreno s’udiva la voce limpida di un giornalista televisivo che leggeva le novità del giorno, ponendo enfasi sul fatto straordinario che nell’intero mese di giugno non v'erano state notizie di misteriosi incidenti e sparizioni come era accaduto nei mesi immediatamente precedenti – le autorità, diceva, proseguono le indagini. Sono tuttavia certe che nessun pericolo deve allarmare l’Inghilterra.
Hermione, seduta al tavolo da cucina, mangiava i cereali zuppi di latte e ascoltava le parole dello speaker, che, seppur ovattate, riuscivano a raggiungere l’area delle vivande. All’ultima affermazione del babbano, le fu impossibile non inarcare le sopracciglia verso l’alto, aggrottando la saputa fronte in una smorfia di evidente fastidio. Mettendo via il cucchiaio, agguantò la bacchetta che teneva sulle gambe e con un gesto risoluto spense il televisore. Era più che pronta a chiudere gli occhi, trarre un profondo respiro e godere della ritrovata quiete figlia del silenzio, ma il timido rumore delle ciabatte contro il pavimento l’avvertì che di lì a breve il tepore della solitudine l’avrebbe abbandonata.
 
“Buongiorno, tesoro.”
 
Un bacio posato tra i capelli scuri consacrò il dolce saluto, gesto che Hermione ricambiò con un sorriso e un abbraccio, trovando in quel calore un buon motivo per non rimpiangere l’assenza di suoni.
Non era mai stata una persona molto espansiva, non nella quotidianità; era riuscita a divenirlo nei momenti bui, quando aveva percepito la necessità di mostrare affetto, sconforto, gioia, paura. Quel grigio mattino di luglio, nulla in apparenza denunciava uno stato di pericolo o mancanza, eppure dentro di sé Hermione le sentiva distinte e prepotenti, le forti emozioni – affetto, sconforto, gioia, paura –, tutte riesumate da esperienze che l’avevano disossata, maciullata, fatta letteralmente a pezzi, e che la memoria cosciente ricordava a fatica.
 
“Sono appena le sette, perché non torni a letto?”
 
“Abitudine, credo.”
 
“Come ti senti oggi, tesoro?”
 
“Bene, mamma.”
 
Hermione mostrò alla madre un gran sorriso, ma la donna, più adulta e vissuta della figlia, rintracciò l’amaro di cui erano pregne le parole e, anziché carezzarla o annuire, prese posto al tavolo da cucina, abbandonò l’intento di far colazione e incrociò le dita delle mani, serrandole con tal forza che, più che a una preghiera, sembrava si preparassero a sferrare un violento pugno.
 
“Che motivo hai di mentire a me?”
 
“E che motivo ho di non farlo?”
 
“Hermione.”
 
“Sto bene, non preoccuparti.”
 
Un bacio frettoloso lasciato sulla guancia della madre pose fine alla conversazione; Hermione, già abbigliata per abbandonare le mura domestiche sino a sera, si smaterializzò risoluta e riapparse a qualche metro di distanza dall’ingresso anonimo e tetro del San Mungo. Lì, nessun passante s’attardava e solo il personale che doveva prender servizio sgusciava celere tra le porte e svaniva tra i bianchi corridoi dell’ospedale.
Hermione imitò il personale: entrata, salutò educata l’addetta allo smistamento di visitatori e malati e salì svelta al primo piano, prese il corridoio sulla propria destra e percorse quei pochi metri di distanza che la separavano dalla meta. Senza indugi entrò nella stanzetta spenta e adocchiò distrattamente i quattro letti presenti, registrando rapida che l’unico letto che le interessava era anche l’unico ad avere l’ospite sveglio, intento a fissare con ossessiva attenzione la luce che filtrava dalla finestra chiusa.
 
“Buongiorno,” salutò, attenta a non svegliare i tre ammalati addormentati.
 
“Che ci fai qui? Non è presto?”
 
“Grazie, Fred, anche io sono felice di vederti,” ribatté con sarcasmo.
 
“Sempre più simpatica, noto!”
 
Hermione si concesse un bel sorriso e raggiunse con poche falcate il letto di Fred, che si sistemò meglio sul guanciale e le fece cenno di sedersi accanto a lui, un invito che lei accettò.
Da venti giorni, ormai, era divenuto un rituale quel ritrovarsi alle prime luci del mattino, scambiare sorrisi, parole e condividere qualche invettiva ai danni di un infermiere particolarmente antipatico o sin troppo diligente. Generalmente, Hermione arrivava tra le otto e le nove, Fred ancora sonnecchiava e il burbero mago di settant’anni con la gamba fuori uso sussurrava nel sonno ingiurie ai danni del fidanzato della figlia.
Quella mattina le cose erano andate diversamente: l’orologio non segnava ancora le sette e quindici, ma Fred era già sveglio e Hermione era già lì, ed entrambi conoscevano bene il motivo dell’eccezione.
 
“Oggi esco.”
 
“Lo so.”
 
“Finalmente.”
 
“Dovrai stare a riposo.”
 
“Devo evitare sforzi, nessuno ha parlato di riposo.”
 
“Questo è vero.”
 
“Vieni alla Tana, dopo?”
 
“Dopo, sì.”
 
Fred le sorrise complice e Hermione si lasciò contagiare, rinfrancata dalla certezza che nel pomeriggio avrebbe potuto raggiungere tutti i Weasley e Harry alla Tana.
Le piaceva molto quella casa, le piaceva la magia che si respirava al suo interno, ma più d’ogni altra cosa le piaceva la possibilità di raccattare ricordi, esperienze, sensazioni provate in passato – amava l’idea che quel luogo dominato dal baccano fosse la propria personale fonte di memoria.
Casa Granger era diversa, poiché impregnata di un vissuto radicato nel tempo più lontano, più sconosciuto, a lei più alieno. A tratti, di quelle mura aveva persino paura; se non fosse stato per la presenza dei genitori, le avrebbe certamente abbandonate.
 
“Ricordati che mi devi un gelato,” disse lei.
 
“Non sono io lo smemorato!”
 
Non poté impedirsi di ridere Hermione, Fred condiva ogni parola con un’ironia straordinaria e capace di ribaltare stati d’animo, sensazioni, tutto.
La reclusione forzata del ragazzo al San Mungo aveva dato ad entrambi un motivo per conoscersi e tenersi compagnia: lui, lì, era perennemente in cerca di distrazioni e persone con cui condividere il tempo, nella vana speranza di percepirlo più svelto nello scorrere in avanti; lei, con il finire della guerra, si era scoperta succube della medesima necessità. Di lì al cercare l’uno nell’altra quel diversivo che tanto desideravano il passo era stato talmente breve da apparire ai più impercettibile.
Un lato di Hermione, il più egoista e meschino, s’era spesso ritrovato a sperare che i giorni di permanenza di Fred all’ospedale aumentassero, così che lei non perdesse quella personale digressione dalla realtà. Ma nulla era eterno, e Hermione, che ben lo sapeva, nei momenti di lucida razionalità abituava se stessa all’idea che Fred sarebbe presto volato via dalle proprie giornate, che se stessa aveva altre persone cui dedicarsi – come Harry, come Ron.
 
“Eccolo già sveglio e pimpante per andarsene! Quanta fretta, giovanotto, quanta fretta!”
 
Il dottor Woods, Medimago di fama internazionale corso al San Mungo per curare i feriti della seconda guerra magica – raccattando così una considerevole porzione di sana e santa pubblicità –, aveva appena fatto il suo ingresso nella camera cinquantasei e consultava coi suoi occhietti piccoli e cinici la cartella clinica di Fred Weasley, uno dei miracolati della battaglia di Hogwarts, sopravvissuto al crollo di una parete e a dieci giorni di coma. Grazie a Woods e al suo staff, Fred era stato rianimato, rimesso in sesto e riarmato di una salute d’acciaio.
 
“Posso andare, allora?” incalzò Fred.
 
“Pazienza, giovanotto, ho ancora due o tre controlli da fare. Scrupoli, ragazzo mio, scrupoli! Gli scrupoli salvano spesso la vita, sai?”
 
Hermione e Fred scambiarono uno sguardo annoiato, infastidito. Woods era certamente il miglior Medimago in circolazione, ma era schiavo della retorica e della vanità, preda dell’insopportabile vizio – o vezzo, come dicevano alcuni – di ripetere la stessa parola due o tre volte, farcendola con dell’enfasi superflua e irritante; se non fosse stato per l’aspetto non esattamente gradevole, qualcuno avrebbe addirittura potuto confonderlo con il vecchio Allock.
 
“E quanto tempo prendono questi scrupoli, dottore?”
 
Woods inarcò le folte sopracciglia, scosse il capo e mise via la cartella clinica. “Impossibile stabilirlo a priori, ma ti garantisco che entro oggi sarai a casa, sempre che non subentrino complicazioni. Le complicazioni, ah! Quale male!” chiarì. Ora che non aveva più nulla da leggere, adocchiò la minuta Hermione prima e l’orologio da polso poi. “Perché sei già qui?” le chiese.
 
“È un problema?”
 
“Affatto, miss Granger, affatto. Mi chiedevo solo se fosse stato il nervosismo a tirarti giù dal letto. Il nervosismo, sai, il nervosismo è un animale selvatico!”
 
“Non sono nervosa.”
 
“Molto bene, molto bene. Vorrà dire che non ti dispiacerà iniziare immediatamente. Seguimi, miss, seguimi!”
 
Woods non attese il consenso di Hermione e uscì dalla stanza col piglio di chi voleva e doveva essere seguito, senza eccezioni di sorta.
Hermione, rimessasi in piedi, salutò Fred smuovendo le labbra in una smorfia obliqua che, con tanta fantasia, avrebbe dovuto somigliare a un sorriso.
 
“Tranquilla, andrà bene,” disse Fred, dandole un’incoraggiante pacca sulla spalla.
 
“Oggi inizio la vera terapia.”
 
“Te l’ho detto: andrà bene!”
 
Hermione si limitò al silenzio e s’affrettò a raggiungere il Medimago.
Preso l’ascensore, salì assieme a Woods al quarto piano, percorse il solito corridoio ed entrò nella solita piccola stanza, che era tonda e, fatta eccezione per una poltrona dall’aspetto comodo sistemata al centro esatto dell’ambiente, completamente vuota. Woods le fece cenno di accomodarsi proprio sull’unica seduta presente e le disse di mettere via qualsiasi oggetto, finanche la bacchetta, e di poggiare i palmi delle mani sui braccioli.
Hermione eseguì con estrema attenzione ogni direttiva. Poteva già percepire delle piccole gocce di sudore inumidirle la fronte e i palmi, che rischiavano di appiccicarsi alla finta pelle della poltrona nera. Dei brividi ghiacciati le attraversavano tutto il corpo: dai piedi stretti nelle scarpette alle gambe avvolte nei jeans estivi, sino ad arrivare alla sottile maglia azzurra. Pensò stupidamente che avrebbe dovuto portare un elastico per i capelli, o legarli in qualche altro modo, così da tenerli lontani dalla nuca e dalle spalle, dove generavano un calore insopportabile. Era un misto contraddittorio di sensazioni ad averla assalita.
Dal canto suo, Woods selezionò una particolare bacchetta dalla valigetta in pelle marrone che portava sempre con sé e si posizionò a quattro passi esatti dalla poltrona su cui Hermione sedeva rigida.
 
“Le possibilità di riuscita di questa terapia solo elevatissime, elevatissime davvero. Non escludo che tu possa riacquistare totalmente la memoria perduta.”
 
“Ma è difficile,” considerò Hermione.
 
“Lo è, lo è molto. Hai praticato un incantesimo sin troppo avanzato per le tue competenze, ma ne abbiamo già parlato, giusto?”
 
“Giusto. E io le ho anche già spiegato i miei motivi, ma questo non le impedisce di accusarmi ogni volta.”
 
“Non ti accuso, miss, non ti accuso per niente! Ma è mio dovere ribadire l’errore, un errore che non deve ripetersi. Tu mi capisci, vero, mi capisci? Ma dico! Ma dico! Dico, pensi mai a cosa sarebbe potuto accaderti? Avresti potuto perdere completamente la memoria, impazzire, essere rinchiusa qui! Quando hai ritrovato i tuoi genitori e non sei riuscita a rimuovere l’incantesimo di memoria, avresti dovuto portarli qui, qui da me, da me!, non avresti dovuto agire da sola e tentare di trasferire loro i tuoi ricordi… Ah, per tutti i diplomati di Hogwarts, miss Granger, per tutti quei diplomati!, hai praticato un incantesimo che centinaia di Medimaghi avrebbero rifiutato di eseguire! È naturale che una sostanziale porzione di memoria t’abbia abbandonata, naturale. Adesso non ricordi più i tuoi anni a Hogwarts, la tua infanzia, per tua fortuna almeno ricordi di essere una strega e le competenze acquisite, così come ricordi gli affetti antichi: genitori, zii, amici d’infanzia, hai persino un vago ricordo degli affetti maturati durante il primo anno a Hogwarts, ma hai perso tutto il resto, tutto il resto! Ah, quale follia t’ha rapita in quell’istante, miss, quale follia!”
 
Woods continuò per lunghi istanti il monologo, come era solito fare a ogni incontro con Hermione, ripetendole l’errore da lei commesso e ponendo enfasi sul fatto che la terapia Woods era l’unica possibilità di riacquisire la memoria.
Hermione aveva smesso di ascoltarlo al terzo incontro, quando le lacrime avevano premuto così tanto da vincere la resistenza di occhi, ciglia, palpebre, volontà, ed erano scivolate giù, bagnandole il viso e annegandola nel terrore di non poter mai più ricordare momenti, sensazioni ed emozioni vissute.
Non c’era giorno in cui non rimpiangeva di non essere in grado di ricordare quanto amasse delle persone o quanto adorasse un luogo. Aveva pochi ricordi, e li teneva stretti: i suoi genitori e gli affetti dell’infanzia, Harry e Ron, verso cui riusciva a provare, però, solo un bene infantile e nulla più – e li vedeva lei, quelli che dicevano essere i suoi più grandi amici, contorcersi sempre nella rabbia di non poterla abbracciare o avvicinare come erano avvezzi a fare sino ad un mese prima.
 
“…Ora cominciamo.”
 
Cogliendo quelle ultime parole, Hermione tornò vigile e si preparò a sostenere il duro percorso che, con l’aiuto della buona sorte e delle capacità di Woods, le avrebbe restituito la memoria e con essa la propria vita.
Calò le palpebre su ordine dell’uomo, rilassò le mani sui braccioli e unì i piedi, irrigidendo involontariamente ancor di più i muscoli dell’intero corpo. Quando Woods colmò il silenzio pronunciando la lunga formula magica, la parte conscia della mente di Hermione perse il contatto con la realtà.








 
NdA: dopo molto tempo torno a pubblicare una longfic, per giunta su Fred e Hermione! Intanto, ringrazio tutti coloro che sono giunti sino a qui, sperando che abbiano apprezzato il prologo. È una storia particolare questa, diversa dalle altre long che ho scritto, perché rappresenta per me un esperimento sia di tipo stilistico, che di contenuti; per la prima volta, infatti, provo a sviluppare una tematica delicata in capitoli anziché in uno solo. La trama trae origine da un gigantesco What if?: cosa sarebbe accaduto se Fred fosse sopravvissuto e cosa sarebbe accaduto se Hermione avesse perso una grossa porzione di memoria quando ha ripristinato i ricordi dei propri genitori.
Nel mio racconto, Hermione ha immediatamente cercato e trovato i genitori alla fine della battaglia, mentre Fred (come già in altre mie storie) è semplicemente sopravvissuto al crollo della parete.
Il dottor Woods è un personaggio di mia invenzione ed è, lo so, abbastanza antipatico! È di mia invenzione anche la terapia cui è sottoposta Hermione. Nei prossimi capitoli la situazione della protagonista diverrà più limpida, per ora mi sono limitata a un prologo che, si spera, sia in grado di gettare le basi e di dare indizi.
È un progetto gigantesco per me questo e spero di riuscire a portarlo a termine. In ogni caso, doppiamente grazie a chi è giunto anche alla fine di queste lunghissime note!
Alla prossima. :)


 
   
 
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