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Autore: Melabanana_    19/04/2015    4 recensioni
SPY ELEVEN AU. Spinoff, Gazel-centric.
Gazel è un ragazzo cupo e disilluso, senza famiglia, né amici. Quando uno sconosciuto gli offre un posto in un centro d'addestramento per ragazzi "speciali", Gazel accetta perché non ha nulla da perdere, ma questa decisione potrebbe rivelarsi molto più di una semplice svolta. È un punto di rottura: la sua vita sta per cambiare per sempre. Rating arancione per: tematiche delicate, violenza.
Autrice: Roby
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Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era stretto intorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Grazie infinite alla mia Ohana che mi ha betato il capitolo ♥


Act.3 – True strenght
«Pretend that you’re a ray of light when you are a broken candle.»
(Sanctuary - Paradise Fears)
 
Gazel rimase a fissare Afuro senza sapere bene cosa pensare. In tutta sincerità, non aveva pensato che qualcuno sarebbe venuto a cercarlo. Forse avrebbe dovuto aspettarselo da Afuro, ma considerato come si erano ignorati per tutta la mattina… Afuro avrebbe avuto più di un motivo per abbandonarlo a se stesso.
-Che ci fai qui?- chiese, non riuscendo a nascondere la propria sorpresa.
-Come sarebbe a dire?- Afuro sospirò, scuotendo il capo.
–Sono venuto a cercarti, no? Sei stato strano tutta la mattina, e poi hai saltato il pranzo…- Un pensiero terribile gli attraversò il volto e diventò un’espressione sospettosa e preoccupata. -Non è che stai cercando di morire di fame, vero?
Gazel lo guardò ancora per un secondo, poi affondò nuovamente il viso nelle braccia e si rannicchiò contro la parete.
-Gazel? Stai bene?- Sentì Afuro avvicinarsi, allungare una mano, ma fermarsi a mezz’aria. Esitava a toccarlo, forse timoroso di come poteva reagire. Alla fine, lasciò cadere il braccio, ma si tolse la felpa e la buttò su Gazel.  
Il ragazzino inspirò a fondo e mormorò:- Non sarei mai dovuto venire qui.
Sentì Afuro irrigidirsi mentre gli sistemava la felpa sulle spalle.
-Cosa vuoi dire?
-Quello che ho detto. Non sarei dovuto venire. Non è cambiato nulla da quando stavo in orfanatrofio… non c’è nulla per me qui. Io… sono diverso dagli altri bambini. Ma sono diverso anche da voi.- Gazel tacque. Aveva un po’ paura della reazione di Afuro, di ciò che avrebbe pensato di lui, e questo lo sorprese: in fondo, perché avrebbe dovuto importargli?
Strinse i pugni, si graffiò i palmi con le unghie troppo lunghe.
-Questo non è il mio posto. Io non ho un posto dove andare… non l’ho mai avuto.
Tacque. Anche Afuro era silenzioso. L’atmosfera era tesa, ma in qualche modo molto più calma di quanto Gazel si aspettasse. O forse no. Non sapeva bene cosa aspettarsi da Afuro.
Rimasero così per lunghi minuti, Afuro in piedi e Gazel seduto a terra, senza dirsi nulla.
Poi, d’un tratto, il biondo fece un passo avanti e si sedette accanto a lui; Gazel sussultò, i suoi muscoli si contrassero per la sorpresa e per un attimo trattenne il fiato, chiedendosi cosa avrebbe fatto l’altro. Ma Afuro, semplicemente, si sedette e iniziò a parlare.
-Con il mio potere posso costringere chiunque a fare ciò che voglio io. È una specie di condizionamento a livello mentale… sta tutto nel tono di voce che uso. Hai visto oggi cos’è successo con Hepai, non ha avuto scampo… e quello non è niente. Ci sono mille modi in cui potrei pensare di uccidere una persona senza esserne direttamente responsabile- esordì, tranquillo, come se stesse parlando del meteo e non di qualcosa di terribile.
-Per questo motivo, lo uso sempre con grande attenzione. Conto fino a dieci prima di arrabbiarmi. Dire qualcosa di sbagliato quando si è arrabbiati, e poi pentirsene… beh, è una cosa normale per tutti, no? Ma per me è un errore imperdonabile, irreparabile.
Gazel sollevò un po’ il capo e, sbirciando attraverso la frangia, notò che sul volto di Afuro c’era l’ombra di un sorriso. La sua voce suonava tristissima, densa di rimorsi, e Gazel si trovò a chiedersi cosa gli fosse successo – era sempre stato un ragazzino egoista, egocentrico, e non si era mai veramente soffermato a pensare che altri avessero potuto vivere esperienze traumatiche quanto la sua. Afuro fece una pausa, forse per lasciargli il tempo di considerare le sue parole. Poi chiuse gli occhi e si lasciò andare completamente, appoggiando la schiena contro la parete liscia della galleria.
-Tutti hanno sempre avuto paura di me. Quando Chang-Soo mi ha portato in questo posto, anche io ho accettato perché speravo che le cose sarebbero cambiate, che non sarei più stato considerato diverso- disse. -Ma, anche qui, dopo un po’, hanno cominciato ad avere paura. A disprezzarmi. Mi hanno isolato, e pochi hanno mostrato gentilezza nei miei confronti. All’inizio ero stanco, deluso, amareggiato. Come te. Ma ho deciso di andare avanti… continuavo a sperare che qualcosa sarebbe cambiato, e in ogni caso non avevo un altro posto dove andare.
-Poi, un mese fa, Chang-Soo mi ha convocato. Mi ha detto che presto ci sarebbe stata una nuova recluta, che avrei avuto finalmente un compagno di stanza. E poi, poi sei arrivato tu, e io non sapevo cosa aspettarmi da te…- Afuro sospirò, il suo sorriso si addolcì.
-Tu non hai paura di me- disse semplicemente. -Hai paura delle persone e del buio. Hai paura di essere ferito. Ma non hai paura di me e questo mi rende felice.
Afuro si girò, aprì gli occhi e Gazel trattenne il fiato, colto alla sprovvista quando i loro sguardi s’incrociarono, e lui si sentì inchiodato dalle iridi rosso intenso dell’altro.
-So come ti senti, ma vedi… Io sono veramente felice che sia tu il mio compagno di stanza, per cui non posso assolutamente lasciarti dire che questo non è il tuo posto, o che non saresti dovuto venire. Vorrei che tu trovassi un motivo per restare. Puoi contare su di me, in qualunque momento…- La voce di Afuro suonava sincera e malinconica, in qualche modo supplice. Gazel sentì il bruciore del senso di colpa nello stomaco e un forte calore al volto e seppe di essere arrossito; abbassò lo sguardo, imbarazzato e confuso, ammutolito. Doveva riprendere a respirare regolarmente. Cercò di calmarsi.
-Potrei…- mormorò, poi si fermò. Alzò leggermente gli occhi verso Afuro e ricominciò, titubante:- Forse potrei provarci…
Le sue parole fecero spuntare un largo sorriso sul viso di Afuro, che s’illuminò completamente, fino agli occhi, e le sue iridi brillarono vivacemente. Annuì con energia, poi si alzò.
-Torniamo indietro- propose, offrendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Gazel stava per rispondere quando i brontolii del suo stomaco lo precedettero; si morse l’interno della guancia, pieno di vergogna mentre Afuro lo guardava basito e poi scoppiava a ridere.
-Wow. Okay. Già, hai saltato il pranzo… chiederemo a Chang-Soo di darti qualcosa- esclamò Afuro. Allineò i piedi davanti ai suoi, gli afferrò i polsi e lo tirò su di slancio.
Gazel barcollò leggermente (non si aspettava che Afuro fosse tanto forte), ma riuscì a non ricadere all’indietro. Afuro cominciò a trascinarlo verso l’uscita del tunnel e, mentre camminavano, lo sguardo di Gazel si focalizzò sulle mani strette intorno ai suoi polsi; osservando blandamente le dita affusolate di Afuro, si rese conto con sorpresa che il contatto fisico non gli dava fastidio. Sentiva qualcosa simile a fiducia, quasi un guizzo di affetto, nei confronti di Afuro. Con la mano libera, toccò la felpa che teneva ancora sulle spalle, strinse le dita sul tessuto. Avrebbe anche potuto abituarsi.
 
Chang-Soo era seduto su una panca nella mensa; sembrava immerso nella lettura di un romanzo e non alzò gli occhi dalle pagine quando loro entrarono nella stanza, e nemmeno quando Afuro lo aggirò e cominciò a riempire una tazza di miso giallo, pescandolo dal pentolone dietro di lui.
Gazel accettò il cibo con un debole ringraziamento e andò a sedersi dal lato opposto della sala.
-C’è anche del riso di là- sentì Chang-Soo parlare con Afuro. Il ragazzo annuì, ringraziò e s’infilò nelle porte delle cucine. Chang-Soo si rimise a leggere e Gazel iniziò a mangiare. La mensa rimase avvolta dal silenzio finché non tornò Afuro: il biondo attraversò la stanza con pochi passi veloci e posò un piatto di riso bianco sotto il naso di Gazel, che intanto aveva già prosciugato avidamente il miso.
-Ho trovato anche un po’ di pane- disse Afuro, si girò verso Chang-Soo per accertarsi che non ci fossero problemi, ma il coreano non fece commenti. Sulla copertina consunta del suo libro, rossa con caratteri dorati, si leggeva il titolo ‘I tre regni’. Gazel non l’aveva mai sentito nominare e immaginò che fosse un libro impegnativo: in orfanatrofio non avevano libri troppo difficili (d’altra parte, non c’era nessuno che potesse leggerli).
Il ragazzino attirò a sé il piatto di riso e solo allora lui e Afuro si accorsero di non aver pensato alle bacchette.
-Ci sono dei cucchiai nel mobiletto alla mia sinistra- disse Chang-Soo, apparentemente senza distogliere l’attenzione dalla lettura. Gazel era sicuro che, invece, stesse osservando e studiando ogni loro movimento. Afuro si alzò e si diresse verso il mobiletto.
-Terzo cassetto dall’alto- aggiunse Chang-Soo, Afuro annuì e seguendo le indicazioni trovò facilmente le posate. Tornò da Gazel, gli diede il cucchiaio e, una volta che si fu seduto a fianco a lui, Chang-Soo si decise finalmente a chiudere il romanzo.
-Gazel, ti aspetto alle cinque nel mio ufficio. So già che Afuro vorrà seguirti, e non ho nulla in contrario. A dopo- affermò, poi si alzò in piedi e, con il libro sotto braccio, uscì dalla stanza.
Afuro lo osservò andare, poi si girò verso Gazel.
-Di cosa parlava?- chiese, scrutando il volto del ragazzino, che però rimase indifferente.
-La prova alternativa- rispose, piatto. Non aggiunse nient’altro, non ce n’era bisogno. Il volto di Afuro fu attraversato da un lampo di consapevolezza, poi il biondo annuì lentamente.
-Non hai passato la prova- disse. Non era una domanda e rimasero entrambi in silenzio subito dopo. Gazel affondò il cucchiaio nel riso e s’infilò una lauta porzione in bocca, masticando a bocca chiusa; una volta ingoiato, restò a fissare il piatto per qualche minuto.
-Beh, dai, finisci di mangiare. Poi dopo andiamo insieme da Chang Soo, okay?- Afuro si riscosse per primo e gli offrì un sorriso incoraggiante.
Realizzando che l’altro non avrebbe spinto oltre l‘argomento, Gazel si sentì immediatamente sollevato e annuì; tenne per sé la sua gratitudine, visto che non sapeva come esprimerla, e si rimise a mangiare, gettando ogni tanto un’occhiata di soppiatto verso Afuro, che stava apparentemente fissando il vuoto, con le mani intrecciate in grembo e i capelli biondi che gli ricadevano sul viso. Gazel si chiese a cosa stesse pensando. Dopo la conversazione avuta poco prima, Afuro era diventato ancora più misterioso ed incomprensibile per lui; tuttavia, se all’inizio questo lo infastidiva e lo portava a tenersi a distanza, ora si scoprì vagamente intrigato. Cos’era successo in passato ad Afuro? Gazel non poteva fare a meno di essere curioso, e se ne sorprendeva lui stesso.
Lasciò cadere il cucchiaio nel piatto vuoto, si alzò e raccolse tutte le cose che aveva usato. Il suo movimento brusco strappò Afuro ai propri pensieri, quali che fossero, e il biondo lo seguì con lo sguardo mentre lui andava a posare i piatti in cucina. Poi Gazel uscì, gli fece un cenno col capo e Afuro lo accompagnò da Chang Soo.
 
La prova alternativa non era altro che un percorso ad ostacoli conservato in una vecchia stanza d’allenamento ormai in disuso; la prova non sembrava particolarmente lunga, ma i blocchi erano abbastanza rialzati dal terreno e la rete di protezione, estesa al di sotto, non aveva l’aria rassicurante che avrebbe dovuto avere. Gazel lasciò scorrere lo sguardo su una specie di filo teso tra due pedane, talmente sottile che sarebbe stato invisibile se il riflesso della luce sulle pareti di plexiglass non ne avesse svelato la presenza. Sapeva che anche Afuro, immobile da qualche parte alle sue spalle, stava studiando il percorso.
-L’esame si terrà dopodomani, nel pomeriggio tardo. Fino alla prova, sei esentato dagli allenamenti con gli altri- disse Chang Soo dopo un silenzio apparentemente interminabile.
-Hai circa due giorni per prepararti. Puoi cominciare ora.
Appoggiò una mano sulla spalla di Gazel, lo guardò per un istante, poi lasciò cadere il braccio e uscì dalla sala. Gazel non ci badò. Stava ancora fissando il percorso, lo seguiva con gli occhi cercando di intuirne la struttura, ma si rese presto conto che l’unico modo di esserne sicuro era testarlo fisicamente.
Esitò per un paio di secondi, poi affermò, riluttante:- Vado.
Afuro non disse nulla, né provò a fermarlo. Gazel s’incamminò verso la scaletta di ferro della prima pedana e si arrampicò fino alla cima; quando gettò un’occhiata giù, un lieve senso di vertigine lo fece impallidire: era più alto di quanto si aspettasse, forse una quindicina di metri. Lanciò uno sguardo alla rete di protezione. Non aveva per niente un aspetto solido. Forse avrebbe attutito le cadute, ma dubitava seriamente che potesse fare più di così. 
Gazel inspirò a fondo, sollevò il capo e guardò davanti a sé.
La prima parte era una specie di scala a pioli capovolta, e immaginò di doversi arrampicare come una scimmia. Gli sembrava di essere finito in un film. Si slanciò in avanti, afferrando saldamente il primo piolo di ferro con entrambe le mani e subito provò a prendere il secondo; il peso del suo corpo nel vuoto lo trascinava verso il basso, già al quarto passo le dita gli bruciavano e cominciava a sentire dolore nella zona dei gomiti. Si tese in avanti verso il quinto piolo, ma le dita sudate scivolarono sul metallo e perse la presa, restando appeso con una sola mano. Una fitta gli attraversò il braccio come uno strappo. Con un sibilo di dolore, Gazel lasciò istintivamente la presa e cadde. Sentì il fischio dell’aria nelle orecchie, il grido di sorpresa di Afuro e poi la sua schiena sbatté contro i capisaldi della rete. Come aveva immaginato, pur ammorbidendo la caduta, la protezione non riusciva del tutto ad evitare ferite, anzi le corde dure e intrecciate erano probabilmente la prima cosa a causare lividi e bruciature. Gazel ricordò le parole di Chang Soo e borbottò la parola “integro” mentre a fatica si lasciava rotolare giù dalla rete. Afuro fu al suo fianco in un attimo, lo prese da sotto le braccia e lo aiutò a mettersi in piedi.
-Stai bene?- chiese, allarmato.
Gazel scosse il capo e tornò a guardare verso l’alto.
-Non ho abbastanza forza nelle braccia- brontolò. L’allenamento sarebbe stato duro, non c’erano dubbi, ma Gazel era determinato a non arrendersi. Chang Soo gli aveva dato una seconda possibilità, più o meno; se non riusciva a superare neanche questa prova, che senso aveva restare lì? Annuì tra sé e sé, convinto della propria decisione, poi si sfilò la felpa di Afuro dalle spalle e la ficcò nelle mani del compagno.
-Ci riprovi?- domandò Afuro, sorpreso, vedendolo incamminarsi di nuovo verso il percorso.
-Ovviamente- rispose Gazel, piatto.
Di nuovo, Afuro non provò a fermarlo, tuttavia Gazel non aveva dubbi che sarebbe stato pronto ad intervenire in suo aiuto in ogni momento. E poter far affidamento su qualcuno era una cosa tanto strana quanto confortante.
 
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Gazel non aveva modo di sapere quanto tempo fosse trascorso da quando aveva iniziato ad allenarsi: quella mattina, si era alzato prestissimo, prima delle cinque, ed era sgattaiolato fuori senza svegliare Afuro. Nella sala del circuito, quindi, c’era solo lui, che non aveva orologi. Il suo stomaco brontolava, probabilmente aveva saltato la colazione.
Si guardò le mani: i palmi erano rossi e le dita gli bruciavano come se avesse stretto ferri bollenti. Il ragazzino chiuse i palmi in pugni e si girò a fissare le prove che aveva superato: la scala a pioli, un’asse di legno traballante, un’alta e intricata rete di corde. Erano pochi esercizi, tutti terribili e stancanti e gli erano occorsi molti tentativi per poterli superare. Più osservava il percorso, più realizzava che la forza era solo una parte dei requisiti necessari a superare l’addestramento: equilibrio, furbizia e pazienza erano altrettanto importanti.
Benché avesse fame e le mani gli facessero malissimo, Gazel non era affatto sicuro di volersi fermare, non prima di aver provato e osservato tutti gli ostacoli.
Dopo essere salito nel punto più lato, adesso cominciava la discesa. Come aveva notato il giorno prima, il filo teso tra le due pedane era così sottile da essere praticamente invisibile, ma non era quello il problema principale. Non appena Gazel si girò, vide il gancio venire verso di lui ad una velocità pazzesca, soprattutto considerato che stava risalendo; fece giusto in tempo ad abbassarsi prima di essere colpito in piena fronte e sussultò per il rumore del gancio che sbatteva contro il palo a cui era legata la rete, dietro di lui. Il fracasso metallico gli rimbombava ancora nelle orecchie quando l’oggetto di ferro tornò indietro, lo colpì alla schiena e lo spinse di forza giù dalla pedana.
Gazel percepì il familiare fischio alle orecchie e chiuse gli occhi d’istinto. Si aspettava di colpire a breve la maledetta rete di protezione, invece una vampata di calore lo avvolse all’improvviso, e, una volta aperti gli occhi per la sorpresa, il ragazzo si trovò circondato da una luce gialla e vibrante. Cercò di distinguerne la forma, coprendosi la fronte con una mano per non essere accecato, e realizzò che si trattava di un pugno di energia allo stato puro.
La mano di luce, che l’aveva catturato a mezz’aria, lo portò rapidamente a terra e scomparve soltanto quando mancava un semplice saltino per toccare il pavimento. Gazel rimase in piedi per un istante, poi le ginocchia gli cedettero e lo trascinarono a terra. Stordito, alzò lo sguardo e fissò la mano abbronzata, reale e in carne ed ossa, che qualcuno gli stava offrendo.
-Endou Mamoru- mormorò Gazel, sorpreso, senza muoversi.
-Questa roba sembra complicata!- esclamò il ragazzo, abbozzando un mezzo sorriso.
Prima che Gazel potesse replicare, Afuro apparve nella sua visuale: scivolò tra lui e Endou con grazia e tese la propria mano accanto a quella del compagno. Insieme, i due afferrarono Gazel per le braccia e lo tirarono su.
-Gazel, stai bene?- domandò Afuro. Gazel annuì, sbattendo lentamente le palpebre.
-Cosa…- mormorò, scosso. –Cos’era quella… cosa?
Endou e Afuro lo fissarono confusi, poi il ragazzo con la fascia arancione fece un largo sorriso e si indicò il petto col pollice destro.
-Quella è la mia Mano di Luce!- dichiarò con orgoglio.
-Il dono di Endou è del tipo Montagna e gli permette di raccogliere energia e darle forma a proprio piacimento- spiegò Afuro, tranquillo. –Ha elaborato questa tecnica tutta sua…
-Figo, vero? E sto pensando di farne un’altra… tipo, un pugno che si apre e si chiude… Sai, per afferrare gli avversari! Non sarebbe figo? Ho pensato anche ad un nome che…- Endou cominciò a parlare a raffica, quasi saltando su e giù per l’entusiasmo come un bambino, e Gazel faceva onestamente fatica a seguirlo; per fortuna, una terza persona intervenne in quel momento ed interruppe il monologo di Endou.
-Endou, vai più piano. Sono certo che Gazel sia esausto e probabilmente non capisce nulla di ciò che dici- disse Kiyama, lasciandosi sfuggire una mezza risata. Aveva in mano un piatto di onigiri avvolti nella pellicola trasparente e si avvicinò a Gazel con un sorriso.
–Devi scusarci per la confusione… Siamo venuti a portarti il pranzo- affermò, gentile.
-Sarei dovuto venire solo io, ma Endou era curioso- commentò Afuro alzando gli occhi al cielo. Endou avvampò e farfugliò qualcosa e Kiyama rise mentre dava il piatto a Gazel. Il ragazzino scartò in fretta il cibo e cominciò a mangiare, borbottando un grazie a bocca piena; intanto, gli altri tre si guardavano intorno, osservando il circuito e facendo commenti tra di loro.
-A che punto sei?- chiese Afuro ad un certo punto, girandosi verso Gazel e offrendogli una bottiglietta d’acqua. Gazel bevve un paio di sorsi e respirò profondamente: si sentiva già molto meglio, anche se le braccia continuavano a dolergli.
-Quando siete arrivati, avevo quasi finito. Credo di essere in grado di completare con successo la prima parte- rispose piano –ma non ho ancora ben studiato la seconda.
Afuro guardò in alto e disse:- Il gancio?
-Il gancio. Penso di dover calcolare bene i tempi.- Gazel sbuffò, chiuse la bottiglia e la restituì al compagno, poi fece scrocchiare collo e mani. Sì, si sentiva decisamente meglio dopo essersi rifocillato. Afuro gli sorrise e i suoi occhi s’illuminarono.
-Beh, tu sei molto intelligente. Hai ancora tutto il pomeriggio per esercitarti, sono sicuro al cento per cento che troverai una soluzione- dichiarò, e in effetti il suo tono non tradiva alcuna incertezza. Gazel lo fissò per un lungo istante, poi distolse lo sguardo e s’incamminò verso la scaletta con l’intenzione di ricominciare tutto il circuito daccapo (non che avesse molta scelta).
Salì i primi gradini, si fermò.
–Io… non lo faccio solo per Chang Soo- ammise, titubante. -Ci devo assolutamente riuscire, perché…- Non sapeva come spiegare le sensazioni che stava provando, ma ci provò ugualmente. -Mi sono sempre rassegnato a tutto, pensando che non ci fosse niente da fare. Non ho mai avuto nulla per cui lottare… penso che sia arrivato il momento di farlo- disse.
Non si voltò a guardare le espressioni dei compagni mentre si arrampicava in cima.
 
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Il giorno della prova c’era più pubblico di quanto si aspettasse. Da qualche parte laggiù, Afuro lo stava guardando. C’erano anche Endou e Kiyama, Jung-Soo, e persino Nagumo (Gazel non poté fare a meno di chiedersi se il rosso non fosse lì per ridere di un suo probabile fallimento); Hepai e il suo gruppetto, invece, non erano venuti ad assistere, convinti che si trattasse di uno spettacolo del tutto irrilevante. Naturalmente, Chang Soo spiccava tra la folla con la sua capigliatura afro, l’uniforme rossa e un megafono nel pugno destro.
In piedi sulla pedana di partenza, dove si era arrampicato pochi secondi prima, Gazel cominciava a sentirsi nervoso; s’intimò di stare calmo, perché le mani sudate erano la cosa peggiore che potesse capitargli in un momento come quello.
-Puoi cominciare- disse Chang Soo nel megafono, la sua voce rimbombò tra le pareti della stanza. Gazel inspirò, espirò e partì.
La prima prova era la scala a pioli, che percorse rapido come una scimmia, senza lasciare il tempo alla paura o al dolore di intralciarlo. Poi c’era l’asse di legno sospesa nel vuoto: era issata da entrambi i lati con chiodi arrugginiti, che minacciavano di spezzarsi e diventare inutili da un momento all’altro. Fortunatamente, Gazel pesava pochissimo, per cui sapeva che l’asse avrebbe retto; il problema, quindi, era trovare il giusto equilibrio. Aprì le braccia ai lati del corpo e cominciò a camminare mettendo un piede davanti all’altro, con cautela e senza fretta. Doveva tenere a bada l’impazienza. Procedette con quel ritmo, lento ma deciso, finché non fu abbastanza vicino da poter balzare sulla pedana successiva, sulla quale s’innalzava il massiccio reticolato di corda.
Gazel si inumidì le labbra con la lingua, roteò le braccia per sgranchirle e si lanciò sulla rete, aggrappandosi saldamente alle corde con mani e piedi, per poi iniziare l’arrampicata. Sembrava di stare in cima ad un triangolo isoscele. Arrivato nel punto più alto, si trovò a dover strisciare in uno spazio angusto, quasi sfiorando il soffitto con la schiena mentre spostava una gamba per volta e si calava lentamente sul lato opposto della rete. La discesa fu leggermente più complicata della salita, perché trovare i giusti appoggi guardandosi alle spalle richiedeva una maggiore concentrazione e arrivato a quel punto le mani e le articolazioni delle braccia gli facevano più male che mai; eppure, per qualche strano motivo, Gazel non voleva affatto fermarsi.
Poteva farcela. Kiyama aveva ragione: lamentarsi non serviva a nulla. Se voleva veramente cambiare qualcosa, doveva farlo con le proprie forze.
Tutti lo stavano osservando, ma non doveva pensarci. Non doveva dimostrare niente a nessuno. I suoi pensieri sfumavano in un solo desiderio, una forte volontà di avanzare; non si era mai sentito tanto determinato e i suoi sensi erano completamente concentrati sul suo obiettivo.
I suoi piedi toccarono finalmente terra, piantandosi fermamente sulla pedana.
Il punto di arrivo era dal lato opposto e, stranamente, non gli appariva più così lontano. Ma era ancora presto per provare sollievo: non aveva ancora finito, e il gancio stava arrivando verso di lui ad una velocità pazzesca. Gazel inspirò a fondo mentre lo fissava. Aveva passato tutto il giorno precedente ad allenarsi su quella parte di percorso, mentre gli altri ragazzi seguivano un addestramento diverso in un luogo diverso, e pensava sinceramente di essere giunto ad una conclusione soddisfacente.
Posso farcela.
Ormai aveva in pugno la tempistica, iniziò a contare.
Uno, due. Tre, il gancio schizzò sopra la sua testa, sbatté contro il palo di metallo producendo un fracasso incredibile e Gazel non tentò di prenderlo. Sapeva di avere ancora tempo. Quattro, cinque. Sei, il gancio, perso tutto lo slancio iniziale nello scontro, cominciò a scivolare all’indietro più lentamente. Sette, Gazel saltò e lo afferrò saldamente, dandosi una forte spinta in avanti con le gambe. Si lasciò trasportare fino alla seconda pedana, consapevole che ora veniva la parte più complicata, quella che ancora non era riuscito del tutto a padroneggiare: il momento in cui avrebbe dovuto lasciare il gancio. Un singolo errore avrebbe vanificato tutto. Se avesse saltato troppo presto, sarebbe caduto; oppure, se avesse aspettato troppo, si sarebbe schiantato…
Ricominciò a contare, cercando di intuire quale fosse il momento più opportuno per fare la propria mossa mentre il gancio lo portava rapidamente verso la piattaforma. Mancavano solo pochi metri e Gazel sudava freddo; d’istinto mollò la presa e si gettò verso la pedana, ma si rese subito conto che il salto era troppo corto, troppo prematuro. Qualcuno da sotto trattenne il fiato bruscamente.
Una volta atterrato sul bordo, Gazel quasi perse l’equilibrio e, per un istante, credette che sarebbe caduto all’indietro; il pensiero di dover rifare tutto daccapo, però, gli diede la forza di spingersi in avanti con gli addominali, usando fino all’ultima briciola di energia che gli restava in corpo. Crollò sulle ginocchia, sofferente ma sano e salvo, nella parte interna della pedana.
Ce l’aveva fatta. Gazel si premette una mano sul petto e tentò di placare il respiro affannato, le orecchie gli ronzavano e sentiva un rumore sordo di battiti: avrebbe potuto essere il cuore, o il sangue che pulsava ansiosamente. Ce l’aveva fatta.
Il silenzio tombale nella sala di addestramento fu interrotto bruscamente da Chang Soo, la cui voce esplose nel megafono in modo talmente confuso e roco che Gazel non riuscì a cogliere una sola parola di ciò che aveva detto. Era stordito e stanco, felice che fosse finita, ma il suo sollievo si affievolì molto quando si rese conto che ora gli toccava scendere. Si alzò barcollante e iniziò a scendere le scalette senza sbirciarsi alle spalle, concentrato solo sui pioli di ferro e sui propri piedi.
Non appena toccò terra e si voltò, qualcuno gli venne addosso.
Gazel sibilò di dolore e si lasciò sfuggire un paio di insulti, ma si bloccò rendendosi conto che era stato Afuro a venirgli incontro. Lo stava abbracciando, un gesto così familiare e spontaneo di cui Gazel restò talmente sorpreso da dimenticarsi di ricambiare. Afuro si staccò un pochino per poterlo guardare bene in viso.
-Ehi, cos’è quella faccia? Su col morale, sei stato promosso!- scherzò il biondo, sforzandosi di essere allegro, anche se era chiaramente in ansia per le sue ferite.
-Sono stato promosso?- ripeté Gazel, atono.
-Ma sì, certo! Non hai sentito Chang Soo, poco fa?
Gazel gli rivolse uno sguardo vacuo. Afuro si allontanò da lui di un passo.
-Vuoi andare in infermeria?- chiese, preoccupato.
Gazel scosse il capo. –Letto- disse, non aggiunse altro. Fortunatamente, Afuro capì che voleva solo dormire. Annuì con forza, gli passò un braccio dietro la schiena e uscirono dalla stanza passando attraverso il gruppetto di ragazzi. Gazel zoppicava al suo meglio per tenere il passo e non alzò il volto verso gli altri ragazzi nella stanza. Con la coda dell’occhio notò soltanto che Chang Soo era uscito; peccato, gli sarebbe piaciuto vedere la sua espressione.
                                                                                                 
Scendere le scale a chiocciola fu la parte più difficile, ma in qualche modo riuscirono a rientrare in camera. Visto che Gazel non riusciva da solo ad arrampicarsi sul suo letto e Afuro non aveva la forza di issarlo, il biondo decise semplicemente di sistemarlo sul proprio. Appena toccato il materasso, Gazel rotolò sulla schiena e mugolò per il dolore che gli torturava i legamenti. Afuro spostò un cuscino per metterglielo dietro la schiena e chiese:- Hai fame?
-Ho voglia di vomitare- brontolò Gazel. Sospirò rumorosamente notando l’espressione allarmata dell’altro.
–Tranquillo. Non penso che vomiterò sul serio… Ma non parlarmi di cibo… Non si sa mai.
-Okay… allora io vado. Torno subito dopo cena, nel frattempo dormi un po’.
Gazel considerò la frase. –Cos’altro vuoi che faccia? Mi fa male tutto, anche posti che non sapevo potessero far male- ribatté sollevando un sopracciglio.
Afuro sorrise, ma tornò subito serio.
-Mi farò dare la cassetta del pronto soccorso. Ormai dovrebbe esserci il tuo nome sopra, per tutte le volte che ti è servita- affermò mentre si raddrizzava e andava verso la porta.
–A dopo- aggiunse. Gazel annuì e sbadigliò; la porta si chiuse lentamente e lui scivolò nel sonno senza ulteriori pensieri.
 
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Afuro risalì le scale a chiocciola più veloce che poté e s’infilò nella galleria che portava alla mensa. Non aveva molta fame; lo stomaco gli si era chiuso durante la prestazione di Gazel nella prova di quel pomeriggio. Afuro non poteva dimenticare il sorriso genuinamente compiaciuto che aveva intravisto sul volto di Chang Soo, anche se solo per qualche secondo, prima che la Spy Eleven lasciasse la stanza. Gazel aveva chiaramente catturato il suo interesse, e Afuro non poteva biasimarlo: da quando il ragazzino era arrivato al centro, Afuro non faceva altro che pensare a lui. Inizialmente, anche lui come gli altri aveva creduto di trovarsi davanti ad un ragazzino senza speranze. Gli occhi di Gazel erano cupi e portavano con sé una tristezza che non si addiceva per niente alla sua giovane età.
Ma c’era dell’altro. Gazel era molto più di questo.
Afuro attraversò la mensa senza sedersi, né badare ai commenti degli altri. Rivolse un cenno di saluto al tavolo dove stavano Kiyama, Endou e Nagumo, e proseguì verso la cucina; quando mise la mano sulla porta per spingerla, questa si aprì dall’altra parte e davanti a lui comparve Jung-Soo. Lo skinhead lo fissò per un momento, poi annuì come se già conoscesse le intenzioni di Afuro.
-Ti do due porzioni in un piatto, così te lo porti giù- disse, gli fece un piatto per due e gli diede delle posate di plastica. -Vuoi che prenda la cassetta del pronto soccorso?- aggiunse con tatto, forse sforzandosi di non essere troppo invadente.
Afuro gli rivolse un sorriso grato. -No, grazie, hai già fatto molto... Passerò io stesso in infermeria prima di tornare da Gazel- rispose con serenità.
-Deve essere esausto- convenne Jung-Soo. Afuro ebbe l’impressione che volesse aggiungere qualcosa e, solo in quel momento, gli venne in mente che Jung-Soo era stato il compagno di Gazel nella prova del bicchiere d’acqua: in tutta probabilità, Jung-Soo aveva intuito prima di tutti la verità su Gazel. Afuro attese con ansia un qualsiasi commento, ma alla fine lo skinhead si limitò a scuotere il capo e abbozzare una specie di sorriso.
-Prenditi cura di lui- disse. Afuro gli fece un cenno di assenso, poi si voltò ed uscì dalla cucina e dalla mensa ignorando le occhiate di Hepai. Qualcosa nella sua espressione contrariata gli suggeriva che la notizia della prova superata da Gazel si fosse diffusa in fretta (presumibilmente a causa di Endou, che era fin troppo entusiasta e desideroso di spargere la storia ai quattro venti; Afuro rise pensando all’espressione esasperata, forse imbronciata, che avrebbe fatto Gazel se l’avesse scoperto) e che Hepai non l’avesse presa troppo bene. Magari sperava che Gazel sarebbe stato cacciato. Brutto narcisista antipatico. Afuro sapeva perfettamente che Hepai poteva facilmente curare le ferite, una conseguenza naturale del suo dono di sporcare o depurare i liquidi: usava spesso questo potere sui compagni che riteneva più degni, guadagnandosi così la loro protezione, se non il loro rispetto, mentre lasciava che gli altri marcissero nella propria sofferenza.
Afuro imboccò la galleria in direzione dell’infermeria, entrò nella stanza vuota usando le chiavi che aveva a disposizione e, dopo aver poggiato il piatto di cibo su un mobiletto all’entrata, andò verso l’armadio in fondo: spalancò le ante, la cassetta era di fronte a lui, sul secondo scaffale. La prese, reggendola per il manico, richiuse l’armadio e tornò indietro. Voltandosi, il suo sguardo colse un guizzo di capelli rosso scuro.
Nagumo era davanti alla porta, appoggiato allo stipite con le mani ficcate in tasca e la gambe incrociate. Sembrava intenzionato a bloccargli la strada. Afuro si avvicinò e si fermò davanti a lui, sollevò un sopracciglio e lo squadrò interdetto. Nagumo evitò di guardarlo negli occhi e si mise a fissare ostinatamente il pavimento.
-Haruya, non ho tempo per i tuoi capricci, ora- disse Afuro, esasperato e sinceramente confuso. -Avrei da fare, se non ti dispiace…
-Lui- lo interruppe Nagumo, alzando la voce bruscamente, –come sta…?
Afuro lo guardò, sorpreso. -Lui?
-Lui, sì, cioè… G-Gazel- brontolò Nagumo.
Afuro non rispose e rimase ad osservarlo in silenzio. Era certo che Kiyama, Endou e Jung-Soo fossero ormai dalla parte di Gazel, e non s’illudeva che a loro si aggiungessero altre persone. Nagumo, però... lui era un caso ancora "da considerare". Nagumo era irruento, ma non stupido, e dopo la prova di quel giorno doveva essersi reso conto di aver affrettato il giudizio su Gazel.
Afuro si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
Rendendosi conto di essere osservato, Nagumo azzardò un’occhiata di sbieco e assunse un’espressione crucciata mentre si succhiava l’interno delle guance.
-Allora?- esclamò, impaziente e visibilmente inquieto. Afuro era convinto che non fosse veramente arrabbiato; era tipico di Nagumo abbaiare senza mordere.
-Non sta tanto bene- rispose infine. –La prova l’ha stremato e ha numerose ferite, ma non è nulla da cui non possa riprendersi con un po’ di riposo.
Nagumo annuì debolmente. Afuro aspettò che dicesse qualcosa, poi si stancò. Preferiva essere diretto, su certi argomenti.
-Ti interessa?- domandò, sporgendosi per guardare meglio il viso dell’altro, che però si nascose nel collo della felpa.
-No, non proprio, no- brontolò Nagumo. Era ancora corrucciato, come se si stesse interrogando su qualcosa senza riuscire ad ottenere una risposta.
-Non capisco- ammise, infine, con uno sbuffo seccato. -Non riesco a capire cosa passi per la testa di quel ragazzo. È freddo con tutti e, cazzo, è dal primo giorno che vorrei tirargli un pugno in faccia. A te lui sembra piacere, però. Cosa ne pensi?
Afuro pensava che se un tipo orgoglioso come Nagumo era arrivato al punto di chiedere, allora doveva essere proprio in conflitto con se stesso. Gazel aveva fatto più miracoli di quello che credeva; oltre ad impressionare positivamente Chang Soo, la sua prestazione aveva avuto un certo effetto anche su Nagumo.
-Oggi sei venuto a guardare perché eri curioso, ma la verità è che ti aspettavi che avrebbe fallito, non è vero?- esclamò, e il modo in cui le guance di Nagumo si colorarono di rosa acceso fu una risposta più che sufficiente.
-Capisco, è difficile farsi delle aspettative su di lui… Ma forse è proprio per questo che risulta più sorprendente, alla fine- continuò Afuro, annuendo tra sé e sé.
–Gazel… è speciale, a modo suo. Non è come gli altri, e non è come te e me. È… diverso in modo diverso. Non so se questo abbia senso, ma è così.
Afuro fece una pausa: per un momento si chiese se fosse il caso di spiegare a Nagumo la situazione di Gazel e la sua apparente incapacità di evocare qualsiasi tipo di potere, ma decise di non rivelarlo. Non spettava a lui farlo. Pensò al modo in cui Gazel l’aveva guardato, come un bambino sperduto, quando l’aveva trovato rannicchiato e nascosto in una galleria, solo due giorni prima, e si sentì colpire da un’ondata di affetto verso il ragazzino.
-Io e lui ci somigliamo, credo- disse. –Voglio dire, lo conosco poco, ma… per quanto assurdo possa sembrare, voglio proteggerlo. Noi abbiamo i nostri doni, ma io credo che la vera forza sia molto più di questo… Rialzarsi dopo ogni caduta è una scelta dolorosa, ma solo chi cade può rialzarsi ancora una volta. Credo anche che Gazel sia molto forte, a modo suo, ma deve trovare questa forza dentro di sé, come ha fatto oggi, ed io voglio aiutarlo.
Prese il piatto che aveva lasciato sul mobile e offrì a Nagumo un sorriso mentre gli passava a fianco per uscire dalla stanza.
-Sai, Gazel non è così freddo e irraggiungibile come sembra. In realtà, si possono capire molte cose di lui standogli vicino… Bisogna osservarlo un po’ meglio, ecco tutto- aggiunse.
–Ci vediamo domattina, Haruya, buona notte.
Nagumo non rispose e non si mosse. Afuro uscì e attraversò la galleria e sparì dietro l’angolo.
 
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Gazel sobbalzò non appena si sentì toccare. Spalancò gli occhi e si guardò attorno, allucinato e confuso, in cerca di ciò che l’aveva svegliato; il suo primo istinto fu di tirare un pugno alla cieca, ma quando ci provò si rese conto che i muscoli gli facevano troppo male perché potesse alzare il braccio. Gli sfuggì un gemito.
-Ehi, ehi, non sforzarti- disse Afuro. –Alzati un po’, dai, fammi vedere le ginocchia.
Si era seduto sul bordo del letto e la mano con cui l’aveva scosso per svegliarlo era ancora poggiata sulla sua spalla; Gazel la guardò, poi spostò gli occhi sul compagno senza capire: aveva ancora la mente annebbiata dal sonno. Afuro era già tornato? Quanto tempo era passato? Era così stanco che gli pareva di aver dormito appena cinque minuti.
Non si accorse di aver borbottato e si meravigliò quando Afuro lo corresse:- No, sono trascorse quasi due ore. Avrei voluto tornare subito, scusami, ma sono stato trattenuto un po’ da Haruya per… Beh, non importa. Dai, su. Ti sei anche graffiato il braccio, vero?
-Non ce la faccio- protestò Gazel a bassa voce. -Voglio dormire…
-Sei come un bambino, santo cielo- replicò Afuro, gli sfuggì un sorriso divertito. Gazel frugò nella mente in cerca di una risposta arguta, ma non riusciva ad articolare frasi compiute, per cui ci rinunciò subito. Afuro gli passò le braccia dietro la schiena e lo tirò su e Gazel si accasciò contro lo schienale di legno del letto; strinse i pugni e si succhiò l’interno delle guance, intimandosi di non scalciare quando Afuro gli versò l’acqua ossigenata sulle ginocchia e le sue abrasioni cominciarono a sfrigolare e schiumare. Il biondo gli tamponò la pelle con dell’ovatta e gli fasciò delicatamente entrambe le ginocchia, poi ripeté lo stesso procedimento con il braccio, non senza commentare il colore orribile del graffio.
-In appena sette giorni sei riuscito a combinarti peggio di ragazzi che sono qui da mesi. Ho l’impressione che queste ginocchia non riusciranno mai a rimarginarsi, finché sei qui- aggiunse mentre Gazel scivolava di nuovo sul materasso.
Il ragazzino affondò con la nuca nel cuscino e si divincolò per trovare una sistemazione in cui stesse comodo, cosa quasi impossibile perché in qualunque modo si mettesse c’era almeno un muscolo che gli faceva male. Mentre si agitava, irrequieto, si accorse che Afuro non si spostava e gli lanciò uno sguardo interrogativo. Intuendo i suoi pensieri, il biondo abbozzò un sorriso.
-Sei ancora nel mio letto, sai- gli fece notare, divertito.
Gazel sollevò lo sguardo verso il soffitto di legno che divideva i due letti.
-Oh- disse. –Vuoi che mi sposti?
-Ce la fai a spostarti?
-No.
Afuro scoppiò a ridere.
-Viva la sincerità- esclamò, poi assunse un’espressione pensierosa. –Non mi va di dormire su, detto sinceramente… Ho un’idea, ma non so se ti piacerà.
Gazel continuò a fissarlo, aspettando che Afuro ampliasse il concetto, ma l’altro non lo fece; allora, una lampadina si accese nella sua mente.
-Oh- ripeté e si irrigidì, sorpreso. Dormire insieme non era di per sé una cattiva idea (entrambi erano magrissimi, quindi i problemi di spazio non sussistevano), il fatto era che Gazel non era mai stato un fan del contatto fisico. Non lo aveva mai cercato, né qualcuno aveva mai provato ad avvicinarsi così tanto a lui. Afuro continuava a stare in silenzio, scrutando il suo volto in segno di un cenno di assenso o di dissenso, e Gazel si interrogò rapidamente. Sorprendentemente, il pensiero di dormire con Afuro non lo repelleva; anzi, il profumo e il calore dell’altro apparivano invitanti, così facili da ottenere che sarebbe bastato allungare una mano… Forse era così che ci si sentiva in famiglia. Gazel non lo sapeva.  
Si trovò ad annuire inconsciamente e sussultò quando sentì Afuro scavalcarlo e sistemarsi a fianco a lui, nello spazio tra il suo corpo e il muro, come se volesse prevenire il formarsi di nuove ferite. Il biondo non spense la luce, né lo toccò; tirò un po’ di cuscino verso di sé, ci si appoggiò e chiuse gli occhi, sospirando parole che suonavano come una buonanotte. Ad un’occhiata più attenta, anche lui sembrava esausto.
Gazel lo osservò per alcuni istanti, poi si accoccolò contro di lui come un gatto e le palpebre scesero sulla sua vista come una tenda, portando il dolce oblio del sonno.
Quella notte, dopo quella che era parsa un’eternità, dormì bene e a lungo, senza incubi.


 
**Angolo dell'Autrice**
Buonasera!
Scrivere questo capitolo è stata una faticaccia a causa della prova (spero di non essere stata troppo lunga e noiosa ><"), tuttavia devo ammettere che mi ha dato anche una certa soddisfazione, per vari motivi. Prima di tutto, il capitolo segna la prima svolta importante della storia: la prova che Gazel riesce a superare con le sue sole forze, senza dover dipendere da un 'dono', è la prima tappa della sua crescita come persona/personaggio, perché è la prima volta in cui decide di 'lottare' per qualcosa (in questo caso, se stesso). 
Comincia anche a formarsi davvero l'amicizia tra Afuro e Gazel. 
 In questa fic, Afuro è una persona molto intuitiva e riesce a vedere Gazel per quello che è, con le sue debolezze e i suoi punti di forza. L'idea centrale del capitolo è la convinzione di Afuro che la 'vera forza' sia qualcosa di diverso dai 'doni naturali', che sia una scelta (in mezzo al suo discorso con Nagumo ho buttato lì una citazione tratta dall'anime, qualcuno l'ha notato? XD). Afuro vede in Gazel questo tipo di forza e vuole aiutarlo, ed è la sincerità dei suoi sentimenti a far sì che Gazel, finalmente, inizi a fidarsi di lui (il fatto che Gazel riesca a dormire tranquillamente al suo fianco è una prova tangibile di questa fiducia).
E, dulcis in fundo, anche Nagumo si sta dando una svegliata XD Dal prossimo capitolo lo vedremo più attivo!
Alla prossima~
Baci,
    Roby
   
 
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