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Autore: Blue Sunshine    20/04/2015    2 recensioni
Emma è rilegata nella razionalità che il padre le ha sempre costruito intorno.
Le ha cucito nel cuore quella sicurezza che la rende una forza della natura.
Lei, ha imparato da subito cosa fosse male e cosa fosse bene.
Nella compostezza del suo essere, Emma è normale.
Magari un po’ più forte, un po’ più sicura, un po’ più spavalda.
Evita ciò che cataloga come sbagliato, e abbraccia solo ciò che è sicuro, palpabile, evidente.
Emma Harrison e il suo ordinato mondo.
Ma lui è sbagliato. Eppure, Emma non lo scaccia.
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IN REVISIONE
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tu sei la luce, tu sei la notte

Tu sei il colore del mio sangue.  

 

Clare gli portò un bicchiere di limonata gelida, sedendosi poi accanto a lui sul divano. Louis la ringraziò con lo sguardo, sorseggiando avidamente la bevanda fredda. Subito la sua gola, raschiata dalle urla che non era riuscito totalmente a trattenere, accolse con piacere quel sollievo. La finì in poco tempo e si sporse sul tavolino in legno per poggiare il bicchiere oramai vuoto. Poi tornò a poggiare le spalle sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi e portandosi le mani sul viso stanco. Sentiva distintamente la presenza di Clare al suo fianco, e il ricordo di quel bacio disperato esisteva ancora sulle sue labbra, che non erano poi più tanto secche. Avrebbe dovuto essere forte, almeno per lei. Ma le immagini del corpo torturato di Steve non facevano altro che martellargli il cervello, facendolo quasi impazzire. O più probabilmente lui era già impazzito e non se ne era reso conto. 

-Se continui a stare zitto, giuro che ti caccio di casa- quella che doveva essere una minaccia uscì più come un lamento, perché Clare non voleva che Louis se ne andasse: voleva che rimanesse lì, con lei, affinché potesse accarezzarlo e alleviare il peso delle sue colpe. Colpe, che vedeva disegnate sul suo viso pallido. Louis fece scivolare le mani sulle sue ginocchia e provò a sorriderle, senza tanto successo. Ma Clare se lo fece bastare, sospirando e allungandosi verso il suo corpo. Lo sentì irrigidirsi quando lei pose la sua testa sulle sue gambe e la mano sul suo ginocchio; il tempo di alcuni secondi e Louis la racchiuse in un abbraccio disperato, rannicchiandosi su sé stesso. Pianse di nuovo fra i suoi capelli, mentre Clare gli accarezzava la coscia fasciata dai pantaloni ancora umidi per la pioggia. 

-E’ colpa mia- quelle oramai erano le uniche parole che Louis riusciva a dire da un’ora a quella parte. Nulla di più, nulla di meno e Clare ogni volta lo aveva azzittito con una carezza. 

-Basta Lou, non è così- le braccia del giovane tremarono, stringendola di più, facendola sentire bene. 

-Tu non lo hai visto, Clare- ed era vero, non era stata lei a ritrovare il corpo di quel ragazzo e a fissare i suoi occhi vacui. Ma non riusciva a capire il perché Louis si prendesse le colpe di quell’atto così tremendo. Facendo pressione sulla sua gamba, Clare lo fece tirare su e una volta liberata dal suo abbraccio, sentì freddo. Spostandosi attentamente più vicina, gli prese il viso fra le mani, intercettando quegli occhi tanto belli. Louis tentò di sfuggirle, cercando un appiglio nella stanza intorno a loro. Ma alla fine, sconfitto, fissò il suo sguardo a quello di lei, perché era sempre stato così, sin dalla prima volta che l’aveva vista. 

-Perché dici di essere tu il colpevole della sua morte?- Ci aveva provato, a non pensarci. Louis aveva tentato in tutti i modi di auto convincersi che la morte di Steve non c’entrasse con la telefonata che gli aveva fatto pochi giorni prima, ma il risultato era sempre lo stesso: il fallimento. In fondo, chi avrebbe mai potuto davvero volere la morte di Steve? Era un ragazzo così gentile, tanto onesto e disponibile. E se forse fosse stato meno propenso ad aiutare gli amici in difficoltà, probabilmente sarebbe ancora vivo. 

-Perché lo hanno ucciso a causa mia- ci stava girando intorno, entrambi lo avevano capito. Louis si alzò dal divano, liberandosi dalla stretta di Clare che tanto lo confondeva: il bacio che si erano scambiati sotto la pioggia lo aveva reso felice, e non era giusto. Doveva pagare per quello che aveva fatto, non ricevere nulla. E invece Clare, in quell’attimo, gli aveva donato ciò che forse lui desiderava da tempo. 

-Dove stai andando?- il panico nella sua voce era evidente e Louis serrò gli occhi e le diede le spalle, per non vedere ciò che stava lasciando. 

-Mi dispiace- disse solamente, recuperando la giacca scura e avviandosi verso la porta. 

-Che stai facendo?- la sentì seguirlo, ma lui una decisione l’aveva già presa. Era stato tutto uno sbaglio, il suo; era caduto in ciò che il padre gli aveva sempre insegnato ad evitare: mischiare il lavoro alla vita privata. Clare si era inserita nella sua vita senza che neanche se ne rendesse conto: nel giro di pochi mesi, aveva imparato a conoscerla, sostenerla, non lasciarla sola. Aveva imparato, forse, a volerle bene. 

-Io mi sono innamorata di te, Louis- e anche lui, forse, si era innamorato di lei. Ma tutti questi dubbi non facevano che confonderlo di più e quindi, mentre apriva la porta e usciva fra la pioggia che ancora cadeva, si diceva che stava facendo la cosa giusta. Alcune volte scappare, era l’unica soluzione. 

-Io sono solo l’avvocato di tuo fratello- ma Clare, quelle parole, non le udì. Perché era crollata, in ginocchio, davanti alla porta. Era stata lasciata di nuovo. Era di nuovo sola. 

 

 

Dean fissò i due ragazzi seduti di fronte la sua scrivania, le mani congiunte e il mento poggiato su esse. Li aveva ascoltati attentamente, senza interromperli mai. Non aveva cambiato posizione, non ricordava nemmeno di aver respirato. Il silenzio era calato da alcuni minuti, e tutti e tre non avevano il coraggio di spezzarlo; sapeva di tranquillità prima della tempesta, e nessuno dei presenti era pronto ad affrontarla. 

-Ti prego papà- alla fine Emma fu la prima a prendere coraggio, perché quel tacere la stava spezzando dentro. Dean sembrò tornare alla realtà e sospirò, poggiando la schiena alla sedia, fissandola. 

-Cosa mi stai dicendo, Emma?- 

-Che Zayn è innocente- non sapeva quante volte aveva detto quella stessa frase negli ultimi tempi e le venne quasi da sorridere a pensare che ogni volta che l’aveva pronunciata, aveva un fine diverso: la prima volta, doveva convincere sé stessa; poi Harry e infine lo stesso Zayn. E ora era qui, di nuovo, e con quelle stesse parole doveva convincere suo padre. Sapeva di non aver nulla dalla sua parte; non avevano prove effettive, solo supposizioni. Dovevano muoversi nell’ombra, perché la vita di Clare era in pericolo e anche quella di Zayn che, in cella, veniva continuamente minacciato. 

-Abbiamo un fascicolo intero che parla del caso: abbiamo le testimonianze degli inservienti di casa Smith, le registrazioni delle telecamere, l’ammissione dello stesso accusato e anche la compatibilità con le impronte digitali ritrovate tanto sul corpo della ragazza quanto sull’arma utilizzata per ucciderla. Ora, tu- poi con lo sguardo raggiunse Harry- voi, mi venite a dire che Malik è innocente, basandovi su un pezzo di carta straccio con su scritto un indirizzo, su dei fotogrammi che non sappiamo nemmeno quanto recenti fossero e su cos’altro?- Harry scosse la testa, abbassando gli occhi. Sapeva che parlare al commissario Harrison sarebbe stata una mossa avventata e che non avrebbe mai creduto alle loro parole. In fondo, se fosse stato al suo posto, probabilmente anche Harry non avrebbe creduto a questa storia. Eppure era sicuro che Dean Harrison non si fosse soffermato a scrutare gli occhi disperati di Zayn, a mettere insieme le violenze che il ragazzo subiva in cella e il senso di colpa che lo attanagliava. Lui era un commissario, non uno psicoanalista. 

-Papà…- tante volte Harry si era chiesto il motivo per cui quella ragazza stesse lottando per Zayn. In realtà, si chiedeva perché tutti loro lo stessero facendo: il caso era a un passo dall’essere archiviato, le prove c’erano, il colpevole anche. Ma allora, perché sentiva che condannare Zayn era sbagliato?

-Commissario Harrison, ha ragione. Le prove parlano chiaro e anche i testimoni che sono stati chiamati al processo. Chiedo scusa per la mia inutile insistenza e per essermi basato solo su dei forse- detto questo si alzò e osservò Emma. Lei lo guardava sbalordita e poteva benissimo leggerle negli occhi la speranza svanire. Ma Harry aveva capito che lì dentro, non avrebbero ricevuto aiuto. Dovevano agire da soli; anzi, solo una persona poteva davvero aiutarli. 

-Andiamo via, Emma- le disse solamente e ringraziò il cielo che lei fosse troppo sconvolta per opporre resistenza. Si alzò anche lei e guardò il padre. Si somigliavano così tanto … 

-Da bambina eri un eroe per me. Ma gli eroi, non commettono errori del genere- detto questo gli diede le spalle e Harry notò il dolore negli occhi del commissario. Quasi provò pena per lui, che sembrava macchiarsi della stessa colpa di suo padre: essere cieco ai sentimenti umani. Dimenticarsi di essere padre e marito, considerarsi solamente un poliziotto. 

Quando lasciarono l’ufficio, Emma lo prese per il braccio e lo costrinse a guardarla negli occhi.

-E’ davvero finito tutto, Harry?- lui sorrise leggermente, accarezzandole il viso. 

-No Emma, ma lì dentro stavamo solo perdendo tempo. Solo una persona può aiutarci davvero-

-Chi?-

-Louis Tomlinson- 
 

Harry posò le chiavi della macchina e il portafoglio sul mobile del corridoio di casa, chiudendosi la porta alle spalle.

-Sono a casa- urlò, cercando di sovrastare la musica a tutto volume che proveniva dallo stereo. Si tolse il giacchetto di jeans e proprio in quel momento, dalla cucina, uscì il padre con il viso più sconsolato che gli avesse mai visto negli ultimi tempi. E Harry sorrise, perché sapeva a cosa fosse collegata quell’espressione. 

-Tua sorella sta cucinando- e allora scoppiò a ridere, togliendosi i ricci troppo lunghi dagli occhi. 

-Te l’avevo detto che prima o poi la farmacia nuova di fronte casa sarebbe stata utile-

-Sì, ma non starà certo aperta tutta la notte- 

-Possiamo sempre cercare di mangiare prima della chiusura- le parole di Harry furono accompagnate da uno sbuffo di disapprovazione mentre Allison, appena uscita dalla cucina, correva ad abbassare il volume della musica. Li raggiunse e sorrise al fratello, baciandogli la guancia. 

-Ti ho sentito, sai?- Harry le cinse le spalle con il braccio, restituendole un bacio sulla tempia. 

-Allie, l’ultima volta che hai cucinato siamo finiti tutti al pronto soccorso- il padre tremò a quel ricordo, sedendosi sul divano. Allison lo fissò, scuotendo la testa e liberandosi dall’abbraccio di Harry. 

-Sono passati sette anni, papà. E sono cambiate molte cose, anche se voi non lo sapete- Harry si chiese se il tono accusatorio e dispiaciuto nella frase della gemella se lo fosse solo immaginato. Quando incrociò gli occhi di suo padre, seppe di non esserselo immaginato. 

-Sarà pronto fra cinque minuti- e detto questo si chiuse di nuovo in cucina. Harry raggiunse il padre, sedendo sulla poltrona davanti al camino oramai spento. 

-Mi perdonerà mai per averla allontanata da te?- il ragazzo si sporse e gli mise una mano sulla spalla, sorridendogli. 

-Le hai permesso di restare quindi è solo questione di tempo- 

-Non sono stato io a permetterlo, sei stato tu- Harry si irrigidì a quelle parole, fissandolo. 

-Non era una frase a doppio fine, figliolo. Sto solo dicendo che se non fosse per te, probabilmente avrei perso mia figlia per sempre- e Harry tentò di non pensare al fatto che forse, tenerla con loro a Bradford, era ancora troppo rischioso. 

-La cena è servita!- la voce di Allie li colse alla sprovvista ed entrambi si guardarono negli occhi, prima di raggiungerla in cucina. Allison aveva cucinato lasagne, pollo con le patate e aveva anche preparato un dolce. 

-Cucina italiana gente, siate meno sospettosi. Sono migliorata- Harry si sedette e le accarezzò la mano. Lei gli sorrise, ponendogli il piatto con la lasagna davanti. 

-Prima tu, Harry- disse il padre e lui alzò gli occhi al cielo. Sotto gli sguardi vigili di entrambi, Harry prese un pezzo di lasagna e la mise in bocca. Carl si mise una mano sulla fronte, mentre osservava il figlio masticare lentamente. 

-Allora?- Harry guardò prima Allison, poi Carl per poi posare la forchetta e fare un applauso alla cuoca. 

-Hai visto, te le avevo detto!- Tutti e tre scoppiarono a ridere e iniziarono a mangiare. La cena passò in tutta tranquillità, fra i racconti di Allie su come la mamma della sua migliore amica le avesse insegnato a cucinare e i resoconti di Harry sugli ultimi avvenimenti al commissariato. 

-Agente Styles, chi l’avrebbe mai detto che avrei sentito di nuovo questo nome- Harry guardò di nuovo sua sorella ma proprio mentre stava per parlare, il campanello suonò.

-Vado io- disse semplicemente, alzandosi e stiracchiandosi. Guardò l’orologio sul muro dell’ingresso; erano quasi le dieci di sera. Chi poteva essere a quell’ora? Il campanello suonò di nuovo e lui si affrettò.

-Sto arrivando- disse, per poi allungare una mano e aprire la porta. Quando vide chi aveva davanti, rimase sconcertato. 

 

 

Charlotte aveva deciso di ignorare tutte le chiamate di Harry. Infatti, dopo che lui l’aveva sorpresa in bagno a piangere e l’aveva costretta al suo sguardo, tanto che lei gli aveva quasi rivelato il segreto che nascondeva, aveva deciso di prendersi una pausa. Dal lavoro ma soprattutto da lui. Era più di una settimana che non lo vedeva e quella sera, mentre la pioggia cadeva incessante dalla mattina, sembrava mancargli più del solito. Nel corso di quella settimana aveva tentato di non pensarci, a lui e a quegli occhi che tanto riuscivano a scavarle nell’animo. Charlotte non aveva mai conosciuto la debolezza eppure, da quando Harry l’aveva guardata per la prima volta, aveva capito che lui sarebbe stata l’unica a cui si sarebbe lasciata andare. 

-Fanculo- mormorò fra sé, eliminando l’ennesimo messaggio che lui le aveva lasciato. Aveva preferito non ascoltare la sua voce, perché forse non avrebbe resistito più e forse sarebbe corsa da lui. L’amore fa proprio schifo, avrebbe pensato se solo avesse permesso a sé stessa di guardare in faccia la realtà e dire sì, mi sto finalmente innamorando. Ma Charlotte, questo, non poteva davvero lasciare che accadesse, perché non si trattava più solamente della paura di innamorarsi, di rendersi debole e di fidarsi. Perché sapeva che, per Harry, tutte quelle azioni sarebbero valse la pena. Semplicemente, lei non andava bene per Harry. Quasi si spaventò quando il cellulare iniziò a vibrare di nuovo e lesse sullo schermo, con tristezza, quell’H solitaria. Una vibrazione, due vibrazioni, tre vibrazioni. Harry non demordeva e Charlotte si ritrovò a piangere ancor prima di rendersene davvero conto. Quando il cellulare si spense sulle sue gambe, si prese il viso fra le mani e odiò sé stessa. Odiò il suo passato e odiò anche quel giovane dal sorriso gentile che l’aveva aiutata a non far cadere gli scatoloni, quel lontano giorno di quasi tre mesi prima. Tre mesi non è un periodo troppo breve per innamorarsi? Il cellulare si accese di nuovo, segnando l’arrivo di un messaggio in segreteria. 

-Cosa può succedere se questo non lo cancellassi?- disse a nessuno in particolare, sbloccando il telefono. Si portò il cellulare all’orecchio e chiuse gli occhi. 

-Mi manchi- e poi, il silenzio. Si aspettava tante cose, una fiumana di parole, anche parolacce e insulti. Guardò sbalordita lo schermo illuminato, scuotendolo, come se così potesse far uscire altre parole. Ma il messaggio di Harry era stato lapidario e forse, proprio per questo, la penetrò di più. Ascoltò per una decina di volte quelle due parole, rabbrividendo al timbro della sua voce, così roco e profondo. 

-Mi manchi anche tu- e prima di aver qualche stupido ripensamento, si alzò e prese il giubbotto di pelle. In fondo, lei era diventata una poliziotta anche perché nella vita le piaceva rischiare. E per Harry, valeva davvero la pena farlo. 

 

Si ritrovò davanti casa sua in poco tempo. Non pensava che le loro case distanziassero così poco e Charlotte si ritrovò a chiedersi il motivo per cui lui non fosse andato a trovarla, invece di tartassarla di chiamate. 

-Idiota- disse con un sorriso, strofinando le mani sui jeans. Era nervosa, diavolo se lo era. Si avvicinò alla piccola villetta, riconoscendo la macchina di Harry. Era andata là, ma cosa avrebbe dovuto dirgli? Che le era mancato come l’aria? Che era un idiota? Che voleva baciarlo? Che forse lo amava? Ma Charlotte non seppe mai la risposta perché una voce sin troppo familiare la raggiunse. Si guardò intorno e proprio sul marciapiede intravide la figura di Hollie camminare velocemente mentre parlava al telefono. E per un momento, Charlotte si sentì veramente patetica. Soprattutto quando buttò un’occhiata alla luce accesa che illuminava la casa di Harry per poi nascondersi dietro il tronco dell’albero piantato proprio accanto al cancello della villa. Hollie termino la telefonata e le passò davanti, e lei trattenne il respiro. Fece cigolare il cancello ed entrò, i rumori dei suoi passi a coprire il battito del cuore di Charlotte e le lacrime che scendevano lungo la sua guancia. Ci furono solamente pochi attimi di silenzio, poi la porta venne aperta e Hollie parlò.

-Amore mio!- Charlotte non seppe perché lo stesse facendo ma lentamente fece capolino da dietro il tronco, osservando il suo Harry stringere in un abbraccio il corpo di Hollie. Lei si alzò in punta di piedi e lo baciò teneramente sulla bocca. Charlotte si prese qualche secondo per studiarlo, visto che in quella settimana sembrava che lui fosse cambiato. Forse i suoi occhi erano più scuri, il suo fisico più magro, i suoi capelli più lunghi. Forse, era anche più bello del solito. Si morse il labbro, quelle stesse labbra che avevano sfiorato solo poche volte le fossette sulle guance di Harry. E il cuore le doleva e no, tre mesi non erano pochi per innamorarsi. La verità era che di Harry, ci si innamorava anche in un secondo. 

-Guarda un pò chi c’è- Charlotte sussultò nel buio, mentre la porta di casa si chiudeva e Harry spariva all’interno. Deglutì lentamente, perché quella voce, la sua voce, l’avrebbe riconosciuta fra mille. 

-Buona sera, sorellina- 

-Che diavolo ci fai tu qui?-

-Il mio lavoro- 

 

 

Niall si guardò intorno, in silenzio. L’unico suono presente in quella stanza era quello procurato dal suo respiro, che sembrava rimbombare in quell’anfratto squallido. La luce al neon tremò appena e lui portò lo sguardo sul soffitto, scrostato dalla muffa e dalla ruggine. Deglutì e chiuse gli occhi, ripetendosi di non essere patetico e di non aver paura. Si strofinò le braccia lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte che indossava, timoroso che il gelo che impregnava quel luogo lo toccasse per sempre. D’un tratto, avrebbe tanto voluto trovarsi nella sicurezza della sua stanza: fra la sua musica, i suoi filosofi e i suoi ricordi. Un rumore fragoroso lo distolse dai suoi pensieri e si passò una mano fra i capelli già spettinati. Andò a poggiarsi contro il muro più lontano rispetto all’unica porta presente nella stanza; porta che nemmeno un secondo dopo, si aprì. Niall non ebbe subito il coraggio di alzare lo sguardo verso la persona che aveva tanto bisogno di vedere, perché tutte le parole che aveva preparato erano sfumate nello stesso momento in cui aveva messo piede lì dentro. Ma oramai era fatta e, per lei, doveva essere forte. Fu così che Niall alzò lo sguardo e incrociò quello spaesato e incuriosito di Zayn, il ragazzo che gli stava portando via Emma.
 

Vorrei dedicare questo capitolo a due persone in particolare: Chiara e Carlotta. Loro sanno perché. 


 
 


Spazio autrice:
Non posso credere di essere di nuovo qui con Murderess dopo non so quanto tempo. Mi è mancata, eccome. L'ho capito dal momento in cui ho riaperto il file e ho anche compreso che per correttezza verso me stessa devo dare una fine a questa storia. Ho avuto un blocco, difficile da superare e che ancora non è stato del tutto eliminato. Ma come ho già detto a una persona, forse per ricominciare devo partire proprio da dove tutto era iniziato per me. Ovvero Zayn e Emma, Harry e Charlotte, Niall, Louis, Allison e Clare, Liam e Rose. Dunque, eccomi qui con un nuovo capitolo. Forse è il caso che riassuma il punto della situazione: Zayn è in carcere per essere stato accusato di aver ucciso Emily, la sua ex ragazza. A occuparsi del caso sarà Dean, padre di Emma e Liam. Emma riesce a leggere la verità nascosta nel cuore di Zayn e decide che, per lui, vuole lottare e salvarlo, mettendo da parte l'amore per il padre e anche per Niall, il suo migliore amico di cui è innamorata da sempre. Nel salvare Zayn, sarà accompagnata da Harry e Louis, un'agente di polizia e l'avvocato di Zayn.
Più precisamente, eravamo giunte all'innocenza di Zayn che rivela a Emma che a uccidere Emily è stato il padre della ragazza, Charlie che è uno spacciatore. Louis, grazie a Steve, suo amico d'infanzia, scopre che le registrazioni fornite alla polizia sono manomesse. Ma Louis non riesce a vedere i veri filmati perché Steve viene brutalmente ucciso e il suo lavoro sembra essere scomparso. Per questo, dopo il suo funerale e il bacio con Clare, decide di lasciare la ragazza. Charlotte, l'affascinante collega di Harry, tiene un segreto mentre Harry è sempre più risoluto a risolvere il caso.
Riassunto come potevo, devo ringraziare la persona che mi ha velatamente imposto di continuare questa storia, con la speranza di non deluderla mai. 
Beh, credo di aver detto tutto. Un bacio e a presto, 
Sonia. 
  
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