Capitolo 2
Mancava poco all’alba, ovvero alla mia notte. Vivendo a stretto contatto con i vampiri, il giorno e la notte venivano per forza invertiti, certo il sole non li uccideva seduta stante come per gli strigoi, ma li indeboliva parecchio.
Avevo
deciso di andarmene a letto, ero un po’ più stanca del solito, quando incontrai
Martin Ivashkov, il moroi dalle mani lunghe.
“Oh
no, per favore, ancora tu, sono stanca e me ne voglio andare a letto, ok?”
Lui
con il suo solito sorriso sprezzante, non parve accettare la cosa.
“Già
stanca, Hathaway? Volevo stancarti io!”.
Che
patetico, sempre le solite battute squallide.
“Giusto
per sapere, quant’è che tu i tuoi amici stronzetti avete scommesso per chi mi
porta a letto per primo?”.
Lui
sorrise di più, cattivo.
“Davvero
pensi di valere qualcosa dhampir? Scommetto piuttosto che diventerai una sgualdrina di
sangue.”
Lo
aveva detto davvero?
Venivano
chiamate sgualdrine di sangue quelle dhampir che non volevano diventare
guardiani, e che invece spesso restavano incinta dei moroi e
sceglievano di vivere in delle
comunità. Ovviamente già dal nome si poteva intuire
che servigi offrissero
queste dhampir, ed era questo che le rendeva l’ultima
ruota del carro di questo mondo e che garantiva alle moroi femmine il
ritorno
dei loro maschi a casa. Le apparenze prima di tutto.
Nel
frattempo che la mia rabbia ribolliva, la mia mano aveva già stretto il collo
di Martin sbattendolo al muro.
Per
un attimo una scintilla di paura gli passò per gli occhi.
“E
tu davvero pensi che potrei mai venire con un verme come te?” gli dissi con
disprezzo.
Strinsi
ancora di più la mia mano, e la cosa iniziò davvero a spaventarlo.
“Davvero
credi tu, di valere qualcosa perché sei un reale viziato?”. Ero furiosa.
Lo
vidi spostare lo sguardo oltre le mie spalle e sussurrare per quanto concesso
il nome del preside. Lo lascai all’istante. Accidenti, Thompson mi avrebbe
espulsa sto giro. Mi voltai sulla difensiva e non vidi nulla, mentre invece,
sentivo Martin alle mie spalle sogghignare e riprendere fiato
contemporaneamente. Mi girai e lui si era già allontanato.
“Sei
una sfigata Hathaway!” e con questo si dileguò.
Rimasi
sconcertata per come mi aveva presa in giro, mi aveva davvero fregata. Ero
scioccata che gli fosse venuta in mente un’idea così intelligente.
La
sua testa, forse non era proprio vuota. Già sentivo, l’indomani, tutta
l’accademia ridere di me.
A
passo di marcia andai in camera e mi buttai a letto vestita, volevo
dimenticarmi dell’accaduto il prima possibile.
Il
mattino seguente, ovvero a sole ormai tramontato, il mio risveglio fu orrendo.
Avevo avuto incubi tutta la notte. Avevo
sognato quel dannato di un Ivashkov che si era tramutato in uno strigoi con la
pelle cadaverica e le pupille cerchiate da una anello rosso, segno
indistinguibile di uno di loro, e anche in quella forma aveva le mani lunghe.
Solo che in questo caso era più forte e non riuscivo a difendermi. Dal nulla
poi era spuntato fuori un paletto e chissà perché non riuscivo ad infilzarlo. Al
sogno, o meglio, all’incubo, si era poi aggiunto Hanson, che mi borbottava di studiare
meglio quel capitolo e alla fine, forse la parte più bella, era arrivato
Nikolai e aveva preso a pugni… Hanson. Ok, questa parte aveva un che di comico,
ma l’amaro in bocca mi era stato lasciato dalla sensazione di non riuscire ad
avere la meglio su uno strigoi. E che quel strigoi mi sembrasse così vero. Non
ne avevo mai visto uno da vicino. L’unica fonte che avevo, erano le foto nei
libri e i documentare dei guardiani.
Era
stato davvero un incubo.
Da
questo ‘bel’ risveglio, non potei non ricordarmi gli avvenimenti accaduti prima
di andare a letto, ed era meglio perciò farsi una bella doccia e mostrare la
faccia più stronza che avevo, per difendermi da tutto ciò che avrebbero potuto
dirmi.
Mezz’ora
dopo feci il mio ingresso in mensa e come già sapevo attendermi, alcune
occhiate si diressero insistentemente verso di me. Alcune sogghignavano, alcune
invece, da parte del popolo femminile moroi, disprezzavano.
Queste
proprio non le capivo.
Fui
affiancata da un novizio che poteva rientrare nella categoria ‘persone apposto’ di Rose Hathaway.
“Ehi,
Alan!”.
“Ehi!”
mi disse lui un po’ imbarazzato. Era palese il perchè.
“Hai
sentito anche tu, vero?” mi riferivo alla figuraccia fatta con Ivashkov.
Lui
alzò sorpreso le sopracciglia.
“Già,
ma è vero?” chiese un po’ titubante.
Sbuffai
amareggiata.
“Si.
Mi ha fregata.”
La
sua faccia cambiò mille espressioni di disagio.
“Ehi,
Alan. Non è mica una tragedia. Mettiti nei miei panni, se ci fosse stato
davvero il preside Thompson, mi avrebbe espulsa!”.
“Non
credo espellano per una cosa del genere!” disse con voce cattiva.
Non
gli diedi peso.
“Uccidere
un moroi? Hai ragione, probabilmente mi impiccherebbero senza un processo!”.
Il
suo sguardo vacillò perdendo lucidità.
“Uccidere?”.
Forse
avevo esagerato.
“No,
non volevo ucciderlo. L’ho solo preso per il collo per non tirargli un pugno!”.
“Pugno,
collo, uccidere, ma di cosa stai parlando Rose?”.
Lui
mi guardava stranito ed io non ci capivo più niente.
“Perché
tu di cosa stai parlando? Non è questo che va a raccontare in giro Martin? Che
mi ha fatto credere che il preside Thompson avesse visto che avevo alzato le
mani su di lui, e io me la sono fatto sotto?”.
Che
umiliazione.
Lui
sospirò impercettibilmente, sbattendo gli occhi più volte.
“Oh,
che sollievo. Non volevo crederci che quello che avevo sentito fosse vero!”.
“Scusa,
ma cosa stai farneticando, Alan?”.
Lui
si grattò la testa a disagio.
“Scusa
se ho dubitato di te un secondo, ma sapevo che non avresti mai fatto una cosa
del genere!”.
“Alan…”
l’ho rimbeccai.
“Ok,
non fare niente di stupido o insensato, ma…”.
“Mi
sto arrabbiando…”.
Chissà
perché, ma sospettavo che la giornata sarebbe andata peggio di quanto mi
aspettassi.
“Martin
dice in giro che sei andata a letto con lui!”.
“COSA?”
sbraitai.
Mi
voltai di scatto verso il tavolo dove sedevano i reali e quando sentii le rise
di beffa che avevano nei miei confronti, i miei piedi stavano già dimezzando i
metri che ci separavano, senza che io avessi dato loro l’ordine. Non ci pensai
proprio, ma così spontaneamente arrivai a Martin e gli tirai un pugno
sull’occhio che lo fece cadere dalla
sedia e con mio grande soddisfazione gli tolse quel suo sorriso sprezzante.
“Lurido
verme schifoso, neanche se fossi l’ultimo esemplare maschio rimasto sulla
terra, verrei a letto con te!”.
Lo
dissi a voce alta in modo da farmi sentire, non che avessi bisogno di
attenzione. Tutti mi guardavano, alcuni perfino mi battevano le mani e urlavano
felici che avessi tappato la bocca a quell’arrogante. Certo i guardiani non
potevano pensarla così. Si avvicinò Nikolai e neanche farlo a meno, Hanson. Che
scherzo poco divertente.
Mi
misero ognuno una mano sulla spalla e mi guidarono fuori, io non opposi
resistenza.
Una
volta in giardino, Hanson iniziò a sbraitare quanto il mio gesto sconsiderato
mi avrebbe creato problemi. Che loro vanno protetti, non picchiati. Che loro vengono prima.
Eccola
qua. Cercavo sempre di dimenticarla, ma quella frase, per chiunque voglia
diventare guardiano era la preghiera quotidiana da dire, la legge in cui
credere. Noi li proteggeremo sempre, anche a costo della nostra vita.
Dopo
altri cinque minuti di ramanzina a cui avevo prestato poca attenzione Hanson
disse: “Va in classe Hathaway, il preside al momento è assente e tornerà alla
fine delle lezioni. Allora lui deciderà che farne di te!”.
Il
vecchio non aveva detto una sola parola, e chissà perché, il suo silenzio era
più significativo di tutto quello che aveva farneticato Hanson.
A
capo chino presi la mia strada.
Sentii
Hanson dire a Nikolai che finalmente gli dimostravo rispetto. Buffone, di certo
anche Nikolai la pensava così, perché non gli rispose, ma mi seguì.
Non
volevo voltarmi e vedere nei suoi occhi delusione, era così vecchio che avrebbe
potuto essere il padre che non ho mai conosciuto, di cui mia madre non mi aveva
mai parlato, e che mi era sempre mancato.
“Rosemarie!”.
Perfetto.
“Se
mi chiami con il mio nome intero sono finita!”.
Non
fece espressioni.
“Devi
imparare a controllare le tue emozioni, non devi lasciare che siano esse a
prendere le decisioni al posto tuo!”
Lo
guardai sorpresa.
“Non
posso neanche cercare di difendermi, dire perché ho reagito a quel modo?”.
Il
suo sguardo era serio.
“No.
Perché è comunque sbagliato, tu ti alleni tutti i giorni nei combattimenti, lui
no. Eravate in una situazione non eguale, non ti fa onore. È come picchiare un
bambino. E poi, ci sono altri modi per affrontare le situazioni. Tu hai preso
la via più semplice: alzare le mani. Ti sei lasciata comandare dalle tue
emozioni e non dalla ragione. Questo è un difetto imperdonabile per un
guardiano, il quale deve sempre essere vigile e lucido in tutto quello che fa.
Se non cambi, non sarei mai in grado di diventare come tua madre.”
E
con questa stangata finale se ne andò.
Non
so se lo preferivo silenzioso o così, perché in ogni caso, sapeva centrare il
bersaglio.
Forse
silenzioso, almeno si poteva dedurre i suoi pensieri e non sentirti sfracellare
in faccia i tuoi peggiori incubi.
Con
una morsa allo stomaco andai in palestra dove gli altri novizi erano già
arrivati. Dovevamo combattere a coppie, ma stranamente oggi nessuno si
acciuffava per fare coppia con me.
Qualcuno
mi si era avvicinato dicendo un mi dispiace, alcuni un ben ti sta, altri un era
ora che qualcuno gli desse un pugno a quello. Qualcuno mi disse che non aveva
mai creduto al pettegolezzo di Martin.
Fatto
sta che però tutti si tenevano alla larga, non si sapeva ancora la mia sorte.
Potevo uscirne più forte di prima, o cadere nella vergogna.
Una
persona però si avvicinò, Alan.
“Sono
dispiaciuto, se non te lo avessi detto…”.
Si
sentiva in colpa, lo capivo.
“Figurati,
lo avrei saputo da qualcun altro e di sicuro il fine sarebbe stato lo stesso!”.
Era
ancora in apprensione.
“Ti
espelleranno?”.
Lo
guardai un po’ smarrita alla sola idea.
“Non
sarà così facile liberarsi di me!”.
Mostrai
una sicurezza non mia. Cosa diavolo avrei mai fatto se mi avessero espulso?
Dove sarei mai andata?
Io
non so com’è il mondo al di fuori di queste mura, io fuori di qua, sono davvero
sola. Senza famiglia e senza amici. Ripensandoci, la mia vita sociale faceva
proprio schifo.
L’allenamento
iniziò e io, non ci stavo con la testa. Alan riuscì a sopraffarmi due volte,
cosa che non era mai accaduta, in maniera così ravvicinata poi.
Il
resto della giornata non fu tanto diversa. Vivevo in una bolla d’aria tutta mia
e continuavo a ripensare alle parole di Nikolai. Stavo davvero buttando la mia
vita a rotoli.
Al
termine delle lezioni nessuno mi aveva ancora convocato in presidenza, per cui
sospettavo che Thompson non fosse ancora tornato e dato che andare ad allenarmi
col vecchio mi intimoriva da paura, me ne andai in camera.
Per
strada intravidi Martin, che alla mia vista si defilò facendosi piccolo
piccolo, non prima però di avermi urlato da lontano: “Avrai quel che ti
meriti!”.
Sbuff.
Che idiota.
Una
volta in camera mi gettai sul letto e andai in dormiveglia persa nei pensieri,
fino a quando sentii bussare alla mia porta.
Mi
ridestai di scatto, quanto tempo era passato?
Erano
le quattro e trenta, fra poco ci sarebbe stato il coprifuoco e anche la mia
condanna.
Alla
porta c’era Nikolai, stavolta con uno sguardo meno duro, forse un po’
dispiaciuto per aver nominato mia madre. Non gliene avevo mai parlato, ma per
le varie situazioni venutasi a creare in passato, ci era arrivato da solo.
“Il
preside Thompson ti sta aspettando!”
Senza
altri accenni prese a camminare ed io gli fui subito dietro. Chissà com’ero
conciata. Non avevo fatto una doccia e non mi ero neanche cambiata dalla divisa
scolastica. Di sicuro non dimostravo molto pentimento e serietà.
“Vecchio,
dimmi la verità, che ne sarà di me?”
Lui
continuava a camminare e mi rispose a pochi passi dalla mia sala delle torture:
l’ufficio del preside.
“Non
lo so, ma sarebbe uno spreco perdere un altro guardiano!”.
Wow,
niente di rassicurante.
Non
era un segreto che il numero dei guardiani non fosse alto come quello dei
moroi. Quelli delle casate reali potevano avvalersi il diritto di avere più
protezioni rispetto ad una casata normale, che spesso restava scoperta e presa
di mira dagli strigoi. Il fatto poi che le donne fossero ben poche a prendere
questa strada, le risorse erano davvero minime. Che l’avrei scampata per
questo? Sarebbe stato un miracolo.
Entrai
nell’ufficio e Nikolai prese posto a braccia conserte lungo il muro sulla mia
destra, vicino alla finestra. Mossa tipica di un guardiano, mettersi nei punti
strategici.
Il
preside Thompson sedeva indaffarato sulla sua scrivania ed io mi avvicinai alla
sua scrivania.
“Sieda,
sieda signorina Hathaway!”.
Non
volevo farlo, ma le gambe mi stavano cedendo in preda all’ansia. Maledette
emozioni.
Alzò
gli occhi e mi guardò neutro.
“Ma
guarda, non fiata una mosca. Sarà mica che qualcuno si sia accorta di avere
sbagliato?”.
Sembrava
quasi divertito ed io volevo rispondergli per le rime, ma avrei peggiorato la
situazione.
“Non
ha niente da dire?”.
Presi
un grosso respiro, ripensando all’episodio di Martin, ma appena prima di
emettere un suono incrociai lo sguardo di Nikolai.
Controlla le tue
emozioni. Sentivo la sua voce con l’accento russo nella
testa.
“Niente,
signore. Qualsiasi sia stato il motivo che mi ha portato a fare quello che ho
fatto, ho sbagliato a comportarmi così!”.
Mi
stavo rodendo per dire quelle parole, era stato davvero uno sforzo estenuante, sudavo quasi.
Certo,
quello che non potevo aspettarmi era di lasciare il preside senza parole.
Sembrava incredulo. Volevo quasi sghignazzare per quella scena, ma così avrei
mandato tutto a quel paese.
Sbirciai
verso Nikolai, e lo vidi fissare il vuoto con sguardo fiero. Ciò mi riempì di
ego, conscia di aver fatto la cosa giusta ai suoi occhi.
Thompson
prese a schiarirsi la voce per parlare, ma Nikolai attirò subito la mia
attenzione poiché la sua postura si era irrigidita e si guardava in giro in
allerta.
“C’è
odore di fumo!”
Credevo
scherzasse, ma quasi un secondo dopo lo sentii anch’io. Qualcosa bruciava.
La
porta dell’ufficio si spalancò di forza, mostrando il guardiano Felk, un donna
di circa trenta anni, che in quell’istante ne dimostrava cinquanta, era
fradicia di sudore e affannata, il suo volto pieno terrore.
“Gli
strigoi ci attaccano!”.
E come per completare in bellezza quella notizia agghiacciante, un esplosione seguita poi da un’altra, fecero tremare la terra sotto i nostri piedi.
Buonasera a tutti.
Ho postato il secondo capitolo sperando di accalappiarvi in questa mia storia. Come potrete vedere in seguito, i personaggi sono sempre loro, nei loro caratteri
che ci hanno conquistato. Toccherò le scene più belle dei primi libri della saga e cercherò di farvi innamorare di questa mia creazione.
Sarò lieta di confrontarmi con i vostri giudizi.
Alla prossima.
xoxo
Deba