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Autore: Solitaire    27/12/2008    5 recensioni
nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Roxas, Zexyon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Paradigma

 

Paradigma

 

 

Xigbar è seduto su una parete verticale. Xemnas si è sempre chiesto perché ha l’abitudine di fare così. Il fatto che sia in grado di controllare la gravità a suo piacere non spiega perché lo fa senza praticamente un attimo di tregua. Che differenza fa per lui starsene sul pavimento, piuttosto che sul soffitto o su una parete? La sola spiegazione ottenuta, una volta che ha trovato la voglia di chiedere, è che non si rende conto di farlo. Spiegazione che, se dovesse giudicare, giudicherebbe una solenne scempiaggine. Riesce quasi a credere che il suo vecchio amico non si accorga di invertire il suo asse gravitazionale, ma come fa a non rendersi conto di vedere le cose capovolte? Non che la cosa lo infastidisca o lo sorprenda. E’ solo curioso, ecco tutto.

Xaldin, invece, è immobile come una statua. Xaldin non si disturba a mimare gli atteggiamenti umani se non ne ha la necessità e rapportarsi a un altro nobody non è una necessità.

Anche questa non è una sorpresa.

Fatica a ricordare l’ultima volta che qualcosa lo ha sorpreso.

 

Xemnas si stira sullo stretto parapetto cristallino su cui è disteso e la sua attenzione scivola via, per tornare a qualcosa di diverso dai due uomini che gli fanno compagnia sulla terrazza.

Sopra di lui, a intervalli, la luna fa capolino fra gli squarci di cielo limpido, mentre gli strati di nubi si susseguono.

Immagina che, tra poco, ricomincerà a nevicare. La tregua fra le bufere è durata fin troppo a lungo per la stagione.

 

Dovrebbe ascoltare, non guardare il cielo. Ma ascoltare è una cosa troppo elaborata.

Le parole filtrano nella nebbia del torpore che comincia ad avvolgerlo, lo raggiungono in forme strane e nuove. Singolarmente, può anche riconoscerle. Nell’insieme, formano solo un susseguirsi di suoni privi del benché minimo significato, non troppo diverso del sibilo del vento. Deve fare un faticoso e noioso lavoro di ricostruzione. Catturare le parole, una per una, e combinarle insieme fino a ottenere un senso compiuto da quei suoni.

Eppure, sono cose importanti.

 

“Marluxia… quel dannato ragazzo è già abbastanza una spina nel culo. Adesso ci si mette pure Ienzo a fare il rivoluzionario.”

“E’ solo una congettura, Xaldin. Lo conosci. Da dieci anni a questa parte non fa che montare e smontare ipotesi sulla natura dei Cuori. E’ il gioco preferito suo e di Vexen. Questa è una delle tante. Non arriverà a nulla.”

“Se fosse come le altre volte, Zexion se ne starebbe nel suo studio. Hanno chiesto di allontanarsi. Le altre volte non ci siamo mai divisi.”

“Per anni abbiamo tenuto un insediamento secondario nella Terra del Crepuscolo, anche dopo aver abbandonato quel pianeta.”

“Quello era solo un laboratorio sull’uscio di casa, Xigbar. Qui si parla di una fortezza in un crocevia primario nella rete dei Mondi e Marluxia e Larxene hanno intenzione di trasferircisi con tutta la loro gente. Tu dai un avamposto collegato a mezzo multiverso, un esercito e una flotta in mano a due individui notoriamente ribelli? Ma ti rendi conto di quello che dici? Oppure credi che vogliono soltanto giocare a fare i signori del castello? Finora non si sono mossi solo perché, anche con il sostegno delle loro armate, non hanno mai avuto ragionevoli possibilità di successo. Adesso si stanno presentando loro le condizioni più favorevoli. Un territorio proprio e l’occasione di portare dalla loro parte tutti quelli che possono. Non possiamo permetterci squilibri e Zexion può causare una frattura nella nostra coesione. Quello che afferma è un avallo proprio di quelle tesi che Marluxia non ha mai taciuto. Se Marluxia e Zexion si mettono a lavorare insieme, tutto quello che abbiamo costruito fino a questo momento saranno stati solo anni persi.”

“Non lo faranno.”

“Ma se lo facessero…”

“Ma non lo faranno. Non ora. Non così e non in queste condizioni. Andiamo, te lo vedi Vexen mettere il naso fuori dei suoi laboratori per guidare un gruppo di marmocchi ribelli? Ma se non li può neppure soffrire. Se fosse stato per lui, avremmo dovuto annegarli tutti appena trovati e il sentimento è reciproco. Loro non sopportano lui e, a parte Roxas e forse Luxord, tutti considerano Zexion un bastardo borioso e viziato.”

“C’è Lexaeus. E’ sempre stato il principale sostenitore di Zexion ed è molto rispettato. Lo ascolterebbero. Demyx di sicuro, non aspetta altro. Sappiamo benissimo che lui sta con noi solo perché ha paura di quello che c’è là fuori, ma non è d’accordo con niente.”

“Sai cosa ci si può fare del sostegno di Demyx?”

Anche del sostegno di Demyx. Braig, non sto neppure parlando di uno scontro armato. Potrebbero arrivare a uno scisma, dimezzando effettivamente i nostri contingenti e, una volta chiusi a Oblio, non avremmo l’opportunità materiale per riportarli indietro, se non con un attacco diretto. Superato il muro dimensionale c’è l’oscuramento delle comunicazioni. Per noi non ci sarebbe più modo di controllarli in tempo reale, né di ordinare i movimenti delle forze che stanno con loro. Sarebbero completamente indipendenti. A parte che, se arrivassero ad avere un sufficiente consenso, non avrebbero proprio bisogno di ribellarsi, in nessun modo. A quel punto, loro sarebbero la maggioranza e noi la voce dissidente e le decisioni passerebbero di mano. Non ci vorrebbe neppure molto. Normalmente Luxord non si schiera, ma non ci scommetterei, in un caso simile. Axel è imprevedibile, ma c’è Roxas e dove va Roxas, Axel lo segue. A proposito, vogliamo parlare di Roxas? Se dovessimo arrivare a un confronto, chi credi sceglierebbe, lui? E senza Roxas…”

“Andremmo avanti come abbiamo sempre fatto. Fino a sei mesi fa, Roxas non esisteva. Fino a un anno fa, non sapevamo neppure dei keyblade. Non ci siamo certo seduti ad aspettarli. La loro comparsa è stata un’occasione che abbiamo colto. Se non ci fossero stati, avremmo trovato un altro mezzo. Xaldin, già anni fa abbiamo dovuto affrontare la possibile crisi dovuta al dissenso di Vexen. Non è successo nulla di drammatico e di sicuro non abbiamo discusso di eventuali scissioni né di insurrezioni. Abbiamo messo Vexen a guinzaglio corto, lo abbiamo chiuso nei laboratori e tutto è continuato come al solito.”

“Stavolta non stiamo parlando di Vexen. Parliamo di Zexion e Zexion è un animale a sangue freddo. Lo è sempre stato. Ienzo ha convinto Ansem a proseguire le ricerche sull’Oscurità e il Direttorato a devolvere metà dei fondi annuali destinati alla ricerca a nostro favore. Poi i laboratori sotterranei. Ha compilato i protocolli di sperimentazione su cavie non sempre consenzienti, cavie che sono stati i nostri stessi concittadini. Ha progettato il coro mentale con cui abbiamo bandito Ansem e ci ha convinti a usarlo. Lo ricordi? E questo quando era un ragazzino umano. Secondo te, di cosa potrebbe essere capace, adesso, se volesse?”

“Ci ha convinti… continui a ripeterlo. Io non ricordo che Ienzo ci abbia puntato un’arma alla testa per obbligarci. Lo abbiamo seguito ben più che spontaneamente. Adesso vuoi scaricare la colpa su di lui? E’ stata una scelta, la nostra. Una scelta consapevole. Sapevamo bene cosa stavamo per fare e, a quanto ricordo, anche quello cui potevamo andare incontro. Nessuno di noi, nessuno, è mai stato tanto incapace da avere bisogno che qualcuno gli dicesse che fare. Non saremmo qui, altrimenti. Quello che siamo, lo abbiamo voluto tutti.”

“Non essere melodrammatico, Xigbar. Io non incolpo nessuno per quello che ho fatto, ma non è certo una novità quelle che sono le priorità di Zexion. Se dovesse pesare sulla bilancia tutti noi contro una linea di ricerca che sta seguendo, non ci penserebbe due volte.”

“Stai cercando di convincermi che Zexion è un pericolo, per noi?”

“E’ un pericolo per chiunque si frappone fra lui e un suo obiettivo, Braig.”

 

Ancora Braig. E Ienzo.

Xaldin continua a usare i loro vecchi nomi. Xaldin è astuto. Non usa mai una parola se non intende esattamente usarla.

E’ un modo per riaffermare l’identità con il passato?

Chissà come chiamerebbe lui, allora.

Anche se la confusione che ha contaminato i suoi ultimi mesi di vita umana è svanita da anni, prova ancora disagio a sentirsi chiamare… a sentirsi chiamare con entrambi i nomi, in realtà.

Ma Xaldin è troppo accorto per chiamare anche lui con un nome umano. Uno a scelta, qualunque esso sia.

 

Volta un po’ la testa dall’altro lato e quello che vede è la parete esterna del parapetto, una superficie bianca e levigata che cade in verticale verso la città al di sotto. Ma, a quel punto, tutto è distorto dalla prospettiva dal suo angolo visuale e diventa solo un insieme disordinato di luci.

Rosse e gialle e verdi e blu.

 

“Zexion ci è sempre stato fedele. Probabilmente più di chiunque altro. Dimmi una sola volta in cui ha agito per qualcosa di diverso che l’interessa di tutti noi. ribatte Xigbar.

“E’ fedele alla condizione che gli forniamo, possibilità illimitata di fare ricerca e nessuna restrizione. E’ l’ambiente a lui congeniale e farà di tutto perché continui a essere così, a prescindere da tutto il resto. Se mai questa possibilità gli venisse meno, ci getterebbe via senza esitare un solo secondo. Ti ricordi cos’è successo all’ultimo che ha tentato di mettere Ienzo a guinzaglio corto? Ti sei dimenticato qual è il suo livello di tolleranza alle opposizioni? Vuoi trovarti a condividere l’eternità con Ansem? Scommetto che la dimensione del Nulla è abbastanza grande da ospitarci tutti.”

“Nessuno di noi sei ha mai tollerato limitazioni, in nessuna delle nostre vite. Ienzo e Xehanort sono stati solo quelli che hanno avuto il coraggio di agire. Quelli che hanno fatto ciò che tutti noi volevamo fare. Xaldin, stiamo perdendo di vista la misura delle cose. Te lo ripeto. E’ solo un’ipotesi come tante. Non ha dimostrato nulla e senza prove, riscontri e verifiche Vexen e Lexaeus non faranno niente. Lo stesso Zexion non farebbe niente.”

“Se le fornisse, queste prove?”

“Se le fornisse, allora dovremmo accettarle e accettare la verità.”

“Quale verità?”

“Qualunque essa sia.”

“Ce ne sono tante, di verità. La mia verità, la tua, la verità di Ienzo. Siamo tutti topi in un labirinto, per lui, allora dimmi, Braig, qual è la verità? Il formaggio che vediamo, le pareti del labirinto, il laboratorio, oppure quello che ci aspetta con il bisturi in mano? Oppure il mondo fuori dal laboratorio? Tutto quanto è vero. Come vedi, ci sono strati su strati di verità, uno dopo l’altro. Dobbiamo solo vedere a quale vogliamo fermarci. Credi che a Zexion interessi altro che guardare tutti noi, i Mondi, gli abitanti dei Mondi, correre dietro all’esca che ci agita davanti al naso? Sai perché sostiene il nostro lavoro? Per sperimentare quello che accadrebbe nel caso avessimo successo. Gli può interessare solo fino a quando non trova qualcosa che lo incuriosisce di più.”

 

Le nubi si assottigliano. La luna è una sagoma luminosa, nebbiosa e indistinta.

E’ come guardarla da dietro un vetro. No. E’ come essere sott’acqua e guardare le forme oltre la superficie.

Sott’acqua va bene. E’ come annegare.

 

Xaldin gli rifila una manata a un fianco.

 

“Sveglia, Xemnas. Se sei qui per dormire, tanto vale che ce ne andiamo tutti.”

 

Si scuote. Il bordo della balaustra gli sfrega contro le scapole. Slaccia le braccia che tiene incrociate sotto la testa e le allunga dietro di sé. Le dita incontrano una massa gelida. Ha spazzato via la neve prima di sdraiarsi, ma, intorno a lui, il parapetto è ancora ricoperto di uno spesso cuscino bianco.

Stava davvero per addormentarsi. E’ fin troppo comodo e piacevole stare a fissare il cielo e far finta che il resto non lo riguardi. Non poteva durare a lungo.

Si decide ad alzarsi. C’è una persona in più, con loro, e chissà da quanto è qui. E’ arrivato in silenzio e si è seduto sul cornicione, indifferente alla neve dove è immerso. E’ a così poca distanza da lui e neppure si è accorto della sua presenza. Ma nessuno si accorge di Saïx, se non è lui che lo vuole.

Viene da chissà dove, dal fare chissà cosa. Xemnas non gli ha mai chiesto nulla. Tutti loro, talvolta, si allontanano da soli per soddisfare necessità che non possono condividere con nessuno. Ma sono pochi, forse solo lui stesso, a farne una costante quanto Saïx. Anche se i suoi seguaci non hanno mai osato interrogarlo, molti di loro non nascondono la curiosità. Forse resterebbero sorpresi nel conoscere la risposta.

Nessuno vuole davvero sapere cosa fa Saïx quando li lascia.

 

“State andando avanti così bene da soli… perché adesso chiedete a me?”

“Perché non stiamo giocando e vorremmo anche il tuo parere, Vostra Maestà, Luce di noi tutti.”

 

Non risponde subito. Anche se è abituato a servirsi delle parole come strumenti per ottenere quello che vuole da chi vuole, adesso, qui, sarebbe inutile. I due che lo circondano lo conoscono abbastanza da trovare il significato di ogni sillaba detta e non detta. Potrebbero chiamare ogni suo inganno, quindi inutile cercare di tessere i suoi incantesimi con loro.

Si conoscono da quando sono bambini. Hanno giocato insieme e si sono usati l’un con l’altro. Insieme hanno commesso un parricidio e devastato i Mondi. Si sono uccisi a vicenda. Sono rinati insieme. Finora l’un con l’altro si sono aiutati a sopravvivere.

E’ abbastanza per essere onesti, almeno qualche volta.

 

“State a fare i conti di chi sarebbe con noi e chi con loro, come se ci preparassimo a una guerra civile. E io non escludo per niente questa possibilità, ma vorrei chiedervi una cosa. A che servirebbe, per chiunque di noi?”

 

Nessuno dei due uomini sembra capire il senso di quello che ha detto e Saïx non appare intenzionato a intervenire.

 

“Riformulo la domanda. Secondo voi, perché Marluxia sta progettando una rivolta?”

“Vuole il tuo posto.” afferma Xaldin.

“Non dire cazzate. Fosse questo, mi preoccuperei anche di incartarglielo e infiocchettarglielo, il mio posto. Per quale motivo?”

“Smania di potere?

“Modi diversi per dire la stessa cosa.” brontola Xigbar.

Xemnas lo ignora.

“Potere. Il mio potere, Xaldin?”

“Quale altro?”

“Che potere ho? Il potere su tredici persone sperdute e un imprecisato numero di creature che forse non possiamo più neppure chiamare persone? E’ un grande potere, davvero invidiabile. Il potere di distruggere mondi? Dovrei compiacermene, quando non posso camminare liberamente per le strade di casa mia? Il potere di mettere fine all’esistenza di miliardi di esseri? Ho tutto questo potere e non mi basta per sapere chi sono. La mia vita è solo il ricordo di un passato mutilato. Se Zexion ha ragione, sono ricordi di un altro. Io non ho potere degno di nota e non ho nessun potere che desidero. Hai così poca considerazione di me e di Marluxia, Xaldin? Credi che tutto questo sia una rissa fra i ragazzi del quartiere per decidere chi è il capo? Il potere è solo un mezzo, uno dei tanti e nemmeno quello sempre più efficace. Qualche volta può anche essere un ostacolo. Non c’è ragione per cui non dovrei regalare il trono più alto di tredici a chiunque lo voglia, se fosse in grado di darmi quello che chiedo. Se vuole Oblio, per me può prenderselo e a non darglielo… credete che, in un caso o nell’altro, questo chiuderà la faccenda? Che non ci sarà un’altra occasione, in un altro momento? Marluxia sa quanto me qual è la vera estensione del mio potere e quanto trascurabile sia. Sa bene che, se solo fosse per questo, sarei ben lieto di lasciarglielo. Sa bene che non si tratta di potere. Non questo genere di potere. Non sottovalutatelo.”

“Allora cosa vuole?” domanda Xigbar.

“Non è quello che vuole. E’ quello che è. Vita. La vita si espande, cambia, e non torna mai indietro. La vita non conosce limiti e non avanza a passi prudenti. Travolge. La vita è spietata. Procede per prove ed errori e gli errori li lascia distruggere. Per Marluxia questo è solo un altro passo avanti, solo un’altra occasione, solo un altro cambiamento a cui adattarsi. Vorrà che ce ne siano altri come noi. Vorrà crescere e conquistare qualsiasi spazio libero e farsi strada in quello già occupato. Marluxia non considera la nostra condizione come qualcosa a cui rimediare, ma come un’opportunità da sfruttare e Zexion è come lui. Più cauto, più accorto, meno evidente nei suoi scopi, ma è proprio come lui. Vita e Mente. Che altro potrebbero volere?”

“Va bene, allora cosa facciamo? Chiediamo a Zexion di piantarla di fare il cretino e di tornare al suo lavoro? Sarebbe più facile fermare una valanga con un fischio. E, per amore di precisione, quello che fa è il suo lavoro e il mio e il tuo e quello di tutti noi.”

“E gli altri, Xigbar?” si intromette Xaldin.

“Gli altri?”

“Coloro che non sono stati capaci di mantenere forma e mente. Abbandoniamo anche loro con un ’Grazie di tutto. Ci spiace, ma siete perdite della selezione e non ci servite più’? Noi siamo quelli fortunati. Cosa diremmo a quelli che verranno lasciati indietro? Per ognuno di noi, quante centinaia di loro?”

“Zexion è convinto di poter revertire il loro stato.”

“E tu sei disposto a riorganizzare l’intera umanità sulla base di una convinzione?”

“Una convinzione di Ienzo? Perché no? Una sua convinzione ha rivoluzionato l’universo. Potrebbe rifarlo e, questa volta, a nostro favore.”

“No, Xigbar. E’ troppo drastica, come scelta.”

“Perché si è scoperto?” chiede improvvisamente Saïx.

“Prego?”

“Zexion non si scopre mai. Avrebbe dovuto lasciare che fossero Vexen o Lexaeus a esporre il suo progetto. Sarebbe stato molto più coerente con il suo carattere. Non lo ha fatto. Perché?”

“Dillo, se lo hai capito.”

 

Saïx fissa su Xigbar quello sguardo che fa sempre venire voglia di scappare a trovare un nascondiglio e, se il nascondiglio non c’è, a crearselo scavando nel pavimento. Anche se il pavimento è di acciaio e il solo strumento a disposizione sono le unghie. Anche se il giovane è uno degli individui più pazienti e tranquilli del loro piccolo mondo personale, ma nessuno può sapere dove si piazza la linea di confine della sua tolleranza.

 

“Se ho chiesto, è perché non lo so. Però sono sicuro che ci sia una ragione. Suppongo che siamo molto più vicini al cambiamento di quanto pensiamo e che questo cambiamento, la crisi se preferisci, Xaldin, sia molto più rivoluzionario di quanto noi altri non valutiamo al momento. Zexion è piuttosto metodico nei suoi comportamenti. Non devierebbe da uno dei suoi schemi se non fosse per una ragione che considera estremamente valida. Presumo sia convinto dell’attendibilità della sua ipotesi.

“Quindi, secondo te è in grado di fare quello che dice?”

“No, dico che lui ne è convinto, ma vi ricordo che Zexion può trarre deduzioni perfettamente logiche e ottenere proiezioni di eventi attendibili partendo da un numero infimo di dati. Fa parte delle sue capacità. Quanto a Marluxia, non mi azzarderei a mettere in discussione qualsiasi sua opinione in merito alle condizioni degli esseri viventi.”

“Questo non vi fa pensare che, forse, potrebbero avere ragione?” interviene Xigbar “Fino a questo momento, ci siamo affidati proprio a queste facoltà di Zexion e non abbiamo mai sbagliato. Allora perché, adesso, le mettiamo in dubbio? E’ qualcosa in quello che ci ha detto?”

“Un attimo fa, hai detto che questo è solo un gioco per Zexion. Adesso affermi il contrario. Credi davvero che potrebbe essere nel giusto?” chiede Xaldin.

“No. No, non lo credo, ma questo non è il mio campo, è il suo. Non ho la pretesa di competere con lui. Saïx qui ha detto bene. Se Zexion afferma una cosa simile, è perché la ritiene possibile e, se la ritiene possibile, è perché è in grado di dare una dimostrazione valida. Te lo ripeto. Dobbiamo essere disposti a rivedere e ridiscutere le nostre convinzioni, se escono fuori prove sostanziali.”

“La struttura mentale di Roxas è stata stabilizzata.” mormora Saïx “Di questo abbiamo avuto una documentazione comprovante. O credete che Zexion possa avere falsato i risultati delle sue ricerche?”

“No.” esclama Xigbar “E non contraddirmi, Xaldin. Non lo farebbe. Non quello.”

Saïx guarda gli altri due in attesa di una risposta.

“No, certo che no.” ammette Xaldin.

Xemnas scuote il capo in una negazione.

“Quindi, signori miei, non posso escludere la possibilità che, ad avere tempo, sia in grado di fissare indefinitamente anche la nostra condizione e ricondurre gli altri nobody a uno stato superiore.” prosegue Saïx.

“E sulla base di questo lo lasceresti giocare con le esistenze di tutti noi?”

Un refolo di vento gelido li accarezza. Saïx sorride e scopre i denti acuminati.

“No, Xaldin. Ma non potete pensare che si fermerà spontaneamente. Se ritiene di poter ottenere un risultato di tale portata, continuerà a prescindere da ogni obiezione. Io lo farei, voi lo fareste. Lui lo farà. Se credete che non debba andare avanti, dovrete fermarlo.”

 

Xigbar scende finalmente dalla parete e si avvicina al bordo della terrazza. Xemnas ha il sospetto che prenderebbe volentieri a pugni uno di loro. Uno qualsiasi.

 

“Perciò siamo arrivati a parlare di condanne a morte. Nessuno vuole chiamare la cosa con il suo nome, ma si tratta di questo. Xemnas, loro fanno parte di noi. Fanno parte di coloro per cui facciamo tutto questo. Se non ci saranno più, per chi andremo avanti? La sola cosa che ci resta siamo noi stessi, contro l’universo intero. Se cominciamo a massacrarci fra noi, quanto ci vorrà prima che l’ultimo scompaia?”

“Se lasciamo che si frantumino le ragioni per cui stiamo insieme, quanto dureremo? Se non facciamo nulla, finirà così.” esclama Xaldin.

Xemnas ordina il silenzio con un gesto della mano.

“Quella di Zexion è solo un’ipotesi, vero. A parte noi, per quanti la cosa farà differenza? Avete parlato di spaccature. Guardaci, Xigbar. L’ha già fatto. Solo parlarne ha causato una divisione fra noi, qui. Cosa succederà quando anche gli altri cominceranno a rendersi conto di quello che significano le sue parole, se cominceranno a credere che ha una qualche possibilità di riuscita? Cosa succederà quando non saremmo più noi, ma noi e loro? Chiunque saremo noi e chiunque saranno loro.”

“Xemnas, se non per qualsiasi altra considerazione, ricordati che Zexion è il solo fra noi capace di mandare avanti strategie accettabili. Dieci anni che l’universo cerca di annientarci e siamo ancora qui, in buona parte grazie a lui. Chi altro potrebbe farlo? Io no. Tu sei un sognatore, non ne sei in grado. Saïx? Sicuro, quando è in fase giusta. E quando salta fuori quella sbagliata? Axel, certo. Se siamo fortunati, per un intero giorno. Demyx non voglio neppure considerarlo. Luxord ne sarebbe capace, ma non lo farà. Roxas? Sì, Roxas sì. Tra qualche anno, quando perderà i denti da latte e, a quel punto, sarà un problema quanto Zexion. Quanto a te, Xaldin, non vorrei avere nessun altro a coprirmi le spalle, ma l’idea di dipendere da una tua scelta strategica mi fa accapponare la pelle. Il solo in grado di fare una cosa simile è proprio Marluxia, ma lui è escluso, giusto? Dimentichiamo una cosa. Non siamo soldati. Non lo siamo mai stati. Il nostro posto è in un laboratorio o dietro una cattedra. Arranchiamo per fare qualcosa di cui non sappiamo nulla o quasi, contro gente ben più abile ed esperta, ma non è il nostro mestiere e dieci anni non l’hanno fatto diventare il nostro mestiere. Uno di noi è stato graziato delle capacità di Zexion. Ora vorresti buttare via questa fortuna? E non considero il fatto che lui ha una rete di contatti che si estende in buona parte dei Mondi. Gli infiltrati nei vari governi. Gli agenti dormienti. Queste sono informazioni che Zexion gestisce in esclusiva. Non possiamo sostituirle perché le tiene nel suo cervello e, anche se le conoscessimo, in molti casi la chiave di attivazione può essere comandata solo da lui. Se lo togli di mezzo, fai traballare l’intero nostro sistema ben più di quanto non potrebbero fare Larxene e Marluxia se si arroccassero a Oblio con metà della flotta. Pensa anche alle conseguenze.”

“E’ vero, Xigbar. Zexion non perde nessuna battaglia. Non possiamo permetterci di averlo come avversario. Lui, Vexen e Lexaeus sono tre persone. Tre. Quanti sono tutti gli altri? Noi siamo la causa delle loro condizione, noi dobbiamo farcene carico.”

“Se ha ragione, non abbiamo fatto niente. Ci siamo ritrovati in questo mondo come tutti gli altri, senza più responsabilità di loro per quello che siamo.”

“Adesso chi cerca di giustificarsi?” sibila Xaldin.

“Xigbar…” mormora Saïx.

 

Xigbar guarda con rancore il giovane. Saïx non batte ciglio.

E’ talmente in bilico. Solo qualche centimetro lo separano dall’abisso. Dovesse perdere l’equilibrio, precipiterebbe.

Non si farebbe veramente male. Oppure sì? Nemmeno lui è in grado di sopravvivere a una caduta da quell’altezza e Xemnas non è sicuro che riuscirebbe ad aprire un portale o frenare il volo in tempo.

Basterebbe una piccola spinta, un leggero slittamento della gravità.

Saïx fissa tranquillo Xigbar, con i suoi luminosi occhi di felino che sembrano perforare l’anima.

Il sorriso di Xigbar è quasi un ringhio.

 

“Tu restane fuori, d’accordo, ragazzino? Poi che ci fai, qui? Non dovresti essere a Oblio?”

 

Affari di famiglia.

Xigbar si è sempre fatto un punto d’onore nel tenere insieme la famiglia.

Braig si occupava di loro. Braig ed Aeleus. Badavano che Even si ricordasse di dormire, che Dilan non si ostinasse nel passaggio di qualche formula non risolta, che Xehanort non si nutrisse solo di cioccolato e caffè e sigarette. Che, ogni tanto, andavano a recuperare Ienzo dai suoi computer.

Loro si ricordavano di cibo e bevande e loro spegnevano il televisore quando qualcuno si addormentava sul divano.

Braig li aveva cacciati tutti fuori della sala dell’esperimento ed era rimasto indietro, da solo, per salvare Xehanort con il corpo frantumato dalla pressione incalcolabile dell’Oscurità sorgente che lo aveva trasformato nel suo canale per irrompere nell’Universo. Anche se Xehanort era già perduto.

Xigbar è diverso, ma, in fondo, quello non è cambiato. E’ l’uomo che lo ha tenuto ancorato all’esistenza nei primi, inverosimili giorni della sua nuova vita, quando il Nulla cercava di consumarlo, anche se lui stesso doveva combattere i suoi personali mostri. E’ quello che lo ha seguito per primo, quando ha proposto cosa fare.

E’ ancora lui quello che ride e scherza con i neofiti, come se cercasse di sdrammatizzare la loro situazione e, anche se Xemnas è incline a credere la cosa inutile, capisce la necessità di Xigbar, così simile a quella di Braig, a quella di Lex, di sentirsi responsabile di qualcuno o qualcosa, anche qualcuno che non ha alcun bisogno di protezione o di conforto.

La famiglia non si abbandona e, nel personale sistema di riferimento di Xigbar, c’è una precisa gerarchia di importanza.

La famiglia va protetta e Saïx, in questo momento, è una comoda e accessibile valvola di sfogo. Tanto non reagirà. Non in sua presenza. Non per una cosa simile.

 

“Xigbar, stai perdendo la tua obiettività.” conclude Saïx.

 

Xigbar non replica. Si appoggia alla balaustra e guarda verso il basso, la città spiegata sotto di loro, le propaggini del deserto di ghiaccio all’orizzonte.

 

“Ti ricordi di Ansem?”

 

Non si è rivolto a nessuno in particolare, ma non c’è il minimo dubbio a chi è diretta la domanda.

 

“Dovresti. Era il tuo maledetto padre.”

“Xigbar…”

“Ansem ci ha sventolato di fronte la pena capitale o la ricostruzione mentale se non gli avessimo obbedito, a lui e allo sgorbio che gli teneva il guinzaglio. Morte o castrazione cerebrale per noi e per le nostre famiglie, nel nome di un alieno che pretendeva la nostra fede.”

“Xigbar, piantala.”

“Il prossimo passo quale sarà? Chiudere di nuovo gli universi e gettare via la chiave come voleva quel bastardo? Abbiamo vissuto entro i sentieri di un paradigma, finora. Tu vuoi farlo diventare un dogma.”

“Ti avverto…”

“Ricordati cosa sei, Xemnas!”

“Nessuno. Ecco cosa sono.”

 

Xigbar mi ha tenuto vivo. Ricordalo. Ha tenuto lontana quella cosa che mi cercava inseguiva trovava sempre per divorarmiinghiottirmicancellarmi.

Xigbar ha tenuto lontano il Nulla.

 

“Noi possiamo dire di essercelo voluto, Xigbar, ma gli altri? Che colpa hanno, loro? Non hanno fatto nient’altro che essere i più forti, i più attaccati alla vita, e il compenso è questa specie di incubo in cui si sono trovati. Il riconoscimento per essere sopravvissuti è venire cacciati come animali rabbiosi. Vogliono vivere e hanno una volontà che non ha pari nei Mondi. La tentazione di costruirsi un’esistenza con quello che hanno senza cercare i frammenti di quello che avevano e aggrapparsi alla speranza di quello che potrebbero avere è forte. Possono cominciare a pensare che è meglio accontentarsi, piuttosto che perdere ancora anni per un obiettivo così poco distinto. Puoi biasimarli?”

“Pretendi di far credere di essere addolorato per loro? Proprio adesso?”

“Abbiamo strappato loro mondo e vita e adesso li guardo e vedo solo armi animate da scagliare contro altri mondi e altre vite. Vorrei che mi spiacesse, ma, per quanto posso volerlo, in realtà non mi importa niente, se non quanto possono servirmi per arrivare allo scopo che mi sono prefisso. Non ricordo nemmeno quando per la prima volta ho guardato una persona e tutto quello che ho visto è stato un mezzo, uno strumento o un ostacolo. Ora Zexion mi dice che non ho mai visto il mondo in un altro modo, che quello che ricordo della mia vita non è mai stato mio. Che io sono solo questo mostro capace di cancellare pianeti e usare i superstiti per cancellarne altri e non potrò mai essere diverso. Forse è stato davvero Xehanort a fare tutto, forse siamo stati entrambi, forse nessuno dei due. Non importa. Io ricordo e se non sono stato io, non riesco a trovare la differenza.”

“Zexion si fida delle persone.” mormora Saïx.

“Tu sei ubriaco, ragazzo.” brontola Xigbar.

“E’ una delle sue caratteristiche principali. Zexion si fida della sua capacità di prevedere i loro comportamenti. Inoltre, probabilmente, non riesce a capire altro che la logica più stringente e questo lo porta a escludere comportamenti che non siano strettamente utilitaristici e razionali, quindi prevedibili. Aggiungi le capacità che gli permettono di percepire qualsiasi variazione negli schemi mentali. E’ convinto di essere sempre in grado di anticipare i comportamenti altrui, il che lo porta a fidarsi.”

“Si chiama presunzione, non fiducia.”

“Gli effetti sono uguali.”

“Ma che significa?”

“Che sbaglia. Non può prevedere tutti. C’è una persona del tutto imprevedibile, fra noi.”

“Tu?” chiede Xaldin.

“No, io sono molto prevedibile. Occorre qualcuno il cui modo di agire e comportarsi si basa su una serie di movimenti casuali e illogici. Così sarà invisibile a Zexion.”

“Axel…”

“Axel è intelligente e astuto, ma non ha alcuna prospettiva. I suoi traguardi si piazzano in un futuro molto prossimo. Adesso, oppure domani. Non ha concezione di risultati ottenuti a lungo termine e non è capace di proiettare le sue azioni in un momento posteriore a quello dell’ottenimento del suo obiettivo. Zexion, invece, di ogni cosa valuta innanzi tutto le conseguenze e i flussi di eventi che ne scaturiscono a lungo termine. Architetta i suoi piani su una scala che per Axel è inconcepibile, così come Axel si muove in una sfera di percezione cui Zexion è cieco. Come si dice, l’uno vede gli alberi, l’altro le foreste. Nemmeno Axel stesso sa come agirà fino a quando non agisce. Zexion non può prevederlo, almeno non fino a quando non è così prossimo all’esecuzione degli eventi al punto che sono già effettivamente attuati. Ma Axel è un’arma a doppio taglio. A dargli tempo, finirà per appoggiare Zexion e Marluxia. E’ inevitabile.”

“Perché?”

“Perché hai ragione, Xaldin. Roxas si schiererà con Zexion e Marluxia. Anzi, sono sicuro che sarà proprio lui il tramite tra i due. Quello che permetterà loro di appianare le divergenze.”

“Come fai a dire una cosa simile?”

“E’ scontato. Zexion e Marluxia sono complementari. Anima e Corpo. Manca ancora una cosa e saranno completi.”

“Il Cuore.”

“Roxas.”

“Hai studiato bene.” sibila Xigbar.

 

Saïx abbassa la testa in quello che appare un gesto di sottomissione nei confronti di Xigbar. Solo lui può caricarlo di tale sarcastico scherno.

Saïx è bravo a capire le debolezze. Tutti i predatori sono bravi, in quello. E’ il loro lavoro, dopo tutto. E’ una buona cosa che i millenni di civiltà non abbiano offuscato il suo intuito. E’ quello che serve loro. Per vincere una belva, ne serve una più feroce.

 

“Adesso basta. Potete andare.”

“Xem…”

“No. Andatevene.”

 

Nessuno ribattere più. Xigbar e Xaldin annuiscono e si svaporano nelle ombre. Solo Saïx non si allontana con gli altri, ma per Saïx non valgono le regole che governano tutti loro.

Esiste una curiosa favola, un modo di dire, più che altro, diffuso in così tanti Mondi da essere una di quelle bizzarrie che sembrano replicarsi in ogni dimensione e nessuno sa se si tratta di copie carbone oppure del risultato di un tempo in cui gli universi erano collegati e c’era libero scambio fra essi.

Quelli come Saïx sono i soli ad avere diritto di restare seduti in presenza dei re.

 

Va bene così.

Xemnas non vuole avere intorno i suoi antichi compagni. Li ha ascoltati fin troppo e si chiede quanto le loro parole lo abbiano già influenzato. La responsabilità è solo sua. Almeno questo, lo deve loro. Ma non riesce a estendere la cortesia anche a Saïx. Ha fiducia in lui e si fida soprattutto in questa occasione. Saïx non ha l’abitudine di indulgere nei ricordi e fingere emozioni. Non vuole niente che non sia originale. Soprattutto, non gli importa nulla degli altri.

Xemnas può giustificarsi in questo modo.

 

“Mi odi, Saïx?”

 

Il giovane ha le mani strette insieme, i gomiti appoggiati alle ginocchia e il volto sulle dita intrecciate. Nonostante la scarsità di luce, le sue pupille sono fessure verticali sottilissime, quasi inesistenti. Lo sta osservando con una curiosa espressione.

Attenzione. Può definirla così. Concentrazione, anche. Interesse?

E’ come se stesse assimilando ogni suo gesto.

Xemnas ricorda che, in assenza di luce, nella specie di Saïx le pupille si contraggono comunque come riflesso funzionale di caccia.

 

“No.”

“E’ questa la cosa peggiore. Che non riesci a odiarmi.”

“Noi non odiamo.”

“Ma Xaldin non ha mai perdonato Zexion.”

“La domanda è, più che altro, se siamo in grado di perdonare. Il perdono implica un certo grado di attenuazione nel ricordo di una sofferenza. Un nobody, un essere la cui memoria non sbiadisce, può perdonare quello che considera un torto?”

“Quindi, Xaldin è rimasto intrappolato in un ricordo. Ma questo non basta per sostituire l’odio.”

“No.”

“No. Forse non odiamo, ma possiamo volere. Non dovresti voler stare vicino a me. Non dovresti neppure seguirmi. Di tutti noi, tu sei forse quello che troverebbe meno difficoltà a vivere fuori da qui.”

“Tutti facciamo cose che non dovremmo fare, oppure non facciamo quello che sarebbe più logico. Non hai mai pensato che, forse, ti seguo proprio perché tu mia dia di nuovo la capacità di odiarti e che, quel giorno, ti seguirò per una diversa ragione?”

 

Xemnas si siede sul parapetto, le gambe a penzoloni nel vuoto. Si sporge un po’ per guardare di sotto, il baratro di centinaia di metri che lo separano dalla superficie del pianeta e dalla città.

 

“Non ti sei espresso su cosa fare, Saïx.”

“Ti ho dato il mio consiglio.”

“No. Mi hai detto solo quale sarebbe il modo più efficace di comportarsi, qualunque sia la mia decisione, ma non cosa faresti. Dimmelo adesso. Cosa pensi dovrei fare?”

“Sei tu il re. Tu devi decidere.”

 

giallo blu rosso verde

Un oceano variopinto e ronzante di luci artificiali.

 

“Io sono re solo per caso, solo perché sono stato trovato per strada dall’uomo sbagliato. Avrei potuto essere un contadino. Non hai ascoltato Xigbar? Ha ragione. Sono uno scienziato. Da quando ho memoria non sono mai stato altro, non ho mai voluto essere altro. E sono anche un maledetto topo da biblioteca, se vuoi saperlo. Sono sempre stato persino peggio di Zexion e Vexen. Non ho mai voluto essere un re. Sul mio mondo avevamo confuso le due cose, messo sul trono uno studioso e costui si era dimenticato della sua vera natura per correre dietro al potere terreno. Non sono un re. Sono la scusa della paura di un uomo.”

“E’ tardi per ritirarsi dalla carica, Xemnas. Qualunque cosa sei stato in passato, adesso sei quello che abbiamo.”

 

verde rosso giallo blu

Un oceano dove affogare.

 

“Allora, se sono il tuo re, rispondi alla mia domanda. Te lo ordino.”

 

Saïx inarca delicatamente un sopracciglio azzurro cielo.

Quelli come lui non si alzano in presenza dei re e possono decidere a chi donare la propria amicizia e persino la propria vita, ma non la propria volontà. Quella mai.

 

“Te lo chiedo. Per favore, Saïx.”

 

blu giallo verde rosso  

Basta far cadere leggermente il baricentro oltre il bordo, sporgersi un po’ di più. Oppure alzarsi in piedi e muovere un passo di troppo. O lanciarsi, anche.

 

“Questa volta non ho risposta, Xemnas. Qualunque azione mi sembra, al tempo stesso, la più logica e la più inappropriata. Non riesco a distinguere la strada giusta, ammesso che ci sia una strada giusta, o che ci sia quella sbagliata. Per questo avrai il mio sostegno, qualsiasi cosa sceglierai.”

“Però dovrò scegliere da solo.”

“Tu sei il re.”

 

rosso rosso rosso rosso  

Ci sono tanti modi per cadere.

Li ha già sperimentati tutti, più di una volta. Più di una volta, ha cercato di resistere all’impulso di teletrasportarsi o controllare la caduta. Potersi lasciare andare del tutto, schiantarsi in fondo all’abisso.

Ma non riesce. Non può riuscirci.

 

Non perdere tempo a provarci. Non importa cosa credi di volere. Tu vuoi ancora vivere, nonostante tutto.

 

“Ienzo mi aveva insegnato ad andare a vela, allora, per ricambiare, decisi di insegnargli a sciare. La capitale di Radiant Garden era circondata da montagne splendide e aveva una delle stagioni sciistiche migliori della galassia.”

 

Non ha la più pallida idea se Saïx sappia che significa sciare e neppure se gli stia dando retta. L’importante è che ci sia.

Non racconta a beneficio di Saïx, ma al suo e non è ancora arrivato al punto di parlare da solo, senza uno spettatore che, almeno, faccia finta di ascoltare.

 

“Lo portai nello chalet di Ansem, deciso a non andarmene né a farlo andare via prima che fosse capace perlomeno di fare una pista arrivando in fondo ancora in piedi. Come risultato, io mi fratturai una clavicola e, a quel punto, Ienzo non sapeva cosa fare. Passammo il tempo a guardare film e mangiare cioccolato, elaborare protocolli e sistemare software. Tornammo ancora e, per la fine dell’anno, era capace anche di starmi al passo. Non dovremmo odiare, ma io riesco ancora a odiare Ienzo per quello che ha fatto e a provare rancore per Zexion per quello fatto da Ienzo, e mi stringo a quest’odio e questo rancore perché so che sono sbagliati, che io ho fatto quello che ha fatto lui, di mia scelta, allora odio e rancore sono ingiusti e ipocriti, ma sono le sole cose che mi fanno sentire ancora umano, proprio perché sbagliate, ingiuste e ipocrite. Ma, giorno dopo giorno, odio e rancore mi sfuggono. Giorno dopo giorno, il mio essere nobody diventa sempre più forte, a ogni istante cancella il mio essere umano e se non proverò più nemmeno odio e rancore, sarò davvero perduto. Ma, allora, come posso decidere obiettivamente in questo caso? Come posso anche solo pensare di essere obiettivo? Una vita in comune me lo impedisce. Non sono più l’uomo che ero. Forse non sono più nemmeno un uomo. Non so come tornare indietro.”

 

Saïx contrae lievemente le dita artigliate.

 

“Io…” 

 

Non continua quell’abbozzo di risposta che non è neppure una risposta.

 

Saïx aveva una buona vita.

Anche molti degli altri, ma per un motivo o per l’altro, Saïx aveva qualcosa di più. Aveva tutto quello che voleva e non aveva mai voluto altro.

Aveva una famiglia, gente che amava e lo amava. Che aveva visto morire sotto i suoi occhi. Adesso è il più solo di tutti.

Era un uomo di scienza in un mondo di pace, adesso è l’assassino più feroce dei Mondi.

Aveva amato e coltivato la ragione e la sua ragione è un fragile schermo a barriera di una bestia sanguinaria.

Aveva padroneggiato le leggi delle stelle, ora è schiavo di un satellite.

Era il più sano e adesso è pazzo, lacerato fra la sua volontà di pensiero e la sua natura di belva.

 

Di tutta la rovina di cui è stato causa prima o artefice, questa è quella che non dimentica mai.

Non è logico. Tutte le altre vite spente sono numeri, la misura della progressione verso il suo obiettivo. Passi avanti sul suo cammino.

Saïx è solo uno di tanti.

Non è logico che una sola persona significhi più di interi universi. Non è logico desiderare che Saïx non avesse mai perso il suo mondo, o che fosse morto con esso.

No, non è logico.

Forse è soltanto perché lo conosce e, anche più che per gli esseri completi, per un nobody le emozioni sono attivate dalla familiarità e dall’abitudine.

Non è logico neppure così.

 

“Io ricordo la mia famiglia. Ricordo mia moglie e i miei figli. I miei genitori, i miei amici. Ricordo il mio mondo. Eravamo l’esempio per molti altri mondi. Ci sono tornato. La mia famiglia è scomparsa e la mia gente arranca per sopravvivere su un pianeta che si spegne giorno per giorno. I superstiti vivranno come esuli, se vivranno. Se non decideranno di sparire con il nostro mondo, per non chiedere la compassione di coloro che ci guardavano come guide. Ridammi la capacità di odiarti, Xemnas. Oppure quella di perdonarti.”

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Un grazie a tutti i commentatori per le vostre parole. Stavolta approfitto anche per fare gli auguri a chiunque si troverà a passare da queste parti ^__^

Un po’ in ritardo per Natale, ma teneteli buoni per l’anno nuovo.

 

Giodan: Non so cosa sia un Drow. Se si comporta come Axel, immagino sia qualcosa di estinto.

Io cerco di salvare la dignità di Axel, ma se davvero si dedica al triplo gioco con ricombinazione e scelta multipla che mi prospetti, allora è senza speranza ^O^

Capirei se avesse deciso di voltare faccia e sostenere Xemnas vedendo che le cose andavano male, ma Marluxia va a un filo dal vincere. E’ proprio a causa di Axel che non ci riesce. Quindi, il nostro amico aspetta sino al momento in cui tutto si volge al meglio per i nostri giovani cospiratori. A quel punto, dà time-out, fermi tutti, ci ho ripensato. Faccio vincere l’altro, lo psicotico che mi tratta come un calzino rivoltato.

Così non mi convinci mica tanto della sua brillante intelligenza, sai? ^O^

 

Xion… la conosco e non apparirà. Non mi piace per niente. Con 13 persone, 14 con Naminé, di cui non si sa niente o quasi, devono introdurne una mai nominata prima e che è fatta e sputata uno dei personaggi originali inseriti nelle fanfiction? Poi chiediamocelo. I nobody hanno davvero bisogno di un altro adolescente angosciato, fra loro? Non hanno già patito abbastanza, poveri stellini?

In realtà, non tengo in considerazione tutti gli eventi e i personaggi introdotti in giochi successivi a KH2. Addirittura, mi baso sulle versioni originali, non quelle finalmixate, che detesto abbastanza. Eccetto che lo spazio dato a Zexion e Marly, e le loro voci, naturalmente. Perfette. Se già non avessi un debole per loro, mi basterebbe sentirli pronunciare qualcosa, anche snocciolare gli ingredienti per fare la torta di mele, per squagliarmi come un ghiacciolo di sale al sole ^__^

Quindi, non troverai discorsi angst fra Roxas e Axel sulla torre del crepuscolo, niente Xemnas che dà di matto parlando a una corazza vuota (già parla alla luna e mi pare più che sufficiente), il solo modo per far piangere Axel è metterlo a pelare cipolle, Vexen non ha gli occhi pallati e non è il personaggio comico. E Zexion non ha armi. Adoro il Lexicon. E’ l’arma dei 13 che preferisco e ho tirato un sospiro di sollievo quando ho saputo che era un libro e non una katana, una frusta o chissà che altro. Ma volete mettere di quando è disarmato?

E anche niente Terra, Aqua e Ven, in particolare Ven, la brutta copia di Roxas. Prima mi assassinano il cucciolo in modo brutale, poi ci mettono un personaggio con il suo aspetto. Sì, e quello che conta, cioè lui, dove sta?

Potrei salvare Terra se davvero è Xehanort (una delle ipotesi sentite), ma preferisco far finta che non esistono, anche perché la loro esistenza manda all’aria la già sballatissima cronologia degli eventi. Nove anni prima del gioco, Ansem e i suoi non sapevano niente degli altri mondi e questi erano separati, però, un anno prima, Terra e i suoi amici combattevano le guerre dei keyblade e saltellavano allegramente di mondo in mondo?! Ma che razza di problema ha con la memoria storica, ‘sta gente?

 

Lux: Collaborare con chi ti disprezza è davvero il male! Al momento, non mi viene in mente nessun comportamento più ripugnante. Anche se, per ora, Roxas è stato davvero uno zucchero con tutti. Fa quello che la sua famiglia gli dice di fare perché è un bravo bambino obbediente, ma non è proprio convintissimo. Gli esseri umani non gli hanno fatto ancora nulla di male e lui fondamentalmente agisce solo spinto dall’opportunismo. Il che vuol dire che può essere la persona più innocua del mondo o l’esatto contrario. Il momento che si convince davvero che la sola esistenza degli esseri con un cuore è un pericolo… E Roxas subisce per mano loro cose orribili. E’ solo perché il gioco è un prodotto Disney per bambini, dove su certi particolari si glissa alla grande. Eppure quello che gli viene fatto è già abbastanza da avere raggelato me. Fosse stato in versione realistica, chissà cosa sarebbe saltato fuori. Gli esseri umani non sono famosi per il riguardo con cui trattano i nemici finiti nelle loro mani e DiZ odia realmente i nobody. Quanto a Riku… beh, lui sarebbe felicissimo. Ne approfitterebbe per fare qualcosa di orripilante e poter poi rimestare nel calderone della sua compiaciuta autodenigrazione e sentirsi adeguatamente mostruoso. Ti ricorda nessuno? ^O^

C’è da dire che, per come è impostato il tutto, non credo nella possibilità di una coesistenza pacifica nobody–umani. Se le parole e il comportamento di Riku lasciano qualche speranza, i commenti di Sora & c. spazzano via i dubbi. Gli esseri completi sono intolleranti e dogmatici. I nobody spietati, decisi e bellicosi. Come mettere l’inquisizione a confronto con gli spartani.

Non sono neanche sicura di chi ha cominciato le ostilità. Nel gioco, da che ricordo, fino a un punto molto avanzato della storia i 13 si limitavano a raccogliere i cuori, ma non spingevano deliberatamente gli heartless a invadere i mondi. Re, saggi e Sora erano decisi a distruggerli da prima.

E’ ovvio che se nell’universo di KH sono i cuori a servire da sistema di riferimento per definire l’esistenza, i nobody sono fregati. Probabilmente Riku è più possibilista perché lui stesso è in una situazione alquanto ambigua, o perché se c’è una cosa che distingue i buoni dai cattivi, è che i cattivi sono di mente molto più aperta. Ma non escludo un po’ di comprensibile paura. Forse ha pensato bene che, a proposito di chi ha fatto casini nei mondi, qualcuno si sarebbe ricordato di lui ^__^

 

Molto felice che ti piacciano i fiori. Anch’io adoro le piante. Ti faccio avere un vaso pieno di quelle di Marluxia? ^O^

 

Chris: Lo ammetto. Io stessa sono stata molto in dubbio se inserire questo capitolo. E’ davvero incasinato.

Però da troppo tempo i 13 facevano la figura di balie e avevo un folle e disperato bisogno di uccidere. Poi da tanto non descrivevo un pianeta alieno e qualche bel fenomeno naturale. Ok, adesso sembro posseduta da Saïx e dallo spirito del National Geographic ^O^

Vedo però che il casino non mi è riuscito tanto bene. Dubbi o no, hai capito tutto. Il mondo dove c’è Oblio è lo stesso dove vaga Roxas tra un ricordo e l’altro (i ricordi vanno più o meno in retromarcia. Si comincia dal più recente e termina con il più vecchio, salvo un’eccezione di scarsa importanza) ed è il mondo con i tre soli e anche quello dove Marluxia ha liberato i suoi fiori qualche capitolo fa.

Perché tre soli? Inventato di sana pianta. Non mi pare che il mondo di Oblio abbia tre soli. Forse non ha neppure ‘un’ sole. In realtà, sono convinta che i mondi del gioco e le loro caratteristiche siano da intendere in senso più o meno simbolico. Solo che mi fa male pensare a qualcosa così poco realistico. Devo inquadrare il tutto in un giusto contesto ambientale e ‘questa cosa rappresenta l’oscurità insita in tutti noi’ non è un giusto contesto ambientale ^__^

Quindi trasformo il tutto in veri pianeti e dimensioni, con quello che ne consegue. Ok, dunque, il pianeta di Oblio è davvero un mondo crepuscolare, proprio come Twilight Town, e ci sono fulmini da tutte le parti. Bene, per… Crepuscopoli (ma chi ha fatto la traduzione italiana del gioco?! Paperino?), uso l’ambiente più classico per questi casi. Ma qui volevo fare qualcosa di diverso.

 

Sapevo che ti sarebbe piaciuto il pezzo ‘domestico’ con Luxord ^O^

Ho questa buffa idea che i 13, fra loro, non fossero per niente violenti come li fanno apparire spesso. Sono troppo bene armati per natura, oltre a essere interdipendenti. Non durerebbero un’ora. Poi da dove salterebbe fuori tutta quell’irrazionale ferocia?

Mi sono pure fatta l’idea che Roxas fosse un bambino spaventosamente viziato, almeno nel modo con cui può essere viziato un nobody.

 

Lietissima che ti piaccia Larxene. Avevo proprio voglia di ritirarla fuori. E’ uno dei miei personaggi preferiti e fa davvero onore al genere femminile, senza niente della dolente e fragile bamboletta da soccorrere. Mi piace così tanto che lei e Marluxia sono una delle pochissime coppie virtuali di cui sono fan. Anche non ho proprio intenzione di convincere nessuno che sia una coppia canon ^__^

All’opposto, più scrivo di Naminé, più mi rendo conto di che razza di orribile persona sia. Le ho dato del drago. Le è andata ancora bene.

La sola cosa che me la fa sopportare è che, proprio a causa di quello che fa, finirà fregata nei suoi obiettivi stragisti. Sì, è uno spoiler ^O^

 

 

  
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