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Autore: ranyare    24/04/2015    4 recensioni
"It's everything you wanted, it's everything you don't
It's one door swinging open and one door swinging closed
Some prayers find an answer, some prayers never know
We're holding on and letting go
"
Ben e Ray vivono nella loro adorata Londra, finalmente sereni. Lei studia per diventare un poliziotto, lui si sta affermando ad ogni ruolo di più come l'attore fantastico che è. Eppure, in un piovoso pomeriggio di metà estate, un passato che non ha più intenzione di essere ignorato bussa alla loro porta, ricordando ad entrambi che è impossibile fuggire da ciò che ci ha reso ciò che siamo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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base capitoli HOLG
Holding on and letting go

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[Ben]

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-Non mi hai mai parlato di lui.-

-E mi sto chiedendo anch'io il perché.- sospira, alzandosi in piedi per sgranchirsi le giunture ed avvicinandosi alla finestra che dà sulla strada, scostando delicatamente le tende.

-Anthony non c'è più, Ben.- mormora, piano. Nella sua voce riesco ad avvertire una tristezza profonda, radicata, eppure quieta e remissiva allo stesso tempo: è la voce di chi ha accettato un lutto, di chi è sceso a patti con la perdita, di chi ha imparato a guardare al di là della sofferenza.

Tuttavia io non sono in grado di guardarla e di sentirla così standomene fermo dove sono. Mi alzo e la raggiungo, abbracciandola e appoggiando il mento sulla sua spalla, intrecciando le mani sul suo ventre; lei sorride, chiudendo gli occhi, e il suo corpo si rilassa contro il mio.

-Fu un'estate spettacolare, quella. Anthony era meraviglioso e io mi sentivo amata, mi sentivo bene, per la prima volta nella mia vita potevo scoprire me stessa e raggiungere i miei traguardi. Non avevo mai potuto farlo, prima...- mi racconta, piano, come se i ricordi di quell'estate ormai sfumata siano qualcosa di cui parlare sottovoce con la paura che possano scivolare via fra le dita, come acqua.

-Mi convinse a dare gli esami per finire il liceo, mi aiutò a trasferirmi in una stanza in affitto molto più carina... Era un bravo ragazzo e ci volevamo bene, davvero.-

Non fatico a crederle nemmeno per un secondo: il modo in cui parla di lui è troppo denso di tenerezza e di amore per farmi dubitare del sentimento che ha provato nei confronti di quel ragazzo.

-Era più grande di me e anche di Will, e decise di prendersi un anno sabbatico dal college per rimanere a New York a lavorare... per rimanere con me.- aggiunge e, sulle sue labbra, si disegna un sorriso sincero ma imbarazzato.

Lui la amava.

Di questo non posso che essere certo: il modo in cui Ray mi parla di lui, di ciò che l'ha aiutata a realizzare per se stessa, di come le donasse serenità e sicurezza in se stessa, tutto questo mi urla a gran voce il sentimento che Anthony provava per lei.

Sarebbe sciocco essere gelosi, adesso, per di più di una persona che non c'è più. No, io non sono geloso, perché – anche se non l'ho mai incontrato e non potrò mai farlo – ammiro e rispetto quel ragazzo per un semplice motivo: ha amato, protetto e rispettato Ray come lei meritava e meriterà sempre.

-Eri felice.- constato, abbassando la testa per appoggiare la fronte alla sua spalla. Ray annuisce.

-Con lui e con Will mi sentivo finalmente... a casa.-

A casa.

Quanto devono aver significato William ed Anthony per quella Ray più giovane, più fragile, più sola, per farle ammettere una cosa del genere?

Ray dice sempre che “casa è dove ti senti amato e al sicuro” ed io ho imparato a capire il significato di questa frase solamente quando ho rischiato di perderla, durante il coma, trascorrendo ogni giorno accanto a quel letto a pregare perché si svegliasse e tornasse da me. In quel periodo orribile ho compreso quanto la casa non sia un luogo fisico, un edificio o parte di esso, ma le persone da cui sai di poter tornare...

La stringo più forte, sentendo il cuore martellarmi il petto quando i pensieri tornano a quei mesi maledetti e la paura, l'angoscia e l'impotenza si riaffacciano per un istante sulla soglia della mia anima.

Io ho rischiato di perderla e, lo so, sarei sicuramente impazzito se fosse successo. Mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere al dolore di aver perso Anthony...

Solo dopo quella che mi sembra un'eternità Ray parla di nuovo, con un tono pacato e tranquillo che riesce a scacciare la mia inquietudine.

-Poi Will terminò il suo corso e dovette partire per la Nuova Zelanda.-
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Stringo convulsamente a me questo stupido bambolotto biondo, afferrandolo poi per le spalle per tirarmelo su di dosso e guardarlo in faccia, ansiosa.

-Stai attento, c'è freddo in Nuova Zelanda in questo periodo, e se poi il tuo co-protagonista è più bravo di te? Non fargli male, nessuno può essere più bravo di te, ti ho addestrato io!- blatero. Lo so che sto blaterando, ne sono conscia!

Will mi prende le mani, spazientito, stringendosele sul petto.

-Ray, puoi farmi il piacere di prendere fiato?- mi chiede, esasperato, ma io scuoto la testa e mi butto di nuovo contro il suo petto, stringendolo fra le braccia come se, così facendo, potessi davvero impedirgli di salire su quel maledetto aereo.

-Non voglio che tu vada via. Sul serio.- brontolo, e lo sento ridere sommessamente mentre mi accarezza i capelli. -Mi mancherai troppo, non è giusto. Voglio venire con te.-

-Ray.- sospira, prendendomi il viso fra le mani e costringendomi a guardarlo negli occhi. Il modo in cui Will dice il mio nome ha sempre un effetto calmante, su di me. Dovrei provare a brevettarlo.

-Ho comprato un telefono satellitare apposta.- mi ricorda, inarcando un sopracciglio ed accennando un sorriso. -Sarà come se fossi sempre qui con te, d'accordo?- mi rassicura, alzando poi la testa per baciarmi sulla fronte. Io tremo e sento gli occhi pizzicare tanto violentemente da costringermi ad abbracciarlo di nuovo per nascondere le lacrime.

Non so se posso farcela a stare senza di lui.

-E poi tu devi tenermi aggiornato su tutto. Da quando hai una vita sessuale attiva e soddisfacente sei molto più simpat__ahi!-

In fondo, credo che starò benissimo senza di lui.

-Stupido Ken.-

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-Ecco a chi telefonava sempre.- realizzo, spostando lo sguardo da lei alle strade umide ed afose di Londra, smarrito nei ricordi.

Rammento che Will passava anche tre quarti d'ora alla volta attaccato quel maledetto telefono satellitare, durante le riprese di Prince Caspian, e rammento anche che, allora, avevo creduto che avesse una compagna oltreoceano o una mamma particolarmente apprensiva... ma, di certo, non avrei mai potuto immaginare quanto le mie supposizioni potessero avvicinarsi alla realtà.

-Eri tu... sei sempre stata tu.- soffio, scuotendo piano la testa. Il ricordo di tutte le volte in cui Will mi passava accanto, parlottando fitto in quel cellulare, mi attraversa la mente: è strano pensare a quanta poca distanza Ray fosse da me in quei momenti...

-Già.- annuisce di nuovo, accennando un sorriso e voltandosi per lasciare un rapido bacio sulle mie labbra, socchiudendo poi gli occhi e, dopo un istante, serrando la mascella. -Will mancò solo una telefonata. La più importante di tutte.-
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-Dannazione, Will.- sbotto, pigiando con furia i tasti del cellulare e ficcandomelo in tasca, esasperata.

-Signorina?- mi sento chiamare e, di scatto, balzo in piedi quando l'infermiera che si è rivolta a me apre la porta della stanza d'ospedale davanti a cui sto marcendo nel terrore da almeno due ore. -Ora può entrare.- mi invita ed io, sfregandomi velocemente una manica sulle guance per cancellare le lacrime, mi fiondo letteralmente dentro.

-Anthony!-

La voce mi esce più strozzata e stridula di quanto, in realtà, vorrei che suonasse: vorrei sembrare salda sui miei piedi, sicura di me, ottimista, ma vedere Anthony sdraiato su questo letto, pallido come un cencio e pieno di lividi, tagli e con un braccio ingessato...

Crollo come una cogliona sulla sedia accanto al suo letto, con gli occhi pieni di lacrime e, probabilmente, un'espressione terrorizzata e sconvolta dipinta in faccia.

Lui però sorride, perché è più forte di me, e allunga una mano per prendere la mia: è l'unica cosa concreta, la sua stretta, l'unica certezza che ho – quella e i suoi bellissimi occhi azzurri, stanchi e cerchiati dalle occhiaie, che mi raggiungono e mi restituiscono il respiro che solo ora mi rendo conto di aver trattenuto da quando mi ha chiamato Jetta, disperata, per dirmi cos'era successo.

-Ehi, ragazzina.- mi saluta, ed io sbuffo un qualcosa che, in un altro momento, potrebbe essere l'inizio di una risata. -Tranquilla. Sto bene.- mi rassicura, e forse è proprio la sua pacatezza e la sicurezza che emana – come sempre – a farmi andare completamente fuori di testa.

-Stupido, stupido, stupido!- sibilo, e capisco di aver perso la mia battaglia contro il pianto quando sento le lacrime rotolarmi lungo gli zigomi. Stringo forte la sua mano e lui ricambia la stretta, mentre io serro gli occhi e, sconfitta, mi lascio prendere dall'isterismo.

-Non osare mai più farmi uno scherzo del genere, dannato imbecille!-

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-Che incidente stupido...- mormora Ray, socchiudendo le palpebre e scuotendo la testa: ha le labbra piegate in una smorfia terribile, forzata, come se la sua bocca contratta fosse l'unico fermo per non lasciar cadere a pezzi tutto ciò che ha fatto per superare quel momento.

Vorrei fermarla, vorrei dirle che non è necessario rivivere tutto, vorrei proteggerla dal ricordo di quel dolore che si sta affacciando dentro di lei dopo tanti anni di silenzio... eppure taccio, perché so che è la cosa giusta da fare per lei.

-Un tizio non gli aveva dato la precedenza e lo aveva investito. Anthony aveva appena preso quella moto...- pigola, piano, e improvvisamente si volta e affonda il viso sul mio torace, stringendo fra i pugni la stoffa della mia maglietta.

La racchiudo nel mio abbraccio e la tengo qui, stretta, premendo una guancia contro i suoi capelli e sentendomi lacerare da ogni lacrima che avverto bagnarmi il petto, pregando di riuscire ad essere abbastanza forte per darle la possibilità di lasciar andare tutto il dolore che ha serbato nel cuore fino ad ora.
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-Ray...-

Mi sveglio bruscamente e di botto quando la voce sofferente di Anthony mi trapassa le orecchie e l'anima, strappandomi al sonno.

-Ehi...- comincio, alzando gli occhi e accendendo la plafoniera sopra il letto, sfregandomi gli occhi cisposi e stanchi. Ho dormito per... quanto? Jetta è andata via dopo cena, io però sono rimasta, e... e quello che vedo mi fa sgranare gli occhi e mi riempie di terrore.

È più pallido di prima. Ha gli occhi sbarrati e le labbra esangui, mentre un rivolo scarlatto gli scende lungo la mascella.

No.

Scatto come una molla verso la porta, tirando un pugno all'interruttore per le emergenze.

-Sta male! Venite subito!- ruggisco alle prime due infermiere che vedo, tornando poi di corsa accanto ad Anthony. Rantola, non riesce a respirare, e mi afferra le mani che tendo istintivamente verso di lui, stringendole spasmodicamente al petto.

-No, no... va tutto bene, andrà tutto bene...- balbetto, cercando di rassicurarlo, cercando di sorridergli e vorrei poter fare qualcosa, vorrei non vedere quegli occhi affogare nella sofferenza e nel terrore.

-Ray...- mi chiama, ed io libero a fatica una mano dalla sua stretta per accarezzargli la fronte, scostando i suoi splendidi capelli neri perché voglio ricordare il suo bellissimo volto, i suoi lineamenti, la consistenza della sua pelle, perché lo so cosa sta per succedere e voglio solo che lui veda che non ho paura, che non soffra anche per me, che io sono qui e che non è da solo, che non deve affrontarlo da solo.

Gli sorrido di nuovo e lui capisce tutto, lo so che anche lui ha capito, e mi tira vicino a sé per sussurrare una parola al mio orecchio.

-Sopravvivi.-

Vorrei dirgli quanto lo amo, vorrei dirgli di non andare via, di resistere, ma non ci riesco.

Voglio solo che non abbia paura. Voglio solo essere io, per quest'unica volta, ad essere forte per lui, a sostenerlo, a scacciare tutto il dolore che riesco a vedere aggrumato sul fondo del suo sguardo spiritato.

Annuisco, gli accarezzo una guancia, gli rivolgo un sorriso che spero sia pieno d'amore, e poi qualcuno mi strattona e mi strappa da lui.

-Signorina, vada fuori!- mi ordinano, ma non li sento. Rimango lì dove sono andata a finire, ai piedi del letto, sentendomi lacerare dai suoi occhi che hanno seguito i miei e che io non lascerò andare per niente al mondo, fino alla fine.

-Ha i polmoni pieni di sangue.-

-Non riesco a intubare, ha le vie respiratorie completamente ostruite.-

-Dobbiamo farlo respirare!-

-Il cuore si sta fermando!-

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-Il medico dichiarò il decesso alle 6 e 42 del mattino del quattro marzo.-
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Al decimo squillo a vuoto del sesto tentativo fallito spengo tutto e abbandono il telefono satellitare sulla sedia di fianco alla mia, ricacciando indietro le lacrime in quel vuoto orrendo che mi si è spalancato dentro.

Will non mi ha risposto.

Anthony non c'è più.

-Ray!-

La voce spaventata di Jetta, che ho chiamato nel momento in cui un velo bianco ha nascosto il volto di Anthony e un'infermiera robusta mi ha trascinata fuori da quella stanza, risuona nel corridoio buio e vuoto dell'ospedale.

Anthony non c'è più.

Alzo lo sguardo, vedendola correre verso di me, e vorrei non avere le mani macchiate dal sangue del nipote che ha appena perduto quando mi crolla fra le braccia, scoppiando in un pianto disperato.

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-Una deformazione della costola rotta ha perforato un polmone.- spiega la voce dispiaciuta di un medico, più tardi.

Come ci sono arrivata qui? Non mi ricordo di essermi spostata da quel corridoio.

-Dalle lastre e dalla TAC questa deformazione non__-

-Siete degli incompetenti!- esplode Jetta, balzando in piedi, ma io resto dove sono. A cosa serve arrabbiarsi? Anthony non c'è più.

-Mio nipote è morto per colpa vostra!-

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-Ray...-

Vorrei dirle che mi dispiace di essermi incrinato una costola, vorrei dirle che non mi perdonerò mai di averle fatto provare per colpa mia una parte di quella sofferenza, vorrei dirle mille cose ma non riesco a fare altro che stringerla più forte quando lei si abbandona contro di me, come una marionetta a cui abbiano tagliato i fili.

-Va tutto bene.- mi rassicura ma io so che non è vero, la conosco troppo bene, non può andare tutto bene e l'espressione straziata del suo viso non ne è che la conferma. -È passato tanto tempo...- aggiunge, ma il tempo non è stato abbastanza e credo che non lo sarà mai: una parte di lei soffrirà sempre questo lutto e non c'è nulla che io possa fare se non essere qui, in questo momento, offrendole le mie spalle per portare, assieme a lei, questo peso terribile.

La cullo fra le mie braccia a lungo, in silenzio, finché Ray non si rianima un poco e alza le mani per aggrapparsi alle mie spalle, sforzandosi di alzare la testa per appoggiarsi alla mia clavicola.

-Lui mi aveva chiesto di sopravvivere, e io cercai di farlo.-
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-Signorina?-

Balzo indietro quando un'infermiera che forse ho già visto mi si avvicina, provando a sorridermi.

-Non mi tocchi.- riesco a dire, abbassando lo sguardo e stringendomi le braccia sulle spalle, sperando che il gelo che sale da quella voragine che mi ha squarciata da parte a parte mi avvolga e mi porti via.

L'infermiera si ritrae, comprensiva, ma non riesco ad essergliene grata.

-Posso chiamarle qualcuno?- mi domanda, quindi.

Può?

-No.-

Dal fondo del corridoio vedo arrivare Jetta, esausta e con gli occhi gonfi.

-Ray...- mi chiama, ma non prova a toccarmi anche lei e ne sono sollevata. Forse dovrei abbracciarla, forse dovrei essere più forte, ma non ce la faccio. Non posso tollerare di sentire il calore di un qualsiasi corpo umano quando quello di Anthony è diventato freddo, immobile, spento.

-Io... puoi darmi le chiavi della palestra?- le domando, quindi, e Jetta comprende e s'infila una mano in tasca per recuperarle, lasciandole poi cadere sul mio palmo aperto.

La ringrazio e me ne vado, camminando spedita lungo le strade sempre caotiche di New York, senza accorgermi del Sole che sta lentamente facendo capolino per annunciare un nuovo giorno di cui, a me, non importa proprio un accidente.

Passo tutto il giorno in palestra, allenando gli allievi di Jetta con una freddezza che li sorprende ma che, intimoriti dalla pesantezza dei colpi che sferro, li scoraggia a farmi domande.

Non penso a niente se non alla meccanica della scherma, agli schiocchi dell'acciaio che coprono i suoni della notte che è appena passata, ed è solo quando arriva sera e tutti se ne vanno che, dopo essermi lavata via di dosso il sudore e la stanchezza, mi ritiro nell'ufficio di Jetta, dove riaccendo finalmente il telefono. Il primo messaggio che ascolto è quello che mi ha lasciato Jetta.

-“Ray, sono Jetta... prenditi tutto il tempo che vuoi, io non... non verrò a lavorare per un po'.”-

Annuisco, come se lei fosse qui, e lo cancello, passando al successivo.

-“Ray, sono Will. Avevo lasciato il cellulare in roulotte, ero fuori con Angel! Dovresti proprio conoscerla, sono sicuro che ti piacerebbe. Chiamami quando vuoi!”-

L'odio che mi travolge è più di quanto io ne abbia mai provato in tutta la mia vita.

È più forte di quello che ho provato nei confronti dei miei genitori, è più forte della solitudine che mi ha divorata, è più forte di me: per un istante provo la magnifica illusione che abbia riempito il baratro che sento spalancato nel petto... ma, dopo qualche secondo, anche quello viene risucchiato nel nulla, nel buio – nel niente, lasciandomi soltanto ancora più esausta, ancora più vuota.

Spengo il telefono e lo butto sul tavolino di vetro, sdraiandomi sul divano con gli occhi spalancati che fissano il soffitto.

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-Quei giorni furono molto confusi, per me.-

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Sono passati diversi giorni, ma non saprei dire quanti. Ho semplicemente lasciato che tutto continuasse così com'è: al mattino esco, vengo qui in palestra, e alla sera torno a casa a dormire, troppo stanca anche soltanto per pensare.

-Ray?-

La voce che mi chiama non mi distrae dal duello che sto sostenendo. Lancio solo un'occhiata alla porta, riconoscendo Jetta sulla soglia.

-Jetta. Solo un attimo...- le chiedo, lanciandomi poi con violenza contro il mio avversario e allievo, spaccando a metà la sua difesa e colpendolo allo stomaco con il pomolo della mia spada, facendogli perdere la presa sulla sua.

-Ehi!- esala, senza fiato, mentre l'arma cade a terra.

-Tu non hai bisogno di lezioni, hai bisogno di un miracolo.- commento, inespressiva, abbassando la mia lama e dirigendomi verso Jetta. Questo però è un coglione egocentrico e continua a sbraitare, ignaro di quanto le sue parole non mi sfiorino nemmeno.

-Ciao, Jetta. Come stai?- saluto, raggiungendo la mia insegnante. Lei mi sorride, debolmente, lanciando uno sguardo che abbraccia l'intera palestra, piena di studenti.

-Non era necessario che tu continuassi a lavorare in questi giorni...- mi dice, ma io scuoto la testa.

-Quel poveraccio, là, ha bisogno di lezioni supplementari.- commento, accennando con la testa al povero demente che sta ancora blaterando improperi nei miei confronti. -Avevi bisogno di me?- le domando, poi.

-Ci sono delle persone che vogliono vederti.-

-Chi?-

-I genitori di Anthony.-

Impallidisco di botto e, per la prima volta, qualcosa di diverso dall'inerzia si smuove dentro di me; scuoto immediatamente la testa, cercando di scacciare quella sensazione che non voglio, allontanandomi di un passo da Jetta.

-No, io... davvero, non è il caso...- mormoro, debolmente, ma quando mi volto vedo due persone a pochi metri da me e riconosco all'istante, negli occhi azzurri dell'uomo e nella bellezza incredibile della donna al suo fianco, ciò che speravo di poter evitare.

No. Non vi voglio vedere. Andate via.

-Salve...- sussurro, con gli occhi sgranati, quando loro mi si avvicinano. Non ce la faccio a guardarli in faccia per più di due secondi: abbasso lo sguardo sul pavimento, stringendo con più forza l'elsa della spada.

-Tu sei Ray?- mi chiede la voce dolce della donna ed io annuisco bruscamente, incassando involontariamente la testa nelle spalle. -Mio figlio mi aveva parlato tanto di te...- aggiunge, ma io non posso affrontare il suo lutto e nemmeno il mio, non posso lasciare che la tenerezza e la compassione, che sento nelle sue parole, mi tocchino.

-Signora, io... non so dirle quanto mi dispiace, non...- balbetto, sentendomi una stupida: che cosa si può dire a due genitori che hanno perduto il loro unico figlio?

Forse è questo pensiero che mi spinge a sforzarmi, ad alzare lo sguardo per rivolgere ai signori Flores la prima ed unica espressione sofferente che mi permetto di lasciar andare da quando è successo.

-Vi porgo le mie condoglianze...- mi sento patetica e forse lo sono, ma la bella signora mi sorride con un amore incredibile – troppo, probabilmente, perché io possa accettarlo.

-Gli volevi bene anche tu, piccola.-

No. Non chiamatemi così. Andatevene. Lasciatemi sola.

Sento che potrei spezzarmi a metà, adesso, davanti a due persone che hanno tanto amato Anthony, e vorrei dire loro quanto meraviglioso fosse l'uomo che avevano cresciuto, quanto anche io lo amassi dal profondo del cuore, quanto la consapevolezza che lui non ci sia più mi abbia completamente annientata.

-Non è... non c'è paragone, io... l-lui parlava tanto di voi, voleva...-

Ma non posso. Non posso permettermi questo. Non posso spezzarmi, Anthony mi ha chiesto di sopravvivere.

Scuoto violentemente la testa, lanciando un'occhiata fredda all'interno della palestra.

-Mi spiace ma devo tornare al lavoro, hanno bisogno di me.- mi scuso, trincerandomi dietro una freddezza che, per fortuna, non sembra ferire o stupire nessuno dei tre adulti che ho intorno.

-Solo un istante, Ray.- mi implora questa donna di cui non so nemmeno il nome, e io sento i piedi inchiodarsi qui dove sono: non riesco a muovermi, a fuggire, quando lei mi porge un piccolo cartoncino bianco con una mano curata e tremante. -Se tu avessi bisogno, per qualunque cosa... questo è il mio numero.-

Afferro il biglietto e me lo stringo al petto, senza riuscire a guardarlo.

-Io... grazie.- biascico, e finalmente il mio corpo risponde alle mie suppliche e si muove, ritraendosi da queste persone di cui non riesco a tollerare la presenza. -Devo andare.- ripeto, e finalmente posso dare loro le spalle e allontanarmi da qui.

Faccio però in tempo a sentire la voce dell'uomo, che parla per la prima volta e che mi pugnala proprio lì, alle spalle, in mezzo alle scapole, perché ha la stessa identica cadenza di quella di suo figlio.

-Jetta... quella ragazza ha qualcuno da cui andare?-

-Purtroppo no.-

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-Non la chiamai.- non mi sorprende, a dire il vero: Ray è schiva, ritrosa e ombrosa come il più puro dei cavalli arabi.

-Non chiamai nessuno, a dire il vero... quando Jetta tornò a lavorare, dopo il funerale, ricominciai tutto come se non fosse successo niente. Diedi gli ultimi esami e presi il diploma a pieni voti, continuai a lavorare per pagarmi dove vivere... la mia vita si era ridotta a quella routine che mi teneva la testa impegnata.-

Ray continua a parlare ed io riesco quasi a vederla, in questo momento, quella ragazza smagrita e pallida con gli occhi spenti che cammina lungo le strade di New York.

-Will tentò di chiamarmi tante volte, ma io buttai via il telefono. Ero arrabbiata con lui e con il mondo intero, mi sentivo sola e...- la sua voce muore in un borbottio confuso, imbarazzato.

Mi ricordo quel periodo, mi ricordo la frustrazione di Will: e rammento di essere andato a recuperarlo assieme ad Angel, una sera, perché per sfogare la rabbia e la preoccupazione aveva esagerato con i superalcolici e si era buttato in una zuffa, guadagnandosi un occhio nero che aveva fatto quasi saltare le coronarie allo staff dei truccatori.

È proprio perché ho visto William macerarsi nell'angoscia che non mi sorprende troppo quello che Ray, passandosi una mano fra i riccioli, mi dice un istante più tardi: dopotutto, questi due si sono sempre assomigliati anche nel modo di affrontare le preoccupazioni.

-Quando non riuscivo a ignorare tutto uscivo e bevevo. Non troppo, non ho mai esagerato, ma... era più facile non pensare.-

-William era disperato.- mormoro, continuando inconsciamente ad accarezzarle i capelli. -Ha gettato il telefono nel fiume, ad un certo punto.- aggiungo, e lei mi risponde con uno sbuffo che è a metà fra il divertito e l'esasperato.

-Si è meritato quel cazzotto. Quei telefoni costano un occhio della testa.- brontola, ed io inarco un sopracciglio.

-Hai preso a pugni William?- le domando, giusto per vedere se ho ben capito quel che ha detto e, finalmente, Ray alza gli occhi e mi sorride, nonostante la profonda stanchezza che scorgo nei suoi tratti.

-Non sembri sorpreso!-

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-Ray!-

Nel momento stesso in cui sento quella voce risuonare nel corridoio della palestra, a pochi metri da me, un gelo che non ha nulla a che fare con le temperature rigide ed umide dell'inverno di New York mi riempie le braccia di pelle d'oca e la carne di una familiare sensazione di repulsione.

Vorrei scappare via, fuggire da questa situazione che sta per precipitare, ma sarebbe impossibile: l'uscita è proprio dietro di me, da dov'è venuta quella voce... per questo, stancamente, mi volto, ignorando la morsa che mi serra il petto quando, nella vivida luce delle lampade al neon, riconosco il profilo di Will.

Non sembra più Ken” è il primo, stupido pensiero che mi attraversa il cervello. Ha sempre i tratti fini, per niente scolpiti, ma le guance sono più scavate e la barba di un giorno gli disegna un paio di primavere in più su quella faccia che sembra sempre troppo giovane per l'età che ha.

Al suo fianco, e la riconosco anche senza averla mai vista prima d'ora, c'è Angel: è piccolissima – ma io, oggettivamente, trovo la maggior parte delle persone basse –, ha i capelli e gli occhi marroni e un sorriso imbarazzato e gentile sulle labbra.

Mi stanno guardando, tutti e due, ed il disagio che provo aumenta ad una velocità incredibile. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, sapevo che Will non sarebbe stato tanto intelligente da lasciarmi in pace, ma vorrei comunque avere una via di fuga per evitare quel che sta per succedere.

-Sei tornato.- è l'unico commento che riesco a fare, ma il significato che c'è dietro le mie parole amare è molto chiaro.

Vattene via.

Will incassa le spalle quasi inconsciamente, come faceva sempre per difendersi da un assalto particolarmente feroce della mia spada. -Che gelo.- commenta, aspro, fissandomi con qualcosa negli occhi di molto simile al tormento che potrei ritrovare in me stessa, se non mi sentissi sempre così stanca.

Lo ignoro, spostando la mia attenzione sulla ragazza. È sicuramente più grande di me o, almeno, lo spero, perché non penso sarebbe una buona idea che un attore famoso frequentasse una minorenne – però, forse, guardandola meglio, non deve avere poi così tanti anni in più di me. Forse è sulla ventina, o giù di lì.

-Tu devi essere Angel.- constato, con un tono incolore che ben s'addice a come mi sento io ormai da mesi – chissà se Will lo sa che è anche colpa sua... e chissà se un giorno me ne importerà qualcosa.

-Sì, ehm... piacere?- tenta, e vorrei davvero essere una persona diversa: non credo si meriti la risposta secca e tagliente che mi sale in bocca e mi sfugge prima che possa trattenerla.

-Tutto tuo.-

La vedo, li vedo avvicinarsi, vedo Will stringere la mano in cui tiene quella di lei. Mi dispiacerebbe fare del male alla tua ragazza, Will, se ancora riuscissi a provare qualcosa che non sia la spossatezza abissale in cui vegeto ormai da mesi e che, giorno dopo giorno, mi ha tolto ogni cosa.

-Se non avete qualcosa da fare, qui, vi chiedo di andarvene. Sto lavorando.-

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-Jetta aveva chiamato Will per spiegargli cosa era successo, ma questo non sembrava averlo convinto a starmi fuori dai piedi.- borbotta, Ray, alquanto contrariata – e, ci scommetto, tuttora offesa – dal ricordo di William, ritornato negli USA soltanto per lei: è sempre stata decisamente poco incline ad accettare l'aiuto e la compassione altrui, persino da me.

-Ero felice di vederlo, ma avevo passato così tanto tempo a chiudermi in me stessa da ritrovarmi incapace di fare altro che allontanarlo...- aggiunge, distogliendo lo sguardo, ma io so bene che questa è soltanto una mezza verità: Ray era arrabbiata, con Will, ed io lo so perché ricordo benissimo la reazione indignata di Angel, che mi aveva chiamato per sfogarsi dopo quel primo incontro a dir poco disastroso, e quella silenziosa di Will, che non aveva detto nulla perché pensava di meritarselo.

-Però Will non ha desistito.- osservo, e lei scuote la testa, accennando un sorriso un po' sarcastico.

-E quando mai?-

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Sono passati quattro giorni e io credo che la mia pazienza sia arrivata al limite.

Will sembra essersi stabilito in palestra: mi segue, cerca di parlarmi, ha persino sostato davanti allo spogliatoio per impedirmi di darmela a gambe ed evitare le sue domande e la sua stessa presenza – peccato (per lui) che arrampicarsi dalla finestra del camerino a quella del corridoio sia anche troppo facile... insomma, è uno strazio.

Avevo sperato che qui, in un baretto abbastanza lontano sia da dove vivo io sia dalla palestra, non potesse trovarmi: e invece eccolo qua, grande e grosso e stupido, che mi s'avvicina con un cipiglio severo che mi farebbe anche ridere se non fossi così stufa di lui e della sua testardaggine.

-Jetta mi ha detto che ti avrei trovato qui.- esordisce.

Promemoria per me: non dire più a Jetta dove trovarmi nel caso avesse bisogno di me.

-Non era un segreto.- commento, atona, fissando con anche troppo interesse il liquore trasparente che rotea voluttuosamente nel bicchiere che tengo in mano.

Non sono ubriaca, ho bevuto soltanto un paio di shot, ma già avverto il mio campo visivo farsi sempre più ridotto. -Non provare nemmeno a farmi la predica. Sei stato tu ad insegnarmi a bere, Moseley.- lo avverto, prima di mandare giù in un sorso quel che rimane del terzo drink, assaporando il bruciore che mi scende in gola e che, per qualche istante, riscalda questo corpo morto che ancora si ostina a respirare.

Oh, che sollievo. Will sembra persino più tollerabile, ora.

-Non mi hai mai chiamato per cognome.-

Quasi.

-C'è una prima volta per tutto.- ribatto, rovesciando gli occhi al cielo.

-Ray, senti__-

No. Ray non sente.

Afferro la mia borsa ed alzo un braccio, richiamando l'attenzione del barista.

-Il conto, per favore! Paga questo qui!- gli faccio cenno e lui, che ormai mi conosce, annuisce; mi defilo in fretta, prima che Will possa fermarmi, e l'aria fredda di gennaio mi accoglie in un abbraccio umido e pesante che mi trasmette un sollievo effimero eppure incredibile.

Mi avvio verso casa mia, ascoltando il suono delle mie scarpe da ginnastica che picchiettano sull'asfalto bagnato del marciapiede, godendomi questa quiete momentanea nel caos ovattato di New York e il vago senso di sbandamento concessomi dall'alcool – ma, come avevo previsto, il mio momento di pace dura poco.

-Ray!- mi chiama, Will, ed io sospiro. Spero solo di riuscire a liberarmene in fretta. -Ti pare il modo?- aggiunge, indignato, piazzandosi davanti a me per cercare di fermarmi.

-Devo ripetermi?- gli domando, esausta, ma la sua espressione perplessa è una risposta sufficiente. -Puoi andartene, Moseley. Sto tornando a casa.- affermo, tentandolo di superarlo; lui però mi afferra un braccio, guardandomi con quegli enormi occhi azzurri che, in un'altra vita, mi riempirebbero di senso di colpa.

Solo che quella vita non c'è più. Quella Ray non c'è più.

-Ubriaca!?- esclama, incredulo, ma io do uno strattone, cercando di liberarmi dalla sua presa.

-Sono lucida quanto basta per liberarmi di te.- forse, se lo minaccio, se ne andrà. Dopotutto sa che potrei davvero fargli del male, non... lui non...

Oh, ma chi voglio prendere in giro? Will è più grosso di me e ha imparato – e proprio da me, maledizione – ad essere svelto e attento come una volpe.

-Ray, non puoi continuare a vivere così.- ed ecco arrivare, prevedibile come la pioggia a settembre, la predica che sto cercando di evitare da quattro giorni. Favoloso.

-Anthony non lo avrebbe voluto, lo sai...-

Quest'ultima frase è l'unica che riesco a recepire davvero.

L'ira che mi ha sommersa quella notte, mentre ascoltavo il suono ripetuto degli squilli del telefono e mi rendevo lentamente conto che non mi avrebbe risposto, fa capolino dalla voragine, premendo agli angoli dei miei occhi e offuscando momentaneamente l'autocontrollo che, fino ad ora, mi ha tenuta insieme.

Rispondi, Will... ti prego...

Con uno strappo più forte riesco a sottrarmi alla sua stretta, facendo due passi indietro e distogliendo lo sguardo per non dargli la soddisfazione di vedere che è riuscito a scuotere qualcosa.

Will... ho bisogno di te...

-An__lui mi ha chiesto di sopravvivere, ed è quello che sto facendo.- il ringhio soffocato che mi sale direttamente dalla gola non lo fa arretrare, ma scorgo nei suoi occhi un lampo d'allarme e di preoccupazione; io, però, mi sento soltanto ancora più esausta.

Torno a voltarmi, stringendo le dita sulla cinghia della borsa e ignorando il desiderio di lanciargliela in faccia. -Perciò sono a posto così, grazie per l'interessamento e arrivederci.- sbotto, ricominciando a camminare e facendo del mio meglio per ignorare lui e la voce, la mia voce, che mi echeggiano nella testa con una prepotenza straziante.

-Non puoi chiudermi fuori in questo modo!-

Ossia come hai fatto tu?

-Voglio solo aiutarti! Noi siamo amici, ricordi?-

No, non ricordo. Ricordo solo che tu non c'eri quando avevo bisogno di te.

-Questa non sei tu!-

Infatti. La Ray che conoscevi tu è morta mesi fa.

Mi sembra che la mia testa stia per spaccarsi in due.

-Vattene, Moseley.- la mia voce assomiglia disgustosamente ad un'implorazione, ma non ce la faccio più: voglio solo che lui e la mia mente tacciano e mi lascino in pace...

-Non fino a che non riavrò indietro la mia amica!-

Troppo tardi capisco di aver raggiunto il punto di non ritorno.

Mi volto di scatto e in due falcate sono proprio davanti a lui e non so come succede ma tutto l'odio che ho provato nei suoi confronti esplode, mi travolge e prima che io possa capire cos'è successo vedo la mia stessa mano chiudersi a pugno e stamparsi sulla faccia di Will con tanta forza da spaccargli un labbro.

Vai via.

Will barcolla, stupito, ma è soltanto quando vedo il sangue che comprendo quel che è appena successo.

Vai via.

Balzo indietro e qualcosa dentro di me si frantuma quando Will mi guarda, incredulo, ed io capisco di avergli fatto del male.

Mi volto e scappo via, verso casa, stringendomi al petto la borsa e perdendo dietro di me i pezzi di qualcosa che è irrimediabilmente andato in frantumi nello stesso momento in cui ho scorto il dolore, il mio dolore, riflesso negli occhi azzurri di Will.

Nel mio baratro vuoto qualcosa sta ribollendo, protestando, scalciando, ci sono artigli spessi e taglienti che mi si piantano dentro per risalire in superficie, avviluppandosi alla mia gola e soffocandomi.

Crollo in ginocchio davanti alla porta di casa mia, fissando il vuoto senza vederlo perché il vuoto è dentro di me, enorme, gigantesco, ma ci sono anche gli occhi sofferenti di Will e sono due cose che non possono convivere, in cui io non posso convivere, che sembrano sul punto di incenerirmi in uno scoppio che potrebbe definitivamente squarciarmi da parte a parte.

È proprio qui che Will mi trova, qualche minuto più tardi. Buttata per terra come l'immondizia e gli scarti che restano di me.

-Ray...- mormora il mio nome ma io non sento lui: io sento Anthony e la sua voce rantolante, morente, soffocata.

Sopravvivi.

Ma come faccio a sopravvivere senza di te?

-Non volevo... non dovevo, io...- balbetto, alzando gli occhi su Will e vedendolo impallidire quando mi guarda – che aspetto ho? Che cosa è rimasto di me?

Anthony...

Will s'inginocchia accanto a me e sono troppo stanca per cacciarlo via, non voglio cacciarlo via, lui è caldo e vivo e se mi sta vicino mi sembra di essere ancora viva anche io.

Sopravvivi.”

Ho sbagliato tutto, Anthony...

Will mi tocca una spalla ed è forse la prima volta che qualcuno lo fa da quando__ ancora una volta non mi dà fastidio, è Will, è il mio amico e__

-Lui non c'è più...-

Ma io sono ancora qui.

È nell'impeto dell'orrenda consapevolezza di essere ancora viva, di sentire di nuovo le mie carni stremate lanciarmi grida d'aiuto mentre la mia mente collassa su se stessa, che mi accartoccio contro il petto di Will e qualcosa mi percuote il petto, con violenza, nel momento in cui la mia faccia si bagna di lacrime.

-Va tutto bene.-

Mi aggrappo al battito del cuore di Will e mi sembra di non aver mai sentito nulla del genere – perché il suo è così sereno, così forte, mentre il mio agonizza ad ogni palpito?

-Sono qui io, adesso.-

Perché non ci sei stato, finora? Avevo così tanto bisogno di te...

-Andrà tutto bene.-

__

Mi sveglia la luce del Sole che filtra fra le persiane e la voce bassa di Will che riverbera nel suo petto, sotto la mia guancia.

Ho gli occhi gonfi e, quando li apro, ci metto un po' a capire dove sono, perché la testa mi pulsa e non mi ricordo molto di quel che è successo ieri sera. Pian piano riconosco il luogo e capisco di tovarmi nel mio monolocale, nel mio letto – e credo di aver dormito stringendo Will come se fosse un peluche.

-Sì, sono rimasto con Ray.- mormora Will, nel telefono, con la voce più bassa possibile. Ha un braccio stretto intorno alle mie spalle e continua a stringermi, come ha fatto durante tutta la notte, mentre io piangevo tutte le lacrime che ho accumulato durante gli ultimi mesi e che, credo, abbiano riempito almeno un po' quel buco nero che mi porto dentro da quando Anthony se n'è andato.

-Oh, sta piangendo. Ha pianto tutta la notte.- aggiunge, Will, abbassando gli occhi e arricciando le labbra in un mezzo sorriso quando vede che sono sveglia. -Ti va una pasta?- mi chiede, e soltanto ora mi rendo conto di avere una fame incredibile.

-Io... sì.- biascico, rotolando giù dal letto per trascinarmi in bagno. Evito di guardarmi allo specchio, mentre mi lavo i denti e mi spazzolo i capelli tutti aggrovigliati: non sono ancora pronta a rivedermi dopo tutto questo tempo.

Venti minuti più tardi suona il campanello e sono io, mentre Will è in bagno, ad andare ad aprire. È il sorriso accecante di Angel, più dell'enorme pacco di pasticcini che regge in mano assieme ad uno zaino che credo essere per Will, a farmi trasalire: come si fa ad essere così pieni di vita, di luce, di serenità? È inconcepibile!

-Prego...- mormoro, abbassando lo sguardo e facendomi da parte per farla entrare. È inconcepibile anche il modo in cui si sta comportando con me perché, e sono sicura che non se lo sia dimenticato neppure lei, io l'ho trattata malissimo.

-Non sapendo che cosa ti piacesse ho preso un po' di tutto!- trilla, allegra, e la coda alta in cui ha raccolto i capelli le dondola allegramente sulle spalle. -Posso?- mi fa, accennando al tavolo, ma scarica tutto prim'ancora che io possa risponderle.

Mi passo una mano fra i capelli, sedendomi perché mi sento ancora più a disagio nell'essere tanto più alta di lei – d'accordo, io sono decisamente alta, ma lei è proprio in versione tascabile e a me non va di torreggiare su nessuno.

-Senti...- comincio, sfregando i piedi sul pavimento e lanciandole un'occhiata pentita. -Mi dispiace per... per come mi sono comportata. Sono stata un mostro.- mugugno ,abbassando lo sguardo.

-Nah, non fa niente. Ricominciamo daccapo.- risponde, però, Angel, tendendomi una mano e rivolgendomi un altro sorriso. -Piacere, io sono Angel.-

-Ray.- sorrido anche io, un po’ a fatica, stringendo quelle dita piccole e paffute nelle mie, lunghe e piene di calli. -Il piacere è tutto mio.- aggiungo, e sono davvero felice di poterla conoscere, finalmente: Will mi ha parlato così tanto di lei, mesi fa.

-Molto meglio.- Angel scioglie la stretta e si avvia verso il tavolo, spalancando poi l’enorme scatola per pescare un cannolo siciliano e addentarlo con gusto. -Will ti ha già spiegato le sue intenzioni?- mi chiede, ed io sgrano gli occhi.

-Le sue intenzioni?- biascico, perplessa. -Will, vuoi sposarti?- urlo, alzando la voce per farmi sentire dal biondastro, non riuscendo a pensare ad altro che a questa bizzarra possibilità. -Sei incinta?- domando ad Angel, ancora più confusa.

-Oh, per l'amor del cielo!- scoppia a ridere, scuotendo la testa, e proprio adesso arriva Will che, perplesso, ci guarda entrambe, una dopo l'altra, cercando di capire che cosa sta succedendo. -Will, non le hai ancora detto nulla?- gli domanda quindi Angel, recuperando un po' di contegno e guardandolo con un cipiglio bonario e divertito che gli fa diventare le orecchie paonazze.

-Ha pianto tutto il tempo!- si difende, gesticolando verso di me.

-Ehi!- protesto, afferrando una scarpa da sotto il tavolo e tirandogliela addosso. -Devo picchiarti di nuovo!?- sbotto poi, ma lui mi sorride con un entusiasmo tale da riempirmi di tenerezza e so per certo che non riuscirei mai a picchiarlo ancora. Per adesso.

-Ora ti riconosco.- commenta solo, felice, prima di avventarsi sui dolci con l'entusiasmo tipico dei bambini.

Io ed Angel ci scambiamo un'occhiata esasperata: ci vuole pazienza, ragazza, ce ne vuole parecchia.

-Allora? Che intenzioni hai?- domando, salvando una brioche alla crema di pistacchio prima che questa cavalletta bionda faccia fuori tutto.

Will alza gli occhi dalla scatola e, con la faccia tutta sporca di zucchero a velo e gli occhi azzurri e limpidi, mi rivolge un altro sorrisone incredibile, di quelli che, se io fossi chiunque altro, mi farebbero sorridere a mia volta – ma ci vorrà un po' perché io torni a sorridere, e lui lo sa.

-Ti porto via da qui. Ti porto a Londra.-

__

-Lo ha deciso lui.-

Devo dire che, nonostante sia un coglione, Will ha almeno fatto una cosa buona nella sua vita.

-Oh, sì. Ha fatto tutto da solo.- sorride, Ray, tornando a sedersi sul divano e abbandonando la testa sullo schienale, esausta. -Ha parlato con Jetta e lei mi ha dato una buona uscita abbastanza cospicua, ha pagato due facchini per impacchettare e spedire la mia roba qui, ha convinto me...- la sua voce sfuma e io accenno un sorriso, sapendo quanto dev'essere stato difficile, per Will, convincere Ray a partire: nonostante tutto ciò che ha passato là, tutto quello che vi ha vissuto, Ray ha sempre amato la sua terra.

-Prima di partire chiamai la mamma di Anthony.- ammette, ed un sorriso debole le appare sulle labbra. -Ci sentiamo a tutti i Natali e a tutti gli anniversari.- aggiunge, prima di rilasciare un profondo respiro e massaggiarsi stancamente le tempie, lanciando un'occhiata dubbiosa al biglietto su cui suo padre ha frettolosamente lasciato scritto un numero di telefono.

-Che cosa vorresti fare?- le domando, prendendo il foglio di carta e osservandolo per qualche secondo prima di tornare a guardare lei; Ray me lo toglie di mano, fissandolo con quella che a me sembra proprio rassegnazione prima d'infilarselo in tasca.

-Lo chiamerò.- decide, prima di rivolgermi uno dei più bei sorrisi che le abbia mai visto in volto – e c'è tutto, in questo sorriso: la Ray che è stata, quella che è diventata e quella che sarà domani e che io non potrò fare a meno di amare ancora di più.

Allunga una mano per prendere la mia e mi avvicina a sé, tirandomi sul divano per abbracciarmi e chiudere gli occhi, stanca ma serena, con la testa appoggiata al mio petto e le mani che cercano le mie.

-Domani.-

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My space

Lo so, avrei dovuto aggiornare ieri ma ero talmente stanca che non ce l'ho proprio fatta ^^' per farmi perdonare, però, ecco il capitolo più lungo dell'intera mini-long!

E sì, non è il capitolo più allegro di questo mondo, ma davvero questa storia meritava di essere scritta. Perdere Anthony, per Ray, è stato un colpo talmente duro che l'ha proprio deformata, che ha adattato la sua anima e il suo modo di vivere a quella sofferenza quieta e silenziosa che si porta dentro da tanto tempo. Non ha mai dovuto parlarne con Will, perché Will sapeva già tutto, ed ha semplicemente evitato di parlarne con chiunque altro: Ray, dopotutto, non è un animale da palcoscenico, ma colei che sta dietro le quinte e controlla che tutto vada bene. Ray è la vera protagonista, ma non si mette mai in luce in prima persona e, proprio per questo, nessuno ha mai saputo del suo passato sino a questo momento.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto: è molto importante, per me, riuscire a trasmettere le emozioni di questi personaggi al meglio delle mie capacità. Credo che lo meritino, come lo meritano tutti i personaggi che creo.

Per chi me l'ha chiesto: no, non parlerò di Simon e delle burrascose vicende londinesi di Ray, non in questa fic. Magari, più avanti, spiegherò il tutto in una one-shot, ma è un progetto ancora molto fumoso. Quel che invece non è fumoso è il "seguito" di questa fanfiction! Ebbene sì, dopo il quarto capitolo (ma non so bene quando) pubblicherò una one-shot che, alla fine del prossimo capitolo, capirete tutti di cosa tratterà. Ma non voglio spoilerare nessun finale!

La canzone che dà il titolo a questo capitolo è Broken, di Amy Lee ft. Seether.

Come sempre, sia che vi sia piaciuto o meno il capitolo, vi invito a lasciarmi un commento. Non lesinate sulle critiche, se ce ne sono da fare, non mi offendo!

Al prossimo capitolo!

Un abbraccio,

B.

EDIT 29/04/2015: mi sono accorta soltanto ora che era rimasto indietro un paragrafo, chiedo perdono! Ho risolto tutto, ora è a posto :)

   
 
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