«È
una pazzia.» ripeté Ben per l’ennesima
volta spiando all’interno del condotto
di aerazione.
Era passato solo qualche minuto da quando Aida era scomparsa dalla sua
visuale
ma al giovane poliziotto pareva un’eternità. E
più i secondi passavano, più
l’angoscia gli attanagliava lo stomaco e la gola.
Con un sospiro, si voltò.
Alle sue spalle, Tom Kranich stava vegliando in silenzio sul corpo
immobile di
Semir, inginocchiato accanto a lui.
Tom Kranich... ancora non riusciva a crederci, eppure doveva essere
proprio
lui, Semir glielo aveva mostrato in fotografia e anche se un
po’ più
invecchiato, non era cambiato per niente.
Osservandolo, una marea infinita di domande gli salirono alla mente, ma
Ben
scosse il capo come per scacciare quegli interrogativi che in quel
momento non
erano certo prioritari.
Tom distolse lo sguardo dal suo ex collega per posarlo sulla figura del
più
giovane e accennò ad un lieve sorriso «Ce la
farà, ha l’aria di essere in
gamba.».
Ben corrucciò la fronte, capendo solo dopo qualche attimo
che l’uomo si stesse
riferendo ad Aida.
«Sì, è meravigliosa. Ma ho il terrore
che le accada qualcosa. Se il condotto di
aerazione non sbocca nel posto che...».
«Sbocca esattamente dove ti ho detto, all’esterno
dell’edificio. Lo conosco
bene questo posto, credimi.».
«E la cabina telefonica?» chiese ancora il
poliziotto, rendendosi conto di non
essere nemmeno stato in grado di formulare questi dubbi così
logici prima di
aver lasciato andare la sua principessa «Funziona ancora?
Come è possibile? E poi...»
«Funziona ancora, stai tranquillo, e quelle monete che avevi
in tasca erano più
che sufficienti.».
«Se le accadesse qualcosa...».
«Andrà tutto bene.».
«Strano sentirselo dire da una persona che fino a poco fa
credevamo morta e
sepolta.».
Nella piccola stanza calò il silenzio per qualche istante.
«Mi dispiace di essere sparito nel nulla, ma se
l’ho fatto è stato per
questioni di sicurezza. Solo Anna Engelhardt sa che sono
vivo.» disse ad un
tratto l’uomo, alzandosi e avvicinandosi a Ben.
«La Engelhardt lo sa?! Avreste dovuto metterne al corrente
almeno Semir.».
«Sarebbe stato un rischio troppo grande per lui e la sua
famiglia. Inizialmente
non ne conoscevo nemmeno io il motivo, ma poi la Engelhardt mi aveva
spiegato
che alcuni membri di quella banda di otto anni fa ce
l’avevano direttamente con
me e avrebbero fatto qualunque cosa per avermi. È una storia
lunga... ma questo
Semir non lo ha mai saputo, sarebbe stato troppo in pericolo se io non
fossi
stato inserito in questo speciale
programma di protezione testimoni.».
Ben scosse il capo con un sorriso amaro «Ma tu sai quanto ha
sofferto?».
«Lo so...».
Il più giovane scosse ancora il capo «Come hai
fatto a salvarti quella notte?
Semir mi ha detto che... che gli eri morto tra le braccia.».
«Me la sono vista brutta davvero. Ma poi mi sono ripreso, ed
è stato mentre mi
trasportavano via in ambulanza per fare un ultimo tentativo che ripresi
conoscenza, non so per quale miracolo. Ma questo ovviamente Semir non
lo seppe
mai. Poi mi operarono e quando fui in grado di ricevere visite, la
prima ed
unica persona che vidi fu il commissario, che mi disse come stavano le
cose. Io
dovetti accettare. Mi disse anche che Semir era già convinto
che io fossi
morto.» spiegò Tom lanciando una rapida occhiata
verso l’ispettore steso a
terra.
«Spero che accetti le tue spiegazioni.»
mormorò Ben avvicinandosi a sua volta
al collega «E spero che si svegli...».
Aida
rotolò nella polvere uscendo dal grande tubo che aveva
percorso.
Ce l’aveva fatta.
Ora doveva solo trovare la cabina telefonica, comporre il numero e
nascondersi
da qualche parte.
Cauta, si guardò intorno e scoprì che la cabina
era proprio a pochi passi di
distanza da lei e soprattutto che non c’era anima viva in
giro.
Raggiunse di corsa l’instabile struttura e, dopo aver
inserito le poche monete,
cominciò freneticamente a digitare le cifre sulla tastiera.
Lo
squillo del telefono fece sobbalzare Andrea, che assorta
com’era nei suoi
pensieri, quasi si era dimenticata di trovarsi in un commissariato.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania vuota: Susanne non c’era,
era in un’altra
stanza ad esaminare delle carte; Hartmut girava nervosamente per il
comando e
un altro agente digitava senza sosta sulla tastiera di un computer, ma
nessuno
pareva accorgersi dello squillo insistente del telefono.
La donna si avvicinò alla scrivania e, senza pensarci due
volte, afferrò la
cornetta.
«Polizia autostradale, buongiorno.».
«Sono Aida!» gridò una voce
dall’altro capo del telefono.
Andrea quasi non credette alle proprie orecchie ed emise un suono
soffocato di
sorpresa, attirando l’attenzione del tecnico e della
segretaria, che accorsero
in fretta.
«Aida, tesoro, sono io, sono la mamma! Dove sei?».
«Mamma sbrigati, ti prego, dovete venire! Papà sta
male e lui e zio Ben sono
chiusi dentro ad una stanza senza finestre, dovete venire!».
«Cucciolo, dimmi dove sei!».
«Nella zona industriale, il penultimo capannone.»
la bambina ripeté
diligentemente ciò che le aveva detto Ben e Andrea non
riuscì a trattenere un
sorriso tra le lacrime.
«Mamma, devo nascondermi, venite presto!»
gridò ancora Aida prima di
riattaccare.
La donna annuì come se la ragazzina potesse vederla e
sorrise ancora... sua
figlia stava bene!
Fu solo allora però che si rese conto di ciò che
la bambina le aveva appena
detto: papà sta male...
Andrea rimase immobile con la cornetta del telefono in mano mentre
Susanne le
sfiorava da dietro una spalla e componeva in fretta il numero della
Kruger.
«Uno...
due... tre!».
La Kruger diede il via e subito le squadre speciali cominciarono a
demolire la
parete del capannone con minime dosi di esplosivo.
Era rischioso, ma quella specie di cubo di metallo corrispondente alla
stanza
in cui dovevano trovarsi i due ispettori non aveva aperture, era
sicuramente
stato restaurato e studiato apposta per essere difficilmente
accessibile.
Fu un’operazione che richiese minuti interminabili, durante i
quali il
commissario non spostò di un millimetro le mani dal calcio
della pistola,
cercando di prepararsi a qualunque scena avesse assistito una volta
entrata.
Subito dopo la telefonata di Susanne, tutte le squadre già
nelle vicinanze
avevano raggiunto il capannone e due uomini avevano recuperato la
piccola
Gerkhan nascosta tra i radi cespugli sul retro della struttura.
Sembrava sconvolta, ma per fortuna fisicamente stava bene e questo per
la donna
era già una conquista.
Mentre il buco che si era creato nella parete si allargava sempre di
più,
cercava di capire cosa vi fosse all’interno, e quando
finalmente poté entrare,
tirò un enorme respiro di sollievo.
Ben e un altro uomo, che la Kruger sospettò essere il famoso
Tom Kranich,
fissavano il buco sulla parete con aria terrorizzata, ma stavano bene.
Ma, poco distante, Semir era accasciato contro la parete opposta,
totalmente
privo di conoscenza.
«Gerkhan! Accidenti, un’ambulanza
presto!» gridò avvicinandosi al suo
ispettore.
«Commissario, grazie al cielo!» fece Ben con le
lacrime agli occhi, alzandosi e
accogliendo l’aiuto dei soccorritori, così come
Tom.
I momenti che seguirono furono confusi, troppo confusi.
Grida, pianti, sirene, domande... tutto accadde in fretta, ad una
velocità
supersonica.
L’unica cosa che Ben distinse con chiarezza prima di perdere
conoscenza e
cedere al sonno dovuto allo shock e alla stanchezza, fu la barella di
Semir che
veniva caricata in fretta su un’autoambulanza.
Confusione
per Ben e immagino un po’ di confusione anche per voi
lettori... ma presto la
storia recupererà un po’ di linearità.
Grazie
davvero a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie
:D