Buonasera,
Nikolai è morto. Che impatto avrà nella nostra Rose?
Buona lettura...
xoxo
Capitolo 4
Una
luce fastidiosa mi svegliò.
Aprii
gli occhi più volte, perché non riuscivo a mettere a fuoco le cose. Quando
finalmente pensai di farcela, mi accorsi dov’ero. Ero nell’infermeria
dell’accademia, o meglio, quel che ne restava.
Con
uno sguardo più nitido, vidi che la parte in fondo era crollata, e c’erano solo
macerie e parte dei muri anneriti dal fuoco. La parte in cui stavo io era
ancora bianca, miracolosamente.
Provai
ad alzarmi, ma la testa iniziò a pulsare in una maniera così dolorosa, che
ricaddi sul cuscino. Non prima però di essermi resa conto che tutti i muscoli
mi dolevano all’inverosimile. E con questa scoperta purtroppo, ricordai tutto.
Mi
accorsi di essere attaccata ad uno di quegli aggeggi che segnano il ritmo
cardiaco, poiché il mio cuore iniziò a battere furioso.
Nikolai
era morto.
Un
immagine insanguinata mi passò per la mente, un collo sbranato e il suo viso
distrutto. Mi veniva da vomitare. Presi a sudare freddo visibilmente.
“Ti
sei svegliata finalmente.”.
Scossa
mi spaventai. Voltai lo sguardo e a pochi passi da me vidi il preside Thompson.
Cercava di sorridermi rassicurante, ma il suo sguardo era sconvolto.
“Ti
ho spaventata, scusa!”.
Prese
lentamente una sedia e con movimenti stanchi si accasciò su di essa.
Io
lo guardavo, ma non parlavo e intanto cercavo di calmarmi e riportare i miei
battiti sul normale. Non sapevo che dire. Non avevo da che dire.
Lui
tolse gli occhiali e con aria pensierosa li pulì con un fazzoletto che aveva
preso dalla tasca della giacca. Una volta finito se li rimise, guardandomi.
“Hai
dormito per più di 30 ore, Rose!”.
Sbarrai
gli occhi alla sua frase. Com’era possibile? Era passato più di un giorno dall’
attacco?
Iniziai
a guardarmi in giro, in cerca di un qualche indizio che potesse rivelarmi
cos’era accaduto in quell’arco di tempo. So che avrei potuto semplicemente
chiedere al preside, ma non riuscivo a parlare. Non ricordavo come fare. Non
volevo ricordar come fare. Avrebbe significato che ero viva, che ero reale, che
tutto era reale e avrei dovuto affrontare tutto e raccontare...
“Quando
ti abbiamo trovata, eri davvero sotto shock. Abbiamo dovuto darti un
tranquillante.”
Avevo
un vago ricordo di questo, molto confuso direi.
“Tre
guardiani hanno perso la vita!”.
E
uno sapevamo benissimo chi fosse. Sentivo la rabbia montarmi dentro, dietro la
tristezza, eppure, sembrava relegata da qualche parte, perché ero certa che il
mio viso, visto da fuori, fosse di una calma spaventosa.
Vidi
infatti Thompson corrucciare lievemente le sopracciglia, per poi ritornare al
suo viso stanco.
“Otto
moroi sono stati portati via!”.
Il
mio viso era sempre impassibile, ma dentro afferravo e mettevo assieme tutte
queste informazioni.
Quegli
otto ormai a questo ora, se non erano morti, ci mancava poco. Chissà se Lucinda
era riuscita a salvarsi. Supponevo che lo avrei saputo presto.
Gli
Ivashkov non solo erano una casata reale, ma ai giorni nostri erano quei moroi
che appartenevano alla stessa discendenza della Regina attualmente al potere
nel nostro mondo politico. Quindi, se un Ivashkov era stato preso, ci sarebbe
stato di sicuro una specie di lutto mondiale.
“L’accademia
sarà chiusa!”.
I bip aumentarono.
Cosa?
Di che diavolo parlava? Le difese, in qualsiasi modo fossero state spezzate, si
potevano ricreare. Perché chiudere l’accademia?
Vedevo
Thompson in attesa, forse che io parlassi, ma non lo feci e lui sospirò.
“Alcuni
edifici sono stati danneggiati in modo irreparabile. Lo vedrai tu stessa quando
uscirai di qui. Non si può fare altro che abbattere tutto e ricostruire, e nel
frattempo gli studenti non possono rimanere qui.”
E allora che ne sarà di me?
“Buona
parte degli studenti sono stati richiamati dai propri familiari a casa. La
parte restante sarà accolta nell’accademia di St. Vladimir, nel Montana e nella
St. Matthew, nel Connecticut. Alcuni sono già in viaggio, poiché lì sono già
state rinforzate le difese e il numero dei guardiani.”
Riuscii
solo a pensare che nel Montana o nel Connecticut non c’ero mai stata. Anzi a
dir la verità, non ero mai stata da nessuna parte. Avevo passato quasi tutta la
mia vita qui e pensare che ora tutto sarebbe stato distrutto, distruggeva in
qualche modo una parte di me. Ancora.
“Avrei
potuto far trasferire anche te, sebbene non fossi cosciente, ma sapevo che
sarebbe stato ancora più traumatico. E poi sono più che sicuro che avresti
voluto essere presente.”.
Provava
a farmi incuriosire per parlare, ma non potevo, era la mia difesa da questo
dolore. Gli lanciai solo uno sguardo lievemente interrogativo, ma lui capì.
“Allo
scoccare della mezzanotte, in quel che resta della cappella, daremo un giusto
riconoscimento alle nostre perdite, prima che il loro corpo venga rispedito nel
loro paese natale, dai loro familiari.”
Chissà
se Nikolai aveva dei familiari. Non mi sono neanche mai posta il quesito.
Chissà se avrebbe avuto una donna che piangeva sulla sua tomba, o un figlio.
Davvero non ne avevo idea e questo mi logorava nel cuore.
Gli
rivolsi un’occhiata riconoscente, mentre dalla porta entrava l’infermiera
Allison Grey, la classica signora anziana, che poteva essere la nonna di tutti.
“Oh,
piccola Rose.” Disse una volta che mi fu vicino, accarezzandomi delicatamente,
come se potessi rompermi da un momento all’altro.
“Prendi
questi antidoloriferi, so che ti saranno d’aiuto!”
E
il Signore solo sapeva se ne avevo bisogno. La testa mi stava scoppiando.
Presi
due pillole con un sorso d’acqua, e l’infermiera Grey così com’era entrata, se
ne andò.
Passarono
un paio di minuti silenziosi, nei quali la mia mente parve svuotarsi, ma poi
l’atmosfera fu rotta dallo spostarsi della sedia in cui c’era il preside, che
si stava alzando.
“Riposa
ancora un po’, sono solo le tre di pomeriggio. Ti farò portare qualcosa da
mangiare. Poi se ce la fai ad alzarti prepara le tue cose perché all’alba di
domani ce ne andiamo tutti.”
E
prese ad incamminarsi verso la porta.
Era
tutto stato deciso, l’accademia sarebbe stata abbandonata. Temevo di vedere le
sue condizioni, ma ricordavo vivamente il fuoco che si propagava, e già allora
sapevo che i danni sarebbero stati elevati.
Quando
aprì la porta il preside si fermò. Sembrava combattuto. Si girò serio.
“Rose,
hai abbattuto tu lo strigoi?”.
Un
brivido a quel nome mi pervase la schiena visibilmente. Vidi il preside
dispiacersi. Io lo guardai tetra dentro e annuii percettibilmente.
In
risposta lui trattenne ancora il respiro.
“Aveva
ucciso… il guardiano Lazar?”.
Mi
irrigidii e strinsi le mani a pugno, non volevo sentir parlare di questo.
Lui
sospirò afflitto.
“Sei
stata coraggiosa, Rose. Ho sempre saputo che eri diversa da quello che volevi
dare a vedere, e lo sapeva anche il guardiano Lazar. Era stato lui a chiedermi
di poterti fare da mentore per raddrizzarti, lo sapevi? Per lui, eri destinata
a fare grandi cose.”
Non
attese un mio cenno, perché quando compresi le sue parole, se n’era già andato.
Non
potevo crederci. Pensavo che fosse stato il preside a pormi la presenza di
Nikolai. Che fosse stata sua l’idea di questi allenamenti extra, a causa del
mio comportamento. E invece no. È questo che significavano le sue parole. Era
lui ad avermi scelto.
Ero
incredula.
Rimasi
in questo stato comatoso quel tanto che le medicine facessero effetto, poi pian
piano mi alzai.
Tutte
le articolazioni avevano subito i dolori di quella notte, e ora si sfogavano
sul mio sistema nervoso.
Indossavo
una maglia e dei pantaloni non miei, chissà di chi erano. Infilai le scarpe,
che per fortuna erano mie, e notai che qualcuno le aveva pulite, ma non volevo
sapere il perché, perciò mi incamminai per vedere cosa mi attendeva.
Quello
che vidi, alla luce del sole, non mi scompose molto. Sapevo già cosa
attendermi. Un piazzale deserto coperto da detriti, la palestra completamente
distrutta, così come le aule, gli uffici e la mensa. Gli alloggi erano
parzialmente anneriti, ma erano più o meno intatti. Un’accademia fantasma.
Mi
avviavi verso quella che non sarebbe stata mai più camera mia, casa mia.
Nonostante tutto, dentro era tutto intatto, qualcosa di familiare intorno a
quel turbinio di emozioni. Vidi che mi era stato portato qualcosa da mangiare,
come aveva detto il preside Thompson, e solo alla vista di quel panino mi
accorsi di avere molta fame. Nonostante tutto ero a digiuno da più di un
giorno. Così senza troppi preamboli lo divorai.
Quando
finii di spazzolare tutto, decisi che era ora di fare una doccia, ma una volta
in bagno non potei non soffermarmi davanti allo specchio. A quanto pare qualcuno si era dimenticato di
mettermi al corrente del mio aspetto. All’attaccatura dei cappelli in alto a sinistra,
scendeva verso giù una sutura con cinque punti, ero un po’ gonfia, ma la cosa
peggiore era il lieve colore violaceo che arrivava fino all’occhio.
Ebbi
un flash di un colpo d’acciaio che mi faceva cadere e sbattere la testa a
terra.
D’istinto
tirai su la maglia, e come supponevo avevo un ombra altrettanto violacea nella
zona dello stomaco dove avevo ricevuto il pugno.
Scacciai
quei pensieri, perché qualcosa stava montando dentro me.
Mi
guardai ancora una volta e vidi del sangue ancora rappreso sui capelli. Aprii
l’acqua del box e mi ci buttai dentro, vestita.
Alle
dieci di sera ero pronta.
Tutta
la mia vita era stata infilata in un paio di scatoloni e mi ero già preparata
per quella sorta di funerale nel quale avrei dato addio per sempre al mio
mentore.
Ero
seduta sul letto, quando qualcuno bussò. Una volta aperto trovai il preside
Thompson.
“Rose,
tutto bene?”.
No.
La testa mi scoppiava e avevo male dappertutto, tanto per cominciare.
Annuii.
Volevo
parlare, ma temevo che se lo avessi fatto, mi sarei rotta.
“Seguimi
allora, per favore?”.
Non
sapevo dove saremo andati, ma composta lo seguii.
Giungemmo
in quella che un tempo era la sala delle riunioni, ora macerie, passammo oltre
ed entrammo su un’altra sala, che metteva un po’ di soggezione. Le luci intorno
era soffuse, tranne al centro, in cui sedeva un guardiano di nome Michael, accanto
ad un aggeggio e ad una specie di confessionale. La stanza era vuota, a parte
lui e altri tre guardiani alle pareti.
Vorranno
mica esorcizzarmi?
“Lo
vedo, Rose, che sei chiusa nel tuo lutto, ti daremo tutto il tempo che hai
bisogno per affrontare questa catastrofe. Ognuno reagisce a modo suo, ma noi
vogliamo farti sapere che sappiamo bene la persona che potresti essere, e in
qualche modo vogliamo onorare anche te. Se vorrai, potrai ricevere…” e mi
indicò il guardiano Michael “… il molnija
che ti spetta, anche se non hai ancora il simbolo della promessa!”.
Ero
stupefatta. Veniva tatuato un molnija
a coloro che erano riusciti ad uccidere uno strigoi, ed io non avevo ancora metabolizzato
il fatto che ne avessi ucciso uno. Mai avrei immaginato che il mio primo
molnija avrebbe avuto un costo così alto. Avrei potuto tirarmi indietro se lo
avessi voluto, ma per quanto sembrasse da pazzoidi, questo molnija alla mia
vista era diverso dal suo solito significato. Il compito di questo molnija era
quello di non farmi dimenticare mai, il motivo per cui ora me lo stavano
tatuando.
Mossi
silenziosa i passi, verso il guardiano Michael, che gentile mi guardava, e mi
inginocchiai di fronte a lui, col capo chino così da scoprire il collo e
lasciar cadere i miei lunghi capelli davanti. Quando iniziò, pensai che avrei
dovuto tagliarli, o almeno, così facevano tutti i guardiani donna, così che gli
altri potessero vedere i loro tatuaggi.
Fu
più doloroso di quanto immaginassi, aggiungendolo alla testa che scoppiava, ma
non frignai neanche un secondo. Al termine, i guardiani presenti mi strinsero
la mano. Qualcuno mi disse di farmi coraggio, qualcun’altro che un giorno
sarebbe stato un onore combattere assieme, fui felice che nessuno disse
congratulazioni, ma intuii che nessuno lo avrebbe fatto. Non ci si congratula
con la morte.
Fui
mandata nelle cucine a mangiare qualcosa velocemente, dato che mancava poco più
di mezz’ora alla mezzanotte, ma da li feci un giro più lungo e cercai
l’infermiera Grey, perché la mia testa scoppiava. Purtroppo non la trovai, così
strinsi i denti e quando fu l’ora, mi recai nella cappella.
Già
da fuori mostrava le percosse subite nell’agguato. Quando entrai l’atmosfera mi
colpì. Le sedute erano macerie dovute all’incendio che aveva colpito per metà
la struttura, ed erano raggruppate ai lati. I muri di pietra avevano resistito.
Le candele rischiaravano l’ambiente, rendendolo lugubre, ma sacro. Davanti
all’altare erano state posizionate delle specie di bare, e di fronte a loro, in
semi cerchio, i guardiani e il preside Thompson. Pensavo che avrei trovato solo i quattro
guardiani di prima, ma con mio stupore ce n’erano tipo una quindicina, la
maggior parte mai vista. Immaginavo che chi aveva potut, si era recato lì per porgere
il suo saluto a questi guardiani, che
avevano dato la loro vita per gli altri, per me…
Mentre
avanzavo, scorsi lo sguardo di un dei guardiani scrutarmi. Non sapevo chi
fosse, ma il suo sguardo ero così carico di emozioni che mi lasciò per un
secondo interdetta. Non so cosa cercasse di vedere in me, ma sentivo che non mi
stava guardando solo esteriormente, cercava di leggermi dentro. Distolsi lo
sguardo dai suoi occhi, mi sentivo imbarazzata anche perché, non potevo non
ammettere, che fosse davvero bello.
Arrivai
nei pressi delle tre bare, gli altri due guardiani che avevano perso la vita
erano coloro che stavano di guardia al cancello principale che portava fuori da
questa accademia. Non li conoscevo benissimo, ma erano parte di questa grande
‘famiglia’ in cui avevo vissuto finora. Mi fermai un po’ lì, poi andai verso la
bara che avvolgeva il mio mentore. Non molto distante da lui, stava quel
guardiano, che a quanto pare non mi fissava più, anche se sembrava che stesse
cercando di impedirsi di farlo. Sapevo di non averlo mai visto, eppure il suo
portamento era così familiare.
Quando
alzai lo sguardo su Nikolai, il mio mal di testa esplose, sembrava che ci fosse
una guerra nucleare al suo interno. Mi morsi la lingua e guardai il mio
mentore. Per fortuna tutto quel sangue che ricordavo, non c’era più. Vestiva la
sua tenuta da guardiano più bella, la quale, fortunatamente, nascondeva quel
taglio che sicuramente aveva al collo. Nemmeno mi accorsi che avevo iniziato a
respirare affannosamente, mi mancava l’aria. Fissavo il viso sereno di Nikolai,
che ora sapevo, mi aveva scelta.
Dannato vecchio, cosa
farò senza di te?
Lo
vidi nella mia mente ghignare con la sua solita smorfia e dirmi, che non
sarebbe stato questo a fermarmi.
Mai
prima d’ora mi accorsi di quanto la figura di Nikolai fosse per me importante.
Lo pensavo essere una palla al piede, ma invece era tutt’altro.
Volevo
piangere, ma non ci riuscivo, non sapevo esprimere il mio dolore, sapevo solo
che mi mancava l’aria.
Le
ginocchia mi cedettero, mentre cercavo di restare in piedi tenendomi sulla
bara, ma il mal di testa era ormai più forte di tutte le mie volontà.
Sentii
qualcuno chiamare il mio nome, poi tutto divenne nero ed io mollai. Mi lasciai
andare in quel scuro oblio, che però non mi inghiottì perché qualcuno mi
afferrò sul baratro di quel abisso. La mia mente parve addormentarsi, ma una
cosa riusciva a tenermi in ballo: un profumo. Un profumo di dopobarba che non
avevo mai sentito e che all’epoca ancora non sapevo, non avrei più dimenticato.