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Autore: deba    27/04/2015    3 recensioni
Una FF per rivivere l'amore di Rose e Dimitri.
Rose Hathaway, vive e studia nell'accademia di St. Thomas, con l'unico scopo di diventare un guardiano più famoso della madre. Purtroppo durante un improvviso attacco strigoi, il suo mentore muore e la sua accademia viene distrutta. Così Rose si ritrova a partire da zero in una nuova accademia, la St. Vladimir, dove metterà in discussione se stessa più volte e troverà veri amici e il vero amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrian Ivashkov, Christian Ozera, Dimitri Belikov, Lissa Dragomir, Rose Hathaway
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 4

Buonasera,

Nikolai è morto. Che impatto avrà nella nostra Rose?

Buona lettura...

xoxo

Capitolo 4

 

 

 

Una luce fastidiosa mi svegliò.

Aprii gli occhi più volte, perché non riuscivo a mettere a fuoco le cose. Quando finalmente pensai di farcela, mi accorsi dov’ero. Ero nell’infermeria dell’accademia, o meglio, quel che ne restava.

Con uno sguardo più nitido, vidi che la parte in fondo era crollata, e c’erano solo macerie e parte dei muri anneriti dal fuoco. La parte in cui stavo io era ancora bianca, miracolosamente.

Provai ad alzarmi, ma la testa iniziò a pulsare in una maniera così dolorosa, che ricaddi sul cuscino. Non prima però di essermi resa conto che tutti i muscoli mi dolevano all’inverosimile. E con questa scoperta purtroppo, ricordai tutto.

Mi accorsi di essere attaccata ad uno di quegli aggeggi che segnano il ritmo cardiaco, poiché il mio cuore iniziò a battere furioso.

Nikolai era morto.

Un immagine insanguinata mi passò per la mente, un collo sbranato e il suo viso distrutto. Mi veniva da vomitare. Presi a sudare freddo visibilmente.

“Ti sei svegliata finalmente.”.

Scossa mi spaventai. Voltai lo sguardo e a pochi passi da me vidi il preside Thompson. Cercava di sorridermi rassicurante, ma il suo sguardo era sconvolto.

“Ti ho spaventata, scusa!”.

Prese lentamente una sedia e con movimenti stanchi si accasciò su di essa.

Io lo guardavo, ma non parlavo e intanto cercavo di calmarmi e riportare i miei battiti sul normale. Non sapevo che dire. Non avevo da che dire.

Lui tolse gli occhiali e con aria pensierosa li pulì con un fazzoletto che aveva preso dalla tasca della giacca. Una volta finito se li rimise, guardandomi.

“Hai dormito per più di 30 ore, Rose!”.

Sbarrai gli occhi alla sua frase. Com’era possibile? Era passato più di un giorno dall’ attacco?

Iniziai a guardarmi in giro, in cerca di un qualche indizio che potesse rivelarmi cos’era accaduto in quell’arco di tempo. So che avrei potuto semplicemente chiedere al preside, ma non riuscivo a parlare. Non ricordavo come fare. Non volevo ricordar come fare. Avrebbe significato che ero viva, che ero reale, che tutto era reale e avrei dovuto affrontare tutto e raccontare...

“Quando ti abbiamo trovata, eri davvero sotto shock. Abbiamo dovuto darti un tranquillante.”

Avevo un vago ricordo di questo, molto confuso direi.

“Tre guardiani hanno perso la vita!”.

E uno sapevamo benissimo chi fosse. Sentivo la rabbia montarmi dentro, dietro la tristezza, eppure, sembrava relegata da qualche parte, perché ero certa che il mio viso, visto da fuori, fosse di una calma spaventosa.

Vidi infatti Thompson corrucciare lievemente le sopracciglia, per poi ritornare al suo viso stanco.

“Otto moroi sono stati portati via!”.

Il mio viso era sempre impassibile, ma dentro afferravo e mettevo assieme tutte queste informazioni.

Quegli otto ormai a questo ora, se non erano morti, ci mancava poco. Chissà se Lucinda era riuscita a salvarsi. Supponevo che lo avrei saputo presto.

Gli Ivashkov non solo erano una casata reale, ma ai giorni nostri erano quei moroi che appartenevano alla stessa discendenza della Regina attualmente al potere nel nostro mondo politico. Quindi, se un Ivashkov era stato preso, ci sarebbe stato di sicuro una specie di lutto mondiale.

“L’accademia sarà chiusa!”.

I bip aumentarono.

Cosa? Di che diavolo parlava? Le difese, in qualsiasi modo fossero state spezzate, si potevano ricreare. Perché chiudere l’accademia?

Vedevo Thompson in attesa, forse che io parlassi, ma non lo feci e lui sospirò.

“Alcuni edifici sono stati danneggiati in modo irreparabile. Lo vedrai tu stessa quando uscirai di qui. Non si può fare altro che abbattere tutto e ricostruire, e nel frattempo gli studenti non possono rimanere qui.”

 E allora che ne sarà di me?

“Buona parte degli studenti sono stati richiamati dai propri familiari a casa. La parte restante sarà accolta nell’accademia di St. Vladimir, nel Montana e nella St. Matthew, nel Connecticut. Alcuni sono già in viaggio, poiché lì sono già state rinforzate le difese e il numero dei guardiani.”

Riuscii solo a pensare che nel Montana o nel Connecticut non c’ero mai stata. Anzi a dir la verità, non ero mai stata da nessuna parte. Avevo passato quasi tutta la mia vita qui e pensare che ora tutto sarebbe stato distrutto, distruggeva in qualche modo una parte di me. Ancora.

“Avrei potuto far trasferire anche te, sebbene non fossi cosciente, ma sapevo che sarebbe stato ancora più traumatico. E poi sono più che sicuro che avresti voluto essere presente.”.

Provava a farmi incuriosire per parlare, ma non potevo, era la mia difesa da questo dolore. Gli lanciai solo uno sguardo lievemente interrogativo, ma lui capì.

“Allo scoccare della mezzanotte, in quel che resta della cappella, daremo un giusto riconoscimento alle nostre perdite, prima che il loro corpo venga rispedito nel loro paese natale, dai loro familiari.”

Chissà se Nikolai aveva dei familiari. Non mi sono neanche mai posta il quesito. Chissà se avrebbe avuto una donna che piangeva sulla sua tomba, o un figlio. Davvero non ne avevo idea e questo mi logorava nel cuore.

Gli rivolsi un’occhiata riconoscente, mentre dalla porta entrava l’infermiera Allison Grey, la classica signora anziana, che poteva essere la nonna di tutti.

“Oh, piccola Rose.” Disse una volta che mi fu vicino, accarezzandomi delicatamente, come se potessi rompermi da un momento all’altro.

“Prendi questi antidoloriferi, so che ti saranno d’aiuto!”

E il Signore solo sapeva se ne avevo bisogno. La testa mi stava scoppiando.

Presi due pillole con un sorso d’acqua, e l’infermiera Grey così com’era entrata, se ne andò.

Passarono un paio di minuti silenziosi, nei quali la mia mente parve svuotarsi, ma poi l’atmosfera fu rotta dallo spostarsi della sedia in cui c’era il preside, che si stava alzando.

“Riposa ancora un po’, sono solo le tre di pomeriggio. Ti farò portare qualcosa da mangiare. Poi se ce la fai ad alzarti prepara le tue cose perché all’alba di domani ce ne andiamo tutti.”

E prese ad incamminarsi verso la porta.

Era tutto stato deciso, l’accademia sarebbe stata abbandonata. Temevo di vedere le sue condizioni, ma ricordavo vivamente il fuoco che si propagava, e già allora sapevo che i danni sarebbero stati elevati.

Quando aprì la porta il preside si fermò. Sembrava combattuto. Si girò serio.

“Rose, hai abbattuto tu lo strigoi?”.

Un brivido a quel nome mi pervase la schiena visibilmente. Vidi il preside dispiacersi. Io lo guardai tetra dentro e annuii percettibilmente.

In risposta lui trattenne ancora il respiro.

“Aveva ucciso… il guardiano Lazar?”.

Mi irrigidii e strinsi le mani a pugno, non volevo sentir parlare di questo.

Lui sospirò afflitto.

“Sei stata coraggiosa, Rose. Ho sempre saputo che eri diversa da quello che volevi dare a vedere, e lo sapeva anche il guardiano Lazar. Era stato lui a chiedermi di poterti fare da mentore per raddrizzarti, lo sapevi? Per lui, eri destinata a fare grandi cose.”

Non attese un mio cenno, perché quando compresi le sue parole, se n’era già andato.

Non potevo crederci. Pensavo che fosse stato il preside a pormi la presenza di Nikolai. Che fosse stata sua l’idea di questi allenamenti extra, a causa del mio comportamento. E invece no. È questo che significavano le sue parole. Era lui ad avermi scelto.

Ero incredula.

Rimasi in questo stato comatoso quel tanto che le medicine facessero effetto, poi pian piano mi alzai.

Tutte le articolazioni avevano subito i dolori di quella notte, e ora si sfogavano sul mio sistema nervoso.

Indossavo una maglia e dei pantaloni non miei, chissà di chi erano. Infilai le scarpe, che per fortuna erano mie, e notai che qualcuno le aveva pulite, ma non volevo sapere il perché, perciò mi incamminai per vedere cosa mi attendeva.

 

Quello che vidi, alla luce del sole, non mi scompose molto. Sapevo già cosa attendermi. Un piazzale deserto coperto da detriti, la palestra completamente distrutta, così come le aule, gli uffici e la mensa. Gli alloggi erano parzialmente anneriti, ma erano più o meno intatti. Un’accademia fantasma.

Mi avviavi verso quella che non sarebbe stata mai più camera mia, casa mia. Nonostante tutto, dentro era tutto intatto, qualcosa di familiare intorno a quel turbinio di emozioni. Vidi che mi era stato portato qualcosa da mangiare, come aveva detto il preside Thompson, e solo alla vista di quel panino mi accorsi di avere molta fame. Nonostante tutto ero a digiuno da più di un giorno. Così senza troppi preamboli lo divorai.

Quando finii di spazzolare tutto, decisi che era ora di fare una doccia, ma una volta in bagno non potei non soffermarmi davanti allo specchio.  A quanto pare qualcuno si era dimenticato di mettermi al corrente del mio aspetto. All’attaccatura dei cappelli in alto a sinistra, scendeva verso giù una sutura con cinque punti, ero un po’ gonfia, ma la cosa peggiore era il lieve colore violaceo che arrivava fino all’occhio.

Ebbi un flash di un colpo d’acciaio che mi faceva cadere e sbattere la testa a terra.

D’istinto tirai su la maglia, e come supponevo avevo un ombra altrettanto violacea nella zona dello stomaco dove avevo ricevuto il pugno.

Scacciai quei pensieri, perché qualcosa stava montando dentro me.

Mi guardai ancora una volta e vidi del sangue ancora rappreso sui capelli. Aprii l’acqua del box e mi ci buttai dentro, vestita.

 

Alle dieci di sera ero pronta.

Tutta la mia vita era stata infilata in un paio di scatoloni e mi ero già preparata per quella sorta di funerale nel quale avrei dato addio per sempre al mio mentore.

Ero seduta sul letto, quando qualcuno bussò. Una volta aperto trovai il preside Thompson.

“Rose, tutto bene?”.

No. La testa mi scoppiava e avevo male dappertutto, tanto per cominciare.

Annuii.

Volevo parlare, ma temevo che se lo avessi fatto, mi sarei rotta.

“Seguimi allora, per favore?”.

Non sapevo dove saremo andati, ma composta lo seguii.

Giungemmo in quella che un tempo era la sala delle riunioni, ora macerie, passammo oltre ed entrammo su un’altra sala, che metteva un po’ di soggezione. Le luci intorno era soffuse, tranne al centro, in cui sedeva un guardiano di nome Michael, accanto ad un aggeggio e ad una specie di confessionale. La stanza era vuota, a parte lui e altri tre guardiani alle pareti.

Vorranno mica esorcizzarmi?

“Lo vedo, Rose, che sei chiusa nel tuo lutto, ti daremo tutto il tempo che hai bisogno per affrontare questa catastrofe. Ognuno reagisce a modo suo, ma noi vogliamo farti sapere che sappiamo bene la persona che potresti essere, e in qualche modo vogliamo onorare anche te. Se vorrai, potrai ricevere…” e mi indicò il guardiano Michael “… il molnija che ti spetta, anche se non hai ancora il simbolo della promessa!”.

Ero stupefatta. Veniva tatuato un molnija a coloro che erano riusciti ad uccidere uno strigoi, ed io non avevo ancora metabolizzato il fatto che ne avessi ucciso uno. Mai avrei immaginato che il mio primo molnija avrebbe avuto un costo così alto. Avrei potuto tirarmi indietro se lo avessi voluto, ma per quanto sembrasse da pazzoidi, questo molnija alla mia vista era diverso dal suo solito significato. Il compito di questo molnija era quello di non farmi dimenticare mai, il motivo per cui ora me lo stavano tatuando.

Mossi silenziosa i passi, verso il guardiano Michael, che gentile mi guardava, e mi inginocchiai di fronte a lui, col capo chino così da scoprire il collo e lasciar cadere i miei lunghi capelli davanti. Quando iniziò, pensai che avrei dovuto tagliarli, o almeno, così facevano tutti i guardiani donna, così che gli altri potessero vedere i loro tatuaggi.

Fu più doloroso di quanto immaginassi, aggiungendolo alla testa che scoppiava, ma non frignai neanche un secondo. Al termine, i guardiani presenti mi strinsero la mano. Qualcuno mi disse di farmi coraggio, qualcun’altro che un giorno sarebbe stato un onore combattere assieme, fui felice che nessuno disse congratulazioni, ma intuii che nessuno lo avrebbe fatto. Non ci si congratula con la morte.

Fui mandata nelle cucine a mangiare qualcosa velocemente, dato che mancava poco più di mezz’ora alla mezzanotte, ma da li feci un giro più lungo e cercai l’infermiera Grey, perché la mia testa scoppiava. Purtroppo non la trovai, così strinsi i denti e quando fu l’ora, mi recai nella cappella.

Già da fuori mostrava le percosse subite nell’agguato. Quando entrai l’atmosfera mi colpì. Le sedute erano macerie dovute all’incendio che aveva colpito per metà la struttura, ed erano raggruppate ai lati. I muri di pietra avevano resistito. Le candele rischiaravano l’ambiente, rendendolo lugubre, ma sacro. Davanti all’altare erano state posizionate delle specie di bare, e di fronte a loro, in semi cerchio, i guardiani e il preside Thompson.  Pensavo che avrei trovato solo i quattro guardiani di prima, ma con mio stupore ce n’erano tipo una quindicina, la maggior parte mai vista. Immaginavo che chi aveva potut, si era recato lì per porgere il suo saluto  a questi guardiani, che avevano dato la loro vita per gli altri, per me

Mentre avanzavo, scorsi lo sguardo di un dei guardiani scrutarmi. Non sapevo chi fosse, ma il suo sguardo ero così carico di emozioni che mi lasciò per un secondo interdetta. Non so cosa cercasse di vedere in me, ma sentivo che non mi stava guardando solo esteriormente, cercava di leggermi dentro. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, mi sentivo imbarazzata anche perché, non potevo non ammettere, che fosse davvero bello.

Arrivai nei pressi delle tre bare, gli altri due guardiani che avevano perso la vita erano coloro che stavano di guardia al cancello principale che portava fuori da questa accademia. Non li conoscevo benissimo, ma erano parte di questa grande ‘famiglia’ in cui avevo vissuto finora. Mi fermai un po’ lì, poi andai verso la bara che avvolgeva il mio mentore. Non molto distante da lui, stava quel guardiano, che a quanto pare non mi fissava più, anche se sembrava che stesse cercando di impedirsi di farlo. Sapevo di non averlo mai visto, eppure il suo portamento era così familiare.

Quando alzai lo sguardo su Nikolai, il mio mal di testa esplose, sembrava che ci fosse una guerra nucleare al suo interno. Mi morsi la lingua e guardai il mio mentore. Per fortuna tutto quel sangue che ricordavo, non c’era più. Vestiva la sua tenuta da guardiano più bella, la quale, fortunatamente, nascondeva quel taglio che sicuramente aveva al collo. Nemmeno mi accorsi che avevo iniziato a respirare affannosamente, mi mancava l’aria. Fissavo il viso sereno di Nikolai, che ora sapevo, mi aveva scelta.

Dannato vecchio, cosa farò senza di te?

Lo vidi nella mia mente ghignare con la sua solita smorfia e dirmi, che non sarebbe stato questo a fermarmi.

Mai prima d’ora mi accorsi di quanto la figura di Nikolai fosse per me importante. Lo pensavo essere una palla al piede, ma invece era tutt’altro.

Volevo piangere, ma non ci riuscivo, non sapevo esprimere il mio dolore, sapevo solo che mi mancava l’aria.

Le ginocchia mi cedettero, mentre cercavo di restare in piedi tenendomi sulla bara, ma il mal di testa era ormai più forte di tutte le mie volontà.

Sentii qualcuno chiamare il mio nome, poi tutto divenne nero ed io mollai. Mi lasciai andare in quel scuro oblio, che però non mi inghiottì perché qualcuno mi afferrò sul baratro di quel abisso. La mia mente parve addormentarsi, ma una cosa riusciva a tenermi in ballo: un profumo. Un profumo di dopobarba che non avevo mai sentito e che all’epoca ancora non sapevo, non avrei più dimenticato.

  
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