Capitolo 3
Persino
da vuota, Abby poteva
sentire il morso del freddo sulla pelle, il vento ghiacciato infilarsi
tra i
suoi vestiti, un gelo profondo depositarsi nelle sue ossa.
Avvicinò le braccia
al corpo e le ginocchia al busto. Il pavimento di pietra della cella
era duro e
la graffiava, ma priva di alcun tipo di letto, doveva accontentarsi; i
suoi
vestiti divennero la sua coperta, il suo cappello, il cuscino.
C’era stato un
momento nel quale la speranza dentro di lei era sembrata scaldarla, ma
col
passare dei giorni e il crescere del freddo, arrivò a una
tremenda conclusione,
e questa pareva estrarre tutto il calore dalla cella: sarebbe morta
lì. Sola. E
fredda; molto fredda.
Ad
un certo punto si addormentò.
Non fece alcun sogno perché, immaginava, quando si
è vuoti, anche quella parte
di te che sogna diventa vuota. Questo la rese triste. Dormire da non
morti era
sempre breve, senza riposo, e scarno, e quando si svegliava, si sentiva
come se
non avesse dormito affatto. Non era più nemmeno sicura che
avesse ancora bisogno di dormire.
Eppure lo faceva.
Forse per abitudine, forse come ultima difesa contro il freddo,
pungente e
implacabile. Forse perché in una cella di dieci metri
quadri, dormire era
l’unica cosa che si potesse
fare.
“È
uno scricciolo, non trovi?”
Voci
nell’oscurità; parole
portate dal vento.
“È
lei. La causa della nostra
sofferenza.”
Abby
aprì gli occhi. Non era il
vento a parlare.
“Beh,
prendiamola e usciamo fuori di qui.
Fa un freddo cane.”
In
una scarica d’adrenalina,
Abby raggiunse i suoi vestiti, trovò l’elsa della
sua mazza, e la afferrò.
Rotolò da un lato, fendendo l’aria con
l’arma in un arco difensivo e alzandosi
in piedi con un unico movimento. Stette immobile, con
l’angolo della cella alle
spalle, e fissò, gli occhi spalancati, il corpo
all’erta, il gruppo di persone
in piedi lì, di fronte a lei. Quello più vicino
era un uomo alto e calvo con
uno starno sorriso stampato in volto. Dietro di lui si trovava un
cavaliere in
armatura dorata. Tuttavia, non indossava alcun elmo e Abby
poté vedere che
l’uomo era di bell’aspetto, ma i suoi occhi erano
grigi e penetranti mentre la
guardavano. Affianco a lui vi era una figura più bassa,
avvolta completamente
in vesti nere. C’erano corde annodate attorno al suo busto,
alle braccia e ai
polsi, e Abby sentì un brivido lungo la spina dorsale quando
guardò nella
fessura del cappuccio del prigioniero.
“Come
mi chiamo?” Chiese il
cavaliere dorato, facendo un passo avanti e spostando di lato
l’uomo calvo
cosicché potesse starle di fronte. “Rispondimi,
ragazza. Come mi chiamo?”
Gli
occhi di Abby saettarono da
una figura all’altra, si leccò le labbra,
deglutì. “Non capisco…chi siete voi?
Siete
qui per liberarmi, o…per uccidermi?”
“Rispondi
alla mia domanda e lo
scopriremo,” le disse il cavaliere dorato. “Chi
sono? Dove ti trovi? Le sai
queste cose? Dimmi la verità.”
“No!”
Scattò Abby. “Non ha
senso! Vi prego! Sono rinchiusa qui da…”
“Continua.
Da quanto tempo?”
chiese il cavaliere, avvicinandosi. “Ma soprattutto: come ci sei arrivata?”
Lei
alzò la sua mazza con
entrambe le mani e la inclinò di fronte a sé per
difendersi da un eventuale
attacco. “State lontano, signore, vi prego!”
“Rispondi,”
ripeté. “Da dove
vieni?”
“Vinheim!
Ok? I miei genitori mi
mandarono alla Scuola del Drago per stregoni. Ho…fallito.
Non ero portata per
la magia. Ho preso la via delle arti bianche, iniziando ad allenarmi
con i
miracoli. Sono una semplice sacerdotessa! Non c’è
alcun bisogno di farmi del
male! Io-”
“Non
ti ho chiesto la dannata
storia della tua vita, ragazza,” disse il cavaliere, che ora
si era portato a
tiro. “Come sei arrivata in questa
cella? Come sei diventata vuota?”
“Io…”
Iniziò Abby, ma non riuscì
a trovare le parole. Aggrottò la fronte mentre ci pensava,
ma più cercava di
ricordare, più lontana pareva farsi ogni traccia di
risposta. Deglutì, scosse
la testa, e posò di nuovo il suo sguardo sul cavaliere.
“Non lo so.”
"Bene,
non dovresti. Ora
rispondi all'altra domanda. Chi sono?
Pensaci. Guarda la mia armatura. Un'armatura dorata. Chi sono?"
"Io…io…"
Balbettò
Abby.
Il
cavaliere balzò in avanti.
Abby urlò e cercò di colpirlo con la mazza, ma
non era mai stata molto brava in
quello, e il cavaliere era chiaramente addestrato al combattimento.
L'uomo alzò
il suo guanto dorato, le afferrò il polso in movimento, e le
torse la mano
verso il basso. Con l'altra mano la spinse indietro contro l'angolo
della
cella, e prima che lei si accorgesse di quello che stava succedendo,
lui aveva
sguainato una lunga lama ricurva e la stava premendo contro il suo
petto…
"Vi prego!"
Urlò Abby,
chiudendo gli occhi.
"Sei
vuota, ragazza. Quanta
paura può farti la morte?"
Abby
ci pensò. Immaginò che
l'uomo avesse ragione.
"Un'ultima
volta: chi
sono?"
Si
sforzò di aprire gli occhi e
di studiare i lineamenti del volto dell'uomo. Non le dicevano niente.
Le aveva
detto di concentrarsi sull'armatura dorata e così fece, ma
senza alcun
risultato. "Lo giuro: non lo so."
Gli
occhi freddi e grigi
dell'uomo si fissarono su di lei, e dopo un attimo di tensione, lui
annuì,
rinfoderò la lama, e la lasciò. "È
nuova," disse ai suoi compagni.
"Non so se è una buona o una cattiva notizia. Ma almeno sta
dicendo la
verità."
Abby
portò una mano tremolante alla
fronte e fece un respiro profondo per calmarsi. "Chi siete voi?"
"Sono
il Cavalier Lautrec,
di Carim," disse l'uomo attraente, piegando leggermente la testa in un
inchino. "L'uomo calvo dietro di me è Patches. È
abbastanza stupido e non
c'è da fidarsi di lui. Io lo eviterei nei nostri viaggi."
"Ehi!"
Protestò
Patches.
"Beh
è così, no?"
Patches
ci pensò su, alzò le
spalle, e annuì.
"Chi
è il tuo prigioniero?
Mi fa paura," ammise Abby, stringendo gli occhi sulle cascanti pieghe
di
stoffa nera che era la terza persona.
Il
cavaliere si mise a fianco
della figura e, nonostante i deboli tentativi di divincolarsi della
persona,
afferrò il retro del suo cappuccio. "Questa è la
nostra strega. Figlia del
Caos, Quelana."
"Strega!?" Gli fece eco Abby, arretrando
di un passo nel suo
angolo.
Il
cavaliere tirò indietro il
cappuccio. Abby fissò la donna che vi si trovava sotto,
stupefatta. Si
aspettava un qualche mostro uscito direttamente dalle storie che i suoi
genitori le leggevano da bambina. Naso arcuato e contorto, pelle verde,
verruche, denti gialli e rotti. Fortunatamente, non vide niente di
tutto ciò.
La strega era giovane - o almeno
sembrava giovane. La sua pelle era pallida, pulita e liscia alla vista.
I suoi
occhi erano di una bella sfumatura di verde, e ciocche libere dei suoi
capelli
color ebano pendevano affianco a essi. Un bavaglio era stato legato
attorno
alla sua bocca; le sue labbra sottili strette attorno al nodo centrale.
"È…bellissima,"
disse
Abby. Gli occhi della strega si posarono su di lei.
"Già,
purtroppo lo è,"
ammise Lautrec. "È un peccato che sia così
pericolosa."
"Perché
l'hai
imbavagliata?"
La
strega riportò lo sguardo sul
cavaliere, ma Lautrec le rimise il cappuccio in testa. "Questa nostra
piccola strega qui ha la lingua di un serpente. Ha il potere di
sottomettere la
tua mente con niente più di un paio di sussurri nel tuo
orecchio. Il mio calvo
compagno ha quasi perso la vita a causa di questo trucchetto."
Patches
fece una smorfia e si
massaggiò il collo. "Schifosa cagn-ehm, strega."
"Quanto
potere…"
sussurrò Abby,
affascinata.
"Già,"
concordò
Lautrec, mettendosi tra di loro cosicché Abby non la
fissasse. "È una
prigioniera potente, ma non la più collaborativa. Per questo
è legata."
"Dove
la stai
portando?"
"Nello
stesso posto dove
porterò te. Lontano da questa maledetta prigione. Torneremo
a Lordran."
Abby
si accigliò. "Tu vuoi
liberarmi, allora, ma…cosa ci aspetta a Lordran?"
Il
cavaliere alzò le spalle.
"Tutto? Niente? Chi lo sa. Siamo in un viaggio di cambiamento. Un
cambiamento che è già iniziato." La sua bocca si
aprì in un sorriso e alzò
le mani indicando la cella. "Sicuramente lo senti questo freddo così aspro."
Abby
annuì.
L'abbiamo
creato noi. Vieni fuori con me.
Guarda che
magnifico cambiamento abbiamo già portato."
Il
cavaliere allungò la mano.
Abby deglutì nervosamente, il suo sguardo si posò
sopra la mano, e poi sul
cavaliere. Sentiva che afferrarla avrebbe sancito una sorta di patto
col
cavaliere e i suoi accompagnatori, divenendone parte, e
l’idea la spaventava.
Sembravano tutti così…forti. Così esperti.
Lei era una maga fallita e un chierico novizio: cos’avrebbe
mai potuto offrire
loro?
“Non
mordo,” la rassicurò il
cavaliere, con un altro sorriso.
Lei
si sforzò di sorridergli e,
dato che non aveva altra scelta, afferrò la sua mano. Lui
s'inchinò e la
condusse fuori dalla cella mentre l’uomo calvo prendeva le
corde della strega
per un capo e la trascinava con sé. Il corridoio
all’esterno della cella era
buio, delle torce piantate su sostegni a intervalli regolari lo
illuminavano, e
sembrava persino più freddo di quanto fosse la sua cella.
Strinse le braccia
attorno al proprio corpo mentre avanzavano, il cavaliere vicino a lei
che la
teneva per i fianchi. Dalle crepe sul muro alla loro destra
s'intravedeva
un’enorme stanza. Era vuota. Alla fine del corridoio, li
attendeva una stanza
cilindrica; una lunga scala di acciaio spuntava dalla parete e
conduceva di
sopra. Abby piegò la testa all’indietro e vide un
vortice bianco nel mondo che
li aspettava all’esterno.
“Nevica,”
disse.
“Sì.
Una vera tormenta,” annuì
Lautrec. “Ha iniziato proprio appena siamo
arrivati.”
“Sembra
che agli Dei non vadano
a genio i cambiamenti,” soggiunse Patches da dietro, facendo
quella sua strana
risatina.
“Non
capisco, signore,” disse
Abby, voltandosi verso Lautrec. “Cos’è
questo ‘cambiamento’ del quale voi e i
vostri compagni continuate a parlare?”
“Non
pensarci adesso. Sali e
basta. Capirai poi.”
Abby
tornò a fissare la scala, il
mondo sopra di essa, la sua piccola cella dietro di lei e
provò una scarica di
eccitazione. Il suo piede si appoggiò sul piolo, la sua mano
ne afferrò uno più
in alto, e quando stava per salire, si girò verso il
cavaliere. “Io…vi
ringrazio, signor cavaliere. Per avermi liberato. Temevo che avrei
passato il
resto dei miei giorni in quella prigione.”
Lautrec
gli posò una mano sulla
spalla e annuì. Lei sorrise, e iniziò la salita.
Il
mondo era un turbinio bianco,
freddo e bagnato sopra di lei. Abby uscì dal buco e si
dovette subito schermare
gli occhi a causa della feroce bufera. Con grande fatica, fece un passo
nella
distesa alta fino al ginocchio e lasciò che la neve le
toccasse i capelli, la
faccia, la lingua. Sorrise; era meraviglioso. Guardò il
cielo pallido sopra di
lei e spalancò le braccia, in una libertà che non
aveva mai sentito prima.
La
freccia trapassò la carne
vuota del suo petto in modo così netto e con tanta
facilità, che Abby non aveva
nemmeno capito cos’era successo finché non si
ritrovò a fissare il bastoncino
di legno che spuntava dal suo corpo. “Oh no,”
sussurrò, barcollò, e cadde sulla
neve.
Il
respiro le si bloccò in petto
e poteva sentire il sangue dietro ai denti. Emise un gorgoglio che
sarebbe
potuto essere un grido d’aiuto, ma nemmeno lei
ne era sicura. La neve stava impregnando i suoi vestiti.
Sì sentì bagnata e
fredda e…sola.
Il
viso del cavaliere apparve
sopra di lei un attimo dopo. “Che
diavolo…” disse, vide la freccia, capì
cos’era successo e si spostò rapidamente da un
lato.
Appena
lo fece, una seconda
freccia si conficcò nella neve dove si era inginocchiato
solo un secondo prima.
“Maledetti
gli Dei,” sibilò,
tornando di corsa da Abby, e afferrando i vestiti sulle spalle. La
trascinò
dietro l’arco di pietra che conduceva al buco della scala.
Riuscì a tirarla lì
dietro proprio mentre una freccia si piantava a terra vicino alle sue
caviglie.
“S-secondo…piano…”
gracchiò
Abby, uno sforzo doloroso a ogni parola. “L’ho
visto…lui è…come me.
Vuoto…”
“Non
è possibile,” le disse
Lautrec, togliendosi l’armatura dorata dalle braccia.
“Nessun essere vuoto è
tanto preciso.” Si voltò verso la scala.
“Occhio, Patches. C’è un arciere
quassù.”
“Un
arciere?!” gli fece eco la
voce di Patches da dentro il buco. “Beh,
che cavolo vuoi che faccia, Lautrec? Sto portando la dannata strega in
spalla!”
“Lo
ucciderò,” spiegò
semplicemente Lautrec. Si era levato guanti e stivali e cercava di
levarsi la
cotta. “Dagli un attimo e poi corri su e mettiti al
riparo.”
Abby
si toccò la ferita, ma le
sue dita causarono una fitta di dolore. Strinse i denti e chiuse gli
occhi
finché non fu passata.
“Non
toccarla. Torno subito,”
disse il cavaliere.
Abby
lo guardò. Era sembrato
così robusto e imponente nella sua armatura dorata, ma senza
di questa aveva il
fisico di un normale uomo; una tunica scura e dei pantaloni avvolgevano
la sua
figura. “Sto…per morire…”
“Non
puoi morire,” le spiegò
Lautrec. Prese la sua cotta, si accostò all’arco,
e la tese fuori con uno
scatto del polso. Un secondo dopo, il suono di una freccia che tintinnò sull’oro
riempì l’aria. Lautrec
scivolò fuori, divenne una figura sfocata nella tormenta, e
poi sparì
completamente.
Patches
uscì dal buco con la
strega sulla spalla un attimo dopo. Si affannò verso il muro
di pietra appena
in tempo; un’altra freccia venne scoccata e
attaccò la parete dietro di lui.
“Bastardo!”
ruggì Patches,
sistemando la strega affianco ad Abby. “Spara a me!?” Mise le mani attorno alla
bocca e uscì appena dall’arco.
“Ammazza quello stronzo codardo, Lautrec! Ammazzalo per bene!
“…muoio…”
riuscì a sussurrare
Abby tra i colpi strozzati di tosse.
“Mi…ha…colpito…”
“Zitta,
ragazza, non muori
mica,” spiegò Patches. “Sei la dannata
Prescelta.”
La
strega s’inginocchiò accanto
a Abby e la osservò da sotto il cappuccio. Abby
rabbrividì, anche se non era
sicura se fosse per il freddo, la ferita, o lo sguardo della strega. La
strega
cercò di raggiungerla al meglio che poteva con le braccia
legate e prese la
mano sinistra di Abby nella sua. Abby era meravigliata da quanto calda
fosse la
sua pelle mentre la strega strofinava le dita sul suo palmo. Chiuse gli
occhi e
si rilassò, non trovando più tanto difficile
farlo.
Da
qualche parte all’esterno, un
urlo risuonò. Non era del cavaliere.
“Ha-ha! Ha preso il bastardo!”
esultò Patches.
Un
paio di minuti dopo, Lautrec
tornò. Abby vide, sforzando gli occhi, che trascinava un
corpo dietro di sé.
Gli
occhi di Patches caddero sul
corpo e la sua bocca si spalancò. “Che
diavolo…com’è possibile?”
Abby
guardò. L’arciere era
vuoto. Aveva avuto ragione. Era
vuoto e vestito di pelle ben oliata, stivali ai piedi, guanti sulle
mani, una
faretra di frecce sulla schiena. Soprattutto, però, era vivo.
Lautrec
scosse il capo. “Ce ne
sono due.”
“Due Prescelti?”
scattò Patches. “Non ti sembra un po’
buffo?”
“Guardalo!”
disse Lautrec. “È
vestito come un uomo. Era molto più preciso con
quell’arco di quanto ogni
normale essere vuoto potrebbe mai sognare
di diventare. È un Prescelto. O forse…lui
è il
Prescelto.” Gli occhi del cavaliere andarono ad Abby.
“E lei no.”
Abby
ebbe un sussulto e portò
una mano alla ferita. Gli occhi di Patches si posarono su di lei,
sull’arciere,
e poi ancora su di lei.
“Non…non
ha senso.”
“Lo
avrà presto,” spiegò il
cavaliere. “Lei sta morendo per quella ferita, e lui sta morendo per la mia
ferita. Portiamoli entrambi al falò. Allora scopriremo chi
vive…e chi muore.”
Così,
l’uomo calvo prese Abby
tra le sue braccia, la sollevò, e la portò oltre
l’arco di pietra nella bufera.
Lautrec trascinò il morente essere vuoto con sé
per il colletto della sua
tunica. La strega li seguì lentamente, e Abby vide con
grande stupore che dove
i piedi della strega si posavano, la neve iniziava a sciogliersi
attorno a lei.
Percorsero
la breve distanza
fino a un falò spento, che giaceva misero e dimenticato in
mezzo al turbinante
bianco caos della tormenta. Abby fu posta vicino ad esso,
l’altro essere vuoto
venne buttato affianco a lei, e Lautrec andò a prendere la
strega per le corde.
“Accendilo,”
ordinò, portandola
affianco al falò.
Il
viso della strega si voltò
verso di lui, ma Abby poteva vedere che gli occhi grigi
dell’uomo erano fissi sul
legno spento posto davanti a lui. La strega guardò il legno,
alzò le sue
pallide mani quanto le corde le lo rendessero possibile, e
girò i palmi al
falò, le dita tese.
“Aspetta,”
la fermò Lautrec, si
abbassò e prese due rametti dal falò.
“Va bene, strega. Avanti.”
La
visuale di Abby si era
ridotta a uno stretto, buio, tunnel a quel punto, ma ciò che
vide non smise di
sorprenderla. Fiamme rosse e arancioni nacquero dalle mani della donna,
si
dimenarono nell’aria, e toccarono il falò,
accendendolo immediatamente. La
tiepida luce era rassicurante sulle guance vuote di Abby.
“Ecco,”
disse Lautrec,
accucciandosi affianco a lei. Mise uno dei pezzetti di legno nella sua
fragile,
debole mano. Lei lo strinse più che poteva e chiuse gli
occhi. “No. Sveglia,
ragazza. Lancialo nelle
fiamme.”
“…fiamme…”
gracchiò Abby.
“Ora!”
insistette Lautrec, e spinta
solo dalla paura delle sue grida, lanciò docilmente il
rametto nel fuoco con le
sue ultime forze. “Bene,” disse il cavaliere,
alzandosi. “Ora tu, ragazzo. Se
mi puoi ancora sentire, tieni.”
Abby
ascoltò mentre l’atro
essere vuoto sussurrò alcune parole sottovoce. Non era
sicura se avesse preso o
no il legno, perché non aveva più la forza di
tenere gli occhi aperti. Sentiva
la neve sul suo volto, sulle sue guance, e non sapeva se il bagnato
fosse la
neve o le sue stesse lacrime. La strega dovette averle preso la mano di
nuovo,
perché la sentiva calda. Ci fu un momento in cui ad Abby
divenne evidente che
stava morendo.
E
poi era morta.