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Autore: deba    04/05/2015    2 recensioni
Una FF per rivivere l'amore di Rose e Dimitri.
Rose Hathaway, vive e studia nell'accademia di St. Thomas, con l'unico scopo di diventare un guardiano più famoso della madre. Purtroppo durante un improvviso attacco strigoi, il suo mentore muore e la sua accademia viene distrutta. Così Rose si ritrova a partire da zero in una nuova accademia, la St. Vladimir, dove metterà in discussione se stessa più volte e troverà veri amici e il vero amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrian Ivashkov, Christian Ozera, Dimitri Belikov, Lissa Dragomir, Rose Hathaway
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 6

Capitolo 6

 

 

 

 

Quella notte non dormii. Ripensavo al combattimento con Mason e non riuscivo a trovare pace. C’era qualcosa che non andava in me, e lo sapevo.

Era ancora presto per alzarsi, ma stare a letto sembrava un’utopia così misi una tenuta da ginnastica e dopo un paio di giri di corsa, andai in palestra. Sapevo che anche qui dovevano avere una sala coi manichini e non mi fu difficile trovarla. I luoghi erano suddivisi, più o meno, con la logica che c’era anche nella mia accademia. Guardai il manichino senza viso davanti a me e iniziai a prenderlo a pugni lentamente, poi come spesso ultimamente accadeva, scattai d’ira e iniziai a sfogare la mia rabbia sul fantoccio.

“Non è così che risolverai i tuoi problemi”.

Quella voce.

Mi voltai colta in flagrante, mentre il mio cuore sussultava un po’. Non avevo più ripensato a lui.

Il guardiano Belikov era in piedi all’ingresso in tenuta d’allenamento, ma per un nano secondo, non so perché, ebbi la sensazione di vedere Nikolai.

Mi tirai indietro dal manichino scioccata, mentre ansimavo.

Si avvicinò silenzioso, fissandomi e soppesandomi con lo sguardo.

“Dovresti parlare con qualcuno.”

Sgranai gli occhi, mentre il sudore mi gocciolava ai lati del viso. Sembrava un modo carino per dirmi di andare dallo psicologo. Arretrai alle sue parole.

“Non spaventarti, lo dico per te, per il tuo bene. Così non risolverai nulla, e sarà sempre peggio!”.

Sembrava parlasse per esperienza o forse sembrava solo molto convincente, ma io non ero pazza dannazione. Io stavo bene avevo solo… bisogno di tempo.

“Guardami bene. Gli altri guardiani sbagliano a pensare che quando sarai pronta tornerai in te. So cosa ti sta accadendo e lasciarti ad affrontare tutto da sola sarà la tua rovina.”

Stava cominciando ad innervosirmi. Volevo andarmene, non volevo ascoltare.

Feci altri passi all’indietro, verso l’uscita. Lui dallo sguardo duro intese la mia posizione.

“Non diventerai mai un buon guardiano così. Di questo passo, non lo diventerai mai!”.

Questa sua frase mi infuriò. Chi credeva di essere, non mi conosceva nemmeno.

Vidi il suo sguardo brillare furbo, sapeva di aver toccato il punto giusto.

“Si aspettano tutti grandi cose, perché sei figlia del guardiano Hathaway, ma per quanto mi riguarda, resteranno molto delusi!”.

La sua bocca si storse in un ghigno compiaciuto. Mi stava praticamente dicendo che non sarei mai diventata come mia madre, che non sarei mai diventata un guardiano, che non sarei diventata nessuno.

Qualcosa in me esplose, quella cattiveria che arginavo da giorni fuoriuscì e mi accecò dalla rabbia. Nemmeno mi accorsi che avevo attaccato il guardiano Belikov.

Lui sembrava aspettarselo perché parò subito i miei colpi. Tutte le lezioni di Nikolai mi frullavano per la testa ed io, colma di adrenalina, le stavo provando tutte, ma il mio avversario sembrava anticiparmi qualsiasi mossa.

“E’ questo il meglio che sai fare?” mi disse dopo un paio di attacchi, ma il suo tono era cambiato e non era più cattivo come prima, sembrava speranzoso quasi. D’altro canto dopo un po’ mi accorsi che anche io ero cambiata, non era più la rabbia a guidarmi, bensì la frustrazione che lui sapesse in anticipo ogni mia mossa. Il mio scopo prima era farlo tacere, ora era sopraffarlo. Tutta me stessa si aggrappò su ciò.

Dopo non so quanto tempo, cominciai a risentirne, tutta l’adrenalina stava scemando e sentivo il mio corpo abbandonarmi a poco a poco. Lui mi colpiva, ma sapevo per certo che si stesse trattenendo. Non capivo perché in tutto questo, la sensazione familiare che provavo in sua presenza continuasse ad invadermi.

Ormai per la mente non avevo più niente da sfoggiare, mi passava per la testa solo una finta che mi aveva insegnato Nikolai qualche giorno prima del… .

 Mi si formò un groppo allo stomaco al suo pensiero.

Cercai di non distrarmi e ricordai le parole del vecchio durante la sua spiegazione, e dopo aver finto un attacco di lato, mi girai veloce per colpire la schiena del mio avversario, ma chissà perché, neanche questo funzionò. Belikov riuscì ad intuire anche questa mossa, e mi spedì al tappeto e nel cadere me lo trascinai dietro.

I suoi occhi stavano a poca distanza dai miei. Aveva parato tutti i miei attacchi, riconoscevo che aveva combattuto in modo fantastico, quasi aggraziato quanto una persona a me nota… Nikolai.

Questa scoperta mi bloccò, mozzandomi il fiato, mentre ancora lo guardavo, e lui faceva lo stesso. Quando smisi di respirare lui si destò all’improvviso, come se solo allora si fosse accorto della nostra vicinanza. Io mi alzai lentamente, ancora sgomenta e fissandolo. Ecco perché quella sensazione familiare, la sua postura, il suo modo di combattere… impossibile… ma forse…

Lui a disagio si voltò di spalle, stava per andarsene, ma qualcosa lo fece fermare. Un nome. Una voce. La mia.

Dimka!”.

Lui si voltò con occhi sgranati, increduli. Questa era una risposta più che sufficiente.

Io lo guardavo scioccata, conscia forse di averlo sempre saputo.

“.. avrei dovuto capirlo subito...”.

Parlavo più a me stessa.

Sorrisi amara, tutte le mie difese si stavano abbassando.

Fissavo lui, ma non lo guardavo davvero. Davanti a me altre scene. Nikolai che che mi sgridava divertito e io che lo stuzzicavo come una monella.

Lui mi parlava spesso di te…”

Era ovvio chi fosse quel lui, ed ero certa di avere ragione, perché gli occhi di Belikov iniziarono a brillare, forse commosso, chi poteva dirlo.

 

In quel momento mi accorsi cos’ero successo. Avevo parlato. Avevo scavalcato le mie muraglie, per arrivare a lui… e lui, ora mi guardava sereno. Risentii le sue parole quand’era entrato nella sala dei manichini, il suo provocarmi e solo allora capii. Come sapeva fare il mio vecchio, Belikov-Dimka, aveva toccato l’unico tasto che mi avrebbe fatto scattare, che mi avrebbe svegliata, che mi avrebbe fatto reagire. E ora che le difese erano state aperte tutto ciò che mi rimaneva dentro, si riversò fuori in lacrime amare. Tutte quelle lacrime che avevo soffocato.

In un primo momento vidi Belikov combattuto, ma poi si avvicinò e mi lasciò affondare il viso sul suo petto.

“Sfogati, Roza!”.

Quel nome mi scatenò un’ondata di lacrime più furiosa della precedente, ma più piangevo, più sentivo alleggerirmi, tanto che riuscii a dire ciò che non avevo neanche mai avuto il coraggio di pensare per paura dell’intensità del significato di quelle parole.

“E’ morto per colpa mia. È tutta colpa mia… Nikolai .. colpa… mia…”.

Deliravo.

Belikov mi staccò da se, e i singhiozzi presero a rallentare mentre mi perdevo nel suo sguardo serio.

“Non puoi prenderti la colpa di tutto!” la sua voce risuonava alto sonante. Rimbombava in quella sala e nella mia testa. “…puoi pentirti delle tue decisioni e desiderare di aver fatto le cose in un altro modo, Rose, ma anche il guardiano Lazar ha fatto le sue scelte, come altri quel giorno, e tu non puoi essere responsabile per tutti loro. È ora che tu capisca ciò!”.

Rimasi sconvolta dalle sue parole. Lui sapeva cosa provavo e aveva fatto in modo che lo dicessi e che capissi. Aveva ragione, sapevo che era vero, e ora iniziavo a vergognarmi per come mi ero comportata. Se volevo diventare un guardiano questo genere di cose potevano succedere: perdere un amico, uccidere qualcuno…

“Io ho ucciso…”. Ancora un singhiozzo lontano  mi vibrò nel torace.

Lui mi accennò un sorriso gentile.

“Nessuno si riprende facilmente dalla sua prima uccisione, anche se la vittima è un mostro a tutti gli effetti. Tutti noi abbiamo dovuto farci i conti la prima volta, ma la cosa importante è non perdere di vista il nostro obiettivo, non perdere di vista chi siamo e perché facciamo queste cose. Non perdere di vista noi stessi. E il più delle volte la cura migliore è proprio parlarne. Non tenersi tutto dentro!”.

Dopo non so quando la mia bocca si curvò in un sorriso, con un retro gusto amaro.

“Quel vecchiaccio mi diceva sempre di dovermi controllare…”.

Lui mi guardò strabuzzando gli occhi.

“Vecchiaccio?”.

Sembrava davvero imbarazzato per il modo in cui chiamavo Nikolai, tanto che la sua faccia mi fece ridere, e ridere, e ridere…

Da quanto non sentivo la mia risata, mi ero dimenticata il suo suono, come mi ero dimenticata l’emozione che ne suscitava.

Quando smisi mi sentii rinata, mi sentii di nuovo me stessa ed era una sensazione bellissima.

Avevo toccato il fondo, ora non potevo far altro che risalire.

Lo guardai e una domanda stupida mi affiorò sulla labbra.

“Che significa Dimka?”.

Lui sorrise.

“E’ il diminutivo del mio nome. Dimitri.”.

Dimitri Belikov. Suonava divinamente.

“Non aveva più senso, che ne so, Dimi?”.

Lui curvò le labbra in un accenno di sorriso.

“Non funziona così nella lingua Russa!”.

“Già, di sicuro. Beh, a me piace di più Dimitri.”

E detto ciò, il mondo tornò al proprio posto. Dimitri mi portò alla realtà ricordandomi l’ora. Feci per andarmene, ma prima di uscire, mi voltai e gli dissi grazie.

Grazie a lui avevo ripreso a vivere e di sicuro non lo avrei dimenticato mai.

 

Risciacquavo i capelli dallo shampoo, e non potei non rendermi conto dei miei giorni passati in quello stato comatoso. Dimitri mi aveva riattivato il cuore, riportato in vita. Prima ero solo un automa. Ero arrivata ad essere lo zimbello della St. Vladimir e questo doveva cambiare. La gente avrebbe dovuto ricordare il mio nome per ben altri motivi, non certo perché momentaneamente non in grado di intendere e di volere.

Il mio cuore sembrava esplodermi nel petto, ero carica come non lo ero da tempo, sapevo che avevo ancora molta strada da percorrere, prima di divenire un guardiano a tutti gli effetti, ma dovevo farcela a tutti i costi, per me stessa, e per quel vecchiaccio che aveva creduto così tanto in me.

 

Camminavo sotto le arcate che aggiravano  i giardini per recarmi in mensa per la colazione, o almeno speravo di trovare ancora qualcosa, perché ero in dannato ritardo, quando a metà strada notai che c’erano dei moroi, presumibilmente reali nel loro atteggiarsi, che stavano intimorendo un’altra moroi. La riconobbi quasi subito. Era la moroi dagli occhio tristi, a cui avevo raccolto il libro.

 Avviccinandomi sentii cosa si dicevano.

“E tu saresti una reale? Per fortuna non sei rimasta che tu!”.

Era stata una moroi dalla voce nasale e cattiva a dire queste parole. Si era tirata indietro i capelli rossicci, lisci come seta, aveva l’aria di una stronza ricercata, e si atteggiava come capo combriccola. La moroi bionda parve risentirne parecchio, perché i suoi occhi già tristi di suo, si riempirono di lacrime. Stava cominciando a respirare affannosamente, sembrava avere una crisi di panico.

Non mi erano mai piaciute queste cose. Prendersela con gli indifesi e dispensare cattiveria gratuita. Non era solo un capriccio il sogno di diventare un ottimo guardiano, bensì la possibilità che diventando un nome riconsciuto, avrei ricevuto così tante richieste da poter decidere io chi servire. Proteggere i moroi, che davvero ne avevano bisogno.

Giunsi in quel gruppetto, dove la folla stava aumentando, e mi misi a scudo davanti alla moroi bionda.

La stronza panteta si spaventò al mio arrivo, ma quando mi riconobbe rise aspramente.

“Ma guarda, la pazza-dhampir che arriva in difesa della pazza-moroi.”

La sua combriccola rise dopo di lei.

Io la guardavo minacciosa, poi mi rasserenai e gli volsi un sorriso amichevole, che la fece smettere, ma non perdere, quel ghigno sul viso.

“Dovresti sapere cosa si dice dei pazzi!”. Sorridevo ancora mentre mi avvicinavo al suo viso, che ora parve incredulo nel sentirmi parlare. In fin dei conti ero sempre la muta dell’accademia.

“I pazzi sono così instabili, che non si sa mai come possano reagire!”. L’ultima parola gliela sussurrai a pochi centimetri dal viso. Lei si era bloccata incredula. Tutti in silenzio guardavano la scena. La muta pazza aveva parlato.

Qualcuno da lontano disse che stavano arrivando i guardiani, così tutti si dispersero velocemente. La ragazza moroi che avevo affrontato si era ripresa e prima di allontarsi, guardò la moroi alle mie spalle, poi me e disse: “Vi siete scavate la fossa da sole!” e se ne andò ancheggiando.

Doveva intimorirmi? Perché a me aveva solo dato un pizzico di quotidianità normale nella mia vita.

Mi voltai ricordandomi della moroi alle mie spalle.

“Ehi, tutto bene?”.

Lei mi guardava incredula, le lacrime non erano scese, e questo mi bastava.

“N-nessuno aveva mai preso le mie difese! Grazie.”.

Io le sorrisi rassicurandola.

“Perché non ci sono mai stata io!”.

Il suo viso fu rischiarato da un timido sorriso. Era davvero la moroi più bella che avessi mai visto. I suoi capelli, i suoi occhi, la sua pelle, tutto di lei la faceva brillare.

“Io sono Rose Hathaway, anche se forse lo sai già!”.

Come sempre la mia peggior fama mi precedeva sempre.

“Il mio nome è Vasilisa Dragomir, ma ti sarei grata se mi chiamassi solo Lissa!”.

Un momento Dragomir? Conoscevo benissimo questo nome, anzi sfidavo tutti a non saperlo. I Dragomir erano una delle casate che godevano di maggior rispetto tra i reali, ma il destino aveva decimato i suoi componenti fino ad una sola famiglia. E la disgrazia peggiore era arrivata qualche anno prima, dove i rimanenti erano morti in un incidente stradale. Voci di corridoio parlava di sopravissuti, altre dicevano che erano morti tutti. Ricordai le parole della stronza di prima “Per fortuna non sei rimasta che tu”. Come si può dire una cosa così spregevole?

Lei parve capire l’impatto che avrebbe avuto su una che non la conosceva il suo nome, e mi lasciò il mio tempo per apprendere ciò.

“Quella rossa è stata davvero una grande stronza!” mi riferii a ciò che le aveva detto prima.

Lei non si aspettava che le dicessi così, probabilmente era solita sorbirsi domande su suoi parenti, di certo io non le avrei chiesto niente. Figuriamoci.

Lei mi sorrise e stava per rispondermi, ma i guardiani di cui si era nominato l’arrivo prima, con tempismo splendido fecero la loro apparizione.

 Erano Dimitri e il guardiano Alberta. Non so se lo immaginai solo, il mio cuore, sussultare.

Lui parlò non appena ci fu vicino.

“Principessa, ci sono problemi?”.

“Nessuno, guardiano Belikov, ho solo avuto il piacere di conoscere Rose.”

Era sincera. Mi sorrise dolce, dopo aver parlato educatamente con Dimitri, il quale mi guardava con sospetto. Perché sembrava aspettarsi che adesso ne combinassi ad ogni passo? Io gli sorrisi angelicamente, e questo gli fece brillare gli occhi di …divertimento? Ammonimento? Non avrei saputo dirlo. Contemporaneamente ammirai Lissa, non sembrava nemmeno che un minuto prima una ragazza le stesse ricordando di essere sola al mondo. Capii che doveva essere una persona che si teneva tutto dentro, per non dare peso dei suoi problemi agli altri. Sbagliava, come io avevo capito che sbagliavo. O meglio, come Dimitri mi aveva fatto capire che sbagliavo.

Perché diamine risolvere i problemi degli altri era sempre più facile che risolvere i propri?

“Bene, allora principessa se non le è un fastidio l’accompagnerò alla sua lezione, dato che sono di strada. Tu, signorina Hathaway, proseguirai a Tecniche avanzate di combattimento con il guardiano Belikov” disse Alberta.

“La ringrazio” disse gentile Lissa, poi si rivolse a me “Rose, pranziamo assieme oggi?”.

Mi sarebbe piaciuto diventare sua amica.

“Volentieri. A dopo, Lissa!”. Lei mi sorrise, e un’Alberta alquanto solare la scortò via. Non potei non notare i capelli corti sbarazzini del guardiano, che permettevano di vedere benissimo i molnija e il marchio della promessa, una esse orizzontale. 

Inconsciamente mi toccai la parte del collo in cui c’era il mio tatuaggio.

Dimitri mi guardava pensieroso come il suo solito e io finta di niente presi a camminare verso la palestra.

“Lo nascondi!”.

La sua voce calda iniziava ad essere familiare e mi faceva rabbrividire lungo la schiena.

Si stava riferendo al molnija. Aveva visto che avevo guardato il collo di Alberta e che mi ero toccata il mio.

“Non è vero.” Almeno credevo. “È solo che… non voglio tagliare i miei capelli, non ancora.”

Tutti i guardiani femmine li tagliavano, ma a me piacevano troppo i miei lunghi capelli neri.

Sembrava volesse confidarmi qualcosa, ma qualcosa lo bloccò, rimettendo la maschera salda che avevo visto portare sempre in presenza della gente. Un guardiano dall’aspetto fiero e intoccabile. Con me, anche quella mattina, sembrava fosse stato più se stesso. Forse il fatto di aver avuto lo stesso mentore, ci univa un po’.

“Puoi sempre legarli!” e si indicò il codino che portava lui. Certo i suoi capelli erano corti anche se sciolti, ma forse per non averli in viso li legava, almeno pensavo io.

“Se sciolti possono essere un’arma usata contro di te. Uno strigoi può prenderti per i capelli e tirarli, così da farti perdere l’equilibrio e prenderti in contropiede!” lo disse come se fossimo ad una lezione di combattimento.

“Grazie per la dritta, compagno. Mi piacciono troppo i miei capelli.”

Non lo guardai, e da lì in poi continuammo in silenzio sino in palestra. Da dove mi era uscita compagno? Lui non  aveva detto niente, e speravo non se ne fosse accorto. Sapevo bene che non era Nikolai, eppure sentivo un feeling, qualcosa, che mi faceva sentire tranquilla e al sicuro.

All’ingresso mi fermai e lui dietro di me. Mi era tornato in mente il combattimento con Mason il giorno prima.

“Come sapevi che non mi sarei fermata ieri?”.

Non specificai cosa, ma sapevo che lui mi avrebbe capita. Lui sembrava capirmi sempre.

“I tuoi occhi” disse, dopo una piccola pausa. “Erano inarrestabili.”.

Ricordai chi credevo di combattere.

“Ai miei occhi, vedevo uno strigoi”. Ammisi e lo guardai.

Lui annuiva. Poi dal nulla lo vidi tornare nella sua solita postura da guardiano intoccabile. Le confidenza era finite.

“Sai vero che dovrò riportare il fatto che sei tornata nelle tue piene facoltà mentali!”.

“Che il mio momento pazzo è finito?” dissi ironica. “Si, lo sospettavo. So che i guardiani vorranno sapere cosa è successo quella notte, ma riferisci loro che lo dirò solo dopo che avranno risposto a delle mie domande!”.

Riuscii a sorprenderlo e incuriosirlo.

“Quali domande?”.

Oh, molte domande. Quell’attacco non avrebbe mai dovuto verificarsi.

“Sono sicura che sarai presente anche tu, perciò vedrai.”

E lo lasciai ammutolito.


 

Buonaseraaa
Un legame che sembrava già inspiegabilmente esistere, inizia a prendere forma per i nostri personaggi preferiti.
Che ne pensate di questo Dimitri che aiuta Rose a tornare in sè?
Rose sembra aver trovato anche un'amica sincera, contente?
Ditemi cosa ne pensate mie preziose lettrici <3.
Un bacio

  
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