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Autore: Team Disturbo Bipolare    05/05/2015    3 recensioni
Corypheus ha trovato la sua fine per mano dell'Inquisitore. I suoi oscuri poteri sono stati sconfitti da colei che ora comanda una delle forze più potenti del Thedas.
Ma che ne è stato del resto del mondo dopo quelle battaglie?
La vita apparentemente ha ripreso a scorrere come nulla fosse accaduto, ma con una cicatrice nel cielo a ricordare a tutti gli errori e gli atroci massacri compiuti in nome della superbia. Eppure, per quanto possa essere accurato il lavoro dell'Inquisizione, non tutto è sotto al loro controllo.
Il lascito dell'oscuro Magister aleggia minaccioso sui regni del Thedas, strisciando in silenzio fra le ombre per poter risorgere ancora...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Essere una donna ad Antiva era un vantaggio. Lo era ancora di più se eri una donna dei Corvi.
Dahlia finì di allacciarsi il corpetto blu scuro sopra la camicia di lino bianca, quindi infilò i suoi due pugnali nei rispettivi foderi, nascondendoli alla vista grazie alla mantellina che portava appoggiata sulle spalle: sebbene facesse parte della più spietata gilda di assassini di tutto il Thedas, nella ridente Antiva alle donne era proibito combattere. Esse erano viste come esseri quasi da venerare e proteggere, in particolare le nobildonne, che erano scortate sempre da uno stuolo di uomini adorante.
La Corvo si guardò allo specchio, l'unico presente nella stanza che doveva condividere con altri Corvi, quasi tutti uomini: lasciò i lunghi capelli castano-rossicci liberi sulle spalle, contornò di nero i grandi occhi verde acqua e dipinse di rosso carminio - il suo rossetto preferito - le labbra. Rimirò quindi il risultato finale soddisfatta: era pronta per un'altra giornata di lavoro.
Uscì dalla stanza e subito una mano molesta piombò sul suo fondoschiena; alzò gli occhi al cielo, ormai era rassegnata al tipico buongiorno dei suoi compagni Corvi.
«Ehi fiorellino, già pronta di tutto punto di prima mattina vedo!»
«Buongiorno anche a te, Julian» rispose Dahlia senza nemmeno voltarsi per guardarlo in faccia. Se c'era qualcuno che poteva permettersi di chiamarla fiorellino e non trovarsi con una lama piantata nella giugulare, questo era proprio lui. Julian era il suo collega più fidato, quello con cui aveva superato tutte le prove dei Corvi al tempo in cui erano entrambi reclute e con cui aveva portato a termine innumerevoli imprese.
«Il capo ha richiesto la tua presenza nel suo studio. Ti consiglio di fare in fretta, sembrava piuttosto agitato!» disse Julian, passandosi una mano sulla corta barba che gli ricopriva la mascella, bionda come i suoi capelli perennemente spettinati “ad arte”, come amava definire lui.
«Un'altra missione?! Ma se sono appena rientrata dall'ultima!» esclamò incredula Dahlia.
«Lo so fiorellino che vorresti sempre stare con me, ma abbiamo una reputazione da mantenere sai...i Corvi non vanno in ferie!» disse Julian, facendole l'occhiolino.
Dahlia sospirò esasperata, quindi si avviò verso lo studio del suo superiore. La Gilda dei Corvi aveva varie sedi sparse per tutto Antiva, ma lei aveva la fortuna di essere in quella della capitale: una villa maestosa, appartenuta a qualche nobile che per aver salva la vita era stato costretto a destinarla proprio ai Corvi, dopo aver perduto le proprietà assieme alle fortune.
Superò una decina di stanze, tutte adibite a camerata comune, mantenendo il passo leggero come le era stato insegnato quand'era solamente una recluta. Non che le servisse in quel frangente, in ogni caso i suoi passi sarebbero stati smorzati dai pesanti tappeti che ricoprivano ogni centimetro del pavimento, ma Dahlia pensava fosse bene mantenersi costantemente in allenamento. Non per nulla era diventata una delle migliori assassine della Gilda.
Quando arrivò a destinazione trovò Kinn chino sul tavolo mentre osservava una mappa e borbottava tra sé e sé: l'uomo dai capelli corvini e la pelle scura come un rivaini non si accorse subito della presenza della sua sottoposta, segno che era piuttosto nervoso, visto che solitamente i suoi sensi erano sempre allerta.
Dahlia scivolò silenziosamente nella stanza, con un enorme sorriso idiota stampato in faccia: era piuttosto compiaciuta delle sue abilità e l'aver ingannato Kinn era un vero motivo di vanto. Comunque il suo vantaggio durò solo una manciata di secondi: Kinn alzò lo sguardo piantando gli occhi d'ebano in quelli chiari della ragazza con fare autoritario.
«Era ora che arrivassi!» sbraitò con poca grazia.
Dahlia rimase interdetta «come scusa? Sono appena stata avvisata del fatto che tu mi volessi qui!»
«Certo, se la principessa si perde nel mondo dei sogni dobbiamo adattarci tutti!» sbuffò l'uomo.
Dahlia aprì la bocca per protestare, ma la richiuse subito: probabilmente ricordargli che era rientrata solamente quella notte dalla missione precedente non sarebbe servito a molto.
«Devi partire il prima possibile per il Tevinter» continuò Kinn, porgendole una pergamena.
«Per il Tevinter?» chiese la ragazza, prendendo in mano il foglio. Il Tevinter era la nazione che odiava più di tutte: falsi come ad Orlais e spietati come a Starkhaven, con l'aggravante di usare la magia del sangue sottobanco come simbolo di superiorità intellettuale. Per una fereldiana come lei non c'era niente di peggio del Tevinter.
Srotolò la pergamena e si immerse nella lettura: da come poteva leggere si trattava dell'ennesimo regolamento di conti tra magister, niente che costituisse una novità.
«Perché dovresti mandare me per un magister? É un incarico che qualsiasi novellino potrebbe portare a termine senza troppi sforzi!» protestò.
«Non si tratta di un magister qualunque. Edman Pretus era un venatori, uno dei più spietati sostenitori di Corypheus» spiegò Kinn.
«Venatori? Non è responsabilità dell'Inquisizione?»
«Pretus ha amici potenti che lo proteggono. É riuscito a sfuggire al giudizio con la scusa di essere stato costretto con la magia e che non aveva mai voluto sostenere la causa di Corypheus».
«Non può essere bastata una simile scusa!» esclamò incredula Dahlia.
«Come ti ho appena detto, ha amici potenti. Sembra sia riuscito a procurarsi le prove che lo scagionano, rendendolo intoccabile da parte dell'Inquisizione. Probabilmente se lo facciamo fuori silenziosamente avremo una delle organizzazioni più influenti del Thedas in debito con i Corvi».
Dahlia rimase in silenzio pensierosa: certo, messa così la missione prendeva una piega decisamente più affascinante, ma rimaneva pur sempre un semplice regolamento di conti tra magister. Era consapevole, però, che non aveva possibilità di parola, se Kinn aveva deciso di mandare lei per quella missione ci sarebbe andata.
«Chi posso portare con me?» chiese, rassegnata.

«Sapevo che non potevi stare a lungo senza di me, fiorellino!» esordì Julian quando Dahlia gli comunicò che sarebbero partiti insieme per la missione.
«Julian ti conviene darci un taglio subito, se ci tieni alla tua virilità».
«Lo sai, mi piacciono le donne aggressive, danno un tocco di passione a tutto ciò che fanno!»
Dahlia decise di non replicare, voltando le spalle al ragazzo biondo e raggiungendo Kres, l'altro Corvo che l'avrebbe accompagnata: con lui le sue orecchie avrebbero di sicuro trovato pace, visto che era probabilmente l'elfo più taciturno di tutto il Thedas.
«Sai quando parte la carovana per Minrathous?» gli chiese.
«Fra due ore» rispose l'elfo, lapidario e preciso come sempre.
Dahlia sbuffò: aveva solo due ore per poter organizzare l'equipaggiamento e le provviste per il viaggio.
«Bene. Julian, vai in lavanderia e procurati degli abiti di ricambio per tutti noi, bende e zaini. Kres, tu vai in armeria e recupera tutte le armi che ci possono essere utili. Io andrò al mercato per le provviste. Ci vediamo alle carovane!».
Dahlia lasciò la magione, dirigendosi verso il porto, dove ogni mattina si teneva il mercato. Il sole estivo splendeva illuminando con la sua luce dorata l'acqua della baia di Rialto, che infrangeva dolcemente le sue onde contro i moli del porto. La ragazza inspirò a pieni polmoni, per imprimersi nella mente l'odore della città, che ormai era casa sua da più di dieci anni: un misto di cuoio, salsedine e spezie arrivò alle sue narici, facendola sorridere. Passeggiò lungo il viale principale: le palme svettavano alte ai bordi, offrendo un misero riparo contro il caldo della giornata. Le nobili sventolavano annoiate i ventagli colorati, mentre i servitori si affaccendavano attorno a loro assecondando ogni loro capriccio; l'oro dei monili tintinnava dai lobi e dai polsi, mandando lampi di luce addosso ai passanti, che chiudevano gli occhi infastiditi. Al mercato il caos regnava sovrano: la gente correva qua e là per procurarsi il cibo e mettere le mani sulle offerte, prima che qualcun altro le reclamasse. Dahlia si confuse tra quella folla impazzita, avventurandosi tra le bancarelle dai drappi bianchi e rossi, procurandosi carne essiccata e pesce affumicato, pagnotte, mele e anche una piccola otre del famoso vino antiviano. Se non altro avrebbe tirato su il morale dei suoi compagni di viaggio mentre erano lontani da casa.
All'ora prestabilita si diresse verso il punto di partenza delle carovane, ma all'improvviso qualcuno la bloccò, afferrandola per un gomito. La mano di Dahlia di diresse subito verso uno dei due pugnali, ma una lama sbucò dal nulla, puntando alla sua gola.
«Non essere precipitosa, sorellina» ghignò una voce bassa e minacciosa. Una voce che purtroppo Dahlia conosceva benissimo.
«Che cosa vuoi, Cablan?» ringhiò la ragazza.
«È così che saluti il tuo fratellone?»
«Non ti comporti da fratello ormai da molti anni» replicò lei, liberandosi dalla presa con uno strattone.
Si voltò per affrontare il suo aggressore: un ragazzo di un anno più grande di lei, con corti capelli castano-rossicci e occhi azzurri la stava fissando con un mezzo sorriso sbilenco stampato in faccia. Uno dei suoi fratelli maggiori.
«Oh, vuoi dire da quando hai ucciso la nostra amata madre?» l'aggredì Cablan, mentre un lampo d'ira attraversava i suoi occhi chiari.
«Smettila! Lo sai che non è andata così, io non...»
«In ogni caso» la interruppe stizzito «sono qui solo per augurarti buon viaggio, sorellina. Spero che la tua missione vada liscia. Non sei stata nominata responsabile?».
Cablan scoppiò in una risata malvagia, allontanandosi e lasciando un brutto presentimento a Dahlia. Da quando erano dovuti fuggire dal Ferelden e si erano uniti ai Corvi, il fratello aveva sempre cercato di metterle i bastoni fra le ruote, per fortuna non riuscendo mai a recarle danno.
Dahlia raggiunse i suoi compagni, che l'aspettavano con gli oggetti recuperati; salirono nel carro della carovana in partenza per Minrathous e attesero in silenzio.

Il viaggio durò due settimane: tra il caldo afoso tipico del nord del Thedas, insetti molesti e strade irregolari che facevano sobbalzare la carovana ad ogni piè sospinto, i tre Corvi non vedevano l'ora di rimettere i piedi a terra.
«A quanto pare questi Tev non badano a spese quando si tratta di farsi notare» commentò Julian, fischiando ammirato.
Minrathous poteva essere descritta in un'unica parola: imponente. Palazzi di marmo altissimi svettavano contro il cielo nero della notte coprendo le stelle, ma sostituendole grazie alle innumerevoli lanterne magiche che pendevano dalle loro pareti levigate. Statue di drago spiccavano in qualsiasi direzione si guardasse, alcune erano persino ricoperte d'oro e al posto degli occhi avevano grosse pietre preziose. Dahlia guardò il ponte appena attraversato con la carovana: quello era l'unico passaggio che collegava la capitale tevinteriana con la terra ferma. Nel caso in cui fossero dovuti fuggire questo particolare avrebbe costituito un bel problema.
«Dobbiamo raggiungere il "luogo sicuro". Kres, tu sai dov'è, giusto? Se non sbaglio hai già lavorato a Minrathous...» disse Dahlia, rivolgendosi all'elfo.
Quest'ultimo si voltò e, senza proferire parola, s'incamminò lungo una strada buia e deserta, come quasi tutte le strade della città a quell'ora della notte. Dahlia si affrettò a seguirlo, con dietro a ruota Julian, coprendosi nervosamente il capo con il cappuccio della mantella. Dopo dieci minuti a zigzagare tra il dedalo di vicoli sempre più stretti e bui, Kres si fermò davanti ad una porta, che sarebbe passata per una normalissima porta di legno, se Dahlia non avesse notato il simbolo di Antiva inciso accanto alla maniglia: due occhi obliqui insanguinati.
«Quindi il posto è questo?» chiese titubante la ragazza. Il silenzio dell'elfo poteva essere riposante, soprattutto se messo a confronto con la continua parlantina di Julian, ma a volte diventava piuttosto inquietante.
Infatti, sempre senza dire una parola, Kres batté tre colpi sul legno, due di seguito ed uno isolato. Dopo qualche minuto la porta si aprì cigolando in modo sinistro, lasciando intravedere una stanza debolmente illuminata; Dahlia la spinse del tutto, entrando dentro con circospezione.
«C'è nessuno?» chiese.
«Vi stavo aspettando Corvi» disse una voce profonda ed inaspettatamente gentile.
Dahlia riconobbe la voce, sorrise voltandosi verso l'angolo buio da dove proveniva.
«Minrathous eh? Cosa hai fatto per esserti meritato questa fine?» chiese ridendo.
«La tua lingua lunga è sempre la stessa a quanto pare!». Un uomo alto, calvo, con una lunga barba nera ed una cicatrice che solcava metà viso sinistro, emerse dal buio, rivolgendo ai tre nuovi arrivati un caldo sorriso di benvenuto.
«Lokes!» esclamò Julian, abbracciando l'uomo di fronte a sé.
«Ehi calma ragazzino!» rise Lokes, rispondendo però all'abbraccio.
I tre nuovi arrivati si sedettero attorno al tavolo al centro della stanza, mentre Lokes offriva dei boccali di birra scura e schiumosa. Dahlia bevve con poca convinzione: non le era mai piaciuta la birra, ma rifiutarla sarebbe stato un gesto maleducato.
«E così voi tre siete stati mandati qui ad occuparvi del magister» disse Lokes, scuotendo la testa in segno di disapprovazione «cosa gli sarà saltato in mente a quel bastardo di Kinn a mandare tre ragazzini?»
«Non siamo ragazzini, abbiamo ormai superato i venticinque tutti e tre!» protestò Dahlia.
«Tu ancora no, fiorellino!» la prese in giro Julian.
Dahlia gli fece la linguaccia «mi manca poco e in ogni caso ho avuto il maestro migliore tra tutti i Corvi di Antiva!»
«E le lusinghe gratuite non ti porteranno da nessuna parte, mi sembra che fosse stata la prima lezione che ho cercato di impartire a quella tua testolina rossiccia!» la rimbeccò Lokes.
«In ogni caso» proseguì l'uomo pelato «non vi nascondo che la vostra missione mi preoccupa. Temo che il nostro magister abbia spie dappertutto, forse persino tra i Corvi!»
«Ma non è possibile, chi mai tradirebbe la Gilda per un magister?» chiese incredulo Julian.
«Ragazzo, ricordati che soldi e promesse di libertà possono comprare chiunque. Anche quello che fino al giorno prima si professava come il Corvo più fedele» spiegò tetro Lokes.
Parlarono ancora per qualche ora della missione e del loro obiettivo, Edman Pretus, finché Kres non si alzò e si diresse verso la camera da letto, senza dire una parola.
«Sembra che il vostro amico abbia deciso che sia l'ora di coricarsi» commentò Lokes pensieroso.
«Già e probabilmente ha ragione. Ci aspettano giornate dure e piene di impegni!» disse Dahlia, stiracchiandosi.

Il giorno dopo si divisero per studiare meglio il loro soggetto. Dahlia osservò bene l'enorme tenuta del magister, poco distante dall'Arena, ovvero un'enorme piramide di marmo in stile nanico che svettava al centro di Minrathous. Anche la tenuta di Pretus era di marmo, molto probabilmente costruita grazie alla magia, visto che sembrava sbucare direttamente fuori dal terreno; Dahlia imparò a memoria i tragitti degli schiavi che andavano e tornavano dall'abitazione, contò le finestre cercando la loro corrispondenza nella piantina datagli da Kinn e controllò la locazione di tutte le porte.
A fine giornata, i tre Corvi si ritrovarono alla base per scambiarsi le informazioni che avevano rilevato. Julian era riuscito a trovare un'utilità alla sua parlantina: stordendo di chiacchiere uno schiavista aveva scoperto che ogni settimana, alla villa di Pretus, venivano consegnati circa una decina di schiavi di tutte le razze. Nessuno sapeva che fine facessero tutte quelle persone, ma evidentemente nessuno se ne curava.
Kres, invece, era riuscito a scovare un passaggio segreto che portava direttamente alle segrete della villa, cosa che poteva essere usata a loro vantaggio nel caso in cui avessero avuto bisogno di una rapida via di fuga.
«Quindi ricapitolando: io e Kres ci travestiremo da schiavi ed entreremo nella villa con il prossimo gruppo, mentre Julian si intrufolerà nella sala accanto alla stanza da letto del magister e ci aspetterà acquattato. Nel caso in cui qualcosa vada storto, raggiungiamo le segrete e scappiamo attraverso il passaggio che ha scoperto Kres! Tutto chiaro?»
«Sissignora!» la canzonò Julian, facendole l'occhiolino.
Si presero la serata libera: per un caso del destino sarebbe stato proprio il giorno seguente quello in cui gli schiavi sarebbero stati consegnati in villa. Dahlia decise di prendersi una boccata d'aria, così uscì nelle strade buie e tortuose di quell'austera capitale. Subito sentì dei passi leggeri dietro di lei, ma non si prese nemmeno la briga di estrarre il pugnale dal fodero.
«Perché mi hai seguita?»
«Non posso stare troppo tempo lontano da te, fiorellino»
«Julian...» sospirò la ragazza.
«Dai, per una volta potresti farmi contento. Per quanto ne sappiamo, domani potremmo essere morti!» replicò il biondo, con un ghigno divertito stampato in faccia.
«Non lo dire nemmeno per scherzo!» protestò Dahlia, voltandosi per lanciargli un'occhiataccia.
«Si certo, fai tanto la dura, ma so che sotto sotto il tuo cuore palpita per me!»
«Nei tuoi sogni, forse!»
«Allora vorrei che fossero reali» replicò lui con voce inaspettatamente seria, piantando i suoi occhi color cioccolato in quelli verde acqua di lei.
«Julian, lo sai che io non credo nell'amore» disse Dahlia, distogliendo lo sguardo imbarazzata.
«Lo so fiorellino, perché credi che io stia qui ad insistere tanto? Prima o poi ti farò cambiare idea!».
Il ragazzo le afferrò le mani e la avvicinò a sé, scostandole una ciocca di capelli dal viso «lo so che la dottrina dei Corvi cambia il modo di vedere le cose, i sentimenti soprattutto. Ma non per tutti sono solo strumenti da usare, almeno non sempre».
«Non è solo quello, noi siamo assassini, siamo noi stessi degli strumenti! Strumenti che possono essere gettati o rovinati quando meno te l'aspetti!»
«Quindi hai paura di morire? O che muoia qualcun altro?»
«Io...» ma Dahlia non riuscì a completare la frase perché all'improvviso si ritrovò con le labbra molto occupate. Rimase immobile mentre il suo compagno d'armi la baciava, totalmente presa alla sprovvista: certo, sapeva di piacergli, ma non si aspettava certo tutta questa passione!
«Scusa, ma non potevo più resistere oltre» disse Julian, staccandosi da lei «con questo non voglio chiedere la tua mano e farti giurare eterno amore davanti al Creatore, solo...ecco, pensaci. C'è sempre una possibilità, se la si vuole».
Detto questo il ragazzo si voltò e tornò verso la base, lasciando sola Dahlia in preda ad un tumulto di pensieri.

La mattina seguente Dahlia ringraziò di partire per la missione con Kres, dato che si sentiva ancora piuttosto confusa per quello che era successo la sera prima.
Indossò una pesante veste da popolana sopra i vestiti da combattimento, lasciando però facilmente reperibili le sue due armi: una di esse era una lama azzurra di lazurite, che era ormai sua compagna fidata da molti anni. Precisamente da quando l'altro suo fratello maggiore, Davon, gliel'aveva donata prima di partire per unirsi all'esercito di re Cailan. Dahlia accarezzò l'incisione a forma di sole alla base della lama, poi ripose l'arma nel suo fodero: pensare a Davon ancora le faceva male.
Uscì di soppiatto dal covo assieme all'elfo e silenziosamente raggiunsero la base degli schiavisti che si occupavano di procurarsi la gente per Pretus. Il sole ancora albeggiava all'orizzonte, tingendo gli edifici di marmo di una dolce luce rosata, che smorzava in buona parte l'austerità della città.
La base degli schiavisti era una bassa casupola di pietra grigia, in netto contrasto contro il candore degli alti palazzi del centro; Dahlia e Kres riuscirono a superare le prime guardie scavalcando l'alto muro che circondava la casupola, ma trovarono la porta del retro - quella da cui sarebbero dovuti entrare - bloccata da una guardia non prevista.
«Hai...?» cominciò Dahlia, con l'intenzione di chiedere all'elfo se aveva qualche dardo soporifero con sé. Ma quello aveva già scagliato una freccia contro la guardia, facendola stramazzare al suolo.
«Sei impazzito?!» sibilò Dahlia arrabbiata.
«Andava fatto» rispose Kres laconico.
«Lo sai che dobbiamo limitare il numero di morti se non vogliamo dare nell'occhio!» sbuffò «ora dobbiamo sbarazzarci del cadavere, prima che lo scoprano».
Sgattaiolarono rasenti al muro e raggiunsero il corpo della guardia, lo trascinarono dietro ad alcuni cespugli e lo coprirono con il suo mantello. Certo, come sistemazione non era il massimo, ma avrebbe dato loro almeno un po' di vantaggio.
Entrarono quindi dalla porta in precedenza piantonata dalla guardia uccisa e furtivamente si fecero strada attraverso i bassi corridoi in penombra dell'edificio, superando le stanze degli schiavisti e raggiungendo la zona degli schiavi. Ma all'entrata trovarono un'altra brutta sorpresa: la gente era stata divisa in diversi gruppi eterogenei ed era impossibile stabilire quale fosse destinato a Pretus.
«Aspetta qui» ordinò Dahlia all'elfo. Tornò verso le stanze degli schiavisti, nascondendosi nelle ombre ogniqualvolta percepiva un rumore sospetto; raggiunse lo studio del loro capo e tirò un sospiro di sollievo: la stanza era vuota. Si gettò subito sulla scrivania, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse indicarle a quale gruppo di schiavi unirsi, cercando di non lasciare segni del suo passaggio. Ad un certo punto sentì delle voci vicinissime andare incontro a lei: come diavolo aveva fatto a non sentirle prima?! Senza pensarci due volte rotolò sotto la scrivania, spostando la pesante sedia di legno davanti a sé, coprendola dalla visuale. Il perché non avesse sentito prima le voci fu presto svelato: una libreria accanto alla scrivania si spostò lateralmente, svelando un passaggio segreto, dal quale emersero due uomini. Dahlia guardò con ansia le due paia di piedi che si spostavano, pregando il Creatore - anche se non era credente - che non decidessero di passare dietro la scrivania, dove l'avrebbero di sicuro vista. Per pura fortuna (si rifiutava di credere che le sue preghiere avessero effettivamente funzionato) i due uomini si fermarono di fronte al suo nascondiglio, discutendo concitati.
«Questa volta quel bastardo ci farà ammazzare!»
«Deve solo provarci, si ritroverà con un bel po' di magister suoi amici piuttosto incazzati».
«Come fai ad essere così tranquillo? Non sai chi lo sta proteggendo?»
«Certo, ma so anche che noi siamo quelli che procurano i migliori schiavi in tutto il Tevinter. Come credi reagirebbero gli altri magister, se ci facesse sparire?»
Il primo uomo sospirò, cominciando a camminare in tondo nervosamente.
«Almeno abbiamo quello che voleva?»
«I due qunari? Come ogni settimana. Il resto è sempre a nostra discrezione, giusto?»
«Giusto. Pretus non è uno che cambia spesso gusti, eh?»
I due scoppiarono a ridere, uscendo dalla stanza.
Dahlia uscì circospetta da sotto la scrivania, guardandosi bene attorno per evitare altre sorprese. Quindi tornò nella stanza degli schiavi, esaminando con attenzione tutti i gruppi: quasi non credette di nuovo alla sua fortuna quando notò che vi era un unico gruppo con due qunari. Fece segno a Kres di raggiungerla, quindi entrambi si acquattarono accanto agli schiavi destinati al loro obiettivo. Quelli fecero spazio silenziosamente, senza nemmeno guardarli in faccia; probabilmente erano più impegnati a rimuginare sulle loro disgrazie per far caso a ciò che stava succedendo intorno a loro. Aspettarono seduti sul pavimento gelido per quelle che sembrarono ore, quando uno schiavista li fece alzare, spingendoli ad avanzare lungo lo stretto corridoio principale, che portava al cortile frontale della casupola. Gli schiavisti li incatenarono l'uno all'altro dai polsi e dalle caviglie, quindi li fecero sfilare lungo le strade di Minrathous, verso la tenuta di Pretus.
Il sole era ormai alto quando arrivarono a destinazione: due domestici aprirono una porta sul retro, facendoli entrare nella parte più spoglia e povera della magione. Furono portati in un salone grande e completamente vuoto; a Dahlia sembrò una cosa molto strana, si aspettava che gli schiavi venissero messi subito al lavoro.
Uno schiavista li liberò dalle catene e contemporaneamente nella stanza entrò un uomo, abbigliato con la tipica tunica dei magister, che li squadrò uno per uno.
«Benvenuti. Come ormai ben saprete siete qui per un preciso motivo» parlò il magister.
Fece una pausa d'effetto, quindi riprese «tra di voi c'è qualcuno che ha tutta l'intenzione di fare del male al vostro signore e padrone Edman Pretus. Immagino siano i due nuovi arrivati».
Prima ancora che potesse rendersi pienamente conto di ciò che stava succedendo, Dahlia si ritrovò con una decina di lame puntate alla gola, sguainate da quelli che fino a pochi secondi prima credeva fossero semplici schiavi.
«E così pensavate davvero di farla franca» li schernì il magister «forse non avevate capito bene con chi avevate a che fare!»
«Lasciami andare, brutto figlio di...»
«Oh oh oh, che lingua tagliente che hai signorina! Chissà se sarà abbastanza affilata per ciò che c'è in serbo per te...sbatteteli in cella!» ordinò in tono secco l'uomo.
Dahlia cercò invano di liberarsi, ma l'elsa di un pugnale la colpì forte alla nuca, facendole perdere i sensi.

Venne risvegliata da una secchiata d'acqua gelida, ritrovandosi seduta legata ad una sedia.
«Parla Corvo! Cosa sai sui mandanti dell'assassinio?»
«Cos...?» tentò di dire Dahlia, ma una fortissima emicrania la colpì, facendole credere che il suo cranio potesse esplodere da un momento all'altro. Accecata dalle lacrime, cercò di mettere a fuoco le due figure davanti a sé: una era uno degli schiavisti che l'avevano scortata alla magione quella mattina, l'altra era una donna bassa, con i capelli biondo cenere legati in un severo chignon e occhi piccoli di un colore che ricordava vagamente l'acqua putrida. Indossava la tunica dei maghi del Tevinter, con la mano destra reggeva una staffa composta da due serpenti di legno scuro, che si attorcigliavano e stringevano tra le fauci una gemma blu scuro. La mano sinistra era tesa in avanti, con le dita piegate come artigli dalle lunghe unghie laccate di rosso cremisi.
«Risposta sbagliata» ghignò lo schiavista «vedi di collaborare, altrimenti ci penserà la maga qui accanto a me a farti parlare!»
«Io non so niente» rispose meccanicamente Dahlia; fin da reclute i Corvi venivano preparati a rispondere così in caso di cattura. Non importa quali ricompense venissero promesse loro se avessero vuotato il sacco, anche se fossero stati rimessi in libertà ci avrebbe pensato la gilda stessa ad ucciderli.
«Tipica risposta da Corvo» sbuffò l'uomo, rivolgendo un cenno del capo in direzione della maga accanto a lui. L'emicrania riprese, facendo urlare di dolore la prigioniera.
«Lo sai vero che non ti uccideremo fino a quando non ci dirai tutto? Potremmo andare avanti giorni, anche settimane se lo volessimo!»
E così fu: Dahlia perse il conto dei giorni che trascorse in quella prigione ammuffita. Si chiedeva cosa ne fosse stato dei suoi colleghi, rammaricandosi di non essere stata più attenta nel valutare i rischi: ora era ufficialmente morta, anche se non lo era ancora fisicamente, e per colpa sua lo erano anche Kres e Julian. Quante persone sarebbero dovute ancora morire a causa della sua stupidità?
La cella in cui la sbattevano alla fine di ogni interrogatorio era piccola e claustrofobica; Dahlia si trascinava ogni giorno verso le sbarre per osservare l'esterno, ma la vista annebbiata a causa della mancanza di forze le facevano sembrare surreale tutto ciò che la circondava. Il corridoio su cui si affacciava la sua cella era in penombra, rischiarato a malapena dalle lanterne magiche appese ai muri. Con il tempo capì che l'odore di muffa non era l'odore più sgradevole che permeava l'aria, bensì quello di metallo e sangue, che, insieme alle urla ovattate degli altri prigionieri torturati, contribuiva a darle l'impressione di trovarsi in un mattatoio.
Lasciò andare le sbarre, accasciandosi contro la parete alla sua destra, cercando di mantenere il respiro regolare. Quanto ancora avrebbe potuto resistere prima che i suoi aguzzini perdessero la pazienza o che Pretus decidesse di agire personalmente? Mentre si abbandonava stremata al muro di mattoni grigi e umidi, il suo udito venne stuzzicato da un mormorio appena percepibile che proveniva dalla cella accanto alla sua. Quello che la incuriosì fu il fatto che non sembravano i soliti gemiti disperati e sofferenti, piuttosto ricordava una cantilena. Osservò ogni mattone, sfiorandoli con la punta delle dita: la roccia tendeva a sgretolarsi sotto al suo tocco, segno che la casa era più antica di quanto sembrava. Probabilmente alle segrete non veniva riservato lo stesso trattamento di bellezza del resto della magione. All'improvviso le sue dita s'insinuarono in un'apertura tra due mattoni, dove la malta tendeva a cedere più facilmente: Dahlia la allargò in fretta, spezzandosi le unghie, mentre i suoi sensi si risvegliavano grazie alla forza donatale dalla curiosità, mettendo da parte il dolore. Mentre conduceva questa operazione cominciò a distinguere delle parole in quella cantilena, anche se appartenevano ad una lingua sconosciuta.
«Shok ebasit hissra. Meraad astaarit, meraad itwasit, aban aqun. Maaras shokra. Anaan esaam Qun...1».
Quando il buco fu abbastanza largo, sbirciò dall'altra parte. Inginocchiata a terra con le braccia spalancate, vi era un'imponente figura dalla pelle grigiastra. Dahlia la osservò con curiosità: non aveva mai visto dal vivo una qunari donna. Le braccia erano sostenute da delle catene spesse ricoperte di simboli, così come quella proveniente da terra legata attorno al suo collo. Aveva insoliti capelli neri suddivisi in quattro sezioni, ognuna avvolta da nastri rossi, fermati alle estremità da pendenti d'argento. Indossava quel tanto di stoffa lurida che serviva a coprire le sue intimità, lasciando scoperte spalle, schiena, braccia e gambe. Fu solo in un secondo momento che Dahlia notò le corna: quelle originali erano state spezzate e sostituite da corna posticce in metallo scuro.
«Sei sveglia, bas2» la voce profonda e roca della qunari la fece quasi sobbalzare, non si aspettava l'avesse sentita muoversi.
«I carcerieri parlano. Sei qui per il Magister» proseguì la gigantessa.
Dahlia si abbandonò con la schiena alla parete senza più guardarla «si, almeno in teoria».
«Liberami e ti aiuterò».
L'assassina represse un'amara risata, scuotendo il capo «forse non lo hai notato, ma sono in cella esattamente come te!»
Improvvisamente dal fondo del corridoio provenne il secco ed assordante rumore di una porta che veniva spalancata e richiusa, che rimbalzò sulle pareti amplificato.
«Resta vicina alle sbarre» disse la Qunari, per poi zittirsi del tutto.
La Corvo si disse che la prigionia doveva averle dato alla testa, ma obbedì all'ordine.
L'uomo che sfilò davanti le celle era di media altezza, tozzo ed ignobilmente sporco. Nella mano destra stringeva un gatto a nove code, alla cintola pendeva il mazzo di chiavi delle celle, le quali parevano rifulgere di provocanti promesse. Oltrepassò la cella di Dahlia, soffermandosi davanti quella della qunari.
«Sveglia testa di bue! È ora dello spettacolo!» ghignò l'uomo.
La donna udì chiaramente il rumore sferragliante della chiave che girava nella serratura ed il suono delle catene che tintinnavano fra di loro, mentre veniva concesso alla qunari di alzarsi. Si accostò alle sbarre, afferrandole con ambedue le mani chiedendo uno sforzo disumano alle proprie gambe, tornando a rimettersi precariamente in piedi.
La porta dell'altra cella si richiuse con un tonfo, e vide i due passarle davanti. La qunari svettava di una testa sopra il carceriere, aveva ambedue le mani legate dietro la schiena, mentre l'uomo la trascinava per la catena legata attorno al suo collo come fosse un guinzaglio. Senza alcun preavviso, la qunari si gettò di peso contro l'uomo, schiacciandolo contro le sbarre della cella di Dahlia. Il mazzo di chiavi alla cintura era a portata di mano, così la Corvo colse l'occasione per sfilarlo, riuscendo a non farle cadere, mentre l'uomo riuscì a spingere via l'altra. Il carceriere non notò nulla, dato che era troppo occupato a colpire crudelmente con il flagello la qunari, costringendola in ginocchio.
«Come osi ribellarti contro i tuoi padroni, schiava!?» le urlava continuando a colpirla.
Dahlia infilò velocemente la chiave nella toppa della serratura, girandola con un colpo secco in modo da fare il meno rumore possibile. Nello stesso istante le mani della qunari presero fuoco, illuminandole il volto di luce aranciata e donandole un'aria minacciosa. Subito dopo, però, i simboli sui suoi ceppi s'illuminarono, estinguendo le fiamme e somministrando una piccola scarica elettrica alla gigantessa, che urlò di dolore e si accasciò a terra. Dahlia spalancò gli occhi davanti alla scena, sorpresa: davanti a lei c'era una maga. L'assassina uscì dalla cella, ponendosi alle spalle del carceriere.
«Si chiama Saarebas, non schiava, idiota!» disse, colpendolo usando con le poche forze che le rimanevano, sbilanciandolo. Questo si poggiò al muro per non cadere, per poi voltarsi a guardarla con occhi fiammeggianti.
«Piccola sgualdrinella!» urlò di rimando, spingendola e facendole sbattere la testa contro le sbarre metalliche. Dahlia vide tutto nero e perse i sensi.

«Svegliati bas».
Dahlia socchiuse gli occhi, facendo entrare la debole luce della stanza nelle sue pupille. La testa pulsava forte e, quando si portò una mano alla nuca, scoprì che stava lievemente sanguinando.
«Non c'è tempo per quello, dobbiamo andare. Ora».
La ragazza mise a fuoco il volto davanti a lei: la qunari la guardava con sguardo fermo e deciso, in attesa che si muovesse dalla posizione scomoda in cui si trovava. Il viso della gigantessa era ricoperto da sottili cicatrici, ma questo non nascondeva la sua bellezza: gli occhi chiari ed intelligenti ben si sposavano con la pallida carnagione grigiastra, tipica della gente della sua razza, sulla quale spiccava una piccola bocca carnosa, leggermente più scura.
«Cosa...cos'è successo?!» chiese Dahlia, con voce impastata.
«Sei svenuta» rispose laconica la qunari.
«Quello l'avevo capito...intendo dopo! Dov'è il carceriere?»
«Morto»
«Morto?!» esclamò incredula l'assassina.
Per tutta risposta la qunari fece spallucce, poi si voltò mostrandole le mani ancora strette nei ceppi di detenzione «tocca a te ora a liberarmi».
Dahlia scoprì con sgomento che la sua schiena era ricoperta da cicatrici vecchie e nuove: le ferite appena inferte dal gatto a nove code sanguinavano, altre non erano ancora del tutto rimarginate e si presentavano infette, secernendo pus dallo sgradevole odore. Fra le scapole aveva un simbolo, sul quale però l'assassina non si soffermò.
La Corvo cercò le chiavi con lo sguardo: erano ancora appese alla sua cella, accanto alla quale c'era il cadavere del carceriere. Aveva la testa spaccata, il sangue lo circondava come una tetra corona. Ignorandolo prese le chiavi, quindi cercò la chiave dei ceppi: con un leggero scatto quelli caddero dai polsi della qunari, tintinnando quando colpirono il pavimento. A Dahlia si strinse il cuore quando notò ulteriori segni di devastazione sul corpo della sua nuova alleata: attorno al collo ed ai polsi presentava cicatrici da abrasioni, sulle quali si stavano formando altre piaghe.
«Seguimi» le disse la qunari non appena fu libera, avviandosi lungo il corridoio «recuperiamo le tue armi».
Dahlia guardò in basso e scoprì di essere vestita ancora come quando era partita per la base degli schiavisti; si tolse la pesante tunica, rimanendo solo con i suoi vestiti da combattimento.
«Non so se sarò in grado di combattere» disse Dahlia stancamente, constatando di avere a malapena le forze per mettersi in piedi.
«Devi» rispose semplicemente Saarebas.
«Aspetta. Perchè mi stai aiutando?»
Saarebas si fermò e la guardò con quei magnifici occhi verde salvia «sei la prima umana che mi chiama con il mio nome».
«Tutto qui?»
«Hai rispetto per la mia gente».
«Io ho rispetto per tutte le razze» sbuffò la Corvo, non capendo cosa ci fosse di tanto straordinario.
«Eppure sei un'assassina».
«Quello è solo il mio lavoro».
Saarebas annuì «i tevinter sono assassini e basta, non lo fanno solo per lavoro».
Dahlia la seguì zoppicando vistosamente in un'altra stanza, che si trovava nella direzione opposta a quella da cui era sbucato il carceriere. Avanzare sembrava un'impresa impossibile, ma ora aveva un obiettivo da perseguire: trovare gli altri due Corvi e portarli in salvo. Una nuova forza e determinazione s'impadronì di lei.
Sulle pareti della stanza in cui erano appena sbucate vi erano svariate rastrelliere con molte armi, dove individuò anche i suoi fedeli pugnali. Guardò l'improvvisata compagna di fuga con la coda dell'occhio, vedendola indossare un'armatura dall'aspetto pesante, cosa piuttosto inusuale per una maga: la parte superiore presentava una protezione per il collo larga e alta, tanto da mostrare appena la bocca e spallacci larghi con cinghie di cuoio; questa si collegava poi al pettorale tramite delle larghe catene color bronzo. L'armatura era rigida sul ventre e si allargava poi dalla vita in giù in una tunica di stoffa grigia e consunta. La qunari s'infilò velocemente un paio di semplici stivali, per poi soffermarsi su di una mezza maschera dorata buttata in un angolo: le fessure per gli occhi erano sottili, dal naso in giù era stata spezzata. Sulla parte superiore aveva due fori, dai quali spuntavano dei nastri rossi. La qunari se la rigirò in mano pensierosa, per poi legarsela alla cintura.
«Saarebas, sai per caso dove sono i miei compagni?»
«Il tuo compagno vorrai dire».
«Il mio...? Vuoi dire che hanno preso solo me e Kres?»
«Intendi l'elfo? Ho visto solo lui. Era nella sala delle torture fino a qualche giorno fa».
«Cosa? Perchè lui è nella sala delle torture e io no?»
«Perchè è un elfo, è considerato inferiore dai tevinter».
Dahlia represse un brivido di paura al pensiero di cosa avrebbe potuto trovare in quella sala. La ragazza e la qunari attraversarono i corridoi bui delle segrete, stranamente vuoti: la Corvo rimase con tutti i sensi in allerta, ma non percepì anima viva. Infine entrarono nella sala delle torture, dove appeso a delle catene c'era...
«Kres!» urlò Dahlia, precipitandosi dall'elfo: liberò le braccia, ma quello si afflosciò a terra esanime, rivelando una serie di tagli e bruciature che si estendevano lungo tutto il torace, spogliato da qualsiasi indumento. La Corvo scosse le spalle del compagno, cercando di risvegliarlo, ma la sua immobilità decretò il fatto che ormai per lui non c'era più nulla da fare.
«No, no, no! Non puoi essere morto, non puoi!» urlò disperata Dahlia, con le lacrime che cominciavano a rigarle il volto. Una mano forte la prese per la spalla, facendola voltare.
«Stanno arrivando, preparati» annunciò semplicemente Saarebas, mentre dai suoi palmi apparvero dei piccoli lampi viola. Subito dopo nella stanza entrarono due uomini, che si lanciarono addosso alle due donne con le spade sguainate. Saarebas fulminò il primo con una scossa elettrica, mentre Dahlia estrasse i pugnali, piantandone uno sull'addome dell'altro assalitore. Lasciarono i due schiavisti agonizzanti a terra e scapparono fuori; diverse urla ora rimbombavano lungo le pareti di pietra.
«Conosco una via di fuga! C'è un passaggio segreto da qualche parte!» urlò Dahlia alla gigantessa.
«Forse so dove si trova, seguimi!» ordinò Saarebas, imboccando un corridoio laterale.
Dopo aver scartato diverse stanze, entrarono in una piccola sala circolare, con al centro un altare decorato da diversi bassorilievi di dragoni. L'altare era sinistramente ricoperte da macchie di sangue secco e strumenti taglienti di diversa foggia.
«Ma cosa...?»
«Non c'è tempo bas, dobbiamo trovare la leva!»
Dahlia represse un conato di vomito e si avvicinò all'altare, esaminando le teste dei dragoni in cerca di qualsiasi cosa potesse celare un meccanismo nascosto. Infine lo trovò: un grosso rubino isolato scattò in avanti, facendo scivolare una pesante lastra di pietra, scoprendo una scalinata che si perdeva nel buio. Ma all'improvviso nella stanza irruppe un manipolo di uomini, circondando le due fuggitive; una risata si levò dal gruppo, che si divise in due per far passare il magister che aveva accolto i falsi schiavi giorni addietro.
«Guarda guarda un po' chi si rivede. Sapevo che i Corvi avevano una buona resistenza, ma non credevo fino a questo punto».
«Non avrai mai nulla da me!» urlò Dahlia, estraendo i pugnali dai foderi.
«Oh, è qui che ti sbagli. Immagino che se qualche tuo amico venisse torturato al tuo posto, cambieresti idea».
Dahlia spalancò gli occhi terrorizzata «Julian!»
«A quanto pare è un sì» ghignò il magister.
«Ma tu non ce l'hai, Pretus! Non lo hai mai preso!» lo sfidò la ragazza.
Il mago piegò la testa da un lato, assumendo un'espressione curiosa «e se ti dicessi che ti sbagli in ben due cose? A parte il fatto che io non sono Pretus, so bene che il tuo amico sta venendo qui a salvarti, quindi sarà presto nelle nostre mani».
A quelle parole però, due sgherri alle spalle del magister caddero agonizzanti a terra: ad ognuno di loro spuntava un coltello da lancio dalla gola.
Dahlia sogghignò «e qui ti sbagli di grosso tu: il mio amico è già qui!»
Julian si levò il cappuccio ed uscì dal gruppo di schiavisti, dove si era camuffato fino a quel momento, e con un sorriso divertito disse «dubitavi di me, fiorellino?»
«Cosa fate lì impalati? Prendeteli!» urlò il magister, gesticolando in preda al panico.
Dahlia scattò verso l'uomo più vicino a lei, cogliendolo di sorpresa e recidendogli la gola con un fendente; contemporaneamente Saarebas scagliò fulmini a profusione, mentre Julian roteava con la sua spada ed il suo pugnale. Ma subito arrivarono altri uomini a dar man forte ai primi, facendo tornare in netta minoranza i tre fuggitivi.
«Giù per le scale! Subito!» urlò Dahlia ai suoi alleati, che si lanciarono dietro di lei, prima che i nuovi assalitori potessero essergli addosso.
Le scale conducevano in un corridoio umido ed ammuffito, dal pavimento piuttosto scivoloso; Saarebas sigillò l'entrata creando un'enorme muro di ghiaccio, permettendo loro di seminare i nemici in men che non si dica.
Corsero senza mai voltarsi indietro, finché alla fine del tunnel non videro la luce che indicava l'uscita. Si fermarono per una manciata di secondi per riprendere fiato, quindi si prepararono per entrare in città senza farsi notare.
«Lokes ci sta aspettando al covo» disse Julian «dobbiamo solo evitare le guardie e...».
Una freccia sibilò accanto all'orecchio del ragazzo, piantandosi nella trave di legno a due centimetri dalla sua testa.
«Sono già qui!» esclamò Dahlia, prendendo per mano Julian e cercando di trascinarlo via da lì. Sentì una resistenza e la ragazza si voltò per urlargli di muoversi, ma l'espressione di lui la fece ammutolire.
«Scappate, veloci, io li tratterrò qui» disse risoluto.
«Ma cosa stai dicendo? Tu vieni con noi!» Dahlia rafforzò la presa sulla sua mano, ma lui si liberò.
«Sono troppi, ci prenderebbero subito» rispose Julian.
«No ti prego, non farlo!» lo supplicò la Corvo, invano.
«Ricordati quello che ho detto, fiorellino» sorrise il biondo, accarezzandole la guancia. Poi si scambiò uno sguardo di intesa con Saarebas «mi raccomando qunari, te la affido!», quindi sparì di nuovo dentro al corridoio buio.
Dahlia urlò e fece per precipitarsi al suo inseguimento, ma un altro muro di ghiaccio le bloccò l'avanzata.
«No! Perchè l'hai fatto?!»
«Rispetta la sua scelta bas, ti sta salvando la vita!»
«No, io...Julian!!!» Dahlia si scagliò contro il muro, grattando invano con le dita il ghiaccio scivoloso. Si sentì sollevare a forza dal terreno ed essere trascinata via di peso.
«Dobbiamo andare, altrimenti il tuo amico si sarà sacrificato per niente» disse Saarebas, ma di fronte all'espressione di profondo dolore della ragazza aggiunse «mi dispiace, bas».

Raggiunsero il covo dei Corvi senza dare nell'occhio; Lokes aprì la porta, facendo entrare le due, senza commentare la presenza della qunari.
«Dove sono Julian e Kres?» chiese l'uomo a Dahlia, ma lei non riuscì a proferire parola, limitandosi a fissare il vuoto.
«Sono morti» rispose lapidaria Saarebas.
Lokes la studiò affascinato «immagino che sia solo grazie a te se la ragazzina si è salvata. Ti sono debitore».
Lokes spiegò ad un'attenta Saarebas e una sconvolta Dahlia ciò che aveva scoperto insieme a Julian, nei giorni in cui Dahlia e Kres erano stati fatti prigionieri: Pretus sapeva da settimane, se non mesi, dell'imminente attacco da parte dei Corvi, per cui aveva organizzato la trappola per poter catturarli vivi ed avere informazioni sul mandante dell'assassinio. Ovviamente, ancora prima che gli assassini potessero entrare in azione, si era premurato di lasciare la città, facendo sparire le sue tracce.
«Probabilmente è già fuori dal Tevinter: l'ultima volta che è stato visto era in viaggio verso la città di Nevarra»
«Morirà» disse Dahlia, pronunciando la prima parola dopo interi minuti di totale silenzio «è colpa sua se i miei compagni...se Julian...deve morire!»
«Verrò con te, bas. Anch'io ho dei conti in sospeso con lui» decretò Saarebas, guardando dritto negli occhi la Corvo.
La ragazza si voltò a guardare negli occhi la gigantessa, riconoscente «allora puoi chiamarmi Dahlia».

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Note dell'autrice:
Buonasera a tutti! Ecco il primo capitolo di questa storia! Spero che vi sia piaciuta e che
siate riusciti ad arrivare fino in fondo senza addormentarvi prima! XD
Se non si era già capito io sono Lunete e Dahlia è il mio personaggio...Antiva e i Corvi
mi hanno sempre affascinato tantissimo, sin da DA:O! Spero di riuscirci a tornare,
anche solo per poter far prendere un po' di sole ai personaggi della storia! XD
Invito di nuovo a scrivere commenti, critiche, osservazioni, consigli ecc ecc!
Baci e alla prossima! <3

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1 Lottare è un illusione. La marea sale, la marea scende, ma il mare è immutabile. Non vi è nulla contro cui combattere. La vittoria è nel Qun. - Tratto da "Preghiere Qunari per i defunti"
2 Letteralmente "cosa", usato per riferirsi a persone non appartenenti al Qun o non Qunari. 

   
 
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