Ahm…
Il
Natale e il torpore post-banchetti mi hanno un tantino rallentata, ma eccomi di
ritorno per la vistra…bah…gioia.
Buona
lettura.
suni
II. FRA’
Giù
continuò a chiacchierare con Eva per entrambe le ore di matematica. O
meglio, ascoltò il ciarlare leggero e spumeggiante della sua nuova amica
che la informava su quanto di immancabile occorreva sapere del loro liceo,
sulle attività ricreative e serali più interessanti che la
città forniva e sui suoi personaggi di maggior spicco.
Giù
pensò di chiederle informazioni sul misterioso e bellissimo Tizio che
l’aveva abbagliata alla discesa dall’autobus, ma non le
riuscì di trovare il coraggio per riferire l’episodio. Poi, appena
suonata la campanella dell’intervallo di metà mattinata, Eva si
volatilizzò in uno sventolio di capelli abbandonandola nelle mani di
Francesco.
“Allora,
Giù,” inizio amichevolmente il ragazzo facendole strada verso la
macchinetta del caffè. “Cosa fai di bello fuori da scuola?”
Per
un secondo lei ebbe il terrore che le stesse chiedendo di uscire come esordio,
poi realizzò di aver leggermente travisato e le sfuggì un
sorriso. Come se chiunque potesse avere l’idea di innamorarsi di lei
semplicemente vedendola, con quei capelli allucinanti e le borse agli occhi e
la sua goffaggine innata. Ridicolo.
“Non
so,” iniziò, incerta. Non era affatto facile parlare di sé,
ma Francesco la guardava senza pressioni, camminando mani in tasca, e la cosa
la rilassò. “Veramente, niente di speciale. Mi piace stare con gli
amici, fare cose normali tipo andare ai concerti oppure al cinema…”
“Ti
piace il cinema?” la interruppe lui, illuminandosi.
Passarono
il resto dell’intervallo a parlare dei loro film preferiti. Giù
quasi urlò di entusiasmo quando seppe che anche lui da bambino aveva
visto cento volte Labyrinth
anche se era un film vecchissimo e che aveva all’attivo anche
innumerevoli visioni di Lèon
perché Gary Oldman era spaziale. Aveva
guardato anche lui tutti i film con Johnny Depp, nonostante fosse un maschio
eterosessuale, perché lo riteneva un attore straordinario e infine gli
piacevano i Monty Python.
Giù
decise che Eva aveva buon gusto in fatto di amici.
“Ma
dov’è andata quell’altra?” chiese a quel punto,
guardandosi intorno mentre Francesco gettava via il bicchierino del
caffè ormai vuoto.
“Eva,
dici?” chiese Francesco con sorrisetto paziente, stringendosi nella
spalle. “Sarà andata a cercare Stef,”
commentò distrattamente.
“Stef?” ripeté Giù, incuriosita.
Francesco
sogghignò, saputo.
“Il
suo principe sul pisello,” spiegò scherzoso, con un sospiro
melodrammatico. “E’ il suo nuovo straordinario ragazzo e non riesce
a staccarsene per più di tre ore consecutive. Fa sempre così ma
tanto poi li molla. Greg dice che questo non regge fino a Natale,”
concluse grave, annuendo tra sé.
Greg,
considerò lei facendo mente locale, era il bruno coi capelli in faccia
dell’ultima fila.
“Ma
a me sembra che Stefano le piaccia più degli altri. Magari se lo tiene
fino a Carnevale.”
Giù
scoppiò spontaneamente a ridere a quell’ultima affermazione
buttata lì casualmente, mentre la campanella sanciva la fine
dell’intervallo. Seguì Francesco verso l’aula con un
insolito senso di ottimismo, perché aveva immaginato quella mattinata
infinitamente più catastrofica di quanto si stesse rivelando.
“E
tu non hai lasciato un principe a Trento?” chiese svogliatamente lui,
salendo le scale.
Giù
scosse la testa.
“Lui
ha scaricato me, ma prima che saltasse fuori del trasferimento. E tu?” si
affrettò a concludere, per non attardarsi sul pensiero malinconico di
Paolo che le aveva spezzato il cuore a metà e ci aveva giocato a
freccette.
Francesco
si grattò pensosamente il mento, vago.
“Ci
sto lavorando,” borbottò indeciso. “Ti farò sapere,
all’occorrenza.”
Eva
era già in classe e sorrideva radiosa. Francesco le fece un occhiolino e
lei rispose con un artefatto sospiro sognante, portandosi melodrammaticamente
la mano alla fronte.
Nell’ora
successiva Giù le rese noto di essere venuta a conoscenza
dell’esistenza di tale Stef e Eva si
dilungò nell’illustrarle della festa di Halloween durante la quale
era riuscita ad accalappiare l’ambita preda, che quella storica sera
suonava il basso nella sua band scalcinata, quindi passò ad illustrare
senza troppe cerimonie le sue interessanti prestazioni sessuali delle ultime
due settimane e finirono per farsi rimproverare entrambe dalla professoressa di
chimica, perché ridevano leziosamente con strombettii soffocati.
Nel
cambio d’ora Eva raggiunse i tre ragazzi in fondo e Francesco
tornò a sostituirla.
“Ci
scommetto che so di cosa parlavate quando la prof vi ha cazziate,”
esordì ridendo, e Giù sorrise colpevolmente.
“Di
principi sul pisello,” ammise divertita.
Francesco
le sganciò un occhiolino, malizioso.
“Ne
dobbiamo trovare uno anche a te?” chiese, con fare losco.
Giù
esitò, prima di lanciarsi in un inusuale slancio di confidenza.
“Credo
di aver visto l’uomo dei miei sogni sull’autobus. L’ho
guardato in faccia e nel mio cervello è partito il coro
dell’Angelus della messa di San Pietro,” annunciò rapita,
ricordando il meraviglioso sorriso di Tizio, le sue fossette e le sue dita
affusolate.
“Però…C’era
il dolby surround?” s’informò lui interessato.
Giù
annuì solennemente e il ragazzo emise un fischio ammirato.
“Cazzo.
Allora è Amore Vero,” commentò grave.
Scoppiarono
a ridere in coro. Quando la professoressa di inglese entrò in classe e
Eva tornò al suo posto stavano ancora sghignazzando come deficienti.
All’uscita
da scuola Giù aveva stabilito definitivamente che la sua proverbiale
sfiga l’aveva abbandonata, forse per non fare ritorno. Non c’era
altra spiegazione al fatto che le due persone che le camminavano accanto le
fossero simpatiche, che la sua sedia non si fosse rotta per ragioni ignote
capottandola in terra ed esponendola al ludibrio dell’intera classe, come
le era successo il primo giorno del primo anno di liceo, che il suo zaino non
si fosse rotto riversando il proprio contenuto per le scale e che nessuno
avesse commesso atti di bullismo nei suoi confronti.
Oppure,
come una vocina savia continuava a sussurrarle nell’orecchio, c’era
una madornale fregatura che l’aspettava perfidamente. Ricordati che sei Giù, ribadiva
la vocetta, malvagia, e se sei giù non puoi essere su.
“Ci
vediamo domani, Pi,” la riscosse Eva, sfiorandole il braccio, quando
ebbero oltrepassato il portone d’ingresso nella calca degli studenti in
uscita.
“Io…”
mormorò lei, interrompendosi quando la mano di Francesco fece comparire
magicamente nel suo campo visivo un pacchetto di sigarette.
“Grazie!” trillò sollevata.
Il
ragazzo si era sistemato accanto alla parete, per togliersi dal passaggio, ed
Eva stava piantata accanto a lui. Giù li imitò, cavando fuori
l’accendino dalla tasca del cappotto e rischiando poi di dar fuoco alla
propria sciarpa.
Per
qualche secondo nessuno dei tre parlò, quindi lei si calcò meglio
il berretto sulla testa. I suoi capelli cominciavano a sembrare spaventosamente
afro.
“Io
vi ringrazio,” iniziò, di slancio. “Ero terrorizzata dal
primo giorno di scuola perché sono sempre stata una sfigata
cronica,” illustrò con una smorfia.
“Ti
aspettavi un tormento?” chiese Eva, divertita.
Giù
annuì, stringendosi nelle spalle.
“Pensavo
che come minimo un gruppo di skinhead mi avrebbe appesa per le mutande al
lampadario e invece tu mi hai persino offerto il caffè,”
specificò, con un cenno del capo verso Francesco.
“Capirai,
per trenta centesimi,” bofonchiò lui, palesemente lusingato.
Giù
sorrise un po’ impacciata, stringendosi nelle spalle per ripararsi dal
freddo. Eva continuava a guardarsi intorno con febbrile aspettativa e Francesco
lanciò alla nuova amica un’occhiata d’intesa, cui Giù
rispose con un ghigno malefico mentre il suo piede s’incastrava da solo
in una crepa del marciapiede. Si aggrappò prontamente al ragazzo per
evitare un capitombolo e quasi lo strangolò con il collo
dell’eskimo.
Forse
la sua nuova fortuna era strettamente circoscritta al perimetro interno del
liceo Calvino.
“Allora,
il tuo principe?” interloquì, recuperando l’equilibrio
mentre Francesco tossicchiava.
Eva
sbuffò pazientemente, scrollando la testa.
“La
quinta b esce sempre per ultima e Stef è
l’ultimo degli ultimi. È lento come la fila alla cassa della
Coop,” illustrò rassegnata.
L’autobus
numero 64 veleggiò in quel momento verso la fermata e Giù
lanciò uno strillo, riconoscendolo.
“Il
mio autobus!” ragliò allarmata, lanciando via la sigaretta che
mancò di poco il cappuccio di un estraneo sfortunato. “Devo
correre!”
“A
domani!” la salutò Francesco, mentre Eva sventolava la mano sul
suo scatto da velocista. Giù caracollò di corsa verso l’automezzo
con lo zaino che rimbalzava sulla schiena, travolse due ragazzini del primo o
secondo anno e si spappolò una tibia contro un idrante. Balzò
sull’autobus all’ultimo secondo sventolando le braccia come pale di
mulino, perse il berretto appena messo piede a bordo e la foresta dei suoi
capelli esplose libera.
Ansimò,
abbandonandosi contro il finestrino, mentre tentava di recuperare il fiato e si
guardava cautamente intorno, speranzosa. Esaminò attentamente tutti gli
altri passeggeri ma purtroppo non c’erano tracce di Tizio, della sua
giacca raccapricciante e del suo sorriso da denuncia per molestie.
Peccato.
Sua
madre la aspettava impeccabile con un piatto di maccheroni al sugo e un trancio
di torta sacher grosso come un comodino. Era una fanatica della buona cucina e
tra le mille attività cui si dedicava c’era quella di preparare
leccornie per tutta la famiglia. Era quel genere di cuoca che ama preparare
prelibatezze anche per se stessa e Giù non capiva come mai non fosse
grassa come un porcello, ma questo le dava buone speranze per il futuro.
Dopotutto le somigliava molto: da lei aveva preso i capelli a bomba atomica, i
piedi a papera e la faccia tondeggiante, anche se disgraziatamente non
possedeva un’oncia del suo carisma vulcanico e della sua grazia naturale.
“Allora,
Pi, questa nuova scuola?” chiese Serafina,
speranzosa.
La
ragazza si sfilò il cappotto con espressione pensosa, emise uno sbuffo
depresso e infine si aprì ad un sorriso luminoso.
“Ho
due amici,” annunciò, ancora sorpresa lei stessa per quel felice
evento.
Trascorse
le due ore successive spiegando a Serafina tutto
quello che le riuscì di descrivere di Eva, Fra’, il professor
Ventura, la bidella, il Preside, la macchinetta del caffè, il suo banco
verde e la corsa alla fermata. Quando smise di parlare le faceva male la gola e
si sentiva contenta come non aveva pensato di poter mai essere nella nuova
città.
Era
dannatamente strano.
Forse
stava diventando Buffy..?
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Nunichan: Oh, grazie! Ahm, ammetto che al momento non so
nemmeno bene io dove andrò a parare, la trama ha già subito tre
modifiche sostanziali ma a grandi linee il fulcro continua a rimanere il
medesimo. Quanto a Tizio… ^__^ L’effetto voluto era un po’
quello lì. Mi fa piacere che tu voglia seguire la storia, spero davvero
di non deluderti.
Sky88: Certo che puoi chiamarla Pi, anzi, a lei fa molto
piacere. Non ti azzardare ad uscirtene con Giusy o ti
sfranteca la faccia. ^__^ Che altro dire…speriamo
bene. Mi auguro di riuscire a mantenere la storia interessante. Grazie, alla
prossima.
Aglaia: tesoro, tu mi commuovi. “Pasticcino”,
awww! Lo so che mi sei fedele, e non sai quanto ti
sono grata per questo. Davvero. Quanto alla nostalgia del liceo…bah. Per certe
cose forse sì, ma la vita da universitaria mi calzava molto di
più. Che altro…ah sì. La battuta, vedi, Giù se la fa
anche da sola…^__^ Apresto, besos.
linduzz: Grazie! Ti somiglia? Beh, almeno vorrà
dire che è un pochino realistica, il che mi conforta. Spero il resto
della storia ti aggraderà altrettanto, alla prossima.