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Autore: _Trixie_    09/05/2015    6 recensioni
[Seguito di Quattro volte in cui Emma e Regina furono felici e la quinta in cui non lo furono e Quando un cuore si spezza.]
«Io e Regina abbiamo un figlio da proteggere. Pensavamo sarebbe stato meglio andarcene, tornare a Storybrooke, se questo fosse stato ciò che Henry desiderava. Dopo quello che abbiamo saputo non lo lasceremo in un mondo pericoloso come questo, senza di noi. Ma quando non ci sarà più motivo di temere della sua vita, sarà lui a decidere se ci vorrà accanto o meno» rispose Emma.
Regina sospirò e chiuse gli occhi. Emma aveva ragione, ma non c’era motivo di parlarne in quel momento.
«Ma questo è il tuo mondo, tesoro, è la tua casa» rispose Biancaneve con un filo di voce.
Emma scosse la testa.
In quel momento, il grido di una donna squarciò l’aria.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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Capitolo XIV
Per bruciare un amore
 


Una reazione di combustione è una reazione irreversibile.
Questo significa che, una volta che è avvenuta, non è più possibile tornare indietro.
Si può ottenere una reazione di combustione in molti modi, ma il fuoco è sicuramente uno dei più spettacolari.
Il fuoco distrugge ogni cosa che incontra, trasformandola in cenere che copre la terra e in fumo che oscura il cielo.
Il fuoco brucia.
E anche il sangue che scorreva nelle vene di Henry, in quel momento, sembrava bruciare.
I suoi muscoli erano preda di fiamme crudeli tanto quanto quelle che divoravano il castello - un castello di pietra, un castello nel quale aveva creduto che Oliver sarebbe stato al sicuro.
Ma ora quella fortezza stava bruciando, il fuoco lo stava consumando.
Anche l’amore consumava.
Anche l’amore è una reazione di combustione. E quando termina, quando si esaurisce e ha finito di bruciare, non lascia nulla, dietro di sé.
 

«Henry!»
Emma, le redini strette in mano e il busto inclinato in avanti, urlò per l’ennesima volta il nome del figlio, sperando che la disperazione nella sua voce lo portasse a fermarsi.
Non era nemmeno sicura che il ragazzino lo sentisse, ma Emma continuava a chiamarlo comunque.
«Henry!»
Gli zoccoli del cavallo battevano tanto rumorosamente sul terreno e tanto in fretta, che il loro rumore non era più ritmico, ma continuo, come quello di un treno.
A volte, il vento portava a Emma delle urla.
Da dove provenissero, la ragazza non ne aveva idea.
Forse dagli eserciti alle sue spalle, forse dal castello, dove qualcuno era rimasto incastrato dalle fiamme e iniziava a sentire il calore insinuarsi sotto la pelle, risalire lungo il corpo, bruciare…
Emma scosse la testa.
Henry.
Doveva fermare Henry.
 

Henry si lanciò in mezzo alle fiamme che avevano già eroso il portone di ingresso nel momento in cui Regina, a diversi metri di distanza lo riconobbe.
La donna ebbe un moto di nausea che trattene a stento, non appena capì che cosa suo figlio aveva fatto.
Si era gettato in un castello che stava ardendo da cima a fondo.
Spostò lo sguardo, confusa, spaesata, sperando che qualcosa potesse farle capire perché Henry avesse appena fatto una cosa del genere, quando riconobbe la chioma bionda che stava inseguendo suo figlio.
«Emma!» gridò - un grido che sapeva di pianto e isteria - prima che potesse trattenersi, prima che capisse che aveva commesso un errore.
La ragazza voltò la testa nella sua direzione e perse l’equilibrio, ruzzolando a terra.
Il cavallo proseguì la sua corsa, ma non appena si ritrovò di fronte il muro di fuoco, si impennò per poi allontanarsi nella direzione opposta, sfiorando con gli zoccoli la testa di Emma.
O, almeno, Regina sperò fosse così.
Spronò il proprio cavallo ed emise un verso di sollievo quando, dopo pochi istanti, Emma si rialzò, barcollando.
Una volta che l’ebbe raggiunta, Regina notò che aveva un brutto taglio sulla fronte, ma non appena fece per scendere da cavallo, Emma scosse la testa, risoluta.
«Henry» disse solo, ansimante, mentre tendeva la mano perché Regina la aiutasse a issarsi sull’animale.
La donna annuì e afferrò con una stretta decisa l’avambraccio di Emma, liberando il piede dalla staffa perché la ragazza potesse mettersi in sella.
Con un grugnito, Emma atterrò sulla groppa dell’animale, dietro a Regina, e le strinse in fianchi giusto in tempo per non scivolare quando l’animale partì al galoppo.
«Vuole salvare Oliver» sussurrò Emma nell’orecchio della fidanzata, gli occhi fissi sulle fiamme che si avvicinavano sempre di più.
«Dannazione» commentò Regina a denti stretti. «Reggiti, forte» aggiunse poi, abbassandosi in avanti, subito imitata da Emma, che chiuse gli occhi.
La ragazza sentì caldo e dita di fuoco che le accarezzavano la pelle, tentatrici, invitandola a rimanere con loro, poi un urto, gli zoccoli del cavallo che battevano sul selciato d’ingresso del castello e Regina che imprecava, di nuovo, un braccio teso all’indietro per sostenere Emma.
«Stai bene?» le domandò Regina, facendo arrestare il cavallo e guardando in alto.
Tutto ciò che vide fu fuoco, fuoco che liquefaceva mattoni come se fossero marshmallow giganti e vetri che si scioglievano come ghiaccio sotto al sole.
Emma scese da cavallo e afferrò Regina per i fianchi, aiutandola a fare lo stesso, ma non appena quest’ultima si affidò alla presa della ragazza, la sentì gemere.
«Cosa-»
«Va tutto bene. Henry. La stanza di Oliver».
Regina annuì e, insieme, si infilarono in quell’inferno che era diventato il castello.
 

Non appena Frederick era stato portato al sicuro all’interno delle mura e adagiato su un letto, Belle aveva mandato a chiamare Tremotino.
La ragazza non aveva idea di dove fosse l’uomo, ma Tremotino, con la sua magia, era l’unica speranza che Frederick avesse per rimanere in vita.
Belle stava bagnando la fronte dell’uomo, ormai privo di sensi da diversi minuti, mentre la ragazza malnutrita che lo aveva accompagnato fin lì gli stringeva la mano, lacrime calde scivolavano lungo il suo viso.
Poi, all’improvviso, la porta si spalancò e entrambe sussultarono.
«Il castello va a fuoco» disse Ruby sulla soglia, ansimando. Era coperta di polvere da capo a  piedi, i vestiti laceri, le mani e il viso sporchi di sangue.
La battaglia era iniziata.
«Cosa?» fece Belle, confusa.
«Stavo combattendo e quando ho alzato gli occhi ho visto il castello bruciare. Ho cercato David, mi ha detto di avvisarvi, di farvi uscire al più presto».
Belle non era sicura di quello che stava succedendo, ma sapeva riconoscere il terrore e l’allarme negli occhi di qualcuno quando lo vedeva.
«D’accordo. Epicari, aiutami a sollevare Frederick».
«No».
«Epic-»
«È morto» disse la ragazza, lo sguardo perso nel vuoto.
Belle cercò gli occhi di Ruby, che si assottigliarono.
«Dobbiamo lasciarlo qui».
«No!» scattò Epicari all’istante.
«Ruby, non possiamo…» tentò Belle, debolmente.
«Dobbiamo» tagliò corto Ruby, poi indicò Epicari con un cenno del mento. «Lei è ancora viva, possiamo portarla fuori, ma con lui…».
I suoi sensi da lupo non l’avevano mai tradita e in quel momento le dicevano che l’incendio non era tanto lontano. Poteva già sentirne il calore sulla pelle e il suo basso borbottio nelle orecchie.
Portare anche Frederick sarebbe stato troppo rischioso.
Ruby fece un balzo in avanti, un movimento che secondo Belle non aveva nulla di umano, e afferrò Epicari strappandola a forza dal capezzale di Frederick.
«No!» urlava la ragazza, cercando di divincolarsi. «No! NO!»
Ruby fece cenno a Belle di seguirla e, aiutandosi con l’olfatto per evitare le zone del castello già divorate dalle fiamme, riuscì a condurre entrambe in un cortile circondato da mura alte e ricoperte di vegetazione.
Un piccola porta di legno, solitamente usata dalla servitù, le avrebbe condotte all’esterno.
Epicari, che aveva urlato per tutto il tempo, era ormai stremata e Ruby sospettava che la ragazza faticasse a rimanere cosciente a sé stessa dal momento che non reagiva, né si muoveva più.
La affidò a Belle.
«Portala fuori, allontanatevi più che potete dal castello. Io devo tornare alla battaglia» disse solo, concitatamente. Stava già per trasformarsi in lupo, quando un pensiero le attraversò la testa.
Guardò Belle e sospirò.
Ruby si pulì il viso dal sangue come meglio poteva, strofinandolo sulla manica della camicia lacera che indossava.
La ragazza lupo sorrise, prima di posare un leggero bacio sulla fronte di Belle.
 

Mangiafuoco l’aveva riconosciuta subito. Stava aiutando una ragazza dall’aspetto provato a uscire dal castello, sostenendone quasi tutto il peso.
Si chiamava Belle e mai nome sarebbe stato più adatto.
Aveva i capelli rossi, di quel rosso cupo che a lui piaceva tanto.
Ma era cambiata molto, dall’ultima volta che l’aveva vista.
E non si trattava del suo aspetto, no, si trattava dei suoi occhi.
Li ricordava ancora, quei bei occhi tra la folla assiepata attorno al suo teatrino di marionette, che guardavano innocenti e meravigliati quello spettacolo di bambole.
Quando rideva, Belle si copriva la bocca con una mano, ma Mangiafuoco avrebbe desiderato che non lo facesse.
Fu quella, l’unica volta in cui la vide, ma il suo volto gli si impresse a fuoco nel cuore.
Non ebbe nemmeno il coraggio di parlarle.
Lei era così bella.
E poi, era la figlia del re, gli avevano detto.
E lui, chi era? Un burattinaio da quattro soldi che a stento riusciva a mangiare un tozzo di pane la sera.
La lasciò andare senza una parola quando lo spettacolo finì, sperando che il giorno dopo sarebbe ritornata.
Belle gli lasciò una moneta d’oro e con quella Mangiafuoco poté riempirsi la pancia per molti giorni, ma la ragazza non tornò più.
E lui dovette scappare dopo pochi giorni.
Gli orchi avevano invaso il regno e lui non ebbe altra scelta se non allontanarsi da Belle e mettersi in salvo.
Passarono i giorni, passarono le settimane e passarono i mesi.
Passò anche la guerra, infine.
E quando Mangiafuoco tornò nel regno di Belle, per cercare i suoi occhi tra la folla, scoprì che l’Oscuro Signore l’aveva portata con sé.
Fu in quel momento che, per la prima volta, le sue mani presero fuoco.
Autocombustione, l’avevano chiamata.
Lui non sapeva nemmeno pronunciarla, una parola tanto lunga, ma una cosa la sapeva, sapeva che l’amore faceva male e che bruciava.
Ma lui avrebbe imparato a controllare quel potere.
Ci mise molti anni, Mangiafuoco, anni in cui visse da reietto, ai margini della società, in cui imparò che essere temuti era meno doloroso che essere amati, ma alla fine riuscì a padroneggiare le fiamme, nello stesso modo in cui controllava il proprio respiro.
Aveva perfezionato la sua abilità, aveva scoperto che ogni cosa può prendere fuoco, se si scopre la falla nella sua struttura.
E non solo Belle, ma anche lui era cambiato.
Mangiafuoco rise e fece cenno ai suoi uomini di prendere la ragazza, che cercava di difendersi divincolandosi e scalciando, urlando, chiamando il nome di Tremotino.
Oh, la sua Belle era proprio cambiata.
 

«La scala è crollata!» esclamò Regina, con rabbia.
Si erano aperte la strada a fatica, tra il fuoco e le macerie, cercando di tenere a bada le fiamme che si avvicinavano eccessivamente con barriere e getti d’acqua evocati con la magia.
Chiaramente, l’effetto era solo temporaneo e transitorio, quell’incendio non aveva nulla di naturale e Regina non aveva idea di come fermarlo.
«Posso crearla» disse Emma, chiudendo gli occhi per concentrarsi. «Posso farlo».
Regina guardò con apprensione una delle mani della ragazza, orientate verso il vuoto dove solo qualche ora prima si ergeva una scala secolare, di pietra e marmo. Era violacea e gonfia. Sicuramente, era finita sotto lo zoccolo del cavallo.
Si era offerta di sanarla con la magia, ma Emma si era rifiutata; sia perché l’ultima volta che la sua mano era stata guarita grazie alle abilità di Regina era stato sull’Isola di Euridice e nessuna delle due conservava bei ricordi dell’esperienza, ma soprattutto perché la ragazza non voleva in alcun modo che la fidanzata sprecasse più energie del necessario.
Poteva sopportare una mano rotta.
E dovevano uscire di lì, entrambe, con Henry.
Le macerie ai piedi di Regina tremarono.
Scricchiolando, si accatastarono l’una sull’altra, guidate dal potere di Emma, formando un grossolano collegamento tra quel pianerottolo e i successivi, fino al piano su cui si trovava la stanza di Oliver.  
«Non ha l’aspetto di una scala, ma è il meglio che sono riuscita a fare» commentò Emma, quando aprì gli occhi per osservare il proprio operato.
Regina le sorrise, debolmente, prima di inerpicarsi su quell’innaturalmente ordinato cumulo di macerie.
Tese una mano ad Emma e la fece sistemare davanti a sé, per poterla aiutare a salire quando lei non sarebbe più riuscita a farlo con le sue sole forze.
Perché Regina sarebbe stata lì per Emma, ci sarebbe sempre stata.
 

Tremotino avrebbe dovuto immaginarlo, che Marvos gli avrebbe tirato qualche tiro mancino.
Tuttavia, toccare Belle era una cosa che il conte non avrebbe mai dovuto fare.
Il fatto era che Tremotino non era malvagio, di natura. Certo, da quando era diventato il Signore Oscuro la sua anima si era nutrita di cattiveria e tenebre, ma poi, con Belle, aveva realizzato che aveva una scelta, che nessuno era predestinato ad essere buono o cattivo, nessuno ti poteva sottrarre il tuo libero arbitrio.
Perciò quando Tremotino, che si stava dirigendo verso il campo di battaglia, aveva saputo che Belle era stata fatta prigioniera da Marvos, avvisato da una cameriera che blaterava di un uomo in fin di vita, l’uomo seppe all’istante che cosa avrebbe scelto.
Cedere il proprio cuore all’odio e alla crudeltà, lasciare che questi affilino il proprio ingegno e guidino le proprie azioni, oh, Tremotino lo fece con gioia, sapendo che per Marvors non avrebbe avuto alcuna pietà.
 

Emma sudava e tremava.
Aveva freddo, molto freddo.
È una cosa curiosa, come i recettori del calore del corpo umano smettano di funzionare oltre una certa temperatura e entrino in gioco quelli del freddo.
Accade come quando, in una fredda giornata invernale, ci si getta d’un tratto in una vasca colma di acqua bollente e lo sbalzo termico, invece di dare immediato sollievo, fa battere i denti ancora per qualche secondo.
È un paradosso, l’aver freddo nel bel mezzo di un incendio, ma Emma si sentiva gelare.
Guardò Regina accanto a sé, che le restituì un’occhiata di disapprovazione.
La donna aveva insistito a lungo perché Emma si inerpicasse davanti a lei e non accanto, così da poterla aiutare e sostenere, ma la ragazza non aveva voluto sentire ragioni.
Forse si era rotta la mano - di nuovo - ma di certo non aveva passato la vita seduta dietro a una scrivania. Il fatto poi che il piede di Regina era scivolato già un paio di volte mentre Emma non aveva mai perso la presa, la diceva lunga.
«Manca un solo piano» sussurrò Regina.
Emma annuì e proseguì la salita.
 

«Sei tornato» bisbigliò Oliver, accennando un sorriso, «ma ora sono io, a dover andare».
«Oliver? Oliver, no, rimani qui con me, Oliver!»
Oliver non rispose.
Henry lo chiamò più e più volte, ma nulla cambiò.
Henry sapeva cosa voleva dire, ma Henry non capiva.
Perché Oliver era lì, dannazione, era lì, tra le sue braccia.
 

«Credo di avere qualcosa che ti appartenga» disse Marvos, guardando, tronfio, l’Oscuro Signore. «E credo anche che tu abbia qualcosa che mi appartenga».
Belle aveva le mani legate e la bocca imbavagliata.
Un uomo, che Tremotino riconobbe come Mangiafuoco, la teneva per i capelli con tanta forza che la ragazza toccava a terra a malapena con le punte dei piedi e, dal dolore, aveva le lacrime agli occhi.
«Lasciala e ti darò la Lancia di Achille» disse Tremotino, con voce bassa. A stento controllava la propria furia.
Marvos rise, gettando indietro la testa.
Tremotino notò che la spada che aveva in pugno era insanguinata. Evidentemente, l’uomo aveva pensato bene di dare il proprio contributo alla battaglia che si stava ancora svolgendo.
«Ti restituirò la tua preziosa mogliettina. In cambio tu mi darai la Lancia di Achille e mi aiuterai a vincere questa guerra».
Belle cercò di parlare, ma le parole vennero soffocate dalla stoffa, e Mangiafuoco la strattonò.
«D’accordo» concesse Tremotino, facendo apparire la Lancia sulla sua mano in una nuvola di fumo viola.
Fece un passo avanti, porgendo l’arma a Marvos, ma il conte indietreggiò.
«Non sarebbe carino se tu mi pugnalassi con la mia stessa lancia» fece notare, prima di fare un cenno a Mangiafuoco. «Sarà la ragazza a fare lo scambio e rimarrà con noi fino a quando non avrò ucciso Biancaneve, suo marito e l’intera famiglia reale con il tuo aiuto, Tremotino».
«Ti aiuterò solo quando la lascerai andare» chiarì l’Oscuro Signore.
Il conte scosse la testa.
«Tratterò tua moglie con ogni riguardo, mentre ti occuperai della battaglia, non preoccuparti».
Tremotino strinse le labbra.
«Non pensarci nemmeno, a usare la magia per liberarla. Mangiafuoco è pronto ad arderla viva o i miei soldati a trafiggerla. Nessuna delle due alternative mi sembra auspicabile».
«D’accordo. Ma se le succede qualcosa in mia assenza non ci sarà più nulla che mi trattenga dallo staccarti la testa dal collo a mani nude» sputò Tremotino con furia, a denti stretti.
Marvos fece un gesto a Mangiafuoco, che liberò la ragazza e sciolse la benda che le impediva di parlare.
Belle mosse qualche passo, incerta, verso Tremotino.
Le parole di Marvos le avevano dato un’idea, un’idea spregevole. Ma Belle non vedeva altra via di uscita.
«Mi dispiace tanto» sussurrò all’uomo che amava mentre stringeva le dita tremanti attorno all’asta della Lancia di Achille.
Poi, Belle si voltò verso il conte Marvos.
 

«Henry!» urlò Regina, prima di tossire nuovamente. L’aria piena di fumo e fuliggine la stava soffocando e respirare diventava sempre più difficile, a ogni secondo.
«Lo vedo, Regina, lo vedo!» disse Emma all’improvviso, tirando la mano di Regina verso la propria direzione.
 

Belle fece un passo.
Poi un altro.
Ne mancava uno solo, poi avrebbe dovuto scegliere.
Belle avanzò e scoprì che, quella scelta che tanto la terrorizzava, non era poi così difficile.
Aveva una famiglia e questa sarebbe sempre stata la sua prima scelta.
Perciò sollevò la Lancia di Achille sopra la testa con entrambe le mani e, con tutta la forza che aveva, la piantò nel collo del conte Marvos, lasciato scoperto dall’armatura che indossava.
Sentì la punta affondare, un orrendo gorgoglio e un verso soffocato echeggiare nell’aria e lo sguardo sorpreso del conte Marvos cercare i suoi occhi.
Belle perse l’equilibrio e cadde in avanti.
Per un lungo istante, tutti i presenti trattennero il fiato.
Nessuno osava muovere un muscolo, solo Marvos, a terra, si dibatteva ancora, come in cerca d’aria.
Fu solo quando il corpo del conte giacque immobile, che Tremotino spostò lo sguardo in quello di Mangiafuoco.
«Metti fine all’incendio al castello e ordina ai soldati di Marvos di deporre le armi».
Mangiafuoco esitò.
Belle aveva smesso di piangere.
E Tremotino voleva solo prenderla tra le braccia e proteggerla, proteggerla da tutto quanto.
«Il vostro comandate è morto e nulla mi impedisce di ucciderti ora» gli ricordò l’Oscuro Signore.
Mangiafuoco fece schioccare la lingua e si voltò verso la combriccola di soldati, ora visibilmente spaventati, poi fece scivolare lo sguardo a terra, fino a incontrare il corpo senza vita di Marvos.
Vi si avvicinò, evitando Belle ancora stesa a terra, immobile, le dita macchiate dal sangue del conte che si spargeva senza sosta sulla terra.
Mangiafuoco si chinò accanto al cadavere e gli sfilò con difficoltà l’anello di Venere dal dito, che proteggeva il comandante dalla magia mentre era in vita.
Si rialzò in piedi.
«Quell’anello è stato forgiato per Marvos in persona, non ti proteg-» fece Tremotino, prima di essere interrotto da Mangiafuoco.
«Lo so» disse l’uomo, «Nestore» chiamò poi, con voce profonda.
Uno dei soldati si fece avanti.
Era pallido in volto, ma cercava di mostrarsi spavaldo e sicuro di sé.
«Prendi l’anello del conte Marvos e raggiungi più in fretta che puoi il generale Aiace. Riferisci l’ordine di arrendersi all’istante e di ritirare le nostre truppe» disse Mangiafuoco.
«Sarà fatto» disse Nestore, montando sul proprio cavallo e fermandosi accanto all’uomo che gli porgeva l’anello solo per un secondo, prima di partire in tutta fretta verso il luogo in cui si stava svolgendo la battaglia.
«L’incendio» ricordò Tremotino a Mangiafuoco, che gli restituì un’occhiata irritata, prima di inspirare a fondo con la bocca.
Dell’aria calda accarezzò Tremotino per lunghi istanti, prima che Mangiafuoco deglutisse.
Aveva richiamato il fuoco dentro di sé.
«Bene. Ora credo che tu possa andartene con i tuoi soldati. Non fatevi più rivedere da queste parti, perché è su di voi che ricadrà la morte del conte Marvos, ci siamo capiti?»
«Vuoi il nostro silenzio per proteggere tua moglie, ma noi cosa ci guadagniamo, eh?» urlò uno dei soldati, con rabbia, all’improvviso.
Si era sposato solo da poche settimane e sua moglie era incinta. Non voleva costringere la sua famiglia a vivere da esiliati, né abbandonarla.
E tutto per una guerra cui non avrebbe nemmeno voluto partecipare.
Tremotino alzò la mano e lo ruotò.
Lo schiocco del collo del soldato fu improvviso e fece sussultare tutti  presenti.
«La vita».
Mangiafuoco annuì, senza dire una parola, e si voltò per andarsene. Il drappello di soldati lo imitò senza esitare, senza nemmeno osare guardare il loro compagno o il loro generale, entrambi a terra senza vita.
Tremotino si affrettò a raggiungere Belle e la prese tra le braccia, stringendola forte al petto.
Mangiafuoco lanciò loro un’ultima occhiata.
Oh, la sua Belle era proprio cambiata.
 

Le fiamme si spensero all’improvviso e il brusco cambio di calore e luminosità colse tanto Emma quanto Regina di sorpresa.
«Cosa è successo?» domandò la ragazza, confusa. Regina scosse la testa.
«Non lo so, ma non mi importa» rispose.
Entrambe guardarono Henry, inginocchiato a terra, con il capo di Oliver in grembo.
Gli accarezzava delicatamente il viso pallido, dove le lacrime di Henry cadevano senza sosta.
Poi Regina lo vide.
Vide quell’ammasso di travi e pietre sotto cui parte del corpo di Oliver era sepolto, dalla vita in giù, e alcuni schizzi di sangue sul pavimento coperto di polvere.
Lei e Emma si avvicinarono cautamente a Oliver e al loro bambino, si inginocchiarono alle sue spalle e lo abbracciarono, senza dire una parola.
 

Henry non capiva cosa stesse succedendo.
Oliver era tra le sue braccia.
Ma Oliver non respirava.
Il cuore di Oliver non batteva.
Henry sapeva cosa voleva dire.
Voleva dire che Oliver era morto.
Ma Henry non capiva.
Perché Oliver era lì con lui ed era ancora caldo, ma le sue labbra erano del colore sbagliato, come sbagliata era la temperatura della sua pelle e poi Oliver non respirava e i suo occhi erano chiusi.
Perché Oliver non respirava?
Henry lo sapeva, ma non capiva.
Oliver era morto.
Ma la morte non aveva alcun senso.
Sua madre era morta, ma poi era tornata, perciò anche Oliver sarebbe tornato, giusto?
Oliver stava tornando.
Si era assentato, solo per un po’.
Ma poi avrebbe aperto nuovamente gli occhi e le sue labbra sarebbero tornate rosse e piene di vita e il suo petto avrebbe ripreso a battere ritmicamente.
Henry doveva solo aspettare e avere pazienza.
Forse Oliver stava tardando un po’, nel tornare da lui, ma era solo perché aveva perso la strada.
A tutti capita di perdersi, prima o poi.
E se Oliver avesse tardato ancora un po’, significava semplicemente che si era perso un po’ di più e allora Henry sarebbe andato a cercarlo.
Emma l’aveva fatto.
Emma aveva cercato Regina e l’aveva trovata.
Poi, Emma e Regina erano tornate.
Ci avevano messo molto tempo, ma avevano ritrovato quella strada piastrellata di sacrifici, lacrime e dolore che aveva permesso loro di tornare.
Poteva riuscirci anche Henry.
Potevano riuscirci anche lui e Oliver.
Perché Oliver sarebbe tornato.
Oliver era lì.
Henry sentiva il peso del corpo di Oliver, la consistenza della sua carne, lo spazio che occupava.
Henry non capiva.
Oliver si era solo perso.
Oliver non respirava.
Ma stava tornando.
Oliver era morto.
No, avrebbe trovato la strada.
I suoi occhi erano chiusi.
Ma tra poco li avrebbe aperti.
Le sue labbra erano viola.
A Henry quel colore non piaceva.
Ma non aveva importanza, perché mancava poco, poi Oliver gli avrebbe sorriso e le sue labbra sarebbero tornate rosse.
Oliver era solo in ritardo.
Anche a Henry capitava spesso di essere in ritardo.
Doveva solo aspettare.
Anche se Oliver era morto.
E questo Henry lo sapeva, ma, davvero, Henry non lo capiva.
Poi, qualcuno, lo abbracciò.
E Henry capì.
 


NdA
 Prima di tutto, un paio di precisazioni.
 [Mangiafuoco] imparò che essere temuti era meno doloroso che essere amati è un riferimento a un concetto che Machiavelli presenta in uno dei suoi trattati (Il Principe, se non sbaglio).
Inoltre Nestore e Aiace sono personaggi presi in prestito da Omero.
Per quanto riguarda il resto… Umh, beh, almeno il prossimo - e ultimo - capitolo non è tanto triste, giuro.
Grazie a Dops per il betaggio. Come sempre ha salvato la mia reputazione e la mia dignità <3 (lok).
A presto,
Trixie. 
 

 

 
   
 
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