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Autore: Margo_Holden    09/05/2015    2 recensioni
Sheena è una pacifista, che nel giorno della scelta, deciderà di stare con gli intrepidi.
Quello che non sa, è che non ci sarà solo la lotta per rimanere nel suo nuovo mondo, ma la lotta più grande dovrà vincerla contro se stessa e i suoi sentimenti.
Dal Capitolo 17.
"Quando giunsi lì, mi sedetti sul muretto con i piedi a penzoloni. Chiusi gli occhi e allargai le braccia. E sognai di essere una bellissima aquila, che volava e spiegava le sue ali senza paura o timore, che padroneggiava alta su nel cielo, limpido e senza nubi. Andava dritta per la propria strada e non si guardava mai indietro, sapeva cacciare e badare a se stessa, mentre muoveva le ali su e giù senza badare agli altri uccelli che la guardavano intimoriti. Aprii gli occhi di scatto quando capii che avevo disegnato il profilo di Eric."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tris
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13.





Durante tutta quella mattinata libera concessaci dopo il giorno prima, io e Brian decidemmo di andare a fare un nuovo tatuaggio. (ed ennesimo tatuaggio per lui, dato che si era ricoperto le braccia e non c’era rimasta quasi più spazio)
Quando entrammo nello studio, ad accoglierci c’era Tori seduta su una sedia di un  rosso fuoco.
Il posto era sempre lo stesso. C’erano pareti grigie come la roccia del pozzo, lettini e tutto era contornato dal rumore elettronico delle macchinette al lavoro e dal profumo del disinfettante. Ma la particolarità di quel posto stava nella stanza dei quadri cioè un angolo adibito a scegliere quale dei tatuaggi appesi alle parete ti piacesse di più per poi ritrovartelo sulla pelle per sempre.
Tori alzò lo sguardo nel momento in cui ci avvicinammo alla sedia e il suo viso da pensieroso e distante, divenne immediatamente solare, anche se i suoi occhi non abbandonavano quella preoccupazione di poco prima. Noi, da bravi ragazzi, ricambiammo il sorriso.
-Allora ragazzi, cosa ci fate qui?- esordì lei.
-Tatuaggio per entrambi.- risposi con un alzata di testa.
-Per te Sheena sarà facile trovare uno spazio libero, ma per il tuo amico, a meno che non lo voglia in quella zona dove non batte il sole(lo disse facendo l’occhiolino), non saprei proprio dove metterglielo, Brian ormai, è diventato l’intrepido più tatuato di tutta la fazione.- quando finì scoppiammo tutti in una fragorosa risata.
-Beh, dimentichi che ci sono ancora le gambe.- rispose Brian, facendo a sua volta un occhiolino.
-Va bene. Sapete già cosa volete?- ci chiese con quei suoi grandi occhioni color dell’ambra leggermente a mandorla. Tori era una ragazza Asiatica di bell’aspetto. Era alta, aveva le sue curve non troppo pronunciate e il suo viso tondo contornato da bellissimi capelli castani. Era veramente una delizia.
-Io si.- risposi.
-Okay allora seguimi, tu Brian andrai da Mike, aspetta che finisca il suo cliente e poi toccherà a te.- disse e fece una leggera pressione dietro la mia schiena con la sua solita delicatezza, giusto per farmi capire di precederla ad andare nella stanzetta.
Quando arrivammo lì, gli spiegai cosa avevo in mente.
Volevo un tatuaggio che mi coprisse tutta la schiena.  Volevo che fosse particolare ma soprattutto, non banale. Quindi gli dissi che desideravo farmi tatuare tutti i simboli delle cinque fazioni ma essi  dovevano essere uniti da dei ghirigori che rappresentassero  le venature di una mano, in modo più tribale. Ecco tribale era la parola giusta. Quando glielo dissi sembrò entusiasta e così, cominciò a mettersi a lavoro.
Mi tolsi la felpa e mi sdraia sulla poltroncina a pancia in giù. Lei poi sciolse il gancetto al reggiseno e cominciò a passare il freddo disinfettante su tutta la schiena. Il contrasto tra la mia pelle calda e il disinfettante freddo, mi procurò leggeri brividi, ma poi cessarono e la mia schiena come la mia pelle prendeva fuoco ogni qualvolta quell’affare andava a colorare la mia pelle diafana.
Avevo la pelle che bruciava, il dolore che la posizione mi procurava al seno e per finire in bellezza, le mani e i piedi intorpiditi. Ad un certo punto però, il ronzio di quell’aggeggio malefico della macchinetta elettrica cesso. Il silenzio fu però spezzato da una sedia che veniva tirata indietro e dei passi pesanti sul pavimento che si allontanavano. Era sicuramente Tori che si era fermata e che se ne era andata chi sa dove.
Perfetto.
Io ero in quella schifosissima posizione e lei pensava bene di andarsene.
Girai leggermente la testa per vedere se Tori era ancora nei paraggi oppure se ne era veramente andata, eh si se ne era andata. Poi però, vidi un ombra sulla lastra splendente di pietra che fungeva da pavimento ma aveva qualcosa di strano. Quella non poteva essere di certo l’ombra di Tori. Lei aveva capelli lunghi, l’ombra invece aveva capelli corti con una muscolatura evidente e ben piazzata. Ma non poteva essere di certo Brian, non era così muscoloso, allora chi diamine era?
Non ebbi il tempo di aprire bocca quando la figura cominciò a passarmi un dito sulla schiena scoperta procurandomi leggeri brividi di freddo. Mi irrigidii all’istante e cercai di fermarlo con la mano. Anche se quei movimenti circolari mi stavano piacendo un sacco, tant’è che mi morsi anche il labbro inferiore per tenere a freno i miei ormoni di sedicenne, lo fermai prendendogli il polso.
La figura mi strattonò la mano liberandosi dalla mia stretta poco forte e decise di prendere la sedia e sedersi. A quel punto mi innervosii e un coraggio mai avuto, mi permise di alzarmi da quella posizione, prima di girarmi mi assicurai però che non si vedesse niente delle mie nudità, insomma non ero entusiasta all’idea che mi vedesse nuda, nemmeno mio padre mi aveva visto in quelle condizione.
Quando girai lo sguardo seduto sulla sedia mi ritrovai  un Eric sulla cui faccia alleggiava un sorrisetto soddisfatto e da perfetto pervertito cui era.
Io strinsi gli occhi a fessura ma poi, per non dargliela vinta e per fargli vedere che non ero incazzata per i suoi modi di fare, gli regalai un sorriso, anche se nella mia mente le immagini di me che ero sopra di lui mentre lo strangolavo mi piacquero di più.
-Bello il tuo nuovo tatuaggio, se non sapessi chi fossi penserei a te come una Divergente.- mi disse raddrizzandosi sulla sedia mentre mi trafiggeva con gli occhi. Per lo meno aveva imparato a non guardare in posti non ancora accessibili per lui.
Oddio avevo appena pensato a non ancora. Stavo impazzendo. Lo desideravo.  Desideravo andare  a letto con uno stronzo ma pur sempre sexy.
Scacciai quei pensieri scotendo la testa.
-Spiritoso. Piuttosto dato che sei qui, che ne dici se mi allacci il gancetto del reggiseno, in fondo è facile, invece di slacciarli come fai di solito, fai il contrario.- gli dissi facendo l’espressione di una bambina saputella, un erudita insomma. Ignorando volutamente la sua battuta poco felice di poco prima.
Lui si irrigidì e si fece ancora più dritto con la schiena. Che stava succedendo? Anzi, cosa gli stava succedendo? Era forse imbarazzo quello sulla sua faccia? Oddio non potevo crederci che il freddo e glaciale Eric potesse provare anche un sentimento come quello. Quelle erano scoperte che non capitavano mica tutti i giorni.
Ad un tratto, come se si fosse ripreso, si alzò e venne lentamente verso di me.
Si fermò ad un passo dal mio viso. Io allora decisi di alzare lo sguarda dalla maglietta nera aderente che metteva in mostra tutto il suo fisico di lottatore professionista e portai il mio sguardo sul collo tatuato, poi sulle labbra ed infine su quegli occhi grigi, i più belli che avessi mai visto.
Dannato lui e quei suoi meravigliosi occhi che mi facevano uscire di binario tutte le volte.
Lui si abbasso di poco facendo incontrare ancora di più i nostri sguardi e far toccare i nostri respiri.
Poi con un gesto lento  portò quelle labbra, che avrei tanto desiderato baciare fino a non avere più ossigeno nei polmoni, vicino al mio orecchio.
-Magiari se ti giri posso agganciarti l’arnese di cui parli.- mi prese.
Chiusi istintivamente gli occhi e mi girai altrettanto lentamente.   
Avrei voluto scavare una fossa e mettermici dentro, così giusto per restare in tema con la mia precedente paura. Provavo un imbarazzo assurdo e stavo maledicendo la mia lingua biforcuta, che non perdeva mai il momento per stare zitta. Ma cosa mi era venuto in mente?
Sentii le sua mani sfiorami i fianchi e poi con una delicatezza inaudita, una delicatezza che non avrei mai creduto appartenesse a Eric, prese le due estremità del reggiseno e lo riagganciò. Adesso capivo quelle ragazze che sbavavano per lui. Tutte quelle ragazze che sbavavano per lui.
Quell’imbarazzo fu sostituito dalla gelosia. Gelosia per tutte quelle ragazze che avevano avuto la fortuna di toccare e stare in una stanza da sole con Eric, anche per solo cinque minuti, nei quali minuti Eric gli aveva concesso tutta la sua attenzione. E poi una tristezza per la dura verità che mi colse in pieno. Io non ero che una stupida ragazzina trasfazione, forse tra poco un  Intrepida, che  non sapeva cosa fare della sua vita e che non era a coscienza di sé, e della sue doti. Che non sapeva chi fosse ma sapeva solo da dove proveniva. Che ama un fratello più della sua stessa vita e che se avesse potuto gliela avrebbe donata.
Una ragazzina che non riusciva a dislegarsi dal passato poiché viveva ancora dentro di esso, un passato felice con un padre ed una madre che l’amavano, ma che qualcuno gli aveva portata .
Come avevo fatto ad arrivare a quel punto proprio non lo sapevo, ma dovetti asciugarmi in fretta quella lacrima che scese sul mio viso. Chiusi per la millesima volta gli occhi e tornai ad essere la Sheena giocosa e sorridente di sempre.
Mi alzai per andare a prendere la felpa ma Eric, che era ancora dietro di me, me lo impedì.
Circondò la mia pancia fino ad abbracciare i miei fianchi e mi attirò a se. Mise poi il viso nei miei capelli aspirandone forse, il profumo. Io sbarrai gli occhi e rimasi interdetta per un minuto. Lui, capendo forse che quel gesto non mi piacesse per niente, cercò di togliere il braccio dalla pancia ma io glielo impedii mettendo una mano su quel braccio pieno di tatuaggi. E sorrisi.
-Non toglierlo…- feci in un sussurro sperando che non mi avesse sentito.
-Okay..- mi rispose lui con una voce roca che non gli apparteneva per niente.
Rimanemmo così per vari minuti ad accarezzare quel silenzio che ci accompagnava sempre quando eravamo insieme, anche se delle volte era colmato dai nostri sguardi vogliosi e desiderosi di noi, ma sapevamo che quello era impossibile per due persone diverse tra loro.
Eric era spavaldo e pieno di se. Ma soprattutto Eric era un capofazione, il mio capofazione.
Uno che aveva sempre saputo fin da l’inizio quello che sarebbe diventato e che aveva speso tutto il tempo durante l’iniziazione a realizzare al meglio quell’obbiettivo. Anche se un ragazzo di origine Abneganti lo aveva battuto all’ultimo momento diventando il più bravo, arrivando perfino primo nella classifica e chiudendo l’iniziazione in bellezza: solo quattro paure. Un record mai avuto nella storia della fazione.
Pensando a Quattro, mi venne in mente che non eravamo proprio soli e che Tori sarebbe tornata da un momento all’altro.
-Eric…-
-No shh, Tori non tornerà perché gli ho detto che avevo bisogno urgentemente di parlarti e che quindi avevo bisogno di un ora.- mi zitti mentre prese a darmi dei bacetti sul collo. Io istintivamente tirai indietro il collo.
Avevo bisogno di vederlo quindi mi girai verso di lui incastrando le mie gambe tra il suo bacino. Lui non perse tempo e cominciò a baciarmi. Poi lentamente mi fece distendere sul lettino e sali sopra di me appoggiando i gomiti vicino alla mia testa. Io misi le mani sul suo collo e lo avvicinai ancora di più verso di me. Fu quando però Eric morse il mio labbro inferiore che tornai alla normalità, uscendo da quella bolla fatta di passione.
Smisi di toccarlo distendendo le braccia lungo i miei fianchi. Ovviamente lui se ne accorse e senza dire una parola scese da sopra di me e si risedette sulla sedia. Io mi alzai e presi la felpa nera.
Ero terrorizzata dall’idea che noi due, sdraiati su quel lettino, immersi dalla passione che quel bacio ci stava dando, saremmo diventati una cosa sola. Cioè intendiamoci,  avevo capito di amarlo e gli avrei dato la mia l’anima, il mio corpo e cuore a lui, ma non mi sembrava il momento opportuno. In fin de conti io avevo bisogno di una persona che mi stesse vicino e che mi supportasse nei momenti più delicati e soprattutto che, sapendo la mia storia non se ne sarebbe andata ma sarebbe restata e mi avrebbe guarito, o meglio, guarito la mia anima. E se dobbiamo dirla proprio tutta, per me era stato un passo avanti quello di stare sotto di lui, senza maglietta e soprattutto che avevo lasciato che le sue mani vagassero libere sul mio corpo.
Perciò se Eric mi voleva veramente, doveva solo aspettare.
-Sono venuto qua, per parlarti veramente, Sheena.- disse lui con lo sguardo puntato sui propri anfibi neri.
Che stronzo non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia.
Ecosì arrivò quella mazzata tra capo e il collo che avevo tanto desiderato non arrivasse mai, ed invece eccoci di nuovo a pezzi.
Dovevo aspettarmelo che era venuto per un motivo serio e non per passare del tempo con me.
In quel momento non odiavo lui, ma odiavo me stessa. La me che si faceva sempre troppi sogni ad occhi aperti.
E pure ci avevo sperato con tutta me stessa  che era venuto li per me, che magari mi aveva sentito parlare da fuori e che aveva pensato di entrare e stare con me.  ma ormai piangere sul latte versato non serviva a niente ed io non avrei mai imparato a capirlo veramente. Non avrei mai imparato a stragli lontana ed ad allontanarlo.
-Dimmi.- risposi io alzando la testa e guardandolo nei suoi occhi, occhi però che non riuscivano a guardare, a guardare me. Si schiarì la voce e poi cominciò a parlare anche se non avevo per niente voglia di starmene li ad ascoltare le sue parole, ero troppo arrabbiata con me.
-Ho visto che ieri hai superato la prova brillantemente ed hai superato perfino Quattro in fatto di paure.-
-Già…- risposi io distogliendo gli occhi da lui e puntandoli sulla parete.  Stavo per piangere e non volevo che mi vedesse perché poi avrebbe pensato che non fossi forte abbastanza. Non volevo dargliela vinta.
Passarono alcuni minuti in cui non solo stemmo in assoluto silenzio, ma non riuscimmo nemmeno a guardarci in faccia.
Essendo stufa di quella situazione in cui ci trovavamo, decisi di rompere quel silenzio e di scappare via da quella stanza fatta di assordante rumore elettrico e puzza di disinfettante, per andare a nascondermi nel mio piccolo antro di solitudine. Stavo ricominciando ad odiare gli uomini e tutto grazie a lui.
-Beh se non hai niente altro da dirmi io andrei, che tra poco comincia il test.-
-Beh una cosa ci sarebbe…- mi rispose e per la prima volta riuscì a guardarmi negli occhi. E così continuò.
-Non ho mai omesso che tu mi piacessi…-
-Non me lo hai mai detto.- risposi io più velenose che mai.
-Okay avrò usato altre parole ma…-
-Se le parole “sei mia” sono il tuo modo di dire ad una ragazza che ti piace, beh amico stai sbagliando di grosso.- a qual punto, quando lo fermai anche la seconda volta, si arrabbio e il suo viso da rilassato divenne furioso e si avvicinò a me.
Ci stavamo guardando negli occhi.
Lui mi inceneriva con il suo sguardo e io facevo altrettanto.
Poi mi prese un braccio e me lo strinse talmente tanto forte da farmi uscire dalla bocca un lamento tutt’altro che flebile.
Io però ero arrabbiata e adesso anche ferita nell’orgoglio. Quel gesto stava a significare che lui era più forte di me e che quindi mi prevaricava.
La mia risposta fu altrettanto rabbiosa quanto dolorosa per lui.
Gli sorrisi e poi gli sferrai un bel calcio sui suoi testicoli.
L’effetto fu immediato tanto quanto il dolore che non tardò ad arrivare.
Mi sentivo forte e soprattutto sentivo di aver riacquistato quella dignità che mi abbandonava quando ero con lui. Sentivo come che quel bacio, quel bacio pieno che ci eravamo dati fino a qualche minuto prima, ero l’ultimo, almeno fino a quando io e lui, non fossimo diventati qualcosa e fino a quando lui, non mi avesse dimostrato più rispetto.
-Troia che non sei altro, giuro che se ti prendo…- non lo lasciai finire che gli alzai il viso con un dito.
-Se ti prendo cosa?!? Mi picchierai come si fa ad un cavallo ribelle. Io non sono come quelle troie che ti scopi sia chiara questa cosa. Io sono Sheena, una ragazza che da oggi in avanti non si lascerà trattare da te, come un oggetto usa e getta. Io sono una cazzo di donna con dei fottuti principi.- e detto questo girai i tacchi, mi avvicinai al bancone per il pagamento dei tatuaggi e lascia i gettoni necessari per pagare il tatuaggio.
Mi aveva fatto odiare anche quello.
Ma questa volta non mi sarei di certo lasciata accasciare come facevo di solito. Sarei stata più forte di lui.

Uscita dalla tatuatrice andai in camera.
Quando entrai nella stanza vi trovai Brian che sorrideva come un pesce lesso ad una ragazza dai capelli verdi. Gli passai a fianco e fece finta di non vedermi, ma lo vidi con la coda degli occhi che stava bleffando e forse potevo intuire anche il perché.
Quella ragazza doveva essere Alice, quella per cui aveva una cotta.
Era davvero bella con quegli occhi marroni e con quei capelli verdi lunghi dalla parte sinistra e rasati dalla parte destra. Anche se era minuta, emanava una potente energia, era qualcosa che ti faceva rabbrividire e lo si intuiva dal modo in cui ti guardava, perché ti studiava. All’inizio pensai che ce l’avesse con me, ma a quanto pare era un suo modo di fare. Come per proteggersi lei ti guardava dritta negli occhi e ti sfidava con lo sguardo. A pensarci bene quei due erano fatti l’uno per l’altra. Sorrisi e raggiunsi il bagno. Quando uscii dal bagno lavata e pulita, mi accorsi dall’orologio sopra la parete che era ora di andare a pranzo. Così mi incamminai lungo il corridoio e raggiunsi la mensa. Quando entrai vidi che al tavolo dove ero solita sedere non c’era Brian e dato che stavo attraversando un periodo difficile con Helena, decisi di deviare ed andare da James che sedeva con il fratello nel tavolo dei Capifazione.
Mi avvicinai a Jimbo e lo abbracciai da dietro. Sentivo che la sua di amicizia invece era sempre stata vera fin dall’inizio, lui mi capiva e mi rispettava, ma soprattutto credeva in me. anche se Brian mi aveva aiutato molto negli ultimi tempi sentivo però che era sempre frenato da qualcosa e non sapevo se questo qualcosa era una bella cosa oppure era brutta.
Mi sedetti vicino a lui e comincia a mangiare.
Quel giorno il menu prevedeva patate al forno e hamburger.
Guardando quelle patate sentii una stretta allo stomaco. Quei prodotti avevano il sapore del sudore e della fatica che mio fratello aveva buttato per farle crescere mentre a me toccava il compito più facile cioè mangiarle e basta. Sentii qualcuno ridacchiare e quando alzai il viso mi si materializzo davanti un James sorridente. Poi capii che stavo guardando quelle patate in modo triste e venne da ridere anche a me. Dovevo controllare di più i pensieri che si intrecciavano nella mia testa.
-Allora Sheena ho sentito che hai stracciato anche Quattro.- mi disse mentre mi rivolgeva un sorriso apprensivo e pieno di orgoglio nei miei confronti ed io non potei che rivolgergli un sorriso di ringraziamento.
-Già…- 
Sapevo, anzi sapevamo benissimo che affrontare le mie paure non era come affrontare le sue. Per lui era tutto più semplice perché non gli erano successe quelle cose brutte che cambiano la vita. Cose che erano successe a me e che lui sapeva benissimo perché la totale fiducia nei suoi confronti mi avevano portato a raccontargli tutto. 
James era l’unico a conoscere la mia storia e l’unico sarebbe rimasto, almeno lo speravo.

Sono nata in una famiglia di Pacifici.
Mio padre è un membro del consiglio mentre mia madre era l’addetta alla mensa scolastica.
I miei erano entrambi nati nella stessa fazione, e si conobbero proprio durante l’iniziazione quando decisero di rimanere ai loro posti e di continuare con quello che avevano iniziato, poiché entrambi  non amavano lasciare le cose a metà.
Così, finita l’iniziazione ed essere diventati pacifici a tutti gli effetti, decisero all’età di venti anni, di mettere su famiglia e di avere dei figli.
Le cose però tardarono ad arrivare ed infatti dopo cinque anni, arrivammo io e mio fratello a completare quel quadro che era già perfetto.
Quello che uscì prima dalla pancia di mia madre fu mio fratello che misero nome Travis, perché piaceva ad entrambi, ma quando l’ostetrica dell’ospedale  informò i miei che la notte sarebbe stata lunga, mia madre pianse dalla gioia nel sapere che aveva dentro di se un ‘altro bambino. E così dopo quattro ore di travaglio nacqui io. Tutti si aspettavano che fossi un altro maschio, ed invece ero una piccola e fragile bambina di due chili. Mi diedero nome Sheena come la canzone dei Ramones, una band che piaceva ad entrambi i miei genitori e perché mia madre sentiva che ero già una ribelle, poiché ero stata tutti quei mesi nascosta dietro mio fratello. Cosa ci fosse in quello di ribelle me lo ero sempre chiesta, però a mia madre non lo dissi mai, e adesso non ne avevo nemmeno più la possibilità.

La mia infanzia passò felice tra un gioco e l’altro. Mia madre mi insegnò ad essere sempre buona e gentile, mio padre a far sentire in modo pacifico la mia voce.  Avevo però quella sensazione che quella  non fosse la mia vera indole. Avevo voglia di fare sempre esperienze nuove, ero in continua lotta con me stessa e con la voglia di andare oltre alle cose che la fazione mi offriva. Ma era proprio nei momenti in cui salivo sul gradino più alto, o mi arrampicavo su un albero, sentivo che stavo bene con me stessa. Sentivo il sangue diventare adrenalina pura e il vento sugli occhi diventare la mia anima.
Quando arrivò l’adolescenza quel senso di andare oltre, quella necessità che era stata la protagonista della mia infanzia svanì.
Avevo dieci anni quando per causa di qualcuno avevo voglia solo di appagare le mie sofferenze con la morte.

Avevo dieci anni ed avevo iniziato da poco la prima media. Come di consuetudine tutti i ragazzi delle fazione andavano a scuola insieme senza alcuna distinzione. Ovviamente all’interno della classe chi spiccava maggiormente erano proprio gli Eruditi. E come di consuetudine quest’ultimi avevano uno strano odio tramandato da generazione verso gli Abneganti i quali troppo gentili come erano, si lasciavano prendere in giro tranquillamente.
La cosa bella è che loro erano snob nei confronti un po’ di tutti. Ce l’avevano con i Candidi perché li trovavano spesso maleducati solo perché non ci pensavano due volte a dirti quello che pensavano di te, ce l’avevano con gli intrepidi perché li trovavano fuori luogo e troppo spensierati, per non dire scimmie saltatrici di treni con tanto di tatuaggi e piercing, ed infine ce l’avevano anche con noi pacifici perché dicevano che eravamo solo dei “fricchettoni drogati che pensavano solo a suonare la chitarra e a non fare niente”. In sostanza si dichiaravano gli unici esseri ed essere utili per la salvezza di quella specie.
Quella  sera però, stavo tornando a casa con mia madre a piedi perché avevamo perso l’ultimo pullman che conduceva dalla scuola a casa nostra. Mia madre come tutti i martedì sera era costretta a rimanere di più a scuola per mettere a posto il carico del cibo che arrivava per la mensa scolastica. Quella sera però aveva fatto più tardi del previsto.
Decidemmo così di prendere la via che portava alla ruota panoramica perché da lì poi la strada sarebbe stata più illuminata. Il problema della strada della ruota era che c’era un gran pezzo da  fare al buio perché il comune aveva deciso che per motivi di spreco l’illuminazione andava tagliata.
Così io e mia madre ci addentrammo in quella selva buia ed oscura.
Ad un tratto sentimmo però delle voci e quando ci girammo ci trovammo davanti due esclusi che ci stavano fissando come si fissa una preda che sta per essere intrappolata e mangiata.
In quel momento sentii il cuore battere a mille, la fronte e le mani sudare freddo mentre la faccia di mia madre era diventata come un lenzuolo bianco. E poi successe tutto in un attimo.
Io mi ritrovai stesa per terra con la testa che faceva male mentre al mio fianco era stesa mia madre con gli occhi vitrei e la gola piena di sangue.
Gli esclusi non erano due ma tre. Così il terzo quando mi colpì con una mazza sulla testa per farmi svenire non dandomi il tempo nemmeno di rendermi conto di quello che stava succedendo, aveva poi preso mia madre che aveva urlato con tutta se stessa per me e per salvarci, e con un gesto freddo e glaciale, contornò il suo collo con un grosso coltello fino a far zampillare via tutto il sangue dal corpo esule della mia povera mamma. Mi violentarono in uno dei modi più barbari che ci fossero sulla faccia della terra. Come gli animali più feroci sanno fare. Due mi tenevano e l’altro faceva tutto il lavoro di rendermi donna quando donna ancora non ero poiché non potevo esserlo. Mi ritrovò un intrepido che si occupava della vigilanza delle strade e mi portò in ospedale.
Gli anni che seguirono dopo furono i più tremendi. Una pacifica che era depressa, uno spettacolo che piacque a tutti tant’è che quegli amici che credevo tali se ne andarono lasciandomi nel mio dolore e nella mia solitudine. Fu grazie alla forza di mio madre e alla cocciutaggine di mio fratello se oggi sono la donna che sono diventata.
Sapevo che la vicenda sarebbe tornata più viva che mai nei miei incubi e la cosa mi terrorizzava, però questa volta l’avrei affrontata per loro, per tutte quelle persone che credono in me.





Nota dell'autrice.
Lo so sono in un ritardo pazzesco ma sono stata impegnata con la scuola.
AnyWay sono andata al Romics il 12 di aprile ed ho visto una coppia di Tris e Quattro che erano davvero carini.
Dato che il 18 parto per l'EXPO devo per forza di cosa aggiungere oggi il capitolo altrimenti non saprei quando farlo.
Grazie come sempre a tutte le persone che seguono la storia e a tutte quelle belle personcine che hanno recensito il capitolo precedente.
Alla prossima.
<3
ps. ho modificato il capitolo 6 dove diceva che la mamma era morta da 10 anni. perdonate è stato un mio errore.
   
 
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