«Direi
che è tutto a posto.» costatò il medico
con un sorriso, girando ancora una
volta attorno al letto di Semir e ricontrollando le sue condizioni
«La ferita
le provocherà un po’ di dolore ma per il resto va
tutto bene, deve solo
riposarsi... e possibilmente non avere altri shock.» concluse
lanciando
un’occhiata severa a Tom, avendo intuito che qualcosa non
quadrasse nella
presenza di quell’uomo in ospedale.
«Stia tranquillo, dottore.» fece Andrea sorridendo
a sua volta.
«Ora datemi retta, restate ancora un pochino se volete, ma
poi lasciate
riposare il paziente, che ne ha bisogno.» ribadì
l’uomo in camice bianco,
uscendo dalla stanza.
Semir sbuffò, irrequieto «Ma quale riposo, sto
benissimo.» disse non appena il
medico ebbe richiuso la porta, ma venne interrotto da una forte fitta
di dolore
alla ferita.
«Benissimo?» fece sarcastico Tom, ma
l’altro sembrò totalmente ignorarlo,
rivolgendosi invece alla moglie.
«Come sta Aida?».
«Sta bene.» rispose Andrea sedendosi accanto a lui
«È con Lily e la nonna a
casa.».
«E Ben?».
Nella stanza calò il silenzio. Andrea abbassò lo
sguardo e Tom cominciò a
fissare la parete con finto interesse.
«Allora? Come sta Ben?» ripeté
l’ispettore mentre l’ansia iniziava ad
assalirlo.
«Ben è... è... in ospedale anche lui,
al piano di sopra. È stato avvelenato
e...».
«Sì, me lo ricordo, ma come sta?» quasi
gridò Semir provando a fatica a
mettersi a sedere sul letto.
«I medici non hanno ancora trovato un antidoto e...
be’, non bene, Semir.»
intervenne Tom con un filo di voce.
«Devo andare da lui!».
«No Semir, non puoi!» esclamò Andrea,
appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Lasciami!» gridò il marito in preda al
panico, agitandosi e provando in tutti
i modi ad ignorare il dolore e a scendere dal letto.
«Fermo, non puoi alzarti.» fece Tom prendendolo per
le spalle, ma senza
riuscire ad evitare che il turco mettesse le gambe fuori dal letto e si
sollevasse in piedi.
Semir provò a raggiungere la porta, ma la testa
cominciò a girargli
vorticosamente e in men che non si dica l’ispettore si
ritrovò steso a terra,
con il capo appoggiato sulle ginocchia del suo ex collega, che lo aveva
afferrato e accompagnato al suolo in modo che non urtasse lo spigolo
del
comodino nella caduta.
Una fitta lancinante alla ferita costrinse l’ispettore a
stringere gli occhi,
che in fretta si riempirono di lacrime «Lasciami andare da
Ben... lasciami!».
«Semir, calmati, ti devi calmare.».
«Lasciami andare.» continuò a ripetere
provando a divincolarsi dalla forte
stretta che lo costringeva a terra.
Spaventata, Andrea aveva nel frattempo chiamato nuovamente il medico,
che
raggiunse la stanza di corsa, e sistemò di nuovo Semir nel
letto aiutato da due
infermieri.
«Lasciatemi andare, devo andare da Ben! Vi prego,
lasciatemi!» continuò a
gridare il poliziotto, divincolandosi senza neppure far più
caso al dolore
«Devo andare da Ben...».
«Sediamolo.» ordinò il dottore tenendolo
fermo «In fretta, rischia di farsi del
male.».
«Lasciatemi andare...» mormorò ancora
una volta Semir, prima che le tenebre si
richiudessero su di lui.
Tom
Kranich schiacciò il tasto che indicava il secondo piano e
aspettò con pazienza
che le porte scorrevoli dell’ascensore su cui era appena
salito si
richiudessero.
Vedere Semir in quello stato lo aveva abbastanza turbato e certamente
aveva confermato
ciò che pensava di aver intuito fin dall’inizio:
lui e quel Jager dovevano
avere davvero un legame molto forte, che probabilmente superava anche
quello
che c’era stato anni prima tra loro due.
L’uomo sospirò, uscendo dall’ascensore e
percorrendo con calma il corridoio
bianco del secondo piano, alla ricerca della stanza numero ventiquattro.
Cauto, entrò richiudendosi la porta alle spalle e raggiunse
in silenzio la
sedia posta accanto al letto su cui giaceva immobile Ben Jager: si era
addormentato.
Tom lo osservò a lungo.
Era giovane, gli aveva fatto subito una buona impressione e adesso
vederlo così
lo faceva star male.
Ancora una volta maledisse Erik Gehlen e maledisse se stesso per aver
in
qualche modo trascinato sia Semir sia il suo collega in quel labirinto
mortale,
da cui nessuno dei due era riuscito ad uscire illeso.
Ma ciò che lo preoccupava di più era la sorte del
ragazzo: conosceva Gehlen,
sapeva che probabilmente avrebbe nascosto bene l’antidoto e
forse non avrebbe
mai dato loro l’occasione di trovarlo, ma bisognava almeno
tentare.
Gli rimanevano ancora quarantotto ore...
Tom prese la mano del giovane poliziotto e la accarezzò
piano, sorridendo
appena.
«Sappi che troverò quel bastardo, Ben. E
soprattutto troverò l’antidoto e tu
guarirai, va bene? Però devi mettercela tutta, collega, altrimenti poi chi lo sente
Semir?» sussurrò osservando il
monitor che lanciava segnali regolari accanto al letto
dell’ispettore «Forza
Ben...».
Tom ritirò la mano e rimase ancora qualche minuto
lì a vegliare sul poliziotto,
facendo bene attenzione a non svegliarlo.
Ripensò alla telefonata che aveva ricevuto da Gehlen qualche
ora prima, con cui
il criminale gli aveva gentilmente spiegato quali sarebbero stati i
sintomi del
veleno, che in realtà si erano rivelati piuttosto semplici:
febbre, dolori
muscolari, sonnolenza, poi complicazioni varie e crisi respiratorie e
infine
morte certa. Gli aveva anche giurato di possedere un antidoto e aveva
promesso
che avrebbe dato loro una possibilità per ottenerlo e che si
sarebbe rifatto
vivo lui.
Tom aveva provato a richiamare quel numero e a farlo rintracciare, ma
ovviamente non aveva ottenuto assolutamente nulla: sarebbe stato troppo
semplice.
Demoralizzato, passò il dorso della mano sulla fronte del
giovane, trovandola
estremamente cada e umida di sudore.
Quindi si alzò dalla sedia e uscì lentamente
dalla piccola stanza, non prima di
aver salutato con un cenno rivolto al vuoto il giovane Ben Jager.
Ed
ecco qui, avete notizie di Ben... non buone direi!
Un
bacione e grazie sempre a tutti coloro che mi seguono e a chi
recensisce.
Sophie