Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    11/05/2015    5 recensioni
“Si vive solo due volte: una volta quando si nasce e una volta quando si guarda la morte in faccia.” (Ian Fleming).
Una verità rimasta celata per troppo tempo; un’amicizia forse perduta per sempre; un gioco mortale che non lascia scampo.
Seguito di “Vittima Innocente”, è consigliabile ma non necessario aver seguito la prima parte.
Buona lettura!
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ben Jager, Hartmut Freund, Kim Kruger, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Direi che è tutto a posto.» costatò il medico con un sorriso, girando ancora una volta attorno al letto di Semir e ricontrollando le sue condizioni «La ferita le provocherà un po’ di dolore ma per il resto va tutto bene, deve solo riposarsi... e possibilmente non avere altri shock.» concluse lanciando un’occhiata severa a Tom, avendo intuito che qualcosa non quadrasse nella presenza di quell’uomo in ospedale.
«Stia tranquillo, dottore.» fece Andrea sorridendo a sua volta.
«Ora datemi retta, restate ancora un pochino se volete, ma poi lasciate riposare il paziente, che ne ha bisogno.» ribadì l’uomo in camice bianco, uscendo dalla stanza.
Semir sbuffò, irrequieto «Ma quale riposo, sto benissimo.» disse non appena il medico ebbe richiuso la porta, ma venne interrotto da una forte fitta di dolore alla ferita.
«Benissimo?» fece sarcastico Tom, ma l’altro sembrò totalmente ignorarlo, rivolgendosi invece alla moglie.
«Come sta Aida?».
«Sta bene.» rispose Andrea sedendosi accanto a lui «È con Lily e la nonna a casa.».
«E Ben?».
Nella stanza calò il silenzio. Andrea abbassò lo sguardo e Tom cominciò a fissare la parete con finto interesse.
«Allora? Come sta Ben?» ripeté l’ispettore mentre l’ansia iniziava ad assalirlo.
«Ben è... è... in ospedale anche lui, al piano di sopra. È stato avvelenato e...».
«Sì, me lo ricordo, ma come sta?» quasi gridò Semir provando a fatica a mettersi a sedere sul letto.
«I medici non hanno ancora trovato un antidoto e... be’, non bene, Semir.» intervenne Tom con un filo di voce.
«Devo andare da lui!».
«No Semir, non puoi!» esclamò Andrea, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Lasciami!» gridò il marito in preda al panico, agitandosi e provando in tutti i modi ad ignorare il dolore e a scendere dal letto.
«Fermo, non puoi alzarti.» fece Tom prendendolo per le spalle, ma senza riuscire ad evitare che il turco mettesse le gambe fuori dal letto e si sollevasse in piedi.
Semir provò a raggiungere la porta, ma la testa cominciò a girargli vorticosamente e in men che non si dica l’ispettore si ritrovò steso a terra, con il capo appoggiato sulle ginocchia del suo ex collega, che lo aveva afferrato e accompagnato al suolo in modo che non urtasse lo spigolo del comodino nella caduta.
Una fitta lancinante alla ferita costrinse l’ispettore a stringere gli occhi, che in fretta si riempirono di lacrime «Lasciami andare da Ben... lasciami!».
«Semir, calmati, ti devi calmare.».
«Lasciami andare.» continuò a ripetere provando a divincolarsi dalla forte stretta che lo costringeva a terra.
Spaventata, Andrea aveva nel frattempo chiamato nuovamente il medico, che raggiunse la stanza di corsa, e sistemò di nuovo Semir nel letto aiutato da due infermieri.
«Lasciatemi andare, devo andare da Ben! Vi prego, lasciatemi!» continuò a gridare il poliziotto, divincolandosi senza neppure far più caso al dolore «Devo andare da Ben...».
«Sediamolo.» ordinò il dottore tenendolo fermo «In fretta, rischia di farsi del male.».
«Lasciatemi andare...» mormorò ancora una volta Semir, prima che le tenebre si richiudessero su di lui.

 

Tom Kranich schiacciò il tasto che indicava il secondo piano e aspettò con pazienza che le porte scorrevoli dell’ascensore su cui era appena salito si richiudessero.
Vedere Semir in quello stato lo aveva abbastanza turbato e certamente aveva confermato ciò che pensava di aver intuito fin dall’inizio: lui e quel Jager dovevano avere davvero un legame molto forte, che probabilmente superava anche quello che c’era stato anni prima tra loro due.
L’uomo sospirò, uscendo dall’ascensore e percorrendo con calma il corridoio bianco del secondo piano, alla ricerca della stanza numero ventiquattro.
Cauto, entrò richiudendosi la porta alle spalle e raggiunse in silenzio la sedia posta accanto al letto su cui giaceva immobile Ben Jager: si era addormentato.
Tom lo osservò a lungo.
Era giovane, gli aveva fatto subito una buona impressione e adesso vederlo così lo faceva star male.
Ancora una volta maledisse Erik Gehlen e maledisse se stesso per aver in qualche modo trascinato sia Semir sia il suo collega in quel labirinto mortale, da cui nessuno dei due era riuscito ad uscire illeso.
Ma ciò che lo preoccupava di più era la sorte del ragazzo: conosceva Gehlen, sapeva che probabilmente avrebbe nascosto bene l’antidoto e forse non avrebbe mai dato loro l’occasione di trovarlo, ma bisognava almeno tentare.
Gli rimanevano ancora quarantotto ore...
Tom prese la mano del giovane poliziotto e la accarezzò piano, sorridendo appena.
«Sappi che troverò quel bastardo, Ben. E soprattutto troverò l’antidoto e tu guarirai, va bene? Però devi mettercela tutta, collega, altrimenti poi chi lo sente Semir?» sussurrò osservando il monitor che lanciava segnali regolari accanto al letto dell’ispettore «Forza Ben...».
Tom ritirò la mano e rimase ancora qualche minuto lì a vegliare sul poliziotto, facendo bene attenzione a non svegliarlo.
Ripensò alla telefonata che aveva ricevuto da Gehlen qualche ora prima, con cui il criminale gli aveva gentilmente spiegato quali sarebbero stati i sintomi del veleno, che in realtà si erano rivelati piuttosto semplici: febbre, dolori muscolari, sonnolenza, poi complicazioni varie e crisi respiratorie e infine morte certa. Gli aveva anche giurato di possedere un antidoto e aveva promesso che avrebbe dato loro una possibilità per ottenerlo e che si sarebbe rifatto vivo lui.
Tom aveva provato a richiamare quel numero e a farlo rintracciare, ma ovviamente non aveva ottenuto assolutamente nulla: sarebbe stato troppo semplice.
Demoralizzato, passò il dorso della mano sulla fronte del giovane, trovandola estremamente cada e umida di sudore.
Quindi si alzò dalla sedia e uscì lentamente dalla piccola stanza, non prima di aver salutato con un cenno rivolto al vuoto il giovane Ben Jager.

 

Ed ecco qui, avete notizie di Ben... non buone direi!
Un bacione e grazie sempre a tutti coloro che mi seguono e a chi recensisce.
Sophie

  
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