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Autore: Lilith_Holmes    11/05/2015    0 recensioni
Helena, sedicenne, figlia di due ricchi avvocati londinesi è costretta a trasferirsi in una cittadina del nord per motivi sconosciuti persino a lei. Viene ospitata da Yaderich Recevit e Devon Roberts, due uomini dalla bellezza sconcertante, ma che nascondono ben più di quello che i loro sorrisi serafici lasciano ad intendere. La ragazza vive una vita tranquilla e serena nella nuova cittadina, incontra Tallula che ben presto diviene più di una semplice amica, e conosce Lindsay e Brian, in costante conflitto con i loro genitori a causa della loro relazione. L'idillio viene però rotto non appena scopre il vero motivo per cui si è trasferita, e si ritrova faccia a faccia con la vera natura della sua nuova casa.
Una storia forse un po' banale, fra amore e sovrannaturale, senza pretese, che spero vi aiuti a passare un po' il tempo quando non avete di meglio da fare.
Buona lettura a tutti.
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Nei sogni viveva un'altra vita.
Sogni a puntate, li chiamava lei, perché questo sembravano. Ogni notte riprendevano da dove s'erano interrotti la notte precedente.
Si muoveva in luoghi che non conosceva e parlava con persone sconosciute, però, in qualche modo, sapeva tutto di loro.
Una volta aveva letto un articolo, o forse un saggio, dove si diceva che si facevano dai tre ai cinque sogni durante il sonno e che si ricordava solamente l'ultimo - nemmeno quello, alle volte. Quando si svegliava e realizzava che il sogno fatto era collegato a quello della notte precedente, ripensava a quell'articolo e si domandava se fosse realmente così.
Fu quindi stupita d'aver sognato cose che aveva già vissuto, non cose di grande rilevanza ai fini del trasferimento appena avvenuto e non erano nemmeno cose a cui pensava spesso.
Aveva rivissuto il suo primo giorno di liceo. Sì, s'era sentita un pesce fuor d'acqua, quel giorno. Un eccitato e inquietato pesce fuor d'acqua. I suoi soldi e la sua bellezza non c'avevano badato granché a renderla popolare, questo era vero – a volte era stata crudele, così come le biondine nei film ambientati nelle scuole superiori americane. Se lo faceva per rabbia o per semplice perfidia, non avrebbe saputo dirlo.
Poi, aveva sognato il momento in cui sua madre le aveva detto che avrebbe avuto un fratellino. Suo fratello minore James era una piccola peste infame. Non che la peste infame avesse mai ricevuto più attenzioni di lei, se non quand'era neonato e forse era per quello che era così tremendo. Era stata così anche lei da piccola, lo ricordava. Ricordava cameriere che sospiravano esasperate e badanti che urlavano arrabbiate, ricordava sua madre che la sgridava - quand'ancora le sue parole avevano una qualche importanza.
Infine, aveva sognato la sua prima volta. Era avvenuta l'anno prima. Lui si chiamava Paul, era biondo, bello, alto, muscoloso e stronzo sopra ogni altra cosa. Tutte le altre qualità che aveva non bastavano a compensare la stronzaggine, che altro non era quella voglia tipica di sentirsi superiori agli altri perché in realtà non si ha nulla di concreto fra le mani. Lei lo sapeva bene, era anche lei così. Non si era quindi mai pentita, erano così simili da poter essere la stessa persona. Lui era stronzo e scialbo, lei non era da meno, ma non era quello il punto, infondo erano stati gentili l'uno con l'altra, consci di ciò che li accumunava.
Il susseguirsi di quei tre momenti nel tipico stile scompigliato dei sogni l'aveva turbata. Erano momenti importanti, certo, e felici a loro modo, ma lei non pensava quasi mai alla felicità perché pensava le fosse preclusa.  
 
Si svegliò presto quella mattina, turbata dai sogni e dal tempo tetro. Erano appena le sette e lei aveva dormito con i vestiti di quand'era arrivata indosso, rotolando fin al bordo del letto, rischiando di cadere a terra.
Si alzò in piedi barcollando e cercò di riavviare i capelli che le erano caduti d'innanzi al viso, poi si voltò a controllare lo stato degli abiti che aveva tirato fuori dalla valigia e aveva posato sul letto. Bofonchiò un insulto nel trovarli in disordine – alcuni erano anche caduti a terra, durante il suo sonno agitato – pensando a quanto aveva impiegato per piegarli per bene, era davvero seccante ritrovarli così.
Osservò la finestra, dove la pioggia batteva insistente.
"Pioverà sempre in questo schifo di posto?" sbottò, completamente disinteressata al se Yaderich Recevit potesse sentirla o meno - in quel momento, quasi non si ricordava della presenza dell'uomo in casa.
Doveva rendersi presentabile.
Non ci sarebbero stati i suoi genitori o una cameriera ad aspettarla al piano inferiore, ma un uomo che non conosceva - affascinante per di più e questo non le permetteva d'essere di cattivo umore come le altre mattine, il che era un lato positivo, dopotutto.
Prese la spazzola dalla sua borsa e si fermò d'innanzi allo specchio a parete a cui non aveva fatto caso la sera prima. I suoi capelli erano una massa rossa e informe. Fece un lungo sospiro, iniziando a sistemarli. Era stata bionda, in passato, ma il biondo non le piaceva granché, così aveva preferito tingersi i capelli di un rosso scuro, quasi innaturale, tanto per divertirsi. Da allora aveva continuato a tenere quel colore. Non era piaciuto ai suoi genitori e questo era stato un incentivo a non cambiarli – infondo, ormai tutti si erano abituati a vederla con quel colore.  
Lanciò la spazzola sul letto, rimirando il suo lavoro.
"Ora sono tornata ad essere un umana presentabile" disse alla ragazza allo specchio. Generalmente non le sarebbe interessato apparire bella e in ordine, il suo motto era sempre stato se non ti piace quello che vedi, allora girati dall'altra parte - questo modo di pensare l'aveva portata ad essere inadeguata a degli eventi importanti.
I suoi pensieri furono interrotti da un gorgoglio proveniente dal suo stomaco.
Non mangiava dalla mattina precedente. Era stata tutto il giorno in viaggio con Lucas e la sera non aveva accettato l'invito del Signor Recevit a mettere qualcosa sotto i denti.
Si sistemò i vestiti e uscì dalla stanza. Notò appena che c'era una rampa di scale che portava ad un piano superiore quando trotterellò giù per le scale.  
"Signor Recevit?" chiamò, ad alta voce. Non udì risposta. Forse sta ancora dormendo, ipotizzò. Se era sveglio, era certa che l'avrebbe sentita. Si guardò un po' attorno. L'entrata non era come la ricordava, non che l'avesse osservata molto bene la sera prima.
Notò poi un foglio appeso alla porta e fece un passo avanti per leggerlo. Era scritto con una calligrafia impeccabile, quasi ottocentesca. La osservò ammirata prima di leggere il vero e proprio messaggio.
 
"Mi dispiace doverti dare così il buon giorno, ma degli impregni imprevisti mi tratterranno in città tutto la giornata.
Mettiti a tuo agio, sentiti libera di esplorare la magione e fai come se fossi a casa tua (infondo questa È casa tua, no?), le chiavi delle porte che troverai chiuse sono tutte in una cesta in cucina.
Devon tornerà per l'ora di pranzo, più o meno, e il furgone della ditta di traslochi arriverà questo pomeriggio - prima del previsto, comunque.
Spero ti troverai bene, Helena.  
Yaderich".
Rilesse il foglio più volte.
Non le interessò il fatto che le avesse concesso di entrare in qualsiasi stanza volesse e nemmeno la notizia che la sua roba sarebbe arrivata prima di quanto era stato accordato. Si fermò sul fatto che qualcuno di nome Devon sarebbe stato lì per l'ora di pranzo. No, non era corretto. Sarebbe tornato lì, questo significava che ci abitava. La sera prima il Signor Recevit non aveva nemmeno accennato al fatto che vivesse con qualcun'altro - non che si fossero detti poi molto. Se fosse scesa a cena probabilmente le avrebbe detto tutto quello che c'era da sapere di persona. Lo staccò dalla porta e lo piegò diligentemente per infilarlo nella tasca dei jeans. Voleva tenerlo con sé.
Quand'era a Londra si sentiva fuori luogo e non aveva mai collezionato ricordi. Lì si sentiva a casa, poteva iniziare a farlo e lei aveva sempre avuto una fissa per le piccole cose come foglietti e foto e oggettini vari senza nessun valore monetario.
Erano solo le sette di mattina, poteva andarsene a zonzo per ancora qualche ora senza che questo Devon le dicesse nulla.
In ogni caso, il suo giro esplorativo iniziava dalla cucina, dove avrebbe messo qualcosa nello stomaco, poi avrebbe preso le chiavi, si sarebbe diretta in bagno, dopodiché avrebbe dato sfogo alla sua curiosità entrando in ogni stanza che avrebbe trovato sul suo cammino.
 
 
Yaderich odiava uscire di giorno, ma si sarebbe recato comunque a quella stupida riunione di famiglia dal momento che gli affari erano affari, la prudenza non era mai troppa e cazzate varie - cazzata, che parola poco elegante, eppure adorava usarla. Rendeva bene l'idea di quel che si voleva dire. Mauran, un suo vecchio amico conosciuto alla fine del settecento, non faceva che ripetere inorridito che stava prendendo le abitudini più fastidiose degli umani da quando viveva con Devon – no, dire che stava prendendo le abitudini degli umani era scorretto. Stava prendendo le abitudini più scortesi e volgari del ventunesimo secolo.
"Lungi dal volerlo negare, vecchio mio" soleva rispondere Yaderich ridendo "ma gli umani sono di quanto più divertente esista a questo mondo e non esserne così stupito: eravamo come loro una volta, che tu voglia o meno ammetterlo". Ovviamente poi Mauran attaccava con la solita nenia che nulla di quello che Yaderich diceva o faceva era adatto ad un vampiro, chiacchiere che Yaderich non ascoltava, ritenendo che non fosse il suo destino fin dall'inizio quello di essere  un vampiro. Aveva  ottenuto quel dono in un modo non proprio leale, circuendo un’ingenua vampira all’alba della sua vita immortale. Strinse il volante rischiando di romperlo, cercando di scacciare quel ricordo.
Aveva poca importanza come era divenuto quello che era, l'unica cosa che aveva importanza ormai era mantenere la sua posizione. Non era forse proprio quello il motivo per cui l'avevano convocato in pieno giorno?
Perché c'era qualcosa che minacciava di spodestarlo dal suo metaforico trono. Quella città era sua e non per modo di dire: era lì quando la città era stata fondata e si era guadagnato il diritto di avere il comando – forse, o senza forse, era stato sleale nell’ottenerlo, ma sapeva bene che ritenevano lui un capo migliore del vecchio imbecille che aveva fondato la città.
Trovava altamente stupido e ipocrita da parte di Mauran piazzare una sala riunioni proprio sopra un pub, ma durante il giorno era deserto e comunque nessuno avrebbe mai fatto caso a loro. E, come diceva la bella Siavon, l'importante è che il vino sia buono.
La sala sarebbe stata completamente buia se non fosse stato per il camino acceso non troppo lontano da loro.
Yaderich notò che non c’era nessuno a parte il suo vecchio amico e braccio destro e non seppe bene come interpretare la cosa.
Mauran era seduto composto e rigido su una delle poltrona, e fissava il vuoto d'innanzi a sé. Diversamente dal Mauran normale, quello attento ad ogni minimo dettaglio, il Mauran di quel giorno aveva i capelli in disordine, gli occhi malva sgranati, i vestiti stropicciati - Yaderich aveva anche l'impressione che la giacca fosse stata messa a rovescio.
"Ti senti bene, Mauran?" chiese il vampiro più anziano, sedendosi davanti a lui. Ovviamente era una domanda idiota da porre, segno che Yaderich era davvero troppo abituato a passare il tempo con gli umani.  
"No" fu la semplice risposta dell'altro, che continuava a fissare la parete senza vederla.
"Che è successo?" volle sapere Yaderich, allungando una mano a stringere quelle dell'altro. Mauran spostò gli occhi su di lui, senza muovere nessun'altro muscolo. Yaderich vi vide il vuoto più assoluto, quello causato dal dolore. La cosa lo spaventava e lo addolorava a sua volta. Alzò la mano libera ad accarezzargli il viso e cercò di sorridergli.
"Mairin" mormorò infine l’altro, forse leggermente rassicurato dal quel delicato gesto. Mairin era la sorella gemella di Mauran, avevano ricevuto il Dono assieme e da allora mai si erano separati. Erano come il giorno e la notte e qualsiasi pretesto era buono per litigare – le loro litigate a volte duravano anche per giorni senza mai fermarsi, innervosendo chiunque stesse loro attorno. Tuttavia, era innegabile che l'uno non potesse esistere senza l'altra.
"Mairin...?" lo spronò Yaderich, anche se già intuiva cosa l'altro vampiro stesse per dire.
"Non c'è, vero?" chiese contro ogni pronostico Mauran. Sembrava totalmente estraniato dalla realtà che lo circondava.
"No, non c'è. Perché non c'è?". L'altro finalmente si mosse e si piegò su se stesso, emettendo un singhiozzo secco.
"Non ci sarà più, non capisci?" quasi urlò, turbando Yaderich, ma il vampiro anziano non diede a vederlo.
"Lo capisco, sta tranquillo, lo capisco". Si allungò ad abbracciarlo e gli carezzò i capelli. Era raro che un vampiro morisse lì dov'erano loro, erano tutti sempre attenti a non attirare l'attenzione dei cacciatori, ma era inevitabile che qualcuno prima o poi li trovasse. Gli dispiaceva che fosse successo proprio a Mairin fra tutti... e si chiese chi si sarebbe preso cura di Mauran da quel momento in poi, sempre che Mauran decidesse di andare avanti.
"Di lei non è rimasto che cenere... non ho potuto... non potrò più..." singhiozzò il vampiro più giovane, stringendo la camicia nera di quello più anziano fra le dita, arrivando a strapparla.
"Shh" lo ammonì gentilmente Yaderich.
Rimase con lui tutta la giornata, ma Mauran al termine rifiutò l'offerta di passare qualche giorno con lui, Devon e la nuova arrivata. Disse che avrebbe cercato Siavon, che sarebbe stato con lei per un po' e che poi, forse, avrebbe lasciato la città.
Quando tornò a casa, quella sera, venne accolto dalle risate allegre di Devon e Helena, e una piccola stilla di sollievo si insinuò fra tutta la tensione che gli gravava sulle spalle. Avrebbe dovuto scoprire chi aveva ucciso Mairin, avrebbe dovuto aiutare Mauran a riprendersi, avrebbe dovuto capire perché aveva la sensazione che sarebbe avvenuta una catastrofe di lì a poco. Temeva non ci fosse il tempo per fermarsi a fare quattro risate con i due giovani umani.
 
 
*Angolino scrittrice*
L’ho modificato, anche se non è cambiato un granché sembra più decente di prima.
Grazie per aver letto,
With much love,
Marty.

 
   
 
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