Nonostante ne sia un grande appassionato, fino ad
ora non ho mai voluto scrivere una fanfiction su One
Piece. La ragione è semplicemente che quando si scrive una fanfic,
si finisce sempre per cambiare qualcosa dell’opera originale: e a me One Piece
piace così tanto che non vorrei cambiarne nulla. Poi
c’è stato il concorso di Rota23, “Il Frutto del Destino”. L’organizzatrice
avrebbe inventato e assegnato un Frutto del Diavolo a ciascun concorrente, e
l’obiettivo era scrivere una storia che raccontasse
della persona che aveva mangiato quel frutto, del suo incontro con la ciurma di
Luffy e di come la sua vita fosse cambiata in seguito
a quell’incontro. Mi sono iscritto, e questa è la storia con cui partecipo.
Perciò l’idea del Frutto di Woo Woo è di Rota23, e per questo la
ringrazio. Il resto è la mia storia, che ho cercato di scrivere senza tradire
il vero spirito di One Piece. Ogni tanto un po’ di
tensione, persino di commozione, ma innanzitutto e
soprattutto divertimento spensierato e leggerezza. Quest’avventura
si ambienta tra il Davy Back
Fight e l’arrivo a Water 7. Chi non legge il manga ma segue solo l’anime in italiano potrebbe trovare
qualche discrepanza (prima fra tutte, il nome del capitano: è Luffy, non Rubber come dicono da
noi!), ma non dovrebbe essere un grosso problema. Buon divertimento, leggete e
commentate!
Dieci anni fa
La borraccia era stata ricavata da una grossa anguria,
aperta in due, scavata dalla propria polpa, essiccata e quindi rincollata
insieme con un mastice naturale; piena d’acqua, sembrava incredibilmente
pesante, ma la ragazzina la maneggiava senza troppo sforzo. Ne bevve un grosso sorso, e la frescura, in quel giorno assolato, era
come un attimo di paradiso. Poi la lasciò cadere a terra accanto a sé. Stava
appoggiata al tronco di un albero che le regalava un po’ d’ombra, teneva i
piedi nudi sul terreno e aspettava, pigramente, che il pomeriggio si decidesse
a finire. Sbadigliò.
-
Flea!
Tra le zolle mezze essiccate e i sassi, il vecchio avanzava
correndo malamente, rovinando a terra, saltellando qua
e là a gran passi. Era in preda a un’agitazione
esagerata. Aveva a tracolla una vecchia borsa di cuoio. Ogni volta che sbatteva
o cadeva, dalla borsa traboccavano viti, chiodi e tasselli, di cui stava
lasciando una scia dietro di sé; e ogni volta che si rimetteva in equilibrio
sputava, imprecava e mugugnava qualcosa di incomprensibile
che suonava come “gnarr”. O
una cosa del genere. La ragazzina sospirò e sorrise.
-
Flea! Gnarr! Ma dove ti
sei cacciata?
-
Sono
qui, papà.
-
Finalmente!
Gnarr!
Il vecchio arrivò accanto all’albero, sfinito dalla foga
della corsa. Era senza fiato: ansimava e gnarrava.
Restò per quasi un minuto in quelle condizioni. Ansimo, sputo, ansimo, gnarr, sputo, ancora gnarr. Alla fine riuscì a parlare, e nel frattempo estraeva
dalla borsa una sorta di involto, di carta giallastra
di pergamena. Assieme a una ventina di chiodi che
caddero a terra.
-
Flea, razza di peste, perché sei scappata come una
matta dopo pranzo? Dovevo darti questa, gnarr!
-
E solo per questo ti sei ammazzato di fatica? – la ragazzina scosse la
testa – Scusa, papà, ma non dovresti essere così
scalmanato, alla tua età. Potevi darmela stasera.
Puntò gli occhi sull’involto, attratta.
-
Che cos’è? – chiese.
-
Sta’
zitta e ringrazia, gnarr! – sbottò il vecchio, sbattendole
la pergamena in mano – Buon compleanno.
Flea si affrettò ad aprire la pergamena.
Man mano che la svolgeva, scopriva nuove piegature; alla fine ebbe davanti a sé
un foglio ampio quanto un lenzuolo. Era squadrato da linee
orizzontali e verticali e coperto di disegni e scritte minute. Bisognava
avvicinare gli occhi per leggerle. Nomi lontani, dai diversi sapori, esotici o
inquietanti. Alabasta, arcipelago Shabondy,
Elbaf. Altre linee, sinuose e variamente colorate,
congiungevano i diversi punti contrassegnati da quei nomi, rappresentando le
contorte rotte decise dai capricci del magnetismo. In alto, infine, accanto a una rosa dei venti, la scritta più grande di tutte. “Grand Line”, Grande Blu.
Alla ragazzina luccicarono gli occhi.
-
E’
una mappa, gnarr. – spiegò il
vecchio – Non è mica facile trovarne una così, eh.
Flea corse ad abbracciarlo, felice. Lo
strinse tanto forte da fargli perdere l’equilibrio; per poco non finirono a terra entrambi. Il vecchio lanciò uno gnarr
allarmato.
-
Attenta!
Sei forte come una quercia, tu, gnarr.
Vedi di non ammazzarmi.
La ragazzina si sedette di nuovo a terra, a studiare la grande mappa. Mentre la fissava,
senza alzare gli occhi, disse:
-
Papà,
raccontami di nuovo la storia dei pirati.
-
Dei
pirati, gnarr? Ancora?
Flea annuì, ma era sempre pensierosa,
concentrata sui disegni.
-
Gold Roger! – cominciò il vecchio, ispirato – Lui
sì che era un uomo. Era fortissimo, coraggioso, e sapeva cosa fosse l’onore; il più grande pirata di tutti i tempi, il Re
dei pirati, gnarr! Ne nasce uno ogni
cent’anni, così, te lo dico io. Non lo fermava
niente. Gli dissero che era impossibile navigare fino
alla fine del Grande Blu. Lui rise e decise che l’avrebbe fatto, allora, in
barba a tutti quei codardi, gnarr. Visitò tutte le
isole di questo mondo, tutte, persino le più strane.
-
Dimmene
qualcuna. – chiese Flea, sorridendo.
-
L’Isola
del Contrario, dove la gente cammina sulle mani, quando ti incontra
ti dice “addio” e quando se ne va “che piacere, da quanto non ci vedevamo!”, gnarr. E l’Isola della Fortuna, dove gli
abitanti sono così fortunati che il governo li ha banditi da tutti i casinò e
le lotterie del mondo. E poi, gnarr,
poi l’Isola dei Fabbri, dove si costruiscono le migliori spade del mondo, e ai
bambini appena nati, anziché sonagli, regalano mantici e martelli, così
imparano fin da subito il mestiere.
-
Papà,
queste isole non sono vere. Te le sei inventate.
-
E tu che ne sai, gnarr! Va’ a navigare davvero
e vedilo da te, se sono o non sono vere!
-
Non
c’è bisogno di andare a vedere. E’ evidente che racconti frottole.
-
Allora
non racconto nemmeno la storia, gnarr. Cavatela da
te.
Flea scosse la testa. Certo, erano tutte
frottole; ma d’altro canto a lei piacevano, le frottole.
-
D’accordo.
– disse – Diciamo che sono vere. Continua, forza!
-
Hm,
gnarr. Gold Roger viaggiò e viaggiò, ed esplorò tutto il Grande Blu.
Poi però, un brutto giorno, quei vigliacchi del governo lo catturarono, gnarr.
-
Papà,
non dovresti parlare così del governo.
-
Sono
una manica di furfanti, gnarr! Gente senza spina
dorsale! Cravatte e cartacce, conoscono solo questo, puah!
Lo catturarono e lo portarono al patibolo, perché volevano dare l’esempio, gnarr, secondo loro avrebbero scoraggiato
la gente dal mettersi in mare. E Gold Roger li ha fregati tutti, gnarr,
lui sì che era furbo. Un attimo prima che gli taglino
la testa, gli viene concesso un ultimo desiderio. Lui chiede di poter parlare.
Glielo concedono, e lui che dice? Che il suo tesoro è
nascosto in fondo al Grande Blu, e di andare a cercarlo, e a prenderlo.
Lancia una sfida al mondo intero! E da allora in mare
c’è tutta la gente più stramba, gnarr! Pagliacci e
cuochi, domatori e giganti, uomini pesce e musicisti, e in più un sacco di tizi
con i poteri dei Frutti del Diavolo, la roba più
assurda! Chi si trasforma in fuoco, o in ghiaccio, o in pietra, e chi lancia
raggi, gnarr, e chi diventa un animale! Tutti a cercare un tesoro che nessuno sa cosa sia. Tutti in
mare. In barba al governo, gnarr!
-
Sai,
papà, io penso di saperlo, cosa sia. Il tesoro “in un solo pezzo”. One Piece.
Il vecchio strabuzzò gli occhi, fissando la figlia. Uno “gnarr” gli si smorzò in gola.
-
Secondo
me è il diario di bordo di Roger.
E’ il racconto delle sue avventure, la storia più grande e bella di tutte.
-
E tu vorresti leggerla, gnarr?
-
Più
di ogni altra cosa. – disse, sognante, la ragazzina.
-
Allora
è facile. Lo trovi qua. – fece il vecchio, e puntò con un dito, sulla mappa,
l’isola più a destra di tutte. Accanto c’era scritto “Raftel”.
Flea scoppiò a ridere:
-
No,
per carità! Sei pazzo? Io non mi metterò mai per mare. Mi piacciono le storie,
tutto qui.
-
Cosa, gnarr? E allora questa mappa che te l’ho regalata a fare? Le mappe servono per viaggiare, gnarr!
-
E
io infatti, guardandola, viaggio. Con la fantasia,
però. Non mi va proprio di lasciare la nostra isoletta.
-
Che idiozia! Sei una cretina e una fifona, gnarr!
Se deve servirti a questo, allora è sprecata. Dalla a qualcuno che la usi davvero per navigare, piuttosto.
-
Ma che dici? Tu me l’hai regalata, e io me la tengo.
-
Hmph. Gnarr. Cretina. Hm…
Borbottando tra sé, il vecchio si allontanò, più lentamente
di come era arrivato, ma sempre inciampando ad ogni
piè sospinto. Causava tanto trambusto da sollevarsi dietro una nuvola di
polvere. A Flea venne di
nuovo da ridere, poi si concentrò sulla mappa, studiandosela per bene. Leggeva
i nomi delle isole e provava a immaginarsi come
dovessero essere. Probabilmente non come quelle che le descriveva
suo papà, pensò. Magari erano tutte abbastanza normali. Chissà
quante di quelle storie erano tutte frottole. Quella faccenda dei Frutti
del Diavolo, ad esempio. Gente con poteri impossibili, condannata a non saper
nuotare. Non che fosse una grande condanna – in fondo,
nemmeno lei sapeva nuotare, e la cosa non le era mai pesata più di tanto. Comunque, sembrava una cosa assurda. Mentre rifletteva su questo argomento, le venne voglia di uno spuntino, qualcosa
di fresco, magari, che le alleviasse anche l’arsura. Pigramente, allungò i
piedi nudi dentro il terriccio. Tese una mano davanti a sé. Le dita dei piedi le si allungarono, intrufolandosi sotto terra come tentacoli
alla ricerca di nutrimento; la loro pelle divenne marrone e dura come corteccia
fino alle caviglie. Dall’indice della mano tesa, come una goccia, scese un filo
rosso che si ingrossò rapidamente e divenne quasi
sferico, quindi si definì ulteriormente e prese la forma di una mela matura. Flea la staccò e la addentò voracemente, abbandonandosi al
sapore dolce. Questa qui le era venuta particolarmente bene.
Tornò a pensare ai Frutti del Diavolo. Mah, chissà se era vera, quella storia.
Gan_HOPE326 presenta
una fanfiction
di ONE PIECE
RADICI
Capitolo 1 –
Quattro uomini e due donne in barca (per tacer della renna)
Oggi
-
EVVAI!
CHE SPASSOOO!
A gambe incrociate sulla polena della Going
Merry, Luffy urlava di
gioia, esaltato come un ragazzino sulle montagne russe. In effetti, trascinata
com’era dalle gigantesche onde che si sollevavano da ogni lato, la nave dava
davvero la stessa sensazione di un vagoncino delle montagne russe. Con in più il rischio che potesse affondare annegando tutti
quelli che si trovavano a bordo: il che, evidentemente, non preoccupava affatto
il capitano. Anzi, rendeva il tutto parecchio più eccitante.
-
YUHUUU!
– gridò ancora, poi allungò il braccio per afferrare il suo cappello di paglia,
che gli era stato portato via da uno spruzzo d’acqua.
-
Luffy, non ti chiedo per forza di aiutarmi, ma per pietà, SMETTILA ALMENO DI
GIOIRE COME UN BAMBINO IDIOTA! – ringhiò Nami, che
nel frattempo stava tirando una cima con le mani ormai scorticate per lo
sforzo, tentando disperatamente di tendere la vela e prendere un po’ di vento
che li portasse fuori da quella turbolenza.
Non era una tempesta, perché il cielo era sereno. Era
successo all’improvviso, senza nessun segno premonitore: in un attimo il mare
aveva cominciato a turbinare, aveva formato gorghi e onde anomale, mosso da una
forza sconosciuta. Nami si era ormai rassegnata agli
assurdi fenomeni che infestavano le acque del Grande Blu e che, nonostante
fossero del tutto naturali, sembravano congiurare
malignamente per affondare ogni singola imbarcazione che tentasse di solcare
quei mari. Si era abituata a considerare l’oceano come un nemico, e non si sarebbe stupita più di tanto nemmeno se avesse visto l’acqua
sollevarsi in forma di pugni e prendere a cazzotti lo scafo.
Nei primi istanti della turbolenza la sua mente aveva
formulato l’ipotesi che tutto quel bailamme potesse
essere dovuto al movimento di qualche grossa massa nelle profondità; poi aveva
smesso di pensare, essendo impegnata più che altro a impedire che lei e i suoi
compagni finissero trasformati in spuntini per gli squali, o i mostri marini, o
qualunque altra diavoleria dotata di denti e zanne si annidasse lì sotto.
-
Qualcuno
vada alla barra del timone! Cercate di tenere la rotta stabile! E, ROBIN, PER
L’AMOR DEL CIELO, VUOI DARMI UNA MANO?!?
-
Anche più di una. – disse l’archeologa, che seduta placidamente sul ponte
superiore sfogliava un libro dall’aria antica.
Una decina di mani femminili e aggraziate spuntarono
accanto a Nami, le fecero un grazioso cenno di
saluto, dopodichè afferrarono la gomena e cominciarono a tirare.
-
Robin, il tuo potere è davvero molto utile – commentò acida la navigatrice – ma gradirei anche vederti un po’ più tesa, in
situazioni come questa.
-
Ma io sono tesa. – ribatté quella, girando pagina –
Questa storia della millenaria dinastia Sankesh è
molto avvincente.
-
Lascia perdere, Nami. – intervenne
Usopp – Dopotutto, c’è anche di peggio.
-
Ah,
sì? Cosa c’è di peggio?
Usopp indicò un punto del parapetto.
Appoggiato a una colonnina, a gambe incrociate, Zoro russava sonoramente. Quando la nave si
inclinava violentemente sotto la spinta delle onde, il suo corpo
barcollava fino quasi a toccare terra, ma in qualche modo manteneva
l’equilibrio. Il suo sonno restava, comunque,
assolutamente sereno.
-
Idiota
di uno spadaccino. Meno male che ci sei tu, Sanji, a
darmi una mano.
-
Per
te qualunque cosa, mia dolcissima Nami! – esclamò il cuoco, in sollucchero – Potrei prenderti le
stelle del cielo! Portarti l’acqua dell’eterna giovinezza! Raccogliere in un
vaso i colori dell’arcobaleno e fartene dono! Trovare…
-
Sì,
grazie, Sanji, sei molto gentile. Per ora mi basta che leghi quella fune
da qualche parte. L’albero si sta inclinando.
Sanji corse ad ubbidire, sprizzando
scintille d’amore.
-
Subito,
bellissima! Ehi, tu, naso lungo. – fece poi ad Usopp, mutando istantaneamente espressione – Hai
mica qualcosa per accendere?
Usopp prese dalla sua sacca un proiettile
e glielo passò. Sanji lo schiacciò tra le dita,
sprigionandone una debole fiammella. La avvicinò alla bocca e accese la
sigaretta che già teneva tra le labbra.
-
Meno
male. – disse – Le onde così grosse mi rendono
nervoso, e quando sono nervoso ho bisogno di fumare.
-
E perché le onde così grosse ti rendono nervoso? – indagò Usopp.
In quella, i flutti percossero
-
Per
questo. – sibilò tra i denti.
Ora l’acqua cominciava a girare in tondo, e la nave era
completamente bloccata. Sembrava non esserci speranza di
farla uscire dal turbine, era già abbastanza difficile impedirle di
ribaltarsi. Nell’acqua apparvero due sagome scure, che sembravano
formare un cerchio e ruotare intorno allo scafo.
-
Avete
visto? – esclamò Sanji – Cosa sono?
-
Non
m’importa. Pensa alla fune. – ringhiò Nami.
-
Non
m’importa. Cioè, mica ho pa-pa-paura!
– balbettò Usopp.
-
Non
m’importa. E’ TROPPO DIVERTENTE! – esclamò Luffy, al
colmo del giubilo.
Le sagome si stringevano e ruotavano sempre più veloci.
Contemporaneamente, il gorgo si faceva ancora più vorticoso, l’acqua pareva
seguirli ed essere trascinata dalla loro furia. Le figure si fecero più distinte
e affiorarono delle pinne che cominciarono a formare sottili scie di spuma
sulla superficie.
-
Magari
sono mostri marini… - mugolò Chopper, che era
rintanato in un cantuccio con le lacrime agli occhi.
-
Non
temere! – si impose Usopp,
fiero – Tu fa’ esattamente quello che faccio io, e ti garantisco che non
correrai alcun pericolo!
Chopper lo fissò, colmo di ammirazione
e gratitudine. Il cecchino si ergeva immobile in mezzo alla furia dei marosi.
Le sagome giunsero a pelo d’acqua e all’improvviso, in un tripudio di spruzzi
d’acqua, squame variopinte e denti minacciosissimi, si rivelarono come due
giganteschi Re dei Mari, specie famosa per le sue rigorose abitudini
alimentari: poco sale sui cibi, molte verdure, e mai più di dieci marinai al giorno.
-
SONO
MOSTRI MARINI! – strillò Usopp, che corse
istantaneamente a nascondersi in un barile vuoto.
-
SONO
MOSTRI MARINI! – ripeté, diligente, Chopper, prima di
andare a nascondersi nel barile a fianco (che sfortunatamente per lui, però,
conteneva i rifiuti della cucina).
-
PIANTATELA,
RAZZA DI FIFONI! – gridò Nami, furibonda, riuscendo
però solo a terrorizzare i due più di quanto non avessero fatto i mostri.
Poi non si sentì più nulla. Il fragore delle onde superò
ogni cosa. I mostri ruggirono insieme e diedero una spaventosa frustata con la
coda, sollevando una colonna d’acqua di metri e metri.
Quando rinvenne era sul ponte della Merry,
bagnata fradicia, distesa sulla sdraio di Robin. Intorno a lei, Sanji, Zoro e Usopp attendevano il suo
risveglio. Mormorò qualcosa. Non riusciva ad aprire bene gli occhi.
-
Che è successo?
-
La
nave si è quasi ribaltata. Ora va bene, il mare è
tornato tranquillo. Riposati pure. – disse Sanji.
-
La
nave si è quasi ribaltata. – ripeté tra sé e sé.
La cosa la disturbava. C’era qualcosa – un particolare – che
la preoccupava, ma non riusciva a metterlo a fuoco.
-
Sentite,
dite a Luffy che… - cominciò, poi spalancò
gli occhi e saltò su in piedi – Luffy! Dov’è Luffy? E
Robin? E Chopper? Loro non
sanno nuotare, se sono finiti in mare…
Zoro non disse nulla e si allontanò. Sanji la prese delicatamente per le spalle e la costrinse a
restare distesa.
-
Non
lo sappiamo. – disse – Non sappiamo dove siano.
Nami si portò la mano alla bocca. Sentì
di stare per scoppiare a piangere.
-
Senti, li cercheremo. Sono sicuro che stanno bene. Ma ora dobbiamo
pensare a riparare la nave, prima di ogni altra cosa.
Abbiamo subito un sacco di danni gravi, e conciati come siamo adesso non arriviamo
da nessuna parte.
La ragazza annuì. Usopp, che intanto
era corso a prua, annunciò a gran voce:
-
Vedo
terra! C’è un’isola in vista!
-
Finché
il capitano non è a bordo, direi che spetta alla
navigatrice dare gli ordini. – disse Sanji con
gentilezza.
-
D’accordo.
Nami si mise a sedere, ignorando il freddo
e i brutti presentimenti.
-
Sbarchiamo,
allora. Cerchiamo legname per le riparazioni.
-
Avete
sentito gli ordini, teste di rapa? Naso lungo, spadaccino, vedete di lavorare!
Dobbiamo approdare su quell’isola! Avanti, avanti!
Nessuno rispose nulla e le manovre iniziarono in un silenzio
che